Renzo Arbore

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Renzo Arbore

Lorenzo Arbore (1937 – vivente), attore, musicista, sceneggiatore e regista italiano.

Citazioni di Renzo Arbore[modifica]

  • Abbiamo campato di tormentoni! All'epoca esistevano solo nella pubblicità («Più bril del bril, non c'è che il Bril»), li abbiamo introdotti nel lessico comune: «Chiàppala! Chiàppala! Pà! Pà!» di Max Vinella, «Perché non sei venuttta? Bing!» del ragionier Affastellati. «Fangàla! Àssara 'ffangàla!» dello scalpellino arabo Malik Maluk. «Li pècuri! Li pècuri!» del Pastore abruzzese…[1]
  • Abbiamo dato il via a un tipo inedito di umorismo, che non era cabaret e non si poneva sulla scia dei maestri che tanto amavamo, come Totò o Walter Chiari. Un umorismo – dopo 50 anni lo posso affermare con un po' di presunzione – senza tempo. Non parlavamo mai di attualità, sapevamo che è caduca.[1]
  • Abbiamo inventato il varietà improvvisato: fino a quel momento si scrivevano pure le virgole. Merito della pigrizia di Gianni [Gianni Boncompagni]: «Non prendiamo neanche un appunto?». «No, gli americani improvvisano!». Credo che il segreto del successo di Alto gradimento siano stati la sintonia e le nostre buone vibrazioni. Good vibrations dico io, che vengo dai Beach Boys… [1]
  • Alfredo ha cominciato come autista di Gino Paoli, poi è arrivato alle vette di questa casa discografica. [...] Siccome ha una fantasia formidabile Alfredo, un umorismo curiosissimo eccetera, ho detto se ti stabilisci a Roma fatti vivo che facciamo una cosa insieme. E così l'abbiamo messo dentro il clan di Indietro tutta.[2]
  • Bracardi [Giorgio Bracardi] si vestiva da Dracula ed entrava negli altri studi dove erano in diretta, e noi dietro con la croce anti-vampiro…[1]
  • Ci sono concerti che si fanno per motivi commerciali e altri perché toccano il cuore.[3]
  • Cocciante ha inciso un brano intitolato «Quando finisce un amore», una composizione che con slancio e verità parla di quei momenti in cui si soffre per amore, quei momenti in cui viene l'inappetenza, il male alla bocca dello stomaco, l'insofferenza per tutto e tutti, l'impazienza che squilli il telefono con la speranza che sia il «lui» o la «lei» che sono il nostro unico interesse. È una canzone «giusta» che probabilmente non arriverà al grosso successo commerciale, ma che dimostra una felice vena nuova di Cocciante.[4]
  • Diciamoci la verità: la televisione ha due tipi di pubblico. Il mio criterio di distinzione è fra chi legge i giornali e chi, magari non per sua colpa, non li legge. Purtroppo vedo anche negli occhi di molti conduttori il vuoto pneumatico di chi i giornali li sfoglia solo dal parrucchiere.[5]
  • Dik Dik, un gruppo che conserva una sua dignità e la simpatia del pubblico.[4]
  • Divenuta in pochi anni una vedette, senza fortunatamente essere diventata diva. Mia Martini si è inserita tra le "grandi" della nostra canzone, avendo lottato con tenacia per arrivare, con passione per non tradire la musica che le piace.[4]
  • È proprio questo atteggiamento che mi colpì quando sentii le prime "cose" di un ragazzotto di Crotone che, con uno strano cappello, si divertiva a prendere in giro con le sue proprie canzoni con delle belle canzoni. Sembra un pensiero un po' scombussolato ma spero renda l'idea di quello che mi sembrò facesse 'sto ragazzotto di Crotone "intitolato" Rino Gaetano. Così cominciai a "batterlo" (linguaggio radiofonico d'epoca...) e a parlarne nelle rubrichette giornalistiche sui settimanali della stessa epoca. Mi entusiasmava ancora una volta che Gaetano inventasse "l'altra canzone", la canzone della canzone, che inseguisse le rime che per prime gli venivano in mente... (e perciò le più ispirate...). Che cantasse il tutto con facilità e leggerezza; perfino che Gaetano a qualcuno non piacesse; questo mi entusiasmava.[6]
  • Era per me doveroso portare alla luce la storia del jazz che affonda proprio qui in Sicilia le sue radici primordiali; Nick la Rocca fu uno dei pochi ad ottenere un considerevole successo ma sono decine e decine i nomi dei musicisti tutti siciliani che ne scrissero la storia.[7]
  • [Su Mario Marenco] Era troppo modesto. Oggi bisogna vendersi e Mario rifuggiva da tutto questo. Era un cavallo pazzo. Per me, Boncompagni e Frassica era il più grande, un vero intellettuale. All'Altra domenica, quando si congedava con quel saluto, "Waldheim", il nome di un politico austriaco. Poi le corrispondenze matte dal Tevere, quando spiegava che era stato ritrovato il moncherino di Muzio Scevola.[8]
  • Felicità è sapere che stai vivendo in serenità, che non hai debiti, che non hai problemi. È una condizione fortunata ma rarissima. Credo che questa sia la felicità. Quando la gente è serena dovrebbe dire: ecco, sono felice.[9]
  • Filogamo è l'unico personaggio che io abbia palesemente plagiato, un personaggio colto e garbato che è il contrario dei presentatori di oggi.[10]
  • Flauto d'oro, in arte Severino Gazzelloni, una delle nostre glorie nazionali insieme con gli spaghetti, la pizza napoletana e Rodolfo Valentino.[11]
  • Gaetano ha scritto alcune delle canzoni della memoria del nostro Paese. Sono importanti le canzoni della memoria, pensate, non so, Zazà, I papaveri alti alti sono canzoni della memoria che non hanno avuto un successo di vendita o chissà di che, però non vivono soltanto lo spazio di una moda, di un periodo, sono quelle che poi rimangano nella memoria collettiva, vengono tramandate per via orale.[12]
  • [Su Mina] [...] ha più anima della Streisand, più fantasia della Midler, più gusto e preparazione della Minnelli.[13]
  • Ho amato Giorgio Gaber anche per quel suo ragionare a teatro, successivamente, in musica, al fine di raccontare la vita in modo diverso; per cercare di migliorare la società anche attraverso canzoni che erano vere e proprie lezioni. Rimanevo proprio ammirato dai "messaggi" che riusciva a inserire in quelle canzoni, casomai scritte con Luporini: da "La libertà" fino a "Destra-Sinistra". C'è sempre stato da parte sua l'intento che la canzone dovesse soprattutto servire per migliorarsi e per migliorarci.[14]
  • Ho girato il mondo ma credo che soltanto in Italia poteva venire un'idea come questa: suonare dai balconi, aprire le finestre e intonare una canzone durante la crisi del Coronavirus.[15]
  • Il "mistero juke box" continua. Quale mistero? Ma diamine, quello di tutti noi, generazione "ragazzi del juke box" che, anche a distanza di trent'anni, ricchi di impianti hi-fi, piastre speciali, dischi compact, dischi laser, cassette "dat", telecomandi "chefannotuttocompresoservirtiuncaffèpiùomenocaricioasecondadelvolumedelsuonoedelbranoorchestratochestaiascoltando", e di ogni altro ritrovato "della scienza e della tecnica" (come si diceva una volta), ricchi appunto di tutto questo ancora non sappiamo spiegarci perché nel "juke box" la musica è semplicemente "più bella". Eppure è "più bella". Ho sempre pensato, per la verità, da "bastian contrario", quale mi picco di essere, che non è "anche l'occhio vuole la sua parte" come dicono superficialmente tutti, ma è "anche l'orecchio". L'occhio, infatti, non può "anche" volere la sua parte, semplicemente perché nel juke box la fa da padrone. Provate a non rimanere abbagliati e affascinati (e questo anche se collezionate raffinate consolles Luigi Quindici o mobili del Settecento veneziano) dalla "rutilanza" (sostantivo di "rutilante") dei colori spesso semoventi e altrettanto spesso cangianti delle plastichine, plastichette, plasticherie con cui è confezionato un juke box degli anni Quaranta. Provate a non rimanere incantati dalla "stellatività" (sostantivo di "stellato") di un juke box anni Cinquanta, o dalla meravigliosa "cromaturità" (sostantivo di "cromato", più efficace del pedestre "cromatura") di un juke box anni Sessanta. Provateci.[16]
  • Io mi ricordo un'aria per me bella, perché Chieti era un presepe con le luci basse, con le stradine, con la sistemazione della città che è una sistemazione bellissima, con le sue valli, con i belvedere, e quindi si girava questa città. Certo, c'era la guerra, c'era la luce che era scarsissima, anche nelle case. Noi bambini eravamo deputati a mangiare poco e a fare il burro con il latte. E poi improvvisamente, proprio in questa città, io vidi arrivare la libertà ed è un ricordo che conservo gelosamente.[17]
  • L'anticristo della canzone. Una bomba. L'innovatore. L'uomo a cui la musica italiana deve di più. [...] Mimmo è stato la Personalità Importante della nostra canzone, fece capire agli italiani degli anni '50 che ci poteva essere un'altra musica oltre a quella classica. [...] Lui cominciò. Da Mimmo venne tutto il resto. Fu l'uomo della rivoluzione, con lui saltarono gli schemi e gli altri non poterono far altro che adeguarsi. [...] Mimmo rappresentava il sentimento più alto dell'uomo del Sud. [...] Oddio, poi ci sono state alcune personalità interessanti, ma nessuno come Mimmo. Mai più! E non vedo in giro eredi.[18]
  • [Su Riccardo Cocciante] Lanciò con una certa fortuna una bella canzone intitolata «Poesia» ed è una speranza per la nostra musica leggera.[4]
  • Mario esordì come “poeta maledetto”: farfugliava versi strampalati («Tu sei un asino/ tu fai “i”/ tu fai “o”/ tu fai “i-o”») e si buttava dalla finestra… A un festival accanto a me c'era Giorgio Bracardi, che squittiva mentre cantava la Vanoni. «Perché fai 'sti versi?». «È un uccellaccio che ho creato, Scarpantibus». Lo invitai alla radio e presto diventò nostro co-autore, assieme a Mario.[1]
  • Napoli Signora è la Napoli nobilissima, quella dei grandi poeti, degli intellettuali, delle riviste, la Napoli borghese, messa da parte e di cui nessuno parla come invece accade per la Napoli popolare.[19]
  • Non sembra vero, ma il primo disco jazz inciso è opera proprio di italiani, in particolare siciliani. Grazie a loro e al melting pot, New Orleans è diventata la patria del jazz mondiale.[20]
  • Non sono in molti a ricordarlo ma tra grandi padri del jazz c'è un siciliano, Nick La Rocca. È una bellissima occasione per raccontare una storia che spesso viene dimenticata, quella di una comunità di coloni siciliani che hanno contribuito in maniera determinante alla nascita del jazz e al suo successo, personaggi come La Rocca, ma anche Louis Prima, Leon Roppolo, e negli anni seguenti Eddy Lang (il cui vero nome era Salvatore Massaro), Joe Venuti, Tony Scott e moltissimi altri. Ed è una storia bella e avvincente che ho raccontato in un documentario che ho realizzato con Riccardo Di Blasi, Da Palermo a New Orleans e che presenterò durante le giornate di questo festival a Trapani.[21]
  • Per sorridere nell'età in cui si sorride, tra i 16 e i 18 anni, dovevamo prendere per il naso qualcuno, alimentarci con trovate, burle. Avevamo in comune pure la vena surreale. Guai a essere banali! In questo, però, Marenco [Mario Marenco] batteva chiunque: spiazzava sempre. Lo spiegai a Fellini che tentò di scritturarlo come protagonista di La città delle donne: non lo puoi domare, fa il contrario di quello che vuoi tu.[1]
  • Pochi sanno che il 26 febbraio 1917, un musicista italiano di New Orleans incideva il primo disco al mondo nella storia del jazz. Era siciliano e si chiamava Nick La Rocca, con lui nella Original Dixieland Jazz band, la prima jazz band della storia, c'era un altro siciliano, Tony Sbarbaro, e dopo di loro ne sono arrivati tantissimi altri. È una realtà straordinaria che molti non conoscono, il contributo italiano al jazz è stato importantissimo e con questo racconto vogliamo portarlo di nuovo all'attenzione di tutti. Se dovessi dare una percentuale direi che scorre sangue italiano almeno nel 25% del jazz delle origini e degli anni successivi.[22]
  • Quando mi arrivò il disco di Rino Gaetano, io fui contentissimo perché trovai uno che era fuori ordinanza come me. In realtà erano anni in cui i cantautori erano impegnati, se non eri "impegnato" – una parola maledetta, maledettamente di moda – eri fuori dal giro e invece arrivò Rino Gaetano con queste sue canzoni apparentemente disimpegnate.[23]
  • Rino Gaetano scrive delle canzoni con un linguaggio particolare, colto, curato; una specie di poesia realistica in alcuni casi, simbolica in altri. A me piace di più quando urla «Tu, forse non essenzialmente tu», una canzone abbastanza disperata, aiutata da una bella melodia.[4]
  • Sono andato dai segretari dei partiti, fingendomi uno dei loro. Mi presentai da Almirante [Giorgio Almirante] in doppio petto (c'erano i fascisti in doppio petto) e fu facile: seguiva la trasmissione e amava la Sgarrambona, la presunta amante sedotta e abbandonata. «Ognuno di noi ha una Sgarrambona» sospirò.[1]
  • [Gli Squallor] Sono rimasti nella memoria della gente perché sono stati un fenomeno veramente originale.[24]

Da De Amicis, la musica e l'America: le letture di Renzo Arbore

Intervista su Wuz.it, 5 settembre 1997.

  • Il disco è ancora considerato un oggetto di svago, "superfluo". Il disco ha spesso, invece, la stessa nobiltà di un libro.
  • Mi piacciono i libri che narrano il "come eravamo", che raccontano gli anni nei quali ero un bambino povero come tutti gli italiani.
  • Trovo che la cultura italiana si sia sempre data la zappa sui piedi.

Da Ma quant'è furba la tv di oggi

Intervista di Franco Bagnasco, TV Sorrisi e Canzoni, n. 52, dicembre 2010; riportata su LoSpettacoloDeveContinuare.com.

  • Il talk show lo inventai io, non Costanzo: era il 1969, "Speciale per voi". Ho fatto il primo programma nostalgia: "Cari amici vicini e lontani". Mi presero per pazzo. Quanti ne vede oggi nei palinsesti?
  • Ma lo sa che cosa mi dà più fastidio della tv di oggi? Tra gossip, dibattiti a chi alza più la voce, dolore, è sempre una televisione contro qualcosa o qualcuno. La mia era una tv pro. E tricolore.
  • È una tv, scusi il termine non sostituibile, "paracula". Fatta da gente che in redazione studia la trovata che il giorno dopo possa strappare qualche titolo. Una tecnica giornalistica. Ci giocai anch'io...
  • [L'isola dei famosi] La guardo con interesse, in effetti. Per via della fame che esalta pregi e difetti delle persone.
  • [Roberto Saviano] Dimostra che un'altra tv è possibile. Ha proposto la sua verità. Certo, è la "sua", si obietterà. Ma in quegli occhi ho letto solo sincerità, non calcolo.
  • [La televisione] Ti chiamano per parlare dei Beatles e invitano a tradimento il fan dei Rolling Stones, per avere la lite.
  • Non sono contrario a un federalismo sano. Se invece vogliono dividere l'Italia, o turbarla, non ci sto. È un Paese unico.
  • [Sulle polemiche di alcuni musicisti partenopei riguardo l'iniziativa di Arbore di diffondere la canzone napoletana pur essendo di Foggia] C'è chi mi chiese di collaborare, e non accettai. Allora si vendicarono. Carosone disse: "È pecché nun l'hanne fatta loro, l'orchestra napulitana".

Da Renzo Arbore. "Io e Mariangela Melato, storia di una passione"

Intervista di Massimiliano Castellani, Avvenire.it, 9 maggio 2017.

  • [Su Mariangela Melato] Un talento multiforme. In ogni campo in cui si è cimentata è emersa la sua straordinaria creatività, perfino nella pittura.
  • Mariangela esprimeva sempre il meglio, in virtù di quell'eclettismo che ne fa una rarità assoluta nel nostro panorama artistico.
  • [Su Mariangela Melato] Nemmeno la Magnani era riuscita a conciliare cinema, teatro leggero e impegnato e televisione come ha fatto lei.
  • [Su Mariangela Melato] Non era una femminista militante. La sua missione è stata quella di dare volto e voce a personaggi femminili coraggiosi.

Citazioni su Renzo Arbore[modifica]

  • Arbore e Ricci appartengono a due universi artistici distanti: il primo privilegia l'improvvisazione, il secondo richiede perfezionismo. (Sergio Vastano)
  • Arbore. È il migliore. È il prototipo di come deve essere il presentatore, il conduttore. Non urla mai, non ricorre mai alle sguaiatezze. Non circuisce lo spettatore con violenze, sesso, cattivo gusto. Non usa mai spezie. Ha sempre il rispetto del pubblico. È intelligente, omnicomprensivo. Sfrutta meno degli altri i reconditi deteriori dell'umanità. (Ettore Bernabei)
  • Così, L'altra domenica diventa il gesto più radicale del «decentramento Rai», tanto invocato dai paragrafi della riforma. Arbore comincia a crearsi uno spazio tutto suo, fuori dalla routine e dall'avvilimento. Sul modello radiofonico del disc-jockey costruisce un nuovo ruolo che si potrebbe definire del media-jockey, e che consiste nel far convivere e trasformare in spettacolo, con garbate miscele e fulminanti spunti, i media più diversi: i filmati, i dischi, la diretta, i fumetti, il telefono, i sottofondi musicali. (Aldo Grasso)
  • È insopportabile. Non vuole mai rischiare nulla e poi critica gli altri. (Lucio Presta)
  • Io non posso sopportare che un signore nato a Foggia | porta Napoli nel mondo e la stampa lo incoraggia. (Federico Salvatore)

Note[modifica]

  1. a b c d e f g Dall'intervista di Maria Laura Giovagnini, Renzo Arbore: La nostra rivoluzione ad… “Alto gradimento”, IoDonna.it, 18 febbraio 2020.
  2. Dalla trasmissione televisiva Chi erano veramente gli Squallor, Chiambretti night, Italia 1, 7 aprile 2010.
  3. Citato in Arbore, tarantella in Piazza Rossa, Corriere della sera, 24 maggio 1996
  4. a b c d e Da Zona disco, Il Monello, n. 31, Casa Editrice Universo, 1974.
  5. Citato in Daniela Pasti, Arbore, mai più usa e getta, la Repubblica, 12 settembre 1993.
  6. Dal libretto della raccolta E cantavo le canzoni, RCA Italiana, 27 luglio 2010.
  7. Citato in Renzo Arbore racconta le radici del jazz, SiciliaInformazioni.com, 15 dicembre 2013.
  8. Da intervista di Silvia Fumarola, Renzo Arbore "Un genio assurdo, nemmeno Fellini riuscì a domarlo", la Repubblica, 18 marzo 2019, p.24.
  9. Citato in Gianni Bisiach, Inchiesta sulla felicità, Rizzoli, 1987
  10. Da È morto Nunzio Filogamo voce della Rai d'altri tempi. È stato uno dei più grandi innovatori della radio. Arbore: «E' l'unico personaggio che ho plagiato», repubblica.it, 24 gennaio 2002.
  11. Citato in Tanti quasi troppi, Zona disco, Il Monello, n. 17, 1975, Casa Editrice Universo.
  12. Dal programma televisivo Vite Straordinarie, Rete 4, 1 maggio 2010. Video disponibile su Youtube.com
  13. Dall'intervista di Maria Simonetti, Miti della musica: Mina secondo Arbore, L'espresso, 26 settembre 1996.
  14. Fra invidia e ammirazione; in Gaber, Giorgio, il Signor G. Raccontato da intellettuali, amici, artisti, a cura di Andrea Pedrinelli, Kowalski, Milano, 2008, p. 136. ISBN 978-88-7496-754-4
  15. Da intervista di Carlo Moretti, Arbore "Qui con la musica esorcizziamo la tristezza", la Repubblica, 14 marzo 2020, p. 5.
  16. Citato in Paolo ed Elisabetta De Angelis, Juke Boxes, Suppplemento al N. 5 di Collezionare Oggi, Edizioni Center TV, Milano, p. 4.
  17. Dall'intervista sul periodo in cui visse a Chieti durante la seconda guerra mondiale; citato in Max Franceschelli, La Guerra in Casa, Editrice Chieti, 2007.
  18. Dall'intervista di Laura Carassai, Anticristo della melodia. Arbore: gli bocciai «Meraviglioso», La Stampa, 8 agosto 1994, p. 5
  19. Citato in Arbore, La Capria e Napoli in un docufilm su Rai Storia, Cinemaitaliano.info, 27 settembre 2014.
  20. Citato in Arbore: Vi racconto come rinasce la mia amata New Orleans, Repubblica.it, 12 febbraio 2006.
  21. Citato in E Arbore celebra La Rocca Il siciliano padre del jazz, Repubblica.it, 17 agosto 2011.
  22. Citato in Renzo Arbore:"Il jazz parla anche italiano", Repubblica.it, 14 dicembre 2013.
  23. Dal programma televisivo Vite Straordinarie, Rete 4, 1 maggio 2010. Video disponibile su Youtube.com.
  24. Citato nel documentario di Carla Rinaldi e Michele Rossi, Gli Squallor, Compagnia Nuove Indye, 2013.

Film[modifica]

Voci correlate[modifica]

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