Roberto Nepoti

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Roberto Nepoti (1947 – vivente), critico cinematografico italiano.

Citazioni di Roberto Nepoti[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Non sottovalutiamo affatto la portata dei thriller (né dei loro autori), film che diventano oggetti di culto più spesso degli altri perché parlano direttamente del sogno, della pulsione al vedere, del doppio... del cinema, in una parola. Né disdegniamo affatto il prodotto nazionale lordo, lordo di sangue beninteso. Con tutto ciò, La sindrome di Stendhal ci ha deluso. Malgrado qualche effetto suggestivo [...] e l'alto livello del cast tecnico, Giuseppe Rotunno in testa, l'ultimo film di Argento promette molto, ma perde in fretta il mistero e la suggestione delle prime inquadrature per adagiarsi in situazioni di repertorio. Presentandolo, il regista ha detto che "Seven" è solo un prodotto di moda, con attori alla moda. Se l'alternativa ruspante è questa, però, non c'è da stare allegri: la recitazione di mezzo cast è così imbarazzante che si scivola spesso nello "straniamento" involontario. E il thriller non può che soffrirne.[1]
  • [Su Palermo Milano - Solo andata] I personaggi sono figurine, ma schizzate abbastanza bene. Li interpretano giovani attori dai mezzi più o meno acerbi (della squadra di Bova fanno parte Ricky Memphis, Francesco Benigno, Rosalinda Celentano) che vanno meglio nelle parti dinamiche, peggio in quelle dialogate. Di buono c'è il ritmo, è rapido e non ci si annoia. Basta non prendere (il film, del resto, non ne fa richiesta) per una storia impegnata sulla mafia quello che è, con ogni evidenza, un altro episodio della "Piovra": anche se destinato in prima battuta al grande schermo e non accreditato nella serie.[2]
  • [Su Auguri professore] A parte qualche incongruenza in cronologia, tutto è molto credibile. In particolare i flashback sulla scuola di un tempo, basata su un concetto perfettamente punitivo dell'esistenza, ne esce con una precisione notevole. Più che nella linea della commedia satirica siamo, per intenderci, in quella di 'Ovosodo', dove i tocchi di osservazione realistica prevalgono e la comicità non è il criterio-base della rappresentazione (eccetto un episodio: quello del professore rinchiuso nell'armadietto). E se non manca qualche concessione allo stereotipo - vedi i riferimenti alle violenze familiari e alle molestie sessuali - anche gli studenti, una volta tanto, sono rappresentati come minorenni più o meno normali, anziché come un popolo di incomprensibili alieni.[3]
  • [Su Tutti pazzi per Mary] Assolutamente irresistibili gli episodi in cui prima Dillon, poi Stiller sono alle prese con un piccolo ma ringhioso terrier, odiosa bestiola sulla quale la sceneggiatura infierisce senza ritegno. Possiamo dirlo? Il pregio maggiore del film è proprio la mancanza di ritegno. Nel panorama così politically correct del cinema Usa d'oggi, il film di Scemo & più scemo Farrelly è totalmente incorrect, una pecora nera piena di situazioni sfrontate, impudenti e kitsch. Ce n'è abbastanza da fare arrabbiare animalisti e parecchie associazioni a difesa delle minoranze. Ma ci auguriamo proprio che questo non accada. Basta ricordare che l'assenza di correttezza è, da sempre, un ingrediente essenziale e irrinunciabile del comico.[4]
  • E allora Mambo è una commedia parecchio riuscita, che congiunge la trama di bigamia con una critica di costume tutt'altro che campata in aria: quella di un'Italietta ebbra di edonismo televisivo dove le bambine si chiamano Evita, la felicità danza al ritmo di mambo, salsa e merengue e il massimo delle aspirazioni è spaparanzarsi al sole dei Caraibi. I ritmi da farsa sono esatti, gli attori bene in parte (con una nota di merito per un Gigio Alberti al colmo della nevrosi), il grottesco non eccede la giusta quantità. Anche se col procedere la storia si avviticchia fino, talvolta, a mordersi la coda.[5]
  • [Su Dracula's Legacy - Il fascino del male] Malgrado il budget abbastanza generoso, le inquadrature accurate e la dovizia di succedanei dell'emoglobina sparsi per il set, il tentativo di sposare atmosfere gotiche con ossessioni postindustriali non è dei più eccitanti. Mentre la colonna sonora heavy ti martella le orecchie, segui con parecchio scetticismo le peregrinazioni di un Dracula piacione da discoteca (Gerard Butler), che la sceneggiatura vorrebbe irresistibilmente sexy ma che, in complesso, appare piuttosto un tipo di bocca buona. Colmo dell'attualizzazione, Mary e la sua amica Lucy lavorano in un negozio della Virgin e indossano le magliette dello sponsor.[6]
  • [Su Panic Room] Messo in immagini da un regista senza talento, un soggetto del genere rischia di sgonfiarsi prima della metà del film. Fincher invece (con l'aiuto dell'esperto sceneggiatore David Koepp) bilancia alla perfezione i momenti d'angoscia e quelli di sollievo, per poi rilanciare l'angoscia. Per fortuna, né Fincher né Koepp vogliono fare della loro eroina per forza una superdonna, come accade in una quantità di film hollywoodiani; e, ancora per fortuna, a impersonarla c'è Jodie Foster, per la quale la parte (anche se, in realtà, era prevista per Nicole Kidman) sembra fatta su misura: al punto che perfino Kristen Stewart, sua figlia nella fiction, le somiglia. Jodie mostra, sì, ampie risorse d'iniziativa (vedi la scena del gas); però offre al suo personaggio un'interpretazione così ricca di sfumature che il thriller diventa anche la storia del riscatto di una donna spezzata, che ritrova se stessa affrontando il pericolo.[7]
  • [Su The Italian Job] Come rappresentante del filone oggetto di revival, The Italian Job condivide un po' la sorte dei film di spionaggio: più si fa povero d'anima, più si dà da fare per mascherarlo con gadget, botti, corse e stratagemmi drammaturgici di repertorio. Se le ultime avventure di 007 sono sponsorizzate fino all'esagerazione, questo sembra un promo unico per la Mini: in tre varianti cromatiche, la piccola auto è molto più protagonista della seconda parte del film di quanto lo siano in fondo i personaggi umani, interpretati da attori bellocci ma che non grondano propriamente comunicativa. Di spot, però, ce ne passa già la tivù, e in quantità industriali. Andarseli a vedere pagando il biglietto, sembra davvero troppo.[8]
  • [Su Evilenko] Lungi dall'accontentarsi di parafrasare in russo l'ennesima storia di assassino seriale, "Evilenko" si propone come un film ambizioso sulle conseguenze psicopolitiche della perestrojka e del dopo Urss. [...] La diagnosi di Grieco sarà pure vera, però il film si limita a enunciarla a parole. Quanto alle immagini, bagnate nello squallore esistenziale, il regista adotta la cifra espressionistica dalla prima all'ultima inquadratura, per trasfigurare gli ambienti in specchi dell'anima. McDowell recita sopra le righe, perfino più del gigione del solito. L'ultima parte inanella una quantità di finali, che allentano la tensione senza aggiungere granché alla triste vicenda.[9]
  • Ecco, Il vento del perdono è un diligente catalogo di stereotipi, dove ciascuno copia se stesso: Redford rifà l'"uomo che sussurrava ai cavalli"; la Lopez la donna maltrattata e malmenata (Via dall'incubo), Freeman l'amico consolatore e filosofeggiante (Million dollar baby). Sappiamo che gli stereotipi corrispondono a un sentire diffuso e sottendono un'ideologia. Qui, però, l'ideologia è scaduta da qualche decennio. E il film odora di muffa.[10]
  • [Su Dreamer - La strada per la vittoria] Per gli americani Dakota Fanning è un bijou; per noi, un concentrato di birignao infantile e di nevrosi precoci da far rimpiangere le bimbe-prodigio alla Shirley Temple. Qui fa la bambina che sussurrava ai cavalli. Si affeziona a Sonador, purosangue azzoppato in un incidente che gli ha precluso le corse, e lo porta alla vittoria a colpi di fede. [...] C'è da chiedersi quando il cinema Usa cesserà di ammorbarci con i suoi "sogni", nutriti a volontà di potenza fino alla paranoia. [...] Dreamer è il classico "veicolo" al servizio di una star: e Dakota lo abita da cima a fondo profondendovi il suo gigionismo manierato. Tutto il cast fa da docile supporto al divismo della dodicenne biondina. Inevitabilmente di routine le emozioni della corsa, visto che l'esito è scontato fin dall'inizio.[11]
  • Film di coproduzione ispano-americana girato in Bulgaria, Automata è un noir fantascientifico che intrattiene vistosi debiti con Blade Runner. Realizzato a basso budget produttivo, si avvale però di un cast di nomi noti. Antonio Banderas, testa rasata e trench, è adeguato alla parte, così come Dylan McDermott lo è per quella del villain. Con i tratti dinamitati dalla chirurgia "estetica", invece, Melanie Griffith appare quasi irriconoscibile.[12]
  • Torna al cinema, mezzo secolo dopo la Palma d'Oro, Blow-Up di Michelangelo Antonioni in edizione restaurata e sponsorizzata da un pool internazionale [...]. Allegoria esistenziale sull'indecifrabilità del reale (per quanti ingrandimenti della foto effettui, Thomas non decifra il mistero), Blow-Up è anche un film "epocale", dove gli storici della contemporaneità potrebbero studiare vezzi e vizi degli anni Sessanta. Indimenticabile la sequenza forale, con la partita a tennis immaginaria.[13]

Note[modifica]

  1. Da Argento rosso sangue, la Repubblica, 2 febbraio 1996.
  2. Da La 'Piovra' continua e non ci annoia, la Repubblica, 3 febbraio 1996.
  3. Da Al cinema insegnare è una vera vocazione, la Repubblica, 27 dicembre 1997, p. 38.
  4. Da Cameron Diaz, amabile e scorretta, Repubblica.it, 17 ottobre 1998.
  5. Da La storia comincia con sei miliardi..., la Repubblica, 17 settembre 1999, p. 50.
  6. Da Dracula? Lo trovi in discoteca, la Repubblica, 11 marzo 2001.
  7. Da Quanti brividi: c'è Jodie in trappola, repubblica.it, 26 aprile 2002.
  8. Da Colpo grosso con cast ma il guadagno è misero, la Repubblica, 12 luglio 2003.
  9. Da McDowell, un killer orfano del comunismo, Repubblica.it, 17 aprile 2004.
  10. Da la Repubblica, 18 novembre 2005; citato in Il vento del perdono - Rassegna stampa, mymovies.it.
  11. Da la Repubblica, 22 settembre 2006; citato in Dreamer - La strada per la vittoria - Rassegna stampa, mymovies.it.
  12. Da la Repubblica, 26 febbraio 2015; citato in Automata - Rassegna stampa, mymovies.it
  13. Da 'Blow-Up', dopo mezzosecolo torna il capolavoro di Antonioni, repubblica.it, 6 ottobre 2017.