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Vintilă Horia

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Vintilă Horia (1915 – 1992), scrittore rumeno.

Citazioni di Vintilă Horia

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  • Il segreto metafisico che chiude la sua vita mai lo conosceremo. Soltanto qua e là, disseminate attraverso la sua opera, in frasi e pensieri, scopriremo piccole luci rivelatrici del suo mistero. Come i Romani, suoi modelli di sempre, Montherlant lottò, trionfò, fu vinto, conquistò un impero nelle lettere del secolo, aspettando qualche cosa, come i contemporanei di Ovidio e di Augusto, qualche cosa che, forse, gli fu rivelato o concesso prima di uscire dalla scena.[1]

Considerazioni su un mondo peggiore

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  • Quanto più grande è il romanziere, più attento alla realtà del proprio tempo, meno margine di menzogna e di immaginazione resta nelle sue «convenzioni». Perché un grande romanzo rappresentativo rende conto, in modo simbolico, impiegando l'apparenza tecnica del realismo, della sostanza stessa di una realtà: come la scienza, sua contemporanea. La fisica, nonostante la sua astrazione, nonostante l'imprescindibile alleanza con la matematica, la più astratta delle scienze — attraverso i principi di indeterminazione, di complementarietà o di esclusione rivela il senso intimo, invisibile e però dominante e efficace delle cose. La medesima cosa fa lo scrittore. (da Considerazioni su un mondo peggiore, p. 42)
  • L'uomo incatenato del nostro secolo è un Prometeo condannato dalla propria impossibilità di comprendere, incatenato, intendo, ad una montagna con la quale, in quanto massa, si confonde. O meglio, condannato da chi lo vuole massa e montagna, contro la sua desiosa volontà di separasene. (da Per una conoscenza letteraria di alcuni dati scientifici, p. 58)
  • I grandi scrittori dello spazio di Vienna, fra i quali si devono citare Rilke, Kafka, Musil e Broch, e anche il triestino Italo Svevo, amico e ammiratore di Joyce, hanno vaticinato con le loro opere la sorda rovina dell'impero e hanno convertito il dolore e la morte, la vecchiaia e la sofferenza, in autentiche tecniche di conoscenza. In questo senso, anche Thomas Mann appartiene a questa atmosfera spirituale. Uno spazio tragico si stava formando e questo era suscettibile, secondo l'interpretazione che Max Scheler dà ai vocaboli «tragico» e «tragedia» di rappresentare la sfera dei «valori». Scheler scrive: «In uno spazio, in cui non c'è posto per i valori — come quello che sta attualmente costruendo la fisica meccanicistica — non esiste la tragedia. Soltanto dove esistono il superiore e l'inferiore, il nobile e il volgare, possono esistere anche cose capaci di assumere le apparenze di avvenimenti tragici». E più avanti: «Forse è necessario che un valore sia distrutto perché il tragico possa manifestarsi». (da James Joyce e il senso dell'autorità, pp. 91-92)
  • Diceva Kraus (citato da Allan Janik e Stephen Toulmin, nel loro libro La Vienna di Wittgenstein) che il suo merito era stato forse quello di avere dimostrato la differenza che c'è tra un'urna e un orinale, atto essenzialmente culturale, fuori del quale la gente sottomessa alla confusione tra l'una e l'altro, si divide in quelli che utilizzano l'urna come un orinale e l'orinale come un'urna. (da La sfera dei fatti e quella dei valori, p. 208)

Diario di un contadino del Danubio

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  • [...] le [...] strade castigliane, ingombre di storia, profondamente scolpite nella pietra dai personaggi che le hanno percorse, dalle migliaia di soldati stranieri, di pellegrini, di geni, di poveri diavoli, d'avventurieri, di frati pidocchiosi o santi, di Don Giovanni e di Don Chisciotte, strade soleggiate anche sotto la neve di Gennaio, appassionate di esistere, di condurre chi sa dove, destinate come pulzelle regali alle strade più lontane, alle più fulgenti promesse. Strade dei due mondi... È possibile chiamarsi in maniera più esauriente e più sbalorditiva? I due mondi non essendo soltanto la Spagna e l'America, ma anche il mondo di quaggiù e l'altro, vere coesistenze dell'anima spagnola. (da Nota di diario di Sabato, 14 novembre 1964, p. 15)
  • [Il Castello della Muela] Il castello appariva in distanza, poi scompariva dietro una collina, per riapparire a una svolta, enorme e severo, minacciante come una forza viva e senza nome, sorpresa in una sua meditazione segreta. Sembra voglia crollare sul sentiero, voglia schiacciarvi con la sua massa oscura, non rudere ma fisionomia di qualcosa che non siamo più capaci di capire, fatta di effluvi umani, geologici ed animali, come una sintesi della vita, come un segno di cui si è perduta la cifra. (da Nota di diario di Sabato, 14 novembre 1964, p. 15)
  • Alla pari di Don Giovanni e per ragioni probabilmente non troppo diverse, è verosimile che Don Chisciotte rappresenti per me il coraggio inutile, apparentemente, il bel gesto gratuito, che sfuggendo ai cinque sensi diviene mito, e lungi dal suo passaggio biologico, prende corpo nell'orizzonte degli archetipi, come tutto ciò che è grande. Don Chisciotte e Don Giovanni sono due impazienti, desiderosi di giungere il più rapidamente possibile alla loro forma ultima, al loro dramma, voglio dire alla loro perfezione. L'impazienza è il pericolo permanente. È di questo che io sono fatto. (da Nota di diario di Sabato, 14 novembre 1964, p. 17)
  • Più amiamo l'arte, più desideriamo segretamente di liberarci. Un'opera d'arte, infatti, sfugge agli sbirri e alla mannaia, permettendoci di vivere, amandola, in perfetta condizione di parità col nostro io. (da Nota di diario di Domenica, 29 novembre 1964, p. 31)
  • Vi sono mani terribilmente eloquenti, mani mute, mani neutre, mani repulsive. Parlano come le linee della vita nel palmo; raccontano l'avvenire in tutte le sue intimità, e i loro movimenti nella mano dell'altro sono chiari quanto una scrittura. La mano nella sua espressività può essere più esatta dello sguardo, troppo spesso addestrato alla menzogna, sottoposto alla truccatura quotidiana del nostro viso. (da Nota di diario di mercoledì, 23 dicembre 1964, p. 46)
  • Non si può conoscere in massa e nemmeno su questo piano stabilire contatti con Dio. Le masse possono credere soltanto in ciò che somiglia ad esse, vale a dire nelle finzioni e nei carnefici. (da Nota di diario di Venerdì, 8 gennaio 1965, p. 55)
  • [...] Mozart, attraverso il quale capivo a poco a poco il fascino tragico di Vienna, fatto di musica, come la Francia è fatta di parole; un fascino ingannatore, sulle prime, poiché il rococò dei palazzi, esattamente come il serico patos di Mozart, sembra creato in una specie di gioia adolescente, quando in realtà è una maschera di velluto per nascondere un viso moribondo, quello dell'ultima conoscenza di una civiltà imperiale affaticata, cosciente già della sua inutile e gloriosa follia. Qualcosa come Venezia nel XVII secolo, che tradusse la sua decadenza in pittura. La musica austriaca, da Mozart a Richard Strauss, non è che l'espressione di questa ultima presa di coscienza. (da Nota di diario di Domenica, 17 gennaio 1965, p. 62)
  • Violenza e fragilità costituiscono per l'uomo tradizionale una specie di ritornello fatalmente legato alle apparizioni totalitarie della storia. Collocato in uno spazio originario che il filosofo romeno Lucian Blaga chiamava «matrice stilistica» dove ha creato il suo genere di vita, ma anche il suo stile religioso e artistico, il contadino è forzatamente nemico della storia, destinata ad avere una fine di cui il cristianesimo gli ha confermato la necessità e la venuta. (da Nota di diario di Lunedì 18 gennaio 1965, p. 65)
  • Sole e vento di inverno. Luce intensa che il vento trapassa, come una lancia il corpo di un fantasma, senza conseguenze. Il paesaggio è immobile, vasto e solenne, alleanza indistruttibile della pietra e degli alti luoghi del sole. Essenza della Castiglia. Il ricordo della regina Isabella la Cattolica posa come un suggello di autenticità su questi paraggi antichi, molto più vecchi della storia conosciuta. (da Nota di diario di domenica 7 marzo 1965, p. 108)
  • La storia come valore sicuro, ortodosso, piantata su basi incrollabili. Nulla di più falso. Ci si è sempre gettati nella improvvisazione, con la bocca piena d'acqua, come cattivi nuotatori lontano dalla riva. (da Nota di diario di giovedì 17 gennaio 1965, p. 175)
  • Nessun poeta monumentato a Londra. Grossi monumenti alla memoria di un militare che, già, non evoca più nulla, non vuole dire nulla. Non ho veduto nessun monumento a Shakespeare che sarà probabilmente il solo difensore durevole della storia inglese. (Vi sono molte statue di generali a Madrid, ma la statua più importante, collocata in mezzo alla Piazza di Spagna, è quella di Cervantes e dei suoi personaggi. Mi sembra più giusto e più obiettivo, Sancio Pancia essendo più reale del generale Espartero. (da Nota di diario di giovedì 17 gennaio 1965, p. 176)
  • Ammiro i vagabondi. Sono loro forse gli ultimi eroi laici del nostro tempo, antitesi vivente e satirica degli anticonformismi intellettuali, avidi di premi letterari, di lodi, di comodità e di schiavitù. (da Nota di diario di sabato, 31 luglio 1965, p. 199)
  • V'è una prospettiva della menzogna che fa vivere i suoi fedeli, come l'ombra fa spuntare i funghi e gl'incubi. (da Nota di diario di Mercoledì 11 agosto 1965, p. 214)
  • [...] i Romeni, col loro combattimento permanente agli estremi di una situazione-limite biologica e spirituale, resero possibile l'arte gotica, Il Rinascimento, il tomismo e tutto quanto in Occidente è costruito sulla roccia, tutta la continuità e la calma intra muros. Extra muros vi fu una zona incerta situata fra la cattedrale e il deserto dei tartari; qui, nel suo seno nacque la filosofia del contadino del Danubio [...]. (da Nota di diario di giovedì 12 agosto 1965, p. 215)
  • [Nouveau roman] Bisogna essere fanatici per volere imporre ai romanzieri il metodo del voyeur! Isolare un solo senso, il più superficiale e trasformarlo in cannocchiale, eliminare l'udito, il tatto, l'odorato, fare del soggetto, o del personaggio, un essere senza memoria, senza passato, privo di immaginazione, è come tagliarsi quattro dita per prendere meglio le cose col pollice. (da Nota di diario di Domenica 15 agosto 1965, p. 219)
  • Quello che era atto naturale e sforzo personale, dal lavoro sino all'amore, diviene rappresentazione, interpolazione. Si cominciò col cinematografo, droga minore, trasformato in continuità totalitaria e domestica, in tiranno del focolare con la TV. Ci si diverte per interposta persona e si finisce con l'adorare non la donna che si ha in carne e ossa, ma quella che si vede sullo schermo, l'idolo insaziabile che accaparra i nostri sensi attraverso l'immaginazione guidata. Lo sport, fatto dagli altri, rappresenta il medesimo processo di trasferimento, così l'esempio del possente gangster che ci vendica delle nostre viltà quotidiane. V'è qualcosa di più idiota dell'andare a guardare una donna svestirsi sulla scena a venti metri di distanza? Vi dispensa dal conquistarne una e di tutte le complicazioni che ne seguono... L'uomo spettatore. Il voyeur. Universo invalido. Anche la messa radiodiffusa. Dio invisibile servito a ora fissa, in capo a un filo, per così dire. Un giorno, scompariremo dietro uno schermo. (da Nota di diario di Domenica, 31 ottobre 1965, p. 283)
  • L'essai sur l'avenir poétique de Dieu, di Manuel Diéguez demolisce le impalcature della critica occidentale e orientale a un tempo e riporta la letteratura sul suo zoccolo, che domina tutti gli altri. «... qualsiasi ragione e qualsiasi poesia sacra», scrive Diéguez, «porteranno a una frattura con l'organizzazione della storia; infatti in essa si è rifugiato, dopo aver disertato le antiche cosmogonie, il nostro furore di organizzare il tempo attraverso una falsa poesia.» E in nota, a piè di una pagina di grande densità di pensiero, queste altre righe che completano in qualche modo la risorgente fisionomia del contadino del Danubio: «Ora, la politica, in quanto escatologia, è una poetica finalista, una cosmogonia razionalizzante che inevitabilmente sfocia nel nichilismo.» (da Nota di diario di Lunedì 1 novembre 1965, pp. 287-288)
  • Noi abitiamo un tempo di profondità, zenit e nadir, il tempo dell'anima messa di nuovo in croce nel senso che meglio le si addice ed è questa la felicità, voglio dire la gioia di conoscere la verità, una sofferenza sottile che rasenta la coscienza dell'eternità. (da Nota di diario di Lunedì 1 novembre 1965, p. 288)
  • I Daci che si stendevano dal Dniester sino alla Boemia appaiono a poco a poco come gli antenati dell'Occidente e come i precursori europei del Dio unico. Furono romanizzati e cristianizzati senza resistenza, perché erano i generatori dei loro conquistatori. Noi siamo là da sempre. È la nobiltà del contadino del Danubio, colui che diede Pan ai greci, il Dio di cui una voce annunciò la morte nel momento in cui Gesù spirava sulla croce e nasceva nelle anime nostre. [...] Quando la storia dei Daci sarà conosciuta bene come quella di Atene o di Roma, l'Occidente troverà in essa un nuovo fondamento, il più antico e il più vicino, quello che giustificherà la sua evoluzione verso un futuro instancabilmente attuale. E che non farà paura a nessuno. (da Nota di diario di Lunedì 1 novembre 1965, p. 290)

Dio è nato in esilio

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  • Si vive seguendo una strada in salita, si arriva a un punto culminante e si comincia a discendere, traversando a ritroso tutti i misteri che si erano traversati nel salire. La morte, così, non è che un ritorno; o come dice Pitagora, il cammino verso un'altra nascita. (da Anno primo, p. 26)
  • Ogni uomo che invecchia, deve avere di queste orribili visioni che lo staccano dalla illusione quotidiana e gli fanno vedere la inutilità di tutto quello che ha fatto, di tutto quello che egli è stato, ma l'immenso ingranaggio della menzogna quotidiana, la famiglia, la ricchezza, la casa, gli amici, il paesaggio nativo, sono là per riprenderlo, per riportarlo all'inizio di una nuova illusione. Siamo fatti così di piccole eternità che ci guidano alla morte, tra le orribili radure di quei momenti sinceri che finirebbero per ucciderci più presto se si avesse il coraggio di prolungarli. (da Anno secondo, p. 35)
  • La parola di pace! La cercheremo ancora per molto tempo. Non la si inventa. Gli uomini la troveranno, un giorno, come uno strano fiore sul ciglio della strada. Ma il tempo non è maturo, per questa gioia. Migliaia di poeti nasceranno e moriranno sulla terra, glorificati nelle loro lingue inintellegibili l'una per l'altra. E anche se si trovasse oggi, questa parola di pace, ci vorrebbero secoli perché divenisse un bene comune a tutti gli uomini, che fosse per tutti intellegibile. Non è facile coglierne il senso, soprattutto quando le armi che portiamo fanno riecheggiare il loro acuto appello in fondo al nostro cuore. Spiegare il vero senso di questa parola non è il compito del poeta? (da Anno secondo, p. 53)
  • La terra e il mare e forse anche il cielo, nascondono molti segreti. Del resto anche l'uomo. Come quelle acque senza fondo, dove le nostre reti non arrivano, noi serbiamo in noi stessi segreti splendidi e terribili. (da Anno terzo, p. 64)
  • È possibile che un dio muoia? Un dio fra tanti altri, perché non si ritrarrebbe davanti alla stanca adorazione degli uomini? Gli dèi muoiono coi loro ultimi fedeli. Nuovi dèi nascono probabilmente fra noi, senza che noi ce ne accorgiamo. Essi non attendono che un nome per farsi adorare. (da Anno quarto, p. 84)
  • Faccio parte dei vincitori vinti. Augusto mi ha esiliato per farmi soffrire e ho sofferto. Ma adesso so che Roma, quella Roma che al principio della mia sofferenza era la meta di tutti i miei pensieri, non si trova al crocevia di tutte le vie terrene, ma in altra parte, a capo di un'altra via. E so che Dio è nato, anche Lui, in esilio. (da Anno sesto, p. 162)

Citazioni su Dio è nato in esilio

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  • Questo libro scritto come una relazione in prima persona di un personaggio storico appartenente ai tempi antichi, è soprattutto, un libro simbolico. Non è difficile trasportarlo al tempo presente. Il mondo aspetta sempre il momento in cui possa riconoscere il suo salvatore. Il mondo è sempre dominato da alcuni «Augusti» e dai loro eserciti di conquista, di delazione e di bassa polizia. Il mondo è popolato da gente per la quale la felicità è rappresentata dall'amore venale, dall'epicureismo che consiste nel godere il tempo che passa. Il mondo è popolato da giusti ignorati, da coloro che disprezzano i potenti, come da quei Geti dagli occhi azzurri, come da questi sconosciuti che praticano l'ospitalità e per i quali la morte è una seconda nascita. Dio nasce sempre in esilio, nell'esilio di noi stessi ed anche nell'esilio che noi gli conserviamo. (Franz Weyergans)

Quaderno italiano

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  • [...] il raccontare è antico come il poetare. L'origine del romanzo non sta nella poesia, ma nell'incontro fra il linguaggio e il destino dell'uomo. (da Avvaloramento filosofico del romanzo, p. 34)
  • [...] il mondo di Proust è, di per se stesso, una memoria. Una memoria che rifiuta la dispersione disordinata del vissuto, ricostruendo un universo corretto, in franca rivolta dinanzi all'universo difettoso e reale e segnando quanto è carattere perenne di ogni creazione artistica; la ribellione di fronte a questa realtà è la sua sostituzione con altra realtà basata sulla logica della vita interiore. (da Avvaloramento filosofico del romanzo, p. 40)
  • Qualcuno ha detto che i politici non hanno lacrime. È questa una delle verità più terribili ch'io abbia mai udito, perché la mancanza delle lacrime pone chi ne è affetto oltre l'umanità. Neanche una tigre piange. (da Uno scrittore nel suo tempo, pp. 66-67)
  • Un romanzo non è uno specchio posto sopra una strada, ma sopra gli uomini che si trovano in quella strada. (da Uno scrittore nel suo tempo [2], p. 68)
  • [...] fu Roma, infine, che mi fece capire la grandezza di un passato al quale il mio stesso popolo apparteneva, consolandomi di tante delusioni, di tante, fino ad allora, incomprensibili umiliazioni storiche. Roma, e tutta l'Italia con essa, mi rivelava la storia come piacere di esistere, di vincere e di sopravvivere, lasciandomi scoprire la possibilità di una specie di eternità fatta di destini umani, visibili nelle mura stesse della città. (da Uno scrittore nel suo tempo, p. 82)
  • Chi non conosce Vienna che di passaggio la può prendere facilmente per una città morta, chi l'ama invece, non si lascia ingannare dal suo stile. Perché una città dello spirito, anche quando non esiste più, non smette mai di vivere. (da Poeti di Vienna, p. 92)
  • Lo spazio può essere, col nostro aiuto, un tempo concentrato e brulicante (Che cosa è la pagina di un libro se non un tempo concentrato, un immenso spazio ridotto a una visione?) (da Lezione di solitudine[3], p. 101)
  • Il più bel posto del mondo non è forse, che la realizzazione di un'attesa. (da Il più bel posto del mondo[4], p. 120)

Viaggio ai centri della Terra

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Las Meninas
Diego Velázquez (1656)
  • Essere un'isola, un segreto, rivelato a poco a poco attraverso un'opera letteraria. L'immagine mi sembra meravigliosa, misteriosa e chiarissima al tempo stesso, come tutta la mitologia. (da Con Gabriel Marcel, la filosofia e la vita, p. 23)
  • Dante riesce ad attuare una epoché nel momento in cui riesce a chiudere il mondo tra le parentesi dell'Inferno (simile all'Ulysses di Joyce, nel senso di una «discesa» allo scopo di conoscere), per elevarsi poi al «profilo» ultimo e autentico della conoscenza essenziale, che è il suo Paradiso. Questo atto conoscitivo, questo salto, illustrato da alcune opere guida (un cammino simile potremmo ritrovare in Las Meninas del Velásquez, con quella finestra aperta sul fondo del quadro, che indica nel cammino verso un mondo invisibile, ma facile da ritrovare dopo la riduzione, o parentesi, che il pittore attua nel primo e nel secondo piano del suo quadro), questo salto, dico, rappresenta nello stesso tempo il dovere di ogni scienza. (da Sulle orme di Husserl, p. 39)
  • Qui termina Roma e incomincia il fantastico Sud, soleggiato, lento, letargico, dongiovannesco allo stesso tempo, sanguinario, sottile, greco-ispanico, arabo-cartaginese la Magna Grecia, i Borboni, il Vesuvio, Capri, antiche orge, schiavi, amore violento, ingiustizia, povertà e ricchezza smisurate, clima dolce come per installare qui paradisi terrestri che mai furono possibili, da Augusto fino alla Democrazia Cristiana. (da Montecassino, come introduzione all'Occidente, pp. 99-100)
  • Qui visse, pregò e lavorò uno dei santi [Benedetto da Norcia] più mistici e più efficaci, sulle cui spalle si sollevò la civiltà greca, latina, medievale. Tutto quel che compone il volto della modernità occidentale. Un solo uomo, aiutato poi da alcuni fedeli discepoli, seguito più tardi dal «poverello»[5] dell'Umbria, salvò il mondo in tutti i sensi, terreni e mistici, che questa parola racchiude. Qui, tra questi monti e tra questi aranci, quel che poteva essere caduto per sempre fu risollevato, e l'inumano fu reso in misura umana. (da Montecassino, come introduzione all'Occidente, p. 100)
  • Mi sembra suggestivo e istruttivo pensare che un papa di origine francese, Silvestro II, abbia inventato intorno all'anno 1000 il primo orologio meccanico, i cui colpi metallici risuonarono poi per secoli, e continuano a risuonare, sui tetti delle città d'Occidente, e che l'opera culminante della filosofia occidentale si intitoli Sein und Zeit, ossia Essere e Tempo. Il problema del tempo e della Storia costituisce la nostra preoccupazione per quel che ci accade e non si dimentica (eterno presente descritto, su scala individuale, da Marcel Proust nella sua Recherche), la nostra passione di dare al tempo universale un senso occidentale. L'opera di Heidegger viene a definire ed a concludere il ciclo storico della fase occidentale nella evoluzione della specie umana, fase che inizia, secondo Oswald Spengler per lo meno, con gli orologi meccanici di Papa Silvestro e con lo stile romanico. (da Con Jacques Soustelle, sull'origine e sulla fine della civiltà, p. 187)
  • [Sul Principio di Indeterminazione di Heisenberg] Principio rivoluzionario, applicabile unicamente a quest'immenso ed enigmatico universo microfisico situato fuori della logica aristotelica, ossia fuori dalle leggi di causalità, della non contraddizione e dell'identità. Mentre se conosciamo la velocità di un pianeta, conosceremo sempre il luogo dove si troverà tra uno o dieci anni, questa precisione o questa certezza mancano quando si tratta di un universo piccolo, quello della microfisica, dove vigono altre leggi, una delle quali, la fondamentale, è quella scoperta e formulata da Heisenberg, la cui importanza è enorme, perché l'essere umano, in quanto persona, appartiene anche a questo mondo. Il nostro psichismo fa parte anche della microfisica. La differenza è significativa, perché, mentre l'uomo come massa può essere classificato e compreso statisticamente, come i pianeti o gli elefanti [...], l'uomo in quanto individuo non è classificato. (da Con Werner Heisenberg sulla parte e il tutto, pp. 252-253)
  • [...] Il futuro, dunque, come realtà presente, è oggi oggetto di studio. Soprattutto in questo Paese orientato verso ciò che bisogna fare e non verso ciò che si fece una volta. Ecco, forse, la differenza di sfumatura, l'intenzionalità husserliana che separa noi Europei, inclini verso il passato dagli Americani. Credo, inoltre, che l'unico popolo al mondo nel quale l'avvenire vive come realtà presente, l'unica entità o società capace di sopportare una simile duplice sollecitazione – quella della vita di tutti i giorni, organica e conservatrice nella sua essenza, e la vita di domani, coscientemente rivoluzionaria, in continua trasformazione e che esige uno sforzo permanente di immaginazione e uno spostamento dal mondo fisico a quello metafisico – sia l'americano. (da Con Anthony Wiener verso l'anno 2000, pp. 292-293)
  • Napoli senza sole, senza mare azzurro, senza Vesuvio. Pioggerella monotona, mimose in fiore, in lotta con la tristezza del tempo; ma emanano luce propria e profumi più forti di quelli dei gas delle auto che attraversano la città come interminabili cortei funebri, accompagnati dall'immenso fantasma della benzina bruciata. Un auto da fe urbano, uguale in tutte le città del mondo, conquistate dalla tecnica, questa vittoria planetaria della metafisica occidentale, come dice Heidegger. (da Con il professor Aldo Masturzo, sulla medicina cibernetica, p. 338)
  • [Napoli] [...] questa città dei miracoli, [...] questo centro di sentimentalismo e di abile sforzo quotidiano tra il bene ed il male [...]. (da Con il professor Aldo Masturzo, sulla medicina cibernetica, p. 341)
  • Come l'uomo dell'èra platonica, i nostri contemporanei hanno iniziato a costituirsi in quanto entità complete, curiose di conoscere il mondo nella sua integrità e di servirsi, a tal fine, di macchine cibernetiche, non per imitarle e per perdere il senso dell'umano, ma al contrario, per guadagnare in altezza e profondità. (da Con il professor Aldo Masturzo, sulla medicina cibernetica, p. 351)

Note

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  1. Da Una lettera di Montherlant, Il Tempo, anno XXIX, n. 264, 15 ottobre 1972.
  2. Conferenza tenuta all'università di Pisa il 22 maggio 1961. Cfr. Quaderno italiano, p. 63.
  3. Scritto in italiano da Vintila Horia.
  4. Scritto in italiano da Vintila Horia.
  5. In italiano nel testo. Cfr. nota a p. 100 di Viaggio ai centri della Terra.

Bibliografia

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  • Vintilă Horia, Considerazioni su un mondo peggiore, traduzione dall'originale spagnolo «Consideraciones sobre un mundo peor» di Claudio Quarantotto, Ciarrapico Editore, 1982. ISBN 8875181608
  • Vintilă Horia, Diario di un contadino del Danubio, traduzione dal francese di Orsola Nemi, Edizioni del Borghese, 1967.
  • Vintilǎ Horia, Dio è nato in esilio. Diario di Ovidio a Tomi, traduzione di Orsola Nemi, Betelgeuse, 2008. ISBN 9788863490114
  • Vintilă Horia, Quaderno italiano, a cura di Vittorio Vettori, Casa Editrice Giardini, Pisa, 1962.
  • Vintilă Horia, Viaggio ai centri della Terra. Inchiesta sullo stato attuale del pensiero, delle arti e delle scienze, a cura di Gianfranco de Turris, traduzione di Luciano Arcella, Edizioni Mediterranee, 1975.

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