Joseph de Maistre

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Joseph de Maistre

Joseph-Marie de Maistre (1753 – 1821), conte, magistrato, diplomatico, filosofo, scrittore, politico e giurista italiano.

Citazioni di Joseph de Maistre[modifica]

  • Bisogna predicare senza sosta ai popoli i benefici dell'autorità, e ai re i benefici della libertà.
Il faut prêcher sans cesse aux peuples les bienfaits de l'autorité, et aux rois les bienfaits de la liberté.[1]
  • Credi forse che sarei stato maggiormente grato a tua madre se, anziché farmi te e tuo fratello, avesse scritto un bellissimo romanzo?[2]
  • La donna non può essere superiore che come donna, ma dal momento in cui vuole emulare l'uomo, non è che una scimmia.[3]
  • Le false opinioni somigliano alle monete false: coniate da qualche malvivente e poi spese da persone oneste, che perpetuano il crimine senza saperlo.[4]
  • Non c'è filosofia senza l'arte di disprezzare le obiezioni.[5]
  • Non so cosa sia la vita di un mascalzone, non lo sono mai stato; ma quella di un uomo onesto è abominevole.[6][7]
  • Ogni nazione ha il governo che si merita.[8][7]
  • Qualsiasi autorità, ma soprattutto quella della Chiesa, deve opporsi alle novità senza lasciarsi spaventare dal pericolo di ritardare la scoperta di qualche verità, inconveniente passeggero e vantaggio del tutto inesistente, paragonato al danno di scuotere le istituzioni e le opinioni correnti.
Toute autorité, mais surtout celle de l'Église, doit s'opposer aux nouveautés sans se laisser effrayer par le danger de retarder la découverte de quelques vérités, inconvénient passager et tout à fait nul comparé à celui d'ébranler les institutions ou les opinions reçues.[9]
  • Senza il potere temporale de' Papi il mondo politico non poteva camminare, e quanto più siffatto potere sarà attivo, meno guerre vi saranno, giacch'egli è il cui visibile interesse non altro domanda che pace.[10]
  • [Giudizio sui Sardi quale responsabile della cancelleria sabauda] Sono più selvaggi dei selvaggi perché il selvaggio non conosce la luce, il sardo la odia... Razza refrattaria a tutti i sentimenti, a tutti i gusti e a tutti i talenti che onorano l'umanità.[11]
  • Tutto è mistero nei due Testamenti, e gli eletti dell'una e dell'altra legge non erano che dei veri iniziati. Bisogna dunque interrogare questa venerabile Antichità e domandarle come intendeva le sacre allegorie. Chi può dubitare che questa specie di ricerche non ci fornisca delle armi vittoriose contro gli scrittori moderni che si ostinano a non vedere nella Scrittura che il senso letterale? Essi sono già confutati dalla sola espressione di Misteri della religione che noi impieghiamo tutti i giorni senza penetrarne il senso. Questa parola mistero non significava dapprincipio che una verità nascosta sotto dei tipi da coloro che la possedevano.[12]

Attribuite[modifica]

  • Grattate il Russo e sotto troverete il Tartaro.[13]

Considerazioni sulla Francia[modifica]

Incipit[modifica]

Gli uomini tutti sono legati al trono dell'Essere Supremo con una arrendevol catena, che non li assoggetta, ma sol li ritiene. Ammirabile nell' ordine universale delle cose è l'azione delle creature libere, le quali, liberamente schiave sotto la mano di Dio, operano ad un tempo, e volontariamente, e necessariamente, e sebbene con tutta verità facciano esse quello che vogliono, non possono tuttavia turbare menomamente i disegni divini.

Citazioni[modifica]

  • Nella Rivoluzione Francese si scopre un carattere satanico per cui essa si distingue da quanto si è veduto per lo passato, e forse si potrà mai vedere per l'avvenire in fatto di rivoluzioni. (1877, cap. V, p. 93)
  • Una costituzione, buona egualmente per tutte le nazioni, vien per ciò appunto a non valer nulla: nè potrà chiamarsi altrimenti che una pura astrazione o un tema scientifico per esercitazione della mente a servizio dell'uomo ideale, quali che siano gli spazii imaginarii dov'egli dimori. (1877, p. 115)
  • Il tentativo di balzar Robespierre dal potere e di liberare il popolo dal suo orribil giogo, di poco mancò che non andasse a vuoto: però di questo i Francesi possono sì rallegrarsi, ma non menare vanto, perché non si sa ben comprendere se fosse più vergognosa la schiavitù in cui giacevano o il modo in cui ne furono riscattati.
    La storia della sommossa che il nove termidoro trasse Robespierre alla ghigliottina non è lunga: scellerati fatti scannare da altri scellerati; e se non fosse stato di questo po' di malumore domestico, Francesi sarebbon tuttora fra gli artigli del Comitato di salute pubblica. (1877, cap. VIII, pp. 152-153)
  • Il cristianesimo è stato predicato da ignoranti e creduto da dotti, e in questo non assomiglia a nulla di conosciuto.[13]
  • Non sono gli uomini che guidano la rivoluzione, è la rivoluzione che guida gli uomini.[7]

Del Papa[modifica]

  • Io dissi che da questa supremazia dipinta con sì falsi colori, niuna cattolica nazione avea da temere per le sue particolari e legittime usanze. Ma se i Papi debbono usare una paterna condiscendenza verso quegli usi che portano l'impronto della venerabile antichità, anche le nazioni alla lor volta debbono ricordarsi che le differenze locali son quasi sempre più o meno cattive, ogni qual volta rigorosamente necessarie non sono; perciocché esse si accostano all'isolamento e allo spirito particolare, insopportabili si l'uno che l'altro nel nostro sistema. Siccome l'andamento, il gestire, il linguaggio e perfino il vestire d'un uomo assennato ne annunziano il carattere, cosi del pari fa duopo che l'esteriore della Chiesa cattolica annunzi il suo carattere di eterna invariabilità. Ora chi le imprimerà questo carattere, se ella non ubbidisce alla mano d'un capo, e se fosse lecito ad ogni Chiesa abbandonarsi a' suoi particolari capricci? Se la Chiesa ha un carattere unico che dà negli occhi anche dei meno intelligenti, nol dee forse all'influenza unica di questo capo? Non dee soprattutto a lui questa lingua cattolica, che è la medesima per tutti gli uomini della stessa credenza? Mi ricorda che il Necker nel suo libro sull'importanza delle opinioni religiose, diceva essere ormai tempo di chiedere alla Chiesa romana il perché si ostini a servirsi d'una lingua sconosciuta ecc. È ormai tempo invece di non più parlargliene, salvo che per riconoscere e vantar la profonda sua saviezza. Che sublime idea non è quella d'una lingua universale per la Chiesa universale! Da un polo all'altro il cattolico, entrando in una chiesa del suo rito, trovasi a casa sua, e niente è straniero a' suoi occhi. Giungendovi ode quello che udì tutto il tempo della sua vita; e può mescolar la sua voce con quella dei suoi fratelli. Gl'intende, e n'è inteso, e può sclamare: Roma è tutta per tutto, | è tutta ove io mi trovo. La fraternità risultante da una lingua comune è un vincolo misterioso d'una forza immensa. (pp. 143-144)
  • Nulla può uguagliare la dignità della lingua latina. Essa fu parlata dal popolo re, che le impresse quel carattere di grandezza unico nella storia dell'umano linguaggio, e che le lingue anche più perfette non han mai potuto raggiungere. Il vocabolo di maestà appartiene al latino [...]. (p. 144)
  • Con Traiano faceva il suo ultimo sforzo la romana potenza; con tutto ciò egli non ha potuto estendere la propria lingua che fino all'Eufrate; dove che invece il romano Pontefice l'ha fatta udir nelle Indie, nella China, nel Giappone.
    Essa è la lingua della civiltà; e mescolatasi con quella dei nostri padri, i barbari, seppe raffinare, ammorbidire, e per dir così, spiritualizzare que'grossolani idiomi, i quali divennero quel che ora vediamo. Armati di questa lingua gli inviati del romano Pontefice andarono eglino stessi a cercare que' popoli che da lor più non venivano. Questi gli udirono a parlare nel giorno del loro battesimo, e non se ne dimenticarono quindi mai più. Si gettino su d'un planisfero gli occhi, e dove questa lingua si tacque ivi si tiri una linea: essa vi segna i confini della civiltà e della fraternità europea; e al di là voi non troverete più che la parentela umana, la quale fortunatamente s'incontra per tutto. La lingua latina è il contrassegno europeo. (p. 145)
  • Dopo essere stato il latino lo strumento della civiltà, non mancavagli più che un genere di gloria, ch'esso procacciossi poi divenendo, quando ne fu tempo, la lingua della scienza. I genii creatori l'adottarono per comunicare al mondo i loro grandi pensieri. Copernico, Kepplero, Cartesio, Newton, e cento altri quantunque meno celebri, pur tuttavia importantissimi, hanno scritto in latino. Una folla innumerevole di storici, di pubblicisti, di teologi, di medici, di antiquarii ecc. , inondarono di opere latine d'ogni maniera l'Europa. Poeti eleganti, letterati di prim'ordine restituirono alla lingua latina le sue antiche forme, e la rimisero in un grado tale di perfezione, che non sanno finir d'ammirare coloro i quali sono in caso di confrontare i nuovi scrittori coi loro modelli. Tutte le altre lingue, benché coltivate e comprese, pure si tacciono nei monumenti antichi, e probabilmente per sempre. Sola tra tulle le lingue morte la romana è veracemente risuscitata; e simile a quello ch'essa celebra da venti secoli, una volta risuscitata non morrà più. Contro questi splendidi privilegi, che significa mai la volgare e tanto ricantata obbiezione d'una lingua sconosciuta al popolo? (pp. 146-147)
  • Finalmente una lingua soggetta a variare si adatta poco a una religione immutabile. Ora il movimento naturale delle cose attacca costantemente le lingue viventi; e anche lasciati stare quei gran cangiamenti che assolutamente sfiguranle, ve ne han degli altri che senza parere importanti, sono in realtà importantissimi. La corruzione del secolo s'appropria ogni certi vocaboli, e, scherzandovi sopra, li guasta; sicché se la Chiesa parlasse la nostra lingua, potrebbe dipendere dalla sfrontatezza d'un bello spirito, rendere il più sacro vocabolo della liturgia o indecente o ridicolo. Per tutti i riguardi immaginabili, la lingua religiosa deve esser posta fuori dell'umano dominio. (p. 148)
  • La sovranità rassomiglia di sua natura al Nilo che nasconde la sua sorgente; non havvi che quella dei Papi che deroghi alla legge universale. Tutti gli elementi di questa sono stati messi allo scoperto, affinché sia visibile agli occhi di ognuno, et vincat cum iudicatur. Non vi è cosa cosi evidentemente giusta nella sua origine, come questa sovranità straordinaria. L'incapacità, la bassezza, la ferocia dei sovrani che la precedettero; l'insopportabile tirannia esercitata sui beni, sulle persone, sulle coscienze dei popoli; l'abbandono formale in cui furono lasciati questi medesimi popoli, esposti senza difesa a barbari dispietati; il grido dell'Occidente che abdica l'antico padrone; la nuova sovranità che si eleva, si avanza e si sostituisce all'antica, senza scosse, senza rivolta, senza effusione di sangue, sospinta da una forza occulta, inesplicabile, irresistibile, e giurando fino all'ultimo istante fede e ubbidienza a quel debole spregevole potere a cui stava per sottentrare; finalmente il diritto di conquista conseguito e solennemente ceduto da uno dei più grandi uomini che abbiano esistito, da un uomo si grande che la grandezza penetrò nel suo nome, e grandezza meglio che grande fu dalla voce dell'uman genere proclamato: questi sono i titoli dei Papi, e la storia non offre nulla di simile. Questa sovranità pertanto si distingue da tutte nel suo principio, e nel modo in cui si venne formando.[14]
  • I miopi non debbono leggere la storia, sotto pena di perdere il tempo.[15]

Le serate di San Pietroburgo[modifica]

Citazioni[modifica]

  • La statua equestre di PIETRO il grande sorge su le sponde della Neva ad una delle estremità dell'immensa piazza d'Isaac. Il severo suo volto guarda il fiume, e pare che animi ancora quella navigazione creata dal genio del fondatore. Quanto ascolta l'orecchio, quanto l'occhio contempla su quel superbo teatro, non esiste che per un pensiero di quella possente testa, che sorger fece da una palude tanti fastosi monumenti. Sopra quelle spiagge desolate, d'onde pareva che la natura avesse esiliata la vita, fondò Pietro la sua capitale, e creossi de' sudditi. Il suo braccio terribile è tuttavia steso sopra la loro discendenza, che si affolla intorno all'augusta effigie: al veder quella mano di bronzo, non sai ben se protegga o minacci. (1827, vol. I, p. 30)
  • Ad un tal banchetto [eucaristia] gli uomini tutti diventan UNO, satollandosi di un cibo che è uno, e tutto in tutti. All'intendimento di rendere quanto si poteva ad un certo grado sensibile questa trasformazione nella unità, si compiacquero gli antichi Padri di desumere le loro comparazioni dalla spiga, e dal grappolo, i quali sono i materiali del mistero. Poiché in quella guisa stessa che molti grani di frumento, o di uva non altro formano che un pane, ed una bevanda, così quel pane e quel vino mistici che alla sacra mensa ci vengono somministrati, distruggono l'Io, e ci attraggono nella inconcepibile loro unità. (1827, vol. II, p. 153)
  • Dove esiste un altare là esiste anche una religione.
  • Dovunque vedrete un altare, là si trova civilizzazione. (1827, vol. I, p. 87)
  • [Sul boia] È un uomo? Sì: Dio lo accoglie nei suoi templi e gli permette di pregare. Non è un criminale; tuttavia nessuna lingua accetta di affermare, per esempio, che sia un uomo virtuoso, un onesto, che sia degno di stima, ecc. Nessun elogio morale gli può essere tributato, perché ogni elogio morale presuppone un rapporto con gli uomini, mentre egli non ne ha alcuno. E tuttavia ogni grandezza, ogni potere, ogni subordinazione dipendono dal boia: egli è l'orrore e il legame dell'associazione umana. Togliete dal mondo questo agente incomprensibile, e nello stesso istante l'ordine lascia il posto al caos, i troni si inabissano e la società scompare. Dio, autore della sovranità, lo è pure del castigo; fra questi due poli ha gettato la nostra terra: "ché Jehova è il padrone dei cardini della terra, e su di essi fa girare il mondo".[16]
  • Gli uomini quindi non soltanto hanno cominciato con la scienza, ma con una scienza diversa dalla nostra e ad essa superiore, perché partiva da un punto più alto, il che la rendeva anche molto pericolosa. E questo vi spiega come mai la scienza, al suo inizio, fu sempre misteriosa e restò chiusa nell'ambito dei templi, dove infine si spense quando questa fiamma non poté servire ad altro che a bruciare.[17]
  • I simboli greci di Nicea e di Costantinopoli, e quello di sant'Atanasio, non contengono essi forse la mia fede? Io sono della Religione di san Ignazio, di san Giustino, di sant'Atanasio, di san Gregorio Nisseno, di san Cirillo, di san Basilio, di san Gregorio Nazianzeno , di san Epifanio, di tutti quei Santi insomma che sono sui vostri altari e dei quali portate i nomi, e segnatamente di san Giovanni Crisostomo, di cui avete conservata la liturgia. Io ammetto quanto quei grandi e santi personaggi hanno ammesso; mi rammarico di quanto si son essi rammaricati; accolgo inoltre come Vangelo, tutti i concili ecumenici convocati nella Grecia asiatica, o nella Grecia europea. Vi domando ora, si può essere più greco? (1827, vol. I, p. 207)
  • In ogni grande divisione della specie umana, la morte ha scelto un certo numero d'animali a cui essa commise di divorare gli altri; così vi sono degl'insetti da preda, dei rettili da preda, dei pesci da preda, degli uccelli da preda, e dei quadrupedi da preda. Non vi ha un istante della di lui durata, in cui l'essere vivente non venga divorato da un altro. Superiormente alle numerose razze d'animali è collocato l'uomo, la cui mano struggitrice nulla risparmia di ciò che vive; esso uccide per nutrirsi, uccide per vestirsi, uccide per ornarsi, uccide per difendersi, uccide per solazzarsi, uccide per uccidere.[18]
  • [Su Voltaire] La sfrenata ammirazione di che troppe persone il circondano, è il segno infallibile di un'anima corrotta. Non v'è da illudersi. Se alcuno percorrendo la propria biblioteca si sente attirato dalle opere di Ferney, non è amato da Dio. Si è spesso posta in derisione l'Autorità Ecclesiastica, che condannava i libri in odium auctoris: per verità, nulla eravi di più giusto. Si ricusino gli onori del genio a colui che fa abuso de' doni del medesimo. Se questa legge fosse rigorosamente osservata, si vedrebbero ben presto scomparire i libri avvelenati: ma poiché non dipende da noi il promulgarla, guardiamoci almeno dal cadere nell'eccesso riprensibile assai più che non si crede, di esaltare a dismisura gli scrittori cattivi, e massimamente questo. Egli senz'avvedersene ha profferito contro se stesso un decreto terribile, imperciocchè egli è quello che ha detto, uno spirito corrotto non fu mai sublime. Non v'è cosa più vera, ed ecco il perchè Voltaire co'suoi cento volumi non altro fu mai che galante; io n'eccettuo la tragedia, ove la qualità e la natura dell'opera lo costringeva ad esprimere sentimenti elevati, estranei al suo carattere; e su la scena eziandio ov'è il suo trionfo, egli non abbaglia i più esperti osservatori. Nelle sue migliori produzioni si assomiglia ai suoi due valenti rivali, come il più abile ipocrita somiglia ad un santo. (1827, vol I, p. 181)
  • Le false opinioni assomigliano alle monete false: coniate da qualche malvivente, sono poi spese da persone oneste, che perpetuano il crimine senza sapere quello che fanno.[19][20]
  • [Su Voltaire] Non avete mai osservato che l'anatema divino fu scritto sul di lui volto? Dopo tanti anni si è tuttavia in tempo di farne l'esperimento. Recatevi a considerare la sua effigie al Palazzo del Romitorio [l'Ermitage]: io non la guardo mai senza congratularmi ch'essa non ci sia stata tramandata da un qualche scalpello erede dei Greci, il quale avrebbbe forse saputo spargervi un certo bello ideale. Ivi tutto è naturale. V'è tanta verità in quella testa, quanta ve ne sarebbe in un plasma fatto sul cadavere. Vedete quella fronte abietta, che non fu mai colorita dal pudore, que' due crateri estinti ne' quali sembra che ancora bollano l'odio e la lussuria? Quella bocca (io dirò forse male, ma non è mia colpa), quell'apertura spaventevole, la quale va da un orecchio all'altro, e quelle labbra piegate dalla malizia crudele, come una molla pronta a mettersi in azione per lanciare la bestemmia o il sarcasmo [...]. (1827, vol. I, p. 183)
  • Non avete mai osservato che nel campo di morte l'uomo non disubbidisce giammai? egli potrà bene massacrare Nerva, o Enrico IV; ma il più abominevol tiranno, il macellajo più sfrenato di umana carne non udirà mai colà: Noi non vogliamo più prestarvi servigio. Una rivolta sul campo di battaglia, un accordo per abbracciarsi rinegando un tiranno, è un fenomeno che non mi si offre al pensiero. Nulla resiste, nulla può resistere a quella forza ond'è trascinato l'uomo al combattimento: omicida innocente, passivo strumento di una mano formidabile ei s'immerge a fronte bassa in quell'abisso che ha scavato di propria mano, dà e riceve la morte senza né pur dubitare ch'egli è quel desso che ha creata la morte.
    Si compie così incessantemente dal pellicello all'uomo la gran legge della violenta distruzione degli esseri viventi. La terra tutta continuamente imbevuta di sangue non è che un immenso altare ove tutto ciò che ha vita dev'essere immolato senza fine, senza misura, senza intermissione sino alla fine dei secoli, sino alla consumazione delle cose, sino all'estinguimento del male, sino alla morte della morte. (1827, vol. II, p. 27-28)
  • La spada della giustizia non ha fodero [...]. (1827, vol. I, p. 45)
  • La vera religione ha più che diciotto secoli di vita; essa nacque il giorno in cui nacquero i giorni.[21]
  • Ogni male è una pena, ed ogni pena (tranne l'estrema), è inflitta dall'amore, del pari che dalla giustizia. (1827, vol. I, p. 249)
  • [...] quando gli uomini, che sempre pregarono in virtù di una religione rivelata [...], si sono avvicinati al deismo, che non è nulla e non può nulla, hanno smesso a poco a poco di pregare; e ora li vedete curvi sulla terra, intenti unicamente a leggi e studi fisici, avendo perduto anche il minimo sentimento della loro dignità naturale. La disgrazia di questi uomini è tale che essi non possono nemmeno più desiderare la propria rigenerazione, non solo per la ben nota ragione che «non si può desiderare ciò che non si conosce», ma perché trovano nel loro abbrutimento non so quale terribile fascino che è un castigo spaventoso. (2014, p. 169)
  • Se non esistesse alcun male morale sulla terra, non ci sarebbe, di conseguenza, alcun male fisico.[22]
  • Tutti i dolori sono punizioni, e ogni punizione è inflitta in eguale misura per amore e per giustizia.

Citazioni su Le serate di San Pietroburgo[modifica]

Saggio sul principio generatore delle costituzioni e delle altre istituzioni umane[modifica]

Incipit[modifica]

  • Uno dei grandi errori di un secolo il che li professò tutti, fu di credere che una costituzione politica potesse essere scritta e creata a priori, nel mentre che la ragione e l'esperienza si riuniscono per stabilire che una costituzione è un'opera divina e che ciò che havvi precisamente di più fondamentale e di più essenzialmente costituzionale nelle leggi di una nazione non potrebbe essere scritto.

Citazioni[modifica]

  • Si è creduto spesso fare un piccante scherzo ai Francesi domandando loro in qual libro era scritta la legge Salica; ma Girolamo Bignon rispondeva molto a proposito, e probabilissimamente senza sapere a qual punto egi avea ragione, che ella era scritta NEI cuori dei Francesi. (p. 21)
  • Locke ha cercato il carattere della legge nell'espressione delle volontà riunite; bisogna essere singolare, per riscontrare in questo modo il carattere che esclude precisamente l'idea della legge. (p. 22)
  • Perchè l'uomo agisce, egli crede agire solo, e perchè possiede la coscienza della sua libertà, egli dimentica la sua dipendenza. Nell'ordine fisico egli intende ragione; e sebbene egli possa, per esempio, sementare una ghianda ed innaffiarla, ec. , frattanto è capace di convenire che non crea delle querci, perchè vede l'albero crescere e perfezionarsi senzachè il potere umano se ne mescoli, e che d'altronde egli non ha creata la ghianda; ma nell'ordine sociale ove egli è presente ed agente, crede di essere realmente l'autore diretto di tutto ciò che si fa da esso: è, in un senso, la cazzuola che si crede architetto. L'uomo è intelligente, è libero, è sublime, senza dubbio; ma non è meno uno strumento d'Iddio [...]. (p. 28)
  • Se havvi qualche cosa di conosciuto, è il paralello di Cicerone in proposito del sistema di Epicuro, che voleva creare un mondo colli atomi cadenti a caso nel vuoto. Mi si farebbe piuttosto credere, dicea il grand'Oratore, che delle lettere gettate in aria potessero simmetrizzarsi in modo tale da formare un poema. Mille bocche hanno ripetuto e celebrato questo pensiero; io non conosco frattanto che alcuno abbia pensato a dargli il compimento che gli manca. Supponiamo che dei caratteri di stamperia gettati a piene mani dall'alto di una torre, giunti a terra, formino l'Athalìa di Racine, che ne risulterà? Che una intelligenza ha presieduto alla caduta ed alla sistemazione dei caratteri. Il buon senso non ne concluderà giammai in modo diverso. (p. 29)
  • La più gran follia, forse, del secolo delle follie [il XVIII secolo], fu di credere che le leggi fondamentali potessero essere scritte a priori; nel mentre che elleno sono evidentemente l'opera di una forza superiore all'uomo; e che la scrittura stessa posteriorissima, è per loro il più gran segno di nullità. (p. 30)
  • Accade della chiesa come dello stato: se giammai il cristianesimo non fosse stato attaccato, giammai non avrebbe scritto per fissare il dogma; ma giammai egualmente il dogma non è stato fissato per scritto, perchè esisteva antecedentemente nel suo stato naturale che è quello della parola. (p. 33)
  • Un gran numero di dotti scrittori hanno prodigata, dopo il XVI° secolo, un'immensa erudizione per stabilire, risalendo sino alla cuna del cristianesimo, che i vescovi di Roma non erano nulla nei primi secoli di ciò che divennero in progresso; supponendo così, come un punto accordato, che tutto quello che non si riscontra nei primitivi tempi è abuso. Ora io rispondo loro, senza il minimo spirito di contesa, e senza aver di segno di urtare alcuno, che essi mostrano in questo altrettanto di filosofia e di vera scienza quanto se essi cercassero in un bambino in fasce le vere dimensioni dell'uomo fatto. La sovranità di cui parlo è nata come le altre, e si è accresciuta come le altre. Fa pietà di osservare degli ingegni eccellenti stancarsi per provare, per mezzo dell'infanzia, che la virilità è un'abuso, nel mentre che qualsivoglia istituzione, nata adulta, è un assurdo di primo capo , una vera contraddizione. (p. 40)
  • A questa regola generale, che niuna costituzione può essere scritta e creata a priori, non si conosce che una sola eccezione, ed è la legislazione di Mosè. Ella sola fu, per così dire, gettata come una statua, e scritta fino nei menomi dettagli da un uomo prodigioso che disse FIAT! senzachè mai l'opera sua abbia avuto bisogno , in progresso, di essere, né da esso né da altri, corretta, aumentata, modificata. Ella sola ha potuto disprezzare il tempo, perchè non gli dovea niente e non ne attendeva niente: ella sola ha esistito per mille cinquecento anni; ed anche dopo che nuovi diciotto secoli hanno decorso sopra di lei, dal terribile anatema che la colpì al giorno stabilito, noi la vediamo vivente, per così dire, di una vita seconda, racchiudere ancora, per non so quale vincolo misterioso che non ha nome umano, le differenti famiglie di un popolo che resta disperso senza essere disunito: di maniera che, simile all'attrazione e pel medesimo potere, ella agisce a distanze, e fa un tutto di una moltitudine di parti che non si avvicinano fra loro. Così questa legislazione, si sottrae evidentemente, per qualunque coscïenza intelligente, dal circolo descritto attorno il potere umano; e questa magnifica eccezione ad una legge generale che non ha ceduto che una volta, e non ha ceduto che al suo autore, dimostra sola la missione divina del gran legislatore degli Ebrei [...] (pp. 44-45)
  • [...] quando si pensa che quest'ordine legislatore che regnava nel Paraguay pell'ascendente unico delle virtù e dei talenti, senza allontanarsi un istante dall'umile sommissione verso l'autorità legittima ancora la più traviata; che quest'ordine, io dico, nel tempo stesso che affrontava nelle nostre prigioni, nei nostri ospedali, nei nostri lazzeretti, tuttociò che la miseria, le malattie, e la disperazione hanno di più spaventevole, di più vergognoso e di più ributtante; che questi uomini stessi che correvano, al primo appello, a coricarsi sulla paglia a lato dell'indigenza, non aveano poi un contegno strano nelle conversazioni le più leggiadre; che andavano su i palchi a dire le ultime parole alle vittime dell'umana giustizia, e che da questi teatri d'orrore si slanciavano su i pergami per predicare, con santo zelo e libertà, al cospetto dei re; che maneggiavano il pennello alla China , il telescopio nei nostri osservatorj, la lira d'Orfeo in mezzo ai Selvaggi, e che aveano allevato ed educato tutto il secolo di Luigi XIV; allorquando si riflette finalmente che una detestabile coalizzazione di ministri perversi, di magistrati in delirio e di oscuri settarj, è riuscita, ai nostri tempi, a distruggere questa maravigliosa instituzione, ed applaudirsene, si crede di vedere quel pazzo che poneva gloriosamente il piede sopra un'orologio, dicendogli: Ti impedirò bene di far rumore. Ma, che dico io mai?! un pazzo non è colpevole. (pp. 50-51)
  • [...] se l'educazione non è restituita al clero; e se la scienza non è posta ovunque in secondo luogo, e la religione non primeggia, i mali che ci sovrastano sono incalcolabili: noi saremo istupiditi dalla scienza, ed è questo l'ultimo grado dell'istupidezza. (p. 53)
  • L'uomo nei rapporti col suo Creatore è sublime, e la sua azione è creatrice: all'opposto, dacché si separa da Iddio e che agisce solo, non cessa di essere potente , perchè è un privilegio della sua natura; ma la sua azione è negativa, e non ha per risultato che la distruzione.
    Non havvi nell'istoria di tutti i secoli un fatto solo che contraddica queste massime. Alcuna instituzione umana non può durare se non è sostenuta dalla mano che tutto sostiene; vale a dire se non l'è specialmente consacrata nella sua origine. Più ella sarà penetrata dal principio divino, più ella sarà permanente. Strano acciecamento delli uomini del nostro secolo! Essi si vantano dei loro lumi, ed ignorano tutto, poiché ignorano loro stessi. Non sanno né ciò che sono, né ciò che possono. Un orgoglio indomabile li spinge sempre a distruggere tuttociò che non hanno creato; e per operare delle nuove creazioni, si separano dal principio di ogni esistenza. Gian-Giacomo Rousseau lui stesso ha nondimeno detto assai bene: Uomo piccolo e vano, mostrami la lua potenza, io ti mostrerò la tua debolezza. Si potrebbe dire ancora con altrettanta verità e più profitto: Uomo piccolo e vano, confessami la tua debolezza, io ti mostrerò la tua potenza. (pp. 59-60)
  • [...] il principio religioso è, per essenza, creatore e conservatore, in due maniere. In primo luogo, siccome egli agisce più fortemente che qualunque altro sullo spirito umano, ne ottiene degli sforzi prodigiosi. Così, per esempio, l'uomo convinto dai suoi dogmi religiosi che è un gran vantaggio per lui, che dopo la sua morte il suo corpo sia conservato nella maggiore integrità possibile, senzaché alcuna mano indiscreta o profanatrice possa avvicinarvisi; quest'uomo, io dico, dopo avere esaurita l'arte dell'imbalsamare, finirà per costruire le piramidi d'Egitto. In secondo luogo, il principio religioso di già sì forte per ciò che opera, lo è ancora infinitamente per ciò che impedisce, in ragione del rispetto, di cui circonda tutto quanto prende sotto la sua protezione. Se un semplice ciottolo è consacrato, vi ha subito un motivo perchè si sottragga alle mani che potrebbono smarrirlo o snaturarlo. La terra è coperta di prove di questa verità. I vasi etruschi, per esempio, conservati dalla religione dei sepolcri, sono pervenuti fino a noi, malgrado la loro fragilità, in più gran numero che i monumenti di marmo e di bronzo dell'epoca stessa. Volete voi dunque conservare tutto, dedicate tutto. (pp. 70-71)
  • Bisogna ben guardarsi di osservare leggermente su questo oggetto. Giammai un vero filosofo non deve perdere di vista la lingua, vero barometro, di cui le variazioni annunziano infallibilmente il buono e cattivo tempo. Per attenermi al subietto che io tratto al presente, è certo che l'introduzione smisurata di vocaboli forestieri, applicati specialmente alle instituzioni nazionali di qualunque genere, è uno dei segni i più infallibili della degradazione di un popolo. (p. 71)
  • Sempre vi sono state delle religioni sulla terra, e sempre vi sono stati delli empj che le hanno combattute: sempre egualmente l'empietà fu un delitto; perché, siccome non può darsi religione falsa senza una qualche mescolanza di vero, così non può darsi empietà che non combatta qualche verità divina più o meno sfigurata; ma non può esservi vera empietà che quella che combatte la vera religione; e, per una conseguenza necessaria, giammai l'empietà non ha potuto produrre nei tempi passati i mali che ha arrecati ai giorni nostri; perchè ella è sempre colpevole in ragione dei lumi che la circondano. È con questa regola che conviene giudicare il secolo XVIII°; perchè è sotto questo aspetto che non rassomiglia ad alcun altro. (p. 72)
  • Frattanto l'Europa intiera essendo stata incivilita dal cristianesimo, ed i ministri di questa religione avendo ottenuta in tutti i paesi una rilevante esistenza politica, le instituzioni civili e religiose si erano mescolate e come amalgamate in un modo sorprendente; in guisatalechè si poteva asserire di tutti li stati dell'Europa, con più o meno di verità, ciò che Gibbon ha detto della Francia, che questo regno era stato creato dai vescovi. Era dunque inevitabile che la filosofia del secolo non tardasse di odiare le instituzioni sociali da cui non era possibile di separare il principio religioso. È ciò che accadde: tutti i governi, tutti li stabilimenti d'Europa le dispiacquero, perchè essi erano cristiani; ed in proporzione che essi erano cristiani, una contrarietà d'opinione, un malcontento universale si impadronì di tutte le teste. In Francia specialmente, la rabbia filosofica non conobbe più limiti; e ben presto una sola voce formidabile formandosi da tante voci riunite, si intese esclamare in mezzo dell'Europa colpevole.
    «Abbandonaci! Converrà dunque eternamente tremare al cospetto dei sacerdoti, e ricevere da essi l'istruzione che piacerà loro di darci? La verità, in tutta l'Europa, è nascosta fra i fumi dell'incensiere; è tempo che usca da questa nube fatale. Noi non parleremo più di te ai nostri figli; sta a loro quando saranno uomini a conoscere se tu siei, e ciò che siei, e ciò che esigi da loro. Tutto quello che esiste non ci piace, perchè il tuo nome è scritto su quanto esiste. Noi vogliamo tutto distruggere e tutto ricostruire senza di te. Usci dai nostri consigli; usci dalle nostre accademie; usci dalle nostre case: noi sapremo fare senza di te, la ragione ci basta. Lasciaci , va!!!»
    Come Iddio ha punito questo esecrabile delirio?! L'ha punito come creò la luce, con una sola parola: Ha detto: FATE! – ed il mondo politico ha crollato dai fondamenti. (pp. 75-76)

Citazioni su Joseph de Maistre[modifica]

  • Ciò che rese de de Maistre così affascinante agli occhi della sua generazione è che la costringeva a guardare il lato sgradevole delle cose. La costringeva ad abbandonare il suo blando ottimismo, la psicologia meccanicistica, tutti quei levigati ideali settecenteschi che nel corso della Rivoluzione francese avevano patito una così schiacciante catastrofe. Al termine dei periodi ottimistici, positivistici, costruttivi della storia umana [...], quando diventa evidente che la soluzione non ha funzionato, una tendenza alla reazione affiora sempre nella gente comune, disgustata da tanto falso ottimismo, da tanto pragmatismo, da tanto idealismo positivo, screditati dal fatto che la bolla s'è sgonfiata, e tutti gli slogan si sono rivelati privi di senso e inadeguati quando il lupo ha davvero bussato alla porta. [...] il contributo di de Maistre è un violento antidoto alle dottrine sociali settecentesche, con le loro pretese esagerate, il loro eccessivo ottimismo e la loro formidabile superficialità. De Maistre si guadagna la nostra gratitudine come profeta delle forze più violente e più distruttive che hanno minacciato, e tuttora minacciano la libertà e gli ideali dei comuni esseri umani. (Isaiah Berlin)
  • Il Conte di Maistre era più veramente un grande scrittore, un ardito pensatore che un diplomatico. Vi aveva nel suo spirito e nel suo cuore tale una soprabbondanza di vita, una sì perfetta tenacità dell'idea che parevagli essere la verità rivelata o dimostrata del raziocinio, ch'egli portavala in trionfo così alto quanto all'umana debolezza è permesso. I mezzani provvedimenti dello spirito di parte, gl'indugi dell'intelletto, le difficoltà di tempo e di luogo, niente faceva ostacolo a questa vigoria del genio che si stendeva sopra tutti i subbietti che trattava, e che in ciascuno di essi lasciava una profonda impressione. (Jacques Crétineau-Joly)
  • Il De Maistre sostiene che una fanciulla che vuol dipingere è pazza; ma quante grandi Sante hanno avuto questa follia! (Félix Dupanloup)
  • De Maistre ed Edgar Poe mi hanno insegnato a ragionare. (Charles Baudelaire)
  • Il più grande dei reazionari, Joseph de Maistre, era 'anticapitalista' ben prima, e con più fondato argomentare, di Franco Fortini. (Roberto Calasso)
  • Maestro occulto del romanticismo europeo [...] ispiratore dei reazionari e nello stesso tempo interprete sottile della Tradizione. (Alfredo Cattabiani)
  • Nella radicale polemica contro le tesi di Rousseau — autore di una sconvolgente introduzione di errori — de Maistre non risparmia colpi. Dalla convinzione che il suo avversario rimproverasse ogni giorno il Signore per non averlo fatto nascere nobile e duca lo bolla aspramente chiamandolo più volte plebeo. Ispirarsi oggi a Rousseau può non essere culturalmente — per tanti versi — molto illuminante. Ma nella rigidità del modello di de Maistre proprio non trovo spunti di approvazione. Né mi sembra entusiasmante quello che scrive sulla possibilità teorica di uccidere il tiranno, il quale per il resto è intoccabile totalmente super leges. (Giulio Andreotti)
  • Nella Savoia sono nati i grandi scrittori francesi, come de Maistre. (Pietro Citati)

Emil Cioran[modifica]

  • «Ciò che si crede vero va detto e detto arditamente; vorrei, qualsiasi cosa mi costasse, scoprire una verità capace di urtare tutto il genere umano: gliela direi a bruciapelo». Il Baudelaire della «franchezza assoluta», delle Fusées e di Mon cœur mis a nu è contenuto e in un certo modo annunciato in questa dichiarazione delle Soirées, che ci offre la formula di quell'incomparabile arte della provocazione nella quale Baudelaire si sarebbe distinto quasi quanto Maistre. Vi si distinguono d'altro canto tutti coloro i quali, per chiaroveggenza o per acredine, ripudiano gli incantesimi astuti del Progresso. Perché i conservatori impiegano così bene l'invettiva e in genere scrivono con maggior cura dei ferventi dell'avvenire? Il fatto è che, furenti di essere contraddetti dagli avvenimenti, si gettano, nel loro scompiglio, sul verbo, dal quale, in mancanza di una più sostanziale risorsa, traggono vendetta e consolazione. Gli altri vi ricorrono con noncuranza e persino con disprezzo: complici del futuro, tranquilli dal lato della «storia», scrivono senza arte, anzi senza passione, consci che lo stile è la prerogativa e quasi il lusso del fallimento.
  • Il positivismo trasse il maggior profitto dai sistemi «retrivi», di cui rifiutò il contenuto e le credenze solo per adottarne meglio l'armatura logica, il contorno astratto. Auguste Comte si servì delle idee di Maistre come Marx di quelle di Hegel.
    Diversamente attenti alla sorte della religione, ma parimenti asserviti ai rispettivi sistemi, positivisti e cattolici sfruttarono nel modo più appropriato ai loro interessi il pensiero dell'autore di Du Pape; ben più libero, un Baudelaire vi attinse, per semplice necessità interiore, alcuni temi, come quelli del male e del peccato, o taluni suoi «pregiudizi» contro le «idee democratiche» e il «progresso».
  • Più lo si frequenta, più si pensa alle delizie dello scetticismo o all'urgenza di una perorazione per l'eresia.
  • Quando parliamo di fallimento, non pensiamo solo a Maistre, ma anche a Saint-Simon. Nell'uno come nell'altro un eguale attaccamento, esclusivo, ristretto, alla causa dell'aristocrazia, una massa di pregiudizi difesi con una rabbia continua, l'orgoglio di casta spinto fino all'ostentazione, e un'eguale incapacità di agire che spiega perché furono così audaci come scrittori. Che l'uno mediti su problemi o l'altro descriva avvenimenti, la minima idea, il minimo fatto esplodono sotto la passione che vi mettono. Volerne anatomizzare la prosa equivale ad analizzare una bufera.
  • Vorrei aggiungere che Joseph de Maistre è uno degli autori che più ho frequentato. Giovanissimo, mi sono appassionato a Del Papa, e poi ho letto più volte le Serate di San Pietroburgo e le sue Considerazioni sulla Rivoluzione.

Note[modifica]

  1. (FR) Citato nell'introduzione a Memoires politiques et correspondance diplomatique: avec explications et commentaires historiques par Albert Blanc, Librairie Nouvelle, Parigi, 18592, p. 1.
  2. Da una lettera alla figlia; citato nella Prefazione di Alfredo Cattabiani a J. De Maistre, Le Serate di San Pietroburgo, Rusconi Editore.
  3. Da una lettera alla figlia; citato in Julius Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi, Edizioni Mediterranee, Roma, 1985 (1974), p. 188.
  4. Da Correspondance inédite: Lettre à M. l'Amiral Tchitchagof; in Œuvres complètes.
  5. Da Les Soirés de Saint-Pétersbourg, V colloquio; citato in Gustave Flaubert, Sciocchezzaio, n. 147, in Bouvard e Pécuchet, a cura di Franco Rella, Feltrinelli, Milano, 1998, p. 375. ISBN 9788807821455
  6. Da Lettera al cavaliere di Saint-Réal.
  7. a b c Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  8. A proposito della Russia; da Lettera al cavaliere di ***, agosto 1811.
  9. (FR) Da Examen de la philosophie de Bacon: ou, L'on traite différentes questions de philosophie rationnelle, Poussielgue-Rusand, Parigi, Pelagaud; Lesne et Crozet, Lione, 1836, vol. II, p. 283.
  10. Da Del papa, Dalla tipografia di Porcelli, seconda versione italiana, Napoli, 1823, libro III, p. 94.
  11. Citato in Pietro Mannironi, Itri, il massacro dei sardi che dissero no alla camorra, lanuovasardegna.it, 18 luglio 2012.
  12. Citato in René Guénon, Studi sulla Masoneria e il Compagnonaggio, traduzione di Giovanni Dellavedova, Asociación Cultural Pardes Apartado, Barcellona, 2015, vol. I, cap. IV, p. 29. ISBN 978-84-942-0018-2
  13. a b Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  14. Da Del Papa, 1864, (p. 174).
  15. Da Del Papa: traduzione fatta sull'edizione XVIII dell'originale con note dal sacerdote Cavaliere Giovanni Battista Gerini professore di rettorica, Tipografia Pontificia Pietro di G. Marinetti, Torino, 1864, (p. 178).
  16. Con diversa traduzione in 1827, vol I, pp. 44-45.
  17. Con traduzione diversa in 1827, vol I, pp. 79-80.
  18. Citato in Giuseppe Arnaud, La crudeltà ne' giuochi, in Rivista contemporanea nazionale italiana, vol. 41, anno XII, maggio (fascicolo CXXXVIII) 1865, Unione tipografica editrice, Torino, 1865, p. 204.
  19. Citato in Gianfranco Ravasi, False opinioni, avvenire.it, 10 luglio 2003.
  20. Con diversa traduzione in 1827, vol. I, p. 32.
  21. Citato in Alfredo Cattabiani, Simboli, miti e misteri di Roma: un allegorico viaggio lungo tremila anni di storia, fra personaggi, opere d'arte e monumenti emblematici, alla scoperta della "chiave" che ne sveli i significati nascosti, Newton Compton, Roma, 1990, p. 168. ISBN 9788854102651
  22. Con questa traduzione, in 1827, vol I, p. 48: "Se non vi fosse mal morale sopra la terra , non vi sarebbe male fisico [...]."

Bibliografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

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