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Lev Trockij

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Lev Trockij nel 1920

Lev Trockij, pseudonimo di Lev Davidovič Bronštejn (1879 – 1940), politico e rivoluzionario russo.

Citazioni di Lev Trockij

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  • Alla fine di questa guerra io vedo un'Europa rigenerata non dai diplomatici, ma dal proletariato. La Repubblica federale europea – gli Stati Uniti d'Europa – è ciò che dovremo avere. L'autonomia nazionale non basta più. L'evoluzione economica richiede l'abolizione delle frontiere nazionali. Se l'Europa dovesse rimanere divisa in unità nazionali, l'imperialismo ricomincerà la sua opera. Solo una Repubblica federale europea potrà dare pace al mondo. [30 ottobre 1917][1]
  • Ci sono dei casi in cui lo sciopero può indebolire più gli operai che il loro diretto avversario. (dagli Scritti)
  • D'un tratto la guerra ci rivela che procediamo ancora a quattro zampe e che non siamo ancora usciti dal grembo dell'era barbarica della nostra storia. (da Le guerre balcaniche 1912-1913)
  • Dobbiamo porre fine una volta per tutte ai vaneggiamenti quacchero-papisti sulla santità della vita umana.[2]
  • Estirpare senza pietà i controrivoluzionari, rinchiudere i sospetti nei campi di concentramento. Gli imboscati saranno uccisi, a prescindere dai servizi resi in passato.[2]
  • Gli uomini hanno poca stima degli altri, ma non ne hanno molta neanche di se stessi. (da La mia vita)
  • Hitler si è forgiato insieme alla sua opera. Ha imparato per gradi, una tappa dopo l'altra, durante la lotta...[3]
  • Il mezzo non può essere giustificato che dal fine. Ma anche il fine abbisogna di una giustificazione.[4]
  • L'esecuzione dello zar e della sua famiglia era necessaria non solo per [...] infondere nel nemico un senso di disperazione, ma anche per far vedere che davanti a noi vi erano solo la vittoria totale o l'annientamento totale. (citato in AA.VV., Il libro della storia, traduzione di Roberto Sorgo, Gribaudo, 2018, p. 279. ISBN 9788858016572)
  • L'idea umanitaria moraleggiante è la più sterile di fronte al processo della storia.[5][6]
  • La burocrazia sovietica si è posta al di sopra di una classe che usciva appena dalla miseria e dalle tenebre e non aveva tradizioni di comando e di egemonia.[7]
  • La conquista del potere da parte del proletariato non conclude la rivoluzione, ma la apre soltanto.[7]
  • La fede senza lavoro è morta.[8]
  • La rivoluzione è una grande distruttrice di uomini e di caratteri. Consuma i valorosi e annienta i meno forti.[9][6]
  • La rivoluzione socialista comincia su basi nazionali, ma non può restare circoscritta entro questi confini.[7]
  • Nessuno è più superstizioso degli scettici. (da Letteratura e rivoluzione)[6]
  • Per sei anni i bisogni teorici del partito, diretto dal blocco del centro con la destra, sono stati soddisfatti unicamente con l'antitrotskismo: era il solo prodotto che esistesse in quantità illimitata e si potesse distribuire gratuitamente. (da La rivoluzione permanente)
  • Vladimir Il'ič non ha lasciato nessun "testamento", e lo stesso carattere dei suoi rapporti col partito, come il carattere del partito stesso, escludevano la possibilità di un tale "testamento". La stampa dell'emigrazione, la stampa estera borghese e quella menscevica di solito ricordano come "testamento" una lettera di Vladimir Ilic (tanto alterata da essere irriconoscibile) contenente consigli di carattere organizzativo. Il XIII Congresso ha esaminato con grande attenzione anche questa lettera, come tutte le altre, e ne ha tratto le conclusioni conformi alle condizioni e alle circostanze del momento. Qualsiasi chiacchiera sull'occultamento o sulla violazione del "testamento" è una maligna invenzione ed è interamente diretta contro l'effettiva volontà di Vladimir Ilic e gli interessi del partito da lui creato.[10]

Dal testamento politico

in I. Deutscher, Il Profeta esiliato, 2011. pp. 602-603.

  • Non ho bisogno di confutare ancora una volta le stupide e vili calunnie di Stalin e dei suoi agenti: non v'è una macchia sul mio onore rivoluzionario. Né direttamente né indirettamente non sono mai sceso ad accordi, o anche solo a trattative dietro le quinte, coi nemici della classe operaia. Migliaia d'oppositori di Stalin sono cadute vittime d'accuse analoghe, e non meno false. Le nuove generazioni rivoluzionarie ne riabiliteranno l'onore politico e tratteranno i giustizieri del Cremlino come si meritano.
  • Ringrazio con tutto il cuore, gli amici che mi sono stati fedeli nei momenti più difficili della mia vita. Non ne nomino nessuno in particolare, perché non posso nominarli tutti. Mi ritengo tuttavia nel giusto facendo un'eccezione per la mia compagna, Natalja Ivanova Sedova. Oltre alla felicità di essere un combattente per la causa socialista, il destino mi ha dato la felicità d'essere suo marito. Durante i circa quarant'anni di vita comune, ella è rimasta per me una sorgente inesauribile d'amore, di generosità e di tenerezza. Ha molto sofferto, soprattutto nell'ultimo periodo della nostra esistenza. Mi conforta tuttavia, almeno in parte, il fatto che abbia conosciuto anche giorni felici.
  • Per quarantatré anni della mia vita cosciente sono rimasto un rivoluzionario; per quarantadue ho lottato sotto la bandiera del marxismo. Se dovessi ricominciare tutto dapprincipio, cercherei naturalmente di evitare questo o quell'errore, ma il corso della mia vita resterebbe sostanzialmente immutato.
  • Quali che siano le circostanze della mia morte, io morirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fede nell'uomo e nel suo futuro mi dà, persino ora, una tale forza di resistenza che nessuna religione potrebbe mai darmi.
  • Morirò rivoluzionario, proletario, marxista, materialista dialettico e di conseguenza ateo convinto. La mia fede nell'avvenire comunista dell'umanità non è meno ardente, anzi è più salda oggi di quanto non fosse nella prima gioventù. Natascia si è appena avvicinata alla finestra che dà sul cortile, e l'ha aperta in modo che l'aria entri più liberamente nella mia stanza. Posso vedere la lucida striscia verde dell'erba ai piedi del muro, e il limpido cielo azzurro al disopra del muro, e sole dappertutto. La vita è bella. Invito le generazioni future a purificarla da ogni male, oppressione e violenza e a goderla a pieno.

La rivoluzione permanente

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La presente opera è dedicata a una questione che è strettamente connessa alla storia delle tre rivoluzioni russe[11], ma al tempo stesso le trascende. Nel corso degli ultimi anni, tale questione ha avuto una parte enorme nelle lotte interne del Partito comunista dell'Unione Sovietica; si è posta poi di fronte all'Internazionale comunista; ha avuto un peso decisivo nello sviluppo della rivoluzione cinese e ha determinato tutta una serie di decisioni estremamente gravi circa la lotta rivoluzionaria nei paesi dell'Oriente. Si tratta della teoria definita della «rivoluzione permanente», che secondo gli epigoni del leninismo (Stalin, Zinov'ev, Bucharin e altri) costituisce il peccato originale del «trotskismo».

Citazioni

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  • Nelle sue linee essenziali la teoria della rivoluzione permanente è stata da me formulata prima degli avvenimenti decisivi del 1905. La Russia si avviava verso una rivoluzione borghese. Tra i socialdemocratici russi di quell'epoca (allora si chiamavano tutti socialdemocratici) nessuno dubitava che si stesse andando appunto verso una rivoluzione borghese, cioè verso una rivoluzione determinata dalla contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive della società capitalistica e i sorpassati rapporti di classe e di stato ereditati dall'epoca della servitù e dal medioevo. [...].
    Ma la definizione del carattere borghese della rivoluzione non implicava necessariamente un pronostico sulle classi che avrebbero dovuto assolvere i compiti della rivoluzione democratica e sulle forme che avrebbero assunto i rapporti tra le classi. E proprio questo era il punto di partenza di tutti i problemi strategici fondamentali. (Introduzione, pp. 22-23)
  • Alla domanda di Plechanov se la nostra rivoluzione[12] fosse borghese o socialista, Kautsky rispondeva che non era più borghese, ma non era ancora socialista e costituiva quindi una specie di forma transitoria tra l'una e l'altra. (p. 63)

Storia della rivoluzione russa

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Nei primi due mesi del 1917 la Russia era ancora la monarchia dei Romanov. Otto mesi più tardi il timone era nelle mani dei bolscevichi, di quei bolscevichi che all'inizio dell'anno erano assai poco conosciuti e i cui dirigenti, nel momento della conquista del potere, erano ancora incriminati di alto tradimento. È difficile trovare nella storia un altro esempio di capovolgimento così brusco, soprattutto se si considera che riguarda un paese di centocinquanta milioni di abitanti. È chiaro che gli avvenimenti del 1917 – comunque possano essere giudicati – meritano di essere studiati.

Citazioni

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  • La caratteristica più incontestabile della rivoluzione è l'intervento diretto delle masse negli avvenimenti storici. Di solito è lo Stato, monarchico o democratico, a dominare la nazione: la storia è fatta dagli specialisti del mestiere: monarchi, ministri burocrati, parlamentari, giornalisti. Ma nei momenti cruciali, quando un ancien régime diventa insopportabile alle masse, le masse infrangono gli ostacoli che le separano dall'arena politica, rovesciano i loro rappresentanti tradizionali e con il loro intervento gettano le basi di un regime nuovo. (Prefazione, p. 9)
  • La caratteristica essenziale e più costante della storia della Russia è la lentezza dell'evoluzione del paese, con l'arretratezza economica, la struttura sociale primitiva, il basso livello culturale che da tale lentezza derivano. (p. 17)
  • La Russia occupava una posizione intermedia tra l'Europa e l'Asia non solo geograficamente, ma anche per la sua vita sociale e la sua storia. Si distingueva dall'Occidente europeo, ma differiva pure dall'Oriente asiatico, avvicinandosi, in periodi diversi, per diverse caratteristiche, ora all'uno ora all'altro. L'Oriente le aveva imposto il giogo dei Tartari che costituì un elemento importante nell'edificazione dello Stato russo. L'Occidente fu un nemico ancora più temibile, ma al tempo stesso un maestro. La Russia non ebbe la possibilità di conformarsi ai modelli dell'Oriente, perché dovette sempre adattarsi alla pressione militare ed economica dell'Occidente. (p. 18)
  • Sotto la pressione della più ricca Europa, lo Stato russo assorbiva una parte della ricchezza nazionale relativamente più considerevole che in Occidente e così non solo condannava le masse popolari a una duplice miseria, ma indeboliva anche le basi delle classi possidenti. Avendo tuttavia bisogno dell'appoggio di queste ultime, lo Stato stimolava e regolava la loro formazione. Come risultato, le classi privilegiate, burocratizzate, non poterono mai svilupparsi pienamente e quindi lo Stato russo si avvicinava sempre più ai regimi dispotici dell'Asia. (p. 20)
  • La scarsissima importanza delle città russe contribuì più di ogni altra cosa allo sviluppo di uno Stato di tipo asiatico ed escludeva in particolare la possibilità di una riforma religiosa, cioè di una sostituzione dell'ortodossia feudale e burocratica con una varietà più moderna di cristianesimo, adatta alle esigenze della società borghese. La lotta contro la chiesa di Stato non andò al di là della formazione di sette contadine, di cui quella dei Vecchi Credenti fu la più potente. (p. 22)
  • Plechanov, Aksel'rod, la Zasulič, Martov, seguiti da tutti i menscevichi, partivano dal punto di vista che in una rivoluzione borghese la funzione dirigente non poteva spettare che alla borghesia liberale, nella sua qualità di naturale pretendente al potere. Secondo questa schema, al partito del proletariato spettava la parte di ala sinistra del fronte democratico: la socialdemocrazia doveva appoggiare la borghesia liberale nella lotta contro la reazione, ma contemporaneamente doveva difendere gli interessi del proletariato contro la borghesia liberale. In altri termini, i menscevichi consideravano la rivoluzione borghese soprattutto come una riforma liberale e costituzionale. (p. 23)
  • Nicola II aveva avuto in eredità dai suoi antenati non solo un impero immenso, ma anche la rivoluzione. Essi non gli avevano lasciato alcuna qualità che lo rendesse atto a governare l'impero o solo una provincia o un distretto. Al flusso della storia, le cui ondate si avvicinavano sempre più alle porte del palazzo, l'ultimo dei Romanov contrapponeva una sorda indifferenza: sembrava che tra la sua mentalità e i suoi tempi si frapponesse una parete divisoria, sottile, ma assolutamente impenetrabile. (p. 70)
  • La sua personalità era, in fondo, caratterizzata da un'intima indifferenza, da una grande carenza di forza morale, da una scarsezza di impulsi volitivi. La maschera dell'indifferenza, che in certi ambienti viene chiamata «educazione», si confondeva naturalmente con il viso stesso di Nicola. (p. 71)
  • In realtà, Nicola si considerava un fallito. Il suo fatalismo non era che una forma di difesa passiva di fronte allo sviluppo storico, e si accompagnava all'arbitrio, meschino nei moventi psicologici, ma mostruoso nelle conseguenze. (p. 73)
  • [Sulla zarina Aleksandra] Per giustificare la sua nuova posizione, questa tedesca cercava di assimilare con fredda frenesia tutte le tradizioni e le suggestioni del Medioevo russo; il più misero e grossolano di tutti i Medioevi, in un periodo in cui il popolo faceva sforzi enormi per emanciparsi dalla propria barbarie medioevale. Questa principessa dell'Assia era letteralmente posseduta dal demonio dell'autocrazia: sollevatasi dal suo buco provinciale sino ai fastigi del dispotismo bizantino, non intendeva a nessun costo ridiscendere. Nella religione ortodossa aveva trovato una mistica e una magia adatte alla sua nuova sorte. (p. 76)
  • L'assassinio [di Rasputin] ebbe una funzione importantissima, ma non quella su cui avevano contato gli esecutori e gli ispiratori. Invece di attenuare la crisi, quest'atto l'aggravò. Dovunque si parlava dell'assassinio: nei palazzi, negli stati maggiori, nelle fabbriche e nelle isbe dei contadini. Una deduzione si imponeva: contro la camarilla lebbrosa gli stessi granduchi non avevano altre risorse che il veleno e la pistola. Il poeta Blok ha scritto a proposito dell'assassinio di Rasputin: «La pallottola che lo finì, colpì direttamente al cuore la dinastia regnante». (p. 95)
  • Se manca una democrazia borghese in grado di porsi alla testa della rivoluzione? Allora bisogna inventarla. È quello che fanno i menscevichi. Creano la democrazia borghese, le sue qualità e la sua storia nella loro immaginazione. (pp. 98-99)
  • Sarebbe assurdo affermare che lo zarismo non fece mai concessioni, in nessuna circostanza. Cedette tutte le volte che fu costretto dalle sue esigenze di conservazione. Dopo la disastrosa guerra di Crimea, Alessandro II procedette a una semiemancipazione dei contadini e a un certo numero di riforme liberali sul piano degli zemstvo, dei tribunali, della stampa, dell'istruzione ecc. Lo zar stesso precisò la linea ispiratrice delle sue riforme: emancipare i contadini dall'alto per evitare che si emancipassero dal basso. (pp. 117-118)
  • Hilferding e Kautsky in Germania, Max Adler in Austria proponevano di «combinare» la democrazia con il sistema sovietico, inserendo i soviet nella costituzione. Sarebbe stato come trasformare la guerra civile, potenziale o effettiva, in una componente del regime costituzionale. Non è possibile immaginare un'utopia più curiosa. (p. 240)
  • Postosi alla testa della sinistra dei menscevichi che non riuscì ad assumere una funzione di benché minima importanza nella rivoluzione, Martov, rimase all'opposizione contro la politica di Tseretelli-Dan, ostacolando al tempo stesso il riavvicinamento tra i menscevichi di sinistra e i bolscevichi. [...]. La frazione di Martov, pur senza aver lasciato il partito, non aveva un suo giornale dato che non aveva una politica. Come sempre nei grandi avvenimenti storici, Martov aveva irrimediabilmente perduto la testa e non aveva più nessuna consistenza. Nel 1917 come nel 1905, la rivoluzione si accorse appena dell'esistenza di quest'uomo pur notevole. (pp. 253-254)
  • Verklovsky, ministro della guerra di Kerensky, dichiarò più tardi a proposito di Kornilov che era un cuor di leone con una testa di montone. (pp. 278-279)
  • Bolscevico quasi dalla nascita stessa del bolscevismo, Kamenev, aveva sempre appartenuto all'ala destra del partito. Non privo di preparazione teorica e di fiuto politico, dotato di una grande esperienza di lotta frazionistica in Russia e di una scorta di osservazioni politiche fatte in Occidente, Kamenev afferrava le idee generali di Lenin meglio di altri bolscevichi, ma solo per interpretarle nel modo più pacifico possibile. Da lui non ci si poteva aspettare né indipendenza di decisione né iniziativa nell'azione. (p. 316)
  • Notevole propagandista, oratore, giornalista, non brillante ma riflessivo, Kamenev era particolarmente prezioso nelle trattative con altri partiti e anche come esploratore in altri ambienti sociali, anche se da simili escursioni ritornava sempre, per parte sua, con frammenti della mentalità propria di altri partiti. Queste caratteristiche di Kamenev erano così evidenti che quasi nessuno si sbagliava sulla sua fisionomia politica. (p. 316)
  • Se Kamenev era un propagandista volgarizzatore, Zinoviev era un agitatore e anzi, secondo l'espressione di Lenin, nient'altro che un agitatore. Per essere un dirigente, gli mancava troppo il senso di responsabilità: privo di disciplina interiore, il suo pensiero è del tutto incapace di svolgere un lavoro teorico e si dissolve nell'informe intuizione dell'agitatore. (pp. 328-329)
  • Grazie a un fiuto eccezionalmente acuto [Zinoviev] afferra sempre, a volo, le formule di cui ha bisogno, cioè quelle che possono avere la maggiore influenza tra le masse. E come giornalista, come oratore, resta sempre un agitatore, con la differenza che nei suoi articoli rivela soprattutto i suoi punti deboli, mentre nei discorsi prevalgono i suoi punti di forza. Molto più audace e sfrenato nell'agitazione di qualsiasi altro bolscevico, Zinoviev è capace ancor meno di Kamenev di prendere un'iniziativa rivoluzionaria. È indeciso come tutti i demagoghi. (p. 329)
  • A Rykov che ripeteva che il socialismo doveva venire dai paesi in cui l'industria era più sviluppata, Lenin dava una risposta semplice, ma esauriente: «Non si può dire chi comincerà, né chi finirà». (p. 349)
  • [...] il materialismo storico non ha niente in comune con il fatalismo. (p. 359)
  • Che cosa significavano dunque le assicurazioni di Kornilov che affermava di avere forze sufficienti per schiacciare i sediziosi? Niente, dimostravano solo la stoltezza del rispettabile generale. La sua leggerezza si manifesterà con tutta chiarezza nel mese di agosto, quando il cospiratore Kornilov farà marciare contro Pietrogrado truppe inesistenti. Kornilov cercava ancora di giudicare i contingenti militari secondo la composizione del comando. Il corpo degli ufficiali, nella sua maggioranza, era indubbiamente con lui, cioè era pronto a spezzare la schiena ai soviet con il pretesto di difendere il governo provvisorio. (p. 380)
  • Il congresso non osava colpire la Duma dell'impero e il Consiglio di Stato. L'oratore menscevico Bogdanov nascondeva la sua timidezza di fronte alla reazione dicendo che la Duma e il Consiglio di Stato, «dopo tutto, erano istituzioni morte, inesistenti». Martov, replicava con la sua causticità da polemista: «Bogdanov propone di considerare la Duma inesistente, ma di non attentare alla sua esistenza». (p. 472)
  • [...] Lunaciarsky, sempre pronto a lasciarsi influenzare dall'ambiente, capace di imporsi con il suo aspetto e con la sua voce, oratore eloquente, non molto sicuro, ma spesso insostituibile. (p. 569)
  • La formidabile esplosione della Comune stava al colpo di Stato del settembre 1870 come le giornate di giugno stavano alla rivoluzione del febbraio 1848. L'insurrezione di marzo del proletariato parigino non era niente affatto il risultato di un calcolo strategico. Derivò da una tragica combinazione di circostanze, completata da una di quelle provocazioni per cui la borghesia francese è così ingegnosa quando la paura stimola la sua perfida volontà. Contro i piani della cricca dirigente che cercava innanzi tutto di disarmare il popolo, gli operai intendevano assicurare la difesa di Parigi che per la prima volta volevano trasformare nella «loro» Parigi. (p. 616)
  • Con la Comune di Parigi, la protesta determinata da un riflesso del proletariato contro l'impostura della rivoluzione borghese giungeva per la prima volta al livello di una insurrezione proletaria, ma solo per riprecipitare immediatamente. (p. 616)
  • La zarina [Aleksandra] era spesso e apertamente accusata di spionaggio: anche nelle sfere di corte, la si riteneva responsabile dell'affondamento da parte dei tedeschi della nave su cui si recava in Russia il generale Kitchener. (p. 638)
  • Subito dopo essersi messo d'accordo con Alekseev, [Kerensky] entrava nella sala del palazzo d'inverno dove si ricevevano i giornalisti, e chiese loro di ritirare da tutti i giornali il proclama in cui si dichiarava Kornilov traditore. Quando, dalle risposte dei giornalisti, apparve chiaro che non era possibile farlo per ragioni tecniche, Kerensky esclamò: «Mi dispiace molto!». Questo piccolo episodio, riferito sui giornali del giorno dopo, mette in luce con vivezza incomparabile il personaggio del superarbitro della nazione definitivamente impigliato nella sua stessa rete. Kerensky era l'incarnazione così perfetta sia della democrazia sia della borghesia da essere contemporaneamente il più alto rappresentante dell'autorità statale e un cospiratore criminale di fronte alla stessa autorità. (p. 754)
  • Con interesse e con simpatia – e con indulgenza da parte degli elementi più formati – veniva ascoltato Lunaciarsky, oratore esperto che sapeva esporre convenientemente un avvenimento e una generalizzazione, che sapeva essere patetico e scherzoso, ma non pretendeva di guidare nessuno: egli stesso aveva bisogno di essere guidato. Via via che si avvicinava l'insurrezione, Lunaciarsky diveniva rapidamente più sbiadito. (pp. 967-968)
  • Cercando di basarsi sull'aforisma di Marx secondo cui nessun regime scompare dalla scena prima di aver esaurito tutte le sue possibilità, i menscevichi negavano che si potesse lottare per la dittatura del proletariato nella Russia arretrata in cui il capitalismo era ben lungi dall'esaurimento. (p. 1073)

La rivoluzione d'Ottobre ha gettato le basi di una nuova cultura; al servizio di tutti e per questo ha assunto immediatamente un significato internazionale. Anche se, per circostanze sfavorevoli e sotto i colpi del nemico il regime sovietico fosse rovesciato – ci sia permessa per un istante questa ipotesi – il segno incancellabile della rivoluzione d'Ottobre rimarrà egualmente su tutta l'evoluzione ulteriore dell'umanità.
Il linguaggio delle nazioni civili ha còlto due epoche nettamente diverse nello sviluppo della Russia. Se la cultura della nobiltà ha introdotto nel linguaggio universale barbarismi come zar, pogrom, nagaika[13], l'ottobre ha internazionalizzato parole come bolscevico, soviet e pjatiletka[14]. Questo basta a giustificare la rivoluzione proletaria, ammesso che abbia bisogno di una giustificazione.

Diario d'esilio. 1935

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7 febbraio 1935. Il diario non è una forma letteraria che mi piaccia in modo particolare: preferirei un quotidiano. Ma non ve n'è alcuno disponibile... Tagliato fuori dall'azione politica, mi vedo costretto a ripiegare su un surrogato del giornalismo qual è, appunto, un diario privato.

Citazioni

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  • Tutti i casi e le esperienze della vita si dispongono lungo quest'arco inesorabile dalla nascita alla tomba. Quest'arco costituisce la vita stessa. Senza quest'arco, non solo non ci sarebbe vecchiaia, ma neppur gioventù. La vecchiaia è «necessaria» perché possiede esperienza e saggezza. La gioventù, in fin dei conti, è cosi bella, appunto perché ci sono la vecchiaia e la morte. (27 marzo; p. 76)
  • La vita non è facile... Non la può vivere senza cadere nella prostrazione e nel cinismo chi non possiede una grande idea che lo sollevi al di sopra delle miserie personali, al di sopra della fragilità umana, al di sopra di ogni sorta di perfidie e di bassezze. (4 aprile; p. 96)
  • La vecchiaia è, fra tutte le cose che succedono a un uomo, la più inaspettata. (8 maggio; p. 139)

Citazioni su Lev Trockij

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  • A quella di Stalin si contrappone la figura di Trotzki. Trotzki è il tipico rivoluzionario romantico che ama l'effetto e che non si appagherebbe di esercitare il potere come una qualunque, sebbene altissima, occupazione. I rivoluzionari lo hanno stimato e amato come eroe delle barricate, come oratore dotato, capace d'infiammare e trascinare qualsiasi uditorio, abile nell'elettrizzare le masse ed i soldati. Ma dal punto di vista del disinteresse morale sembra discutibile, perché si lascia vincere dalla vanità e dall'ambizione, segno di un carattere instabile, incapace di unità e di perseveranza nell'azione, ciò che, al contrario, costituisce il privilegio di Stalin. (Waldemar Gurian)
  • Che io sappia, non c'è mai stato un altro marxista di prim'ordine per il quale la concezione marxista della storia derivata dall'idea hegeliana sostenga una parte così apertamente teleologica come nell'opera di Trotskij. (Edmund Wilson)
  • Come capo dell'armata rossa vittoriosa, e come travolgente oratore di folla, nonché brillante scrittore, Trotzki, che prima di aderire, nel 1917, al bolscevismo, era stato un socialista di sinistra indipendente, godeva infatti di molta popolarità. Gli mancavano, però, le attitudini alle manovre dietro le quinte, al raggruppamento di fazioni, all'intrigo, alla furbizia, che, soprattutto in una dittatura, in cui il dissenso aperto e la polemica politica pubblica sono proibiti, contavano più di tutto.
    Doti, se così si possono chiamare, che il segretario generale del partito, Stalin, aveva in sommo grado. (Leo Valiani)
  • Credo che le cose fondamentali su cui si basava Trockij fossero sbagliate; credo che il suo comportamento posteriore fu erroneo e negli ultimi tempi persino oscuro. E che i trotskisti non abbiano contribuito da nessuna parte al movimento rivoluzionario e dove hanno fatto di più, che era in Perù, insomma, hanno fallito perché i metodi erano sbagliati. (Che Guevara)
  • Dolorose sono state le misure prese contro Trotski e compagni, ma prevedibili. La stampa borghese che – al solito – vede «il duello Stalin – Trotski» non può capire ove sia la origine del conflitto, e non è in grado di vedere il «partito». In realtà il partito russo è passato attraverso ad una nuova difficile prova, e vi è passato bene. (Ruggero Grieco)
  • Lasciai il mio impermeabile sul tavolo, in modo tale che fossi in grado di rimuovere la piccozza che si trovava nella tasca. Decisi di non mancare la meravigliosa opportunità che si presentava. Il momento in cui Trockij cominciò a leggere l'articolo mi diede la chance, estrassi la piccozza dall'impermeabile, la strinsi in pugno e, con gli occhi chiusi, sferrai un colpo terrificante alla sua testa. (Ramón Mercader)
  • L'errore di Trotski consiste appunto nell'aver contrapposto se stesso al CC, nell'essersi creduto un superuomo, al di sopra del CC, delle sue leggi, delle sue decisioni, dando con ciò stesso, ad una certa parte del partito, il pretesto per svolgere un'attività tendente a minare la fiducia verso questo CC. (Iosif Stalin)
  • Mi ha fatto molto piacere leggere nell'autobiografia di Trockij che un uomo così ardentemente e pertinacemente occupato a rivoluzionare il mondo, aveva la nostalgia dei suoi libri: con gente con tali sentimenti non c'è mai da disperare… Mentre la peggiore diffidenza deve colpire coloro che si fanno una biblioteca per esigenza di parata, sono privi dell'intimo bisogno della meditazione, della lettura, della contemplazione di un libro. (Arrigo Cajumi)
  • Negli anni Trenta, Trockij era divenuto il più grande esperto mondiale della lotta anticomunista. Ancora oggi gli ideologi di destra attingono dalle opere di Trockij gli strumenti di provocazione contro l'Unione Sovietica di Stalin. (Ludo Martens)
  • Trozki è il tipo netto del freddo calcolatore politico, non legato ad alcun pregiudizio di teoria, pronto a capir il momento e adattarvi mentalità, gesti e parole, opportunista, passionale, con una più prepotente parte di "io" da far valere. (Virginio Gayda)
  • Trockij era diventato il portavoce più abietto di tutte le forze retrograde, antisocialiste, fasciste. (Ludo Martens)
  • In questi libri [radicali], scritti con uno stile molto nobile ed elevato, Trotsky trovò un canale comune per molte delle corrente prevalenti nella sua natura. Senza offendere il suo duro senso della realtà, gli offrivano un ideale. Gli offrivano il mondo come campo per quell'istinto vero, il «mettere le cose a posto», che era così forte in lui. C'è un'incredibile serietà nelle persone che considerano la religione triviale. E questi libri mostrarono a Trotsky come avrebbe potuto vivere la vita seriamente con uno scopo che fosse più grande di lui, della sua sopravvivenza quotidiana e del suo vestire bene. Gli mostrarono la gloria dell'avventura e del progresso umano. E gli diedero un sostegno in quei sentimenti particolarmente forti di simpatia sociale e rivolta che aveva portato con sé dall'infanzia.
  • Penso che siano forse le scelte, più che le decisioni, che Trotsky trova difficili. Come tutti gli uomini dotati del dono della comprensione, come anche della realizzazione, trova difficile fare un passo che determinerà la corrente dei propri sentimenti.
  • Un'attitudine fulminante per la matematica, un'immaginazione costruttiva instancabile, una personalità adatta al comando; e poi un padre con molta terra, molti soldi e una monumentale ambizione da costruire: è davvero un miracolo che Trotsky non divenne un ingegnere.
  • È impossibile discutere con Trotski sul merito della questione, perché Trotski non ha alcuna opinione. Possiamo e dobbiamo discutere con i liquidatori e gli otzovisti confermati, ma non serve a nulla discutere con un uomo il cui gioco consiste nel nascondere gli errori di entrambe queste tendenze; nel suo caso la cosa da fare è smascherarlo come un diplomatico di infimo livello.
  • La sporca campagna di Trotski contro la Pravda è una massa di bugie e calunnie... Questo intrigante e liquidatore continua a mentire a destra e a manca.
  • Trotski non ha mai avuto un'opinione ferma su nessuna questione importante del marxismo. Riesce sempre a inserirsi nelle fessure di una determinata divergenza di opinioni e ad abbandonare una parte per l'altra. In questo momento è in compagnia dei bundisti e dei liquidatori. E questi signori non fanno le cerimonie quando si tratta del Partito.
  • Trotski si comporta come uno spregevole carrierista e fazionalista del tipo Ryazanov-and-co. O l'uguaglianza nel comitato di redazione, la subordinazione al comitato centrale e il trasferimento a Parigi di nessuno, tranne di Trotski (il furfante, vuole "sistemare" l'intera banda di furfanti della "Pravda" a nostre spese!) - o una rottura con questo imbroglione e una sua denuncia al CO. Egli si impegna a parole per il Partito e si comporta peggio di tutti gli altri fazionari.
  • Non è tutt'oro quel che riluce. Le frasi di Trotsky sono molto luccicanti e sonore, ma non hanno contenuto.

Note

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  1. Citato in John Reed, I dieci giorni che sconvolsero il mondo: La cronaca della Rivoluzione d'Ottobre in presa diretta, traduzione di Marco Amante, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2012, cap. 3. ISBN 978-88-58-63067-9
  2. a b Citato in AA.VV., Il libro della politica, traduzione di Sonia Sferzi, Gribaudo, 2018, p. 244. ISBN 9788858019429
  3. Da un reportage di Georges Simenon, 1933; citato in Simenon: «Scusi Trotskij, permette tre domande?», Corriere della Sera, 28 novembre 2003.
  4. Da La loro morale e la nostra, De Donato Editore, Bari 1967, p. 72; citato in Jean-Paul Sartre, Quaderni per una morale, a cura di Fabrizio Scanzio, Mimesis, Sesto San Giovanni, 2019.
  5. Da La mia vita.
  6. a b c Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  7. a b c Citato in Prima di morire – Appunti e note di lettura, Feltrinelli, 1998.
  8. Citato in Max Eastman, Il giovane Trotsky (1925), traduzione di Roberto Cruciani, Massari, 2006, p. 64. ISBN 8845702316
  9. Da La mia vita.
  10. Da A proposito del libro di Eastman – Dopo la morte di Lenin, Bolscevik, n. 16, 1º settembre 1925.
  11. Rivoluzione del 1905, del febbraio 1917 e del novembre 1917.
  12. La Rivoluzione del 1905.
  13. Frusta usata dai cosacchi.
  14. Piano quinquennale.

Bibliografia

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  • Lev Trockij, La rivoluzione permanente (Permanentnaja revoljucija), traduzione di Livio Maitan, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1975.
  • Lev Trockij, Storia della rivoluzione russa (Histoire de la révolution russe), traduzione di Livio Maitan, Sugar, Milano, 1964.
  • Lev Trockij, Diario d'esilio. 1935: l'angoscia di un rivoluzionario (Trotsky's Diary in Exile. 1935), traduzione di Bruno Maffi, il Saggiatore di Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1969.

Voci correlate

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