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Tito Maccio Plauto

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Plauto

Tito Maccio Plauto (255 a.C. – 184 a.C.), commediografo romano.

Citazioni di Tito Maccio Plauto

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  • Al saggio basta una parola sola. (da Persa, IV, 7, 729)
Dictum sapienti sat est.
  • Chi vuol mangiare la noce ne deve rompere il guscio. (da Curculio, v. 55)
Qui e nuce nuculeum esse volt, frangit nucem.
  • È cosa sciocca, padre, andare a caccia con cani svogliati. (da Stichus, v. 139)
Stultitiast, pater, venatum ducere invitas canes.
  • È umano amare, ed è ancor più umano il perdonare. (da Mercator, a. II, sc. 2, v. 48)
Humanum amare est, humanum autem ignoscere est.
  • Il nome è un presagio. (da Persa, 625)
Nomen omen.
  • In una cosa cattiva se t'adopri con animo buono, riuscirai.[1]
  • L'amico nei casi incerti soccorre con l'azione, quando è richiesta l'azione. (da Epidicus, I, II, 113; 1975)
  • L'amore è fecondo di molto miele e di molto fiele. (da Cistellaria, v. 69)
Amor et melle et felle est fecundissimus.
  • Malamente opera
    chi dimentica ciò che ha imparato. (da Amphitruo, vv. 687-688)
Haud aequom facit
qui quod didicit id dediscit.
  • Non c'è maggior conforto di un amico sagace. (da Epidicus, III, III, 425; 1975)
  • Non c'è ospite tanto gradito che non diventi scomodo dopo tre giorni. (da Miles gloriosus, 741-742)
Nam hospes nullus tam in amici hospitium devorti potest | quin, ubi triduom continuom fuerit, iam odiosus siet.
  • Pensa a quanto è saggio un topolino:
    non affida mai la sua vita a un solo buco. (da Truculentus, vv. 868-869)
Cogitato, mus pusillus quam sit sapiens bestia:
aetatem qui non cubili <uni> umquam committit suam.
  • Sì, per Alatri. (da Captivi, IV, 2)
Nai ton Alatrion.

Amphitruo

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  • Chi non ha colpa non deve aver paura e può parlare con franchezza e a testa alta. (Atto II; 2011, pos. 2802)
  • Nella vita di un uomo capitano molti casi di questo genere. Ci toccano piaceri e poi ci toccano sventure: sopraggiungono i litigi, poi si torna a farci buon viso. Ma se una volta fra due individui scoppia un litigio di questa cosa fatta, se si fa la pace, si torna ad essere amici il doppio di prima. (Atto III; 2011, pos. 2872)

Aulularia

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Non fate meraviglie:
in due parole vi dirò chi sono.
Sono il Lare domestico di quella
casa, da cui m'avete visto uscire.
Già da molt'anni l'abito e la guardo
per l'avo e per il padre
di quello che ora la possiede. Il nonno
in gran segreto e con grandi preghiere
un bel gruzzolo d'oro m'affidò
seppellendolo in mezzo al focolare
e pregando che ben lo custodissi.

Citazioni

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  • [2] Euclione: E già adesso che mi sforzo di nascondere a tutti il mio segreto sembra che tutti lo conoscano, e tutti mi salutano più cortesemente di quanto non mi salutassero prima. (vv. 113-115; 1998)
  • [3] Euclione: Ora affrettiamoci verso casa; ché, se io sono qui, il mio pensiero è a casa. (v. 181; 1998)
  • In una mano porta una pietra, mentre nell'altra mostra il pane. (v. 195)
Altera manu fert lapidem, panem ostentat altera.
  • [4] Euclione: Sono perduto! Sono morto! Sono assassinato! Dove correre? Dove non correre? Fermalo, fermalo! Fermare chi? Chi lo fermerà? Non so, non vedo nulla, cammino alla cieca. Dove vado? dove sono? chi sono? Non riesco a stabilirlo con esattezza. [Al pubblico] Vi scongiuro, vi prego, vi supplico, aiutatemi voi: indicatemi l'uomo che me l'ha rubata. [A uno spettatore] Che ne dici tu? Voglio crederti: lo capisco dalla faccia, che sei una brava persona... Che c'è? perché ridete? Vi conosco tutti: so che qua ci sono parecchi ladri, che si nascondono sotto una toga imbiancata a gesso, e se ne stanno seduti, come fossero galantuomini... Eh? Non ce l'ha nessuno di costoro? Mi hai ucciso! Dimmi dunque, chi l'ha? Non lo sai? Ah, povero, povero me! Sono morto! Sono completamente rovinato, sono conciato malissimo: troppe lacrime, troppe sventure, troppo dolore mi ha portato questo giorno; e fame, e miseria!... Sono il più sventurato tra gli esseri della terra. Che bisogno ho di vivere, ora che ho perduto tutto quell'oro che avevo custodito con tanta cura! Mi sono imposto sacrifici, privazioni; ed ora altri godono della mia sventura e della mia rovina. Non ho la forza di sopportarlo.
    [5] Liconide: [A parte, uscendo dalla casa di Megadoro] Chi sta lamentandosi? Chi piange e geme davanti a casa nostra? Ma è Euclione, mi pare. Sono completamente perduto; s'è scoperto tutto. Senza dubbio sa già che sua figlia ha partorito. Ora non so che fare. Devo andarmene o rimanere? affrontarlo o evitarlo? Per Polluce! Non so più che fare.
    Euclione: Chi sta parlando là?
    Liconide: Sono io, un infelice.
    Euclione: Infelice sono io, e sventurato! io che sono stato colpito da sì grande disgrazia, da sì grande dolore!
    Liconide: Fatti coraggio.
    Euclione: Farmi coraggio? Come potrei, di grazia?
    Liconide: Il misfatto che t'angustia il cuore, sono stato io a compierlo: lo confesso.
    Euclione: Cosa mi tocca sentire?
    Liconide: La verità.
    Euclione: Che male t'ho dunque fatto, o giovine, perché tu agissi così e rovinassi me e i miei figli?
    Liconide: È un dio che mi ci ha indotto e mi ha attratto verso di lei.
    Euclione: Come?
    Liconide: Confesso d'aver commesso un torto; so di essere colpevole. E così vengo a pregarti di essere indulgente, di perdonarmi.
    Euclione: Come hai osato fare una cosa simile: toccare ciò che non era tuo?
    Liconide: Che vuoi farci? Ormai è fatta; non si può disfare. È stato il volere degli dèi, senza dubbio: certo, senza la loro volontà, non sarebbe accaduto.
    Euclione: E allora credo che gli dèi abbiano anche voluto che io ti facessi crepare in catene, in casa mia.
    Liconide: Non dir questo!
    Euclione: Perché dunque hai toccato, contro il mio volere, una cosa mia?
    Liconide: È stata colpa del vino e dell'amore.
    Euclione: Sfrontatissimo essere! Aver osato presentarti a me con un simile discorso! Impudente! Se esiste un diritto che ti permette di scusare una simile azione, non ci resta che andare a rubare pubblicamente gioielli alle matrone, in pieno giorno; e se poi dovessimo essere arrestati, ci scuseremmo dicendo che l'abbiamo fatto in istato d'ebbrezza, per amore! Varrebbero troppo poco, il vino e l'amore, se l'ubriaco e l'innamorato avessero il diritto di soddisfare impunemente i loro capricci.
    Liconide: Ma io vengo di mia spontanea volontà a supplicarti di perdonare la mia follia.
    Euclione: Non mi piacciono gli individui che si scusano dopo aver fatto del male. Tu sapevi che essa non era tua; non avresti dovuto toccarla.
    Liconide: Dal momento che ho osato toccarla, non voglio cercare pretesti, ma tenerla nel migliore dei modi.
    Euclione: Tu vorresti tenere, contro il mio volere, una cosa mia?
    Liconide: Non pretendo d'averla contro il tuo volere; ma penso ch'essa mi spetti. Converrai subito tu stesso, Euclione, ch'essa deve spettare a me.
    Euclione: E io – per Ercole! – ti trascinerò subito dal pretore e t'intenterò un processo, se non restituisci...
    Liconide: Cosa dovrei restituirti?
    Euclione: Ciò che mi hai rubato.
    Liconide: Io? rubato? dove? Cosa significa?
    Euclione: [ironicamente] Che Giove ti protegga, com'è vero che tu non sai niente!
    Liconide: A meno che tu non dica cosa stai cercando... (vv. 713-762; 1998)
  • Il fatto è quello, e non si può fare che non sia fatto.
Factum est illud; fieri infectum non potest. (10, 11)
Trium literarum homo.

Asinaria

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  • Conviene che l'adolescente sia verecondo. (V, 1, 6)
Decet verecundum esse adulescentem.
  • L'amante è come il pesce: pessimo se non è fresco. (178)
Quasi piscis, itidemst amator lenae: nequam est, nisi recens.
  • Ogni uomo è un lupo nei confronti di un altro uomo. (495)
Lupus est homo homini.
  • Con chi ti fa del bene ti comporti male, con chi ti fa del male ti comporti bene; e allora tutto a danno tuo! (Atto I; 2011, pos. 4213)
  • Chi assaggia strenuamente la sfortuna poi azzanna proprio lui la fortuna. (Atto II; 2011, pos. 4370)
  • Se vuoi regalare qualcosa, non hai che da prestarla ad un amico. (Atto II; 2011, pos. 4494)
  • Quando un uomo non lo si conosce, non lo si considera un uomo, ma un lupo per l'uomo che gli sta di fronte.

Bacchides

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  • [6] Filosseno: Lido, i costumi ora sono cambiati.
    Lido: Lo so bene: perché allora uno aspettava di venir eletto a una carica prima di cessare di obbedire al suo maestro. Ora, invece, prima ancora che abbia sette anni, se solo osi toccarlo con la mano, ti rompe la tavoletta in testa. E se vai a lamentarti dal padre, questo qui dice poi così al figlio: "Sei proprio degno di me per come ti sai difendere dalle offese". E il maestro viene richiamato: "Vecchio inutile, non azzardarti a toccare il ragazzo, quando si comporta con ardore". E il maestro se ne va zampillante di sangue come una lucerna con lo stoppino che cola. Proclamata la sentenza la corte si ritira. In queste condizioni un maestro come fa a esercitare la propria autorità, se è lui stesso per primo a prenderle? (vv. 437-449; 2007)
  • [7] Crisalo: Non mi piacciono questi Parmenoni e Siri che rubano ai padroni solo due o tre mine. Non c'è niente di peggio di un servo senza fantasia, senza un'intelligenza potente e versatile: ogniqualvolta ce ne sia bisogno, deve saper attingere alla sua intelligenza. (vv. 649-653; 1996)
  • Colui che gli dei amano, muore giovine. (IV, 4, 786-787; citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921)
Quem dî diligunt | Adulescens moritur.
  • [8] Crisalo: I due Atridi sono famosi per aver compiuto un'impresa grandiosa: conquistarono dopo dieci anni Pergamo, la patria di Priamo, difesa da mura divine, con armi, cavalli, un esercito di fortissimi combattenti, una flotta di mille navi. Roba veramente da nulla rispetto a quello che farò io per espugnare il mio padrone, senza flotta e senza tutto quel grande esercito. L'ho preso, sono riuscito a portargli via l'oro per il padroncino innamorato. Prima che ritorni, voglio intonare un lamento funebre. O Troia, patria, Pergamo, o vecchio Priamo, sei bello che morto: ti sto per scucire quattrocento filippi d'oro. Le tavolette sigillate che ti ho consegnato non sono mica delle tavolette, sono il cavallo di legno degli Achei. Pistoclero, da cui le ho prese, è Epeo, il costruttore, Mnesiloco è Sinone, quello che fu lasciato indietro, ma non sta presso la tomba di Achille, è a letto con Bacchide. Quello vero un tempo accese del fuoco per dare il segnale, questo qua invece... è proprio lui a bruciare. E io sono Ulisse, grazie alla cui astuzia sta avvenendo tutto questo. Tutte le cose scritte qui, nelle tavolette, sono i soldati all'interno del cavallo, ben armati e pien di coraggio. Fino a questo momento tutto è andato per il verso giusto. Il cavallo ora dovrà attaccare non una rocca, ma un forziere: per l'oro del vecchio sarà rovina, strage, terribile lusinga. Al nostro sciocco vecchio posso dare sicuramente il nome di Ilio; al soldato è Menelao, io sono Agamennone e anche Ulisse figlio di Laerte, Mnesiloco è Paride che manda in rovina la sua patria. Ha rapito Elena, per questo sto assediando Ilio. Ho sentito che anche lì Ulisse fu coraggioso e perfido, proprio come me. Io sono stato beccato nel mezzo dei miei inganni, lui rischiò quasi di morire mentre spiava le mosse dei Troiani travestito da mendicante. Oggi a me è successo qualcosa di simile. Mi hanno incatenato, ma me la sono cavata con l'inganno: anche lui si salvò con i suoi inganni. Ho sentito che tre furono i segni del fato che preannunciavano la rovina di Troia: se fosse stata portata via la statua dalla rocca, poi la morte di Troilo, terzo, quando si fosse spaccato lo stipite superiore delle porte frigie. E tre sono anche i segnali del fato per la nostra Ilio. Primo: quando ho raccontato al vecchio la storia dell'ospite, dell'oro e della barca: in questo modo ho portato via dalla rocca la statua. Poi me ne rimanevano ancora due per prendere la roccaforte. Quando ho consegnato le tavolette al vecchio: lì ho ucciso Troilo: lui pensava che Mnesiloco fosse a letto con la moglie del soldato. Qui mi sono salvato per un pelo. Ma è come il pericolo che corse Ulisse quando, raccontano, fui riconosciuto da Elena e consegnato a Ecuba; ma, come allora Ulisse riuscì a liberarsi grazie alle sue lusinghe, convincendo Ecuba a lasciarlo andare, così io con la mia astuzia sono scampato al pericolo e ho messo nel sacco il vecchio. Poi mi son dovuto scontrare con il grande soldato che conquista le città senza armi, solo con le sue ciance, e ho sistemato anche lui. Poi altra battaglia con il vecchio. M'è bastato un solo inganno per sbaragliarlo e ho preso il bottino in un colpo solo. Ora consegerà al soldato i duecento filippi che ha promesso. Però ne servono altri duecento da spendere dopo la presa di Troia, che ci sia del vino per il trionfo dei vincitori. Questo Priamo è molto meglio dell'altro: non c'ha mica cinquanta figli, ne ha quattrocento e tutti di prima scelta, senza un solo difetto. Li farò a pezzi in due soli colpi. Se c'è qualcuno che lo compra, il nostro Priamo, io lo metto pure in vendita: penso che questo vecchio sia veramente roba da vendere, da mettere all'asta, dopo che avrò espugnato la roccaforte. Ma eccolo là il nostro Priamo, davanti alla porta. Gli vado a parlare. (vv. 925-978; 2007)
  • A parer mio niente è più odioso di un ingrato. È meglio lasciar in libertà un malfattore che lasciare nel dimenticatoio un benefattore. (Atto III; 2011, pos. 8458)

Mostellaria

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Grumione, servo di campagna (battendo alla porta della cucina) — Vieni fuori, avanzo di galera! Lascia le tue padelle ed esci di lì, dove non fai che ingrassarti a spese del padrone!
Tranione, servo di città (apre) — E smettila di fare tutto questo chiasso! Ti credi in campagna?
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni

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  • La donna manda buon profumo quando non ne manda nessuno. (I, 3)
Mulier recte olet ubi nihil olet.
  • Càpita più spesso ciò che non speriamo di ciò che speriamo. (I, III, 197; 1975)
  • Vattene a farti impiccare. (III, 2, 850)
Abi hinc in malam crucem!

Poenulus

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  • In ogni cosa la sua misura, questa è un'ottima abitudine. (I, 2, 29)
Modus omnibus in rebus... optumum'st habitu.
  • Insegni a uno che già sa. (v. 880.b)
Doctum doces.
  • La merce buona trova facilmente un compratore. (v. 342)
Proba merx facile emptorem reperit.
  • Non è facile volare senza ali. (v. 871)
Sine pennis volare hau facilest.

Pseudolus

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  • [9] Pseudolo: Per Giove, come mi riesce bene e felicemente, qualunque cosa io faccia! Nella mia mente sta riposto un piano che non lascia adito né a dubbi né a timori. Perché è stoltezza affidare una grande impresa a un animo timoroso, dato che ogni iniziativa ti riesce a seconda di come tu ti ci impegni, di quanta importanza le dài. Io ho preparato in anticipo nella mia mente le schiere, in duplice, in triplice fila, gli inganni, le perfidie, cosicché, dovunque mi scontrerò con i nemici – lo dirò fidando nel valore dei miei antenati, nella mia abilità e nella malizia delle mie frodi – io possa vincere facilmente, io possa spogliare facilmente i miei nemici con le mie perfidie. Adesso questo nemico comune mio e di tutti voi, Ballione, io lo sbalestrerò bellamente. Voi fate solo attenzione. Io voglio assediare questa fortezza [indica la casa di Ballione], perché oggi sia conquistata, e qui condurrò le mie legioni; se la espugno – facile io renderò questa impresa per i miei concittadini – subito dopo muoverò prontamente il mio esercito contro questa antica fortezza [indica la casa di Simone]. Quindi caricherò e riempirò di bottino me stesso e insieme tutti i miei compagni, perché si sappia che sono nato per il terrore e la disfatta dei miei nemici. Da una tale stirpe io sono nato: a me si addice compiere grandi imprese, che mi diano lustro e rinomanza per lungo tempo in futuro. Ma chi è costui che vedo? Chi è costui che si presenta ai miei occhi, a me ignoto? Mi piacerebbe sapere che cosa vuole con quella spada. Da quest'angolo starò in agguato per vedere che cosa fa. (vv. 574-594; 1996)

Stichus

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Panegiride: Sorella mia, credo proprio che Penelope sia stata davvero infelice, lei che per così tanto tempo ha dovuto fare a meno del marito. Possiamo ben capire cosa ha provato, visto quel che succede a noi: i nostri mariti sono lontani per lavoro e così per la loro assenza siamo sempre agitate, notte e giorno, come è giusto che sia.

Citazioni

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  • Panfila: [Una moglie esemplare è] Una di quelle che, quando passeggiano per la città, tappano la bocca a tutti e nessuno può parlar male di loro. (vv. 113b-114)
Ut, per urbem quom ambulent, | omnibus os opturent, ne quis merito male dicat sibi.
  • Panegiride: [Si capisce che una donna è di buon carattere] Dal fatto che, pur potendo far del male, si astiene dal farlo. (v. 117)
Quoi male faciundi est potestas, quae ne id faciat temperat.
  • Tra molti mali, il male minore è quello che fa meno male. (v. 120)[10]
  • Panfila: [Una donna riesce a non sbagliare] Evitando giorno per giorno ciò di cui potrebbe pentirsi l'indomani. (vv. 121b-122)
Ut cottidie | pridie caveat ne faciat quod pigeat postridie.
  • Panegiride: [Mi sembra la donna più saggia] Quella che, quando la fortuna è dalla sua parte, sa conoscere se stessa e quando le cose vanno male sa sopportare pazientemente. (vv. 124-125)
Quae tamen, cum res secundae sunt, se poterit noscere, | et illa quae aequo animo patietur sibi esse peius quam fuit.
  • Quella [la povertà], quando prende di mira qualcuno, gli insegna a fare tutti i mestieri. (v. 178)
Nam illa artis omnis perdocet, ubi quem attigit.
  • Antifone: Le amicizie di un uomo sono legate alla sua fortuna. Se il patrimonio è saldo, allora sono saldi anche gli amici, ma se il patrimonio vacilla, allora vacillano anche gli amici. Gli averi scovano le amicizie. (vv. 520-522)
Ut cuique homini res paratast, perinde amicis utitur: | si res firma, <item> firmi amici sunt; sin res laxe labat, | itidem amici conlabascunt: Res amicos invenit.

Stico: Su, entriamo adesso, si è ballato assai per il vino tracannato. Voi, spettatori, applaudite e andate a casa vostra a far baldoria.

Trinummus

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  • L'amore dà amarezza. (Lysiteles: Atto II, Scena 1, 259)
Amor amara dat.
  • Il saggio si plasma la sua fortuna da sé.
[S]apiens […] fingit fortunam sibi […]. (Philto: Atto II, Scena 2, 363)
  • Non con l'età, ma con l'ingegno si raggiunge la sapienza. (Philto: Atto II, Scena 2, 367)
Non aetate, verum ingenio apiscitur sapientia.

Citazioni su Tito Maccio Plauto

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  • Esistono in tutto due generi di scherzo: uno volgare, violento, vergognoso e osceno, e un altro elegante, urbano, ingegnoso e fine. Di questo secondo tipo sono intrisi non solo il nostro Plauto e la Commedia greca antica, ma anche i libri dei filosofi socratici. (Marco Tullio Cicerone)
  • [...] il suo latino non è certo quello di Cicerone: è molto popolare, sboccato, ai limiti del volgare. I suoi intrecci hanno una comicità elementare che io amo molto, ricca di doppi sensi, con una macchina scenica accattivante che non smette mai di tener desta l'attenzione. Non a caso è stato saccheggiato a destra e manca [...]. E poi Plauto mi piace perché si respira quasi un clima contadino, parecchio simile a quello italiano degli anni Trenta o Quaranta. (Francesco Guccini)
  • In Plauto c'è la coscienza di una romanità trionfante e soddisfatta di sè, quindi più grande è il divario che l'autore avverte e ci comunica tra quello che l'uomo desidera di essere e quello che realmente è: un essere indifeso di fronte alla grandezza e onnipotenza del non conosciuto, del Divino. (Renzo Montagnani)
  • Plauto, ridendo, ci ha parlato di noi e noi ridendo vogliamo ascoltarlo e rappresentarlo. (Renzo Montagnani)

Note

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  1. Da Captivi, 202; citato in L. De Mauri (Ernesto Sarasino), 5000 proverbi e motti latini, a cura di Angelo Paredi e Gabriele Nepi, Hoepli, Milano, 2006, p. 38.
  2. Dopo aver trovato in casa sua una pentola piena d'oro, Euclione è divenuto avaro e sospettoso. Infatti, prima di trovare il tesoro, non prendeva in considerazione più di tanto le cortesie e i saluti rivoltigli dai vicini; ora, invece, l'avarizia lo porta a studiare quelle buone azioni, a sospettare che in giro si sappia della sua ricchezza, anche se in realtà i vicini non sono cambiati affatto.
  3. A casa è nascosto il tesoro.
  4. Nel lamento dell'avaro Euclione per il furto della pentola dell'oro, Plauto parodia i registri della poesia tragica, come farà anche Gaio Lucilio nel libro XXVI delle Satire.
  5. Fedria, figlia dell'avaro Euclione, ha partorito prima del matrimonio. Il padre del bambino è Liconide, che l'aveva violentata nove mesi prima, durante le Cerealia. Per riparare al danno, vuole prenderla in sposa, ma deve prima parlarne con il padre della ragazza, Euclione. Gli si avvicina, origlia, lo vede in preda al dolore e subito crede che egli abbia saputo della maternità della figlia. Infatti non sa che Euclione ha una pentola d'oro, il cui furto è la causa di tanto dolore. Il giovane si fa coraggio e gli parla: entrambi sottintendono la causa del dolore, così che il dialogo si intride di equivoco, in quanto Liconide confessa d'aver reso incinta Fedria mentre Euclione lo crede reo confesso del furto della pentola. Questa, per Plauto, è un'occasione d'oro per impostare la satira contro la categoria degli avari: l'avaro, influenzato nelle decisioni dalla sua stessa avarizia, formula male la classifica delle sue priorità e pospone la preoccupazione per i figli alla salvezza del patrimonio, che finisce per trascendere l'utilità e non procura altro che vane preoccupazioni.
  6. Lido, schiavo del vecchio Filosseno e maestro del giovane Lido, informa il padrone della vergognosa condotta dell'allievo, che ha preso a frequentare delle prostitute, le sorelle Bacchidi. Filosseno non è affatto inviperito con il figlio, anzi, lo giustifica asserendo che "ci sarebbe più da stupirsi se a quell'età certe cose non le facessero" (da vv. 409-410). Il monologo prosegue fino al verso 978
  7. La maschera preferita di Plauto è quella del servo, forse anche per averla indossata davvero, e più volte nella sua vita, essendo stato fra l'altro schiavo per debiti. "Si noti che Parmenone e Siro erano nomi comunissimi, sempre ricorrenti per i servi nella commedia nuova, e che il servo del modello menandreo, trasformato in Crísalo da Plauto, si chiamava appunto Siro" (Giovanna Garbarino).
  8. Il servo plautino è anche un personaggio sbruffone e strafottente. Qui celebra le proprie gesta con lessico e argomenti attinti dall'epica di Omero, che è parodiata nel monologo. Tutti i personaggi epici ivi citati: Achille, Agamennone, Ecuba, Elena, Epeo, Laerte, Menelao, Paride, Priamo, Sinone, Troilo, Ulisse.
  9. A parlare qui è ancora un servus callidus, un servo astuto: Pseudolo, il quale da il nome alla commedia. Nel monologo proposto, Plauto parodia ancora la poesia epica, ma non meglio che in Bacchides vv. 925-978.
  10. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X

Bibliografia

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  • Giovanna Garbarino, Letteratura latina. Storia e antologia con pagine critiche. ­Excursus sui generi letterari. Per le Scuole superiori – 1, Paravia, Torino 19962. ISBN 8839531017
  • Tito Maccio Plauto, Aulularia, traduzione di Guido Vitali, Zanichelli, 1960.
  • Tito Maccio Plauto e Chiara Battistella, Bacchides-­Curculio. Testo latino a fronte, Mondadori, Cles 20071. ISBN 978-88-04-57115-5
  • Tito Maccio Plauto, Le commedie, a cura di Carlo Carena, Einaudi, 1975.
  • Tito Maccio Plauto, Cesare Questa e Mario Scàndola, La pentola del tesoro. Testo latino a fronte, BUR, Borgaro Torinese 199813. ISBN 8817165247
  • Tito Maccio Plauto, Plauto (Amphitruo-Asinaria-Aulularia-Bacchides). Testo latino a fronte, traduzione di Ettore Paratore, Newton Compton Editori, 2011.
  • Tito Maccio Plauto, Casina-Stichus. Testo latino a fronte, Mondadori, Cles 2008. ISBN 978-88-04-58115-4

Altri progetti

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Opere

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