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Vittorio Alfieri

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Vittorio Alfieri nel 1794

Vittorio Amedeo Alfieri (1749 – 1803), drammaturgo, poeta e scrittore italiano.

Citazioni di Vittorio Alfieri

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Vittorio Alfieri in Le opere di Vittorio Alfieri, 1809
  • Agli infernali Dei | Con questo sangue il capo tuo consacro.[1]
  • Al giovenile | bollor tutto par lieve.[2]
  • Alto, devoto, mistico ingegnoso; | grato alla vista, all'ascoltar, soave; | di puri inni celesti armonioso | è il nostro Culto, amabilmente grave.[3]
  • Amar chi t'odia, ell'è impossibil cosa.[4]
  • Dalla paura di tutti nasce nella tirannide la viltà dei più.[5]
  • Dare e tôr quel che non s'ha | è una nuova abilità. | Chi dà fama? | I giornalisti. | Chi diffama? | I giornalisti. | Chi s'infama? | I giornalisti. | Ma chi sfama | i giornalisti? | Gli ozïosi, ignoranti, invidi, tristi.[6] [epigramma]
  • Ecco, a te rendo il sangue tuo; meglio era | Non darmel mai.[7]
  • Eccoli al teso canape schierati | con altri assai: ma in lor possanza alteri, | né badan pure a que' minor corsieri, | sol l'un l'altro emulando in vista irati.[8]
  • Far tacere un vecchio è cosa difficile. Far poi tacere un vecchio autore è cosa impossibile.[9]
  • Gli sia concesso il non vedervi almeno.[10]
  • Havvi tormento al mondo | che al mio s'agguagli?[11]
  • Il gran Prusso tiranno [Federico II di Prussia], al qual dan fama | Marte e Pallade a gara, or su la sponda | sta di Cocito, oltre alla cui negr'onda | fero Minosse ad alta voce il chiama. [...] | costui, macchiato di assoluto regno, | non può d'uomo usurpar nome, né loda; | ma, di non nascer re forse era degno.[12]
  • Io dico, e credo, e facile mi sarebbe il provare; che il libro è e deve essere la quintessenza del suo scrittore e che se non è tale, egli sarà cattivo, debole, volgare, di poca vita e di effetto nessuno.[13]
  • Messer lo Doge, ove non siate matto, | Accettate il baratto, | Che mi propon d'imporvi il Direttorio, | Con coscìenza candida d'avorio. | Voi ci darete un Erre, e noi due Kappa; | E, per giunta, staremvi in adjutorio. | Di sì sublime patto, | Udite almo Governo che ne scappa: | Scambio or vi diam, per l'ARistocrazìa, | La nostra santa KaKistocrazìa.[14]
  • Negri, vivaci, e in dolce fuoco ardenti | occhi, che date a un tempo e morte, e vita; | siate, ven prega l'alma mia smarrita, | per breve istante a balenar più lenti.[15]
  • Non perdo mai occasione d'imparare a morire; il più gran timor ch'io abbia della morte è di temerla.[16]
  • O gran padre Alighier...[17]
  • O Morte. Morte | Cui tanto invoco, al mio dolor tu sorda | Sempre sarai?[18]
  • Ove son leggi | tremar non dee chi leggi non infranse.[19]
  • Quando parla di sé ciascun mentisce [...].[20]
  • Sia pace ai frati | Purché sfratati: | E pace ai preti | Ma pochi e quieti: | Cardinalume | Non tolga lume: | Il maggior prete | Torni alla rete: | Leggi o non re, | L'Italia c'è.[21]
  • Solo, fra i mesti miei pensieri, in riva | al mar là dove il Tosco fiume ha foce, | con Fido il mio destrier pian pian men giva; | e muggían l'onde irate in suon feroce. || Quell'ermo lido, e il gran fragor mi empiva | il cuor (cui fiamma inestinguibil cuoce) | d'alta malinconia; ma grata, e priva | di quel suo pianger, che pur tanto nuoce. || Dolce oblio di mie pene e di me stesso | nella pacata fantasia piovea; | e senza affanno sospirava io spesso: || quella, ch'io sempre bramo, anco parea | cavalcando venirne a me dappresso... | Nullo error mai felice al par mi fea.[22]
  • Tirannide indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.[23]
  • Verace o finta, è da temersi sempre | pietà di plebe.[24]
  • Vuota insalubre regïon, che stato / Ti vai nomando.[25]

Attribuite

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  • Volli, sempre volli, fortissimamente volli.[26]
    • La citazione corretta è: «Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli».[27]

Agamennone

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Egisto: A che m'insegni, o sanguinosa, irata | Dell'inulto mio padre orribil ombra? | Lasciami,... va;... cessa, o Tieste; vanne, | Le Stige rive ad abitar ritorna. ! Tutte ho in sen le tue furie; entro mie vene | Scorre pur troppo il sangue tuo; | d'infame | Incesto, il so, nato al delitto, io sono; | Né, ch'io ti veggia, a rimembrarlo è d'uopo; | So che da Troja vincitor superbo | Riede carco di gloria in Argo Atride . | Io qui l'aspetto, entro sua reggia: ei torni; | Sarà il trionfo suo breve, tel giuro. | Vendetta è guida ai passi miei: vendetta | Intorno al cor mi suona; il tempo | Se n'appressa; l'avrai: Tieste, | avrai | Vittime qui più d'una; a gorghi il sangue | D'Atréo berai.

Citazioni

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  • Clitennestra: Re vincitor non serba odio a nemico | Di cui non teme. (atto I, scena II, vv. 54-55, p. 17)
  • Clitennestra: So che il padre t'è caro: amassi tanto | la madre tu!
    Elettra: non ch'io pianger ti vegga, | Né cangiar pur veggo il tuo aspetto? O madre, | Lo amassi tu quant'io!...(atto I, scena II, vv. 179-184, p. 32-33)
  • Elettra: Troppo ad un empio è un giorno. (atto II, scena II, v. 158, p. 58)
  • Elettra: Mel credi, | ad uom, che aspetta forse il loco e il tempo | di nuocer, lunga ell'è una notte; suole | velo ad ogni delitto esser la notte. (atto IV, scena III; p. 313)
  • Elettra: Dammi, dammi quel ferro. (V, 6)

Citazioni sull'opera

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  • L' Agamennone è una tragedia di pura passionalità e null'altro, e d'una passionalità che ora erompe con lo spiegamento brutale e selvaggio di sentimenti inferiori colpevoli o morbosi, ora s'effonde con lo spasimo dei reconditi travagli dell'anima, ora risuona con l'accento degli affetti soavi, generosi, miti. (Pasquale Leonetti)
  • L' Agamennone, nel teatro alfieriano, è completata da un'altra tragedia che ha gli stessi caratteri di orrore e di mistero e ne continua la vicenda. È l' Oreste, che l'autore chiama «gemella» dell' Agamennone, per averla, com'egli dice, ideata a un sol parto con questa. (Pasquale Leonetti)

Del principe e delle lettere

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La forza governa il mondo, (pur troppo!) e non il sapere: perciò chi lo regge, può e suole essere ignorante. Il principe dunque che protegge le lettere, per mera vanità e per ambizioso lusso le protegge. Si sa, che le imprese mediocri vengono a parer grandi in bocca degli eccellenti scrittori; quindi, chi grande non è per se stesso, ottimamente fa di cercare chi grande lo renda.

Citazioni

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  • L'Italia è dunque stata sotto tutti gli aspetti ciò che non sono finora mai state l'altre regioni del globo. E ciò attesta, che gli uomini suoi, considerati come semplici piante di più robusta tempra vi nasceano; e le piante, nello stesso terreno, rinascono pur sempre le stesse, ancorché per alcun tempo le disnaturi a forza il malvagio cultore. (da Del Principe e delle lettere, III, II, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 300)
  • Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare. (I, 8)
  • Montaigne, oltre lo stemma gentilizio, (che in quei tempi serviva ancora d'usbergo) dalle due tirannidi e principesca e pretesca si sottrasse anche dietro alla scorza del pirronismo, e di un certo molle faceto, che tutti i suoi scritti veramente filosofici avviluppa, senza punto contaminarli. (II, 9)
  • La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori, che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun'altra arme debbono adoperare, che le semplici parole. Perciò le religioni diverse, e la cieca obbedienza, si sono sempre insegnate coll'armi; ma la sana filosofia e i moderati governi, coi libri. (III, 10)

Filippo

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Isabella: Desio, timor, dubbia ed iniqua speme, | fuor del mio petto omai. – Consorte infida | io di Filippo, di Filippo il figlio | oso amar io?... Ma chi 'l vede, e non l'ama? | Ardito umano cor, nobil fierezza, | sublime ingegno, e in avvenenti spoglie |bellissim'alma; ah! perché tal ti fero | natura e il cielo?... Oimè! che dico? imprendo | così a strapparmi la sua dolce immago | dal cor profondo? Oh! se palese mai | fosse tal fiamma ad uom vivente! Oh! s'egli | ne sospettasse! Mesta ognor mi vede... | mesta, è vero, ma in un dal suo cospetto | fuggir mi vede; e sa che in bando è posta | da ispana reggia ogni letizia. In core | chi legger puommi? Ah! nol sapess'io, come | altri nol sa! così ingannar potessi, | sfuggir così me stessa, come altrui!... | Misera me! sollievo a me non resta | altro che il pianto; ed il pianto è delitto. – | Ma, riportare alle più interne stanze | vo' il dolor mio; più libera... Che veggio? | tradir potriami oh, ciel! sfuggasi.

Citazioni

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  • Carlo: In me pietà ti offende, | quando la tua mi è vita? (I, 2)
  • Carlo: Ah! scusa involontario sfogo | di un cor ripieno troppo: intera aprirti | l'alma pria d'or, mai nol potea...
    Isabella: Né aprirla | tu mai dovevi a me ; né udir...
    Carlo: T'arresta; | deh! se del mio dolore udito hai parte, | odilo tutto. A dir mi sforza...
    Isabella: Ah! taci; lasciami.
    Carlo: Ahi lasso! Io tacerò; ma, oh quanto | a dir mi resta! Ultima speme...
    Isabella: E quale | speme ha, che in te non sia delitto?
    Carlo: ... Speme,... | che tu non m'odi.
    Isabella: Odiarti deggio, e il sai,... | se amarmi ardisci. (I, 2)

La Congiura de' Pazzi

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Raimondo: Soffrire, ognor soffrire? altro consiglio | darmi, o padre, non sai? Ti sei tu fatto | schiavo or cosí, che del mediceo giogo | non senti il peso, e i gravi oltraggi, e il danno?
Guglielmo: Tutto appien sento, o figlio; e assai piú sento | il comun danno, che i privati oltraggi. | Ma pur, che far degg'io? ridotti a tale | ha il parteggiare i cittadin di Flora, | ch'ogni moto il piú lieve, a noi funesto, | fia propizio ai tiranni. Infermo stato, | cangiar nol puoi (pur troppo è ver!) che in peggio.

Citazioni

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  • Guglielmo: Alta vendetta, | d'alto silenzio è figlia. (I, 1)
  • Giuliano: Perché irritar chi giá obbedisce? Ottieni | altrimenti il tuo fine. È ver, del tutto | liberi mai non fur costor; ma servi | neppur di un solo. — Intorpidir dei pria |gli animi loro; il cor snervare affatto; | ogni dritto pensier svolger con arte; | spegner virtude (ove pur n'abbia), o farla | scherno alle genti; i men feroci averti | tra' famigliari; e i falsamente alteri | avvilire, onorandoli. Clemenza, | e patria, e gloria, e leggi, e cittadini | alto suonar; piú d'ogni cosa, uguale | fingerti a' tuoi minori. — Ecco i gran mezzi, | onde in ciascun si cangi a poco a poco | prima il pensar, poi gli usi, indi le leggi; | il modo poscia di chi regna; e in fine, | quel che riman solo a cangiarsi, il nome. (II, 1)
  • Lorenzo: Io non pretendo | amor da voi; mal fingereste; e nulla | io 'l curo: odiate, ma obbedite; ed anco | obbedendo, tremate. Or vanne, e narra | a codesto tuo finto picciol Bruto, | che il vero Bruto invan con Roma ei cadde. (II, 3)
  • Giuliano: Il voler tutto a un tempo, a un tempo spesso | fea perder tutto. Ogni periglio è dubbio; | né mai, chi ha regno, de' suoi schiavi in mente | lasciar cader pur dee, ch'altri il potrebbe | assalir mai. L'opiníon del volgo | che il nostro petto invulnerabil crede, | il nostro petto invulnerabil rende. (II, 4)

Misogallo

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Citazioni

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  • Gli odj di una Nazione contro l'altra, essendo stati pur sempre, né altro potendo essere che il necessario frutto dei danni vicendevolmente ricevuti, o temuti; non possono perciò esser mai, né ingiusti, né vili. Parte anzi preziosissima del paterno retaggio, questi odj soltanto hanno operato quei veri prodigj politici, che nell'Istorie poi tanto si ammirano. (Prosa prima, p. 11)
  • Nel dir Nazione, intendo una moltitudine d'uomini, per ragione di clima, di luogo, di costumi, e di lingua, tra loro diversi: ma non mai due Borghetti o Cittaduzze d'una stessa Provincia, che per essere gli uni pertinenza es. gr. di Genova gli altri del Piemonte, stoltamente adastiandosi, fanno coi loro piccioli inutili ed impolitici sforzi ridere e trionfare gli Elefanteschi lor comuni oppressori. (Prosa prima, nota 2, p. 11)
  • Insisto su questa unità dell'Italia, che la Natura ha sì ben comandata, dividendola con limiti pur tanto certi dal rimanente dell'Europa. Onde, per quanto si vadano aborrendo tra loro es. gr. i Genovesi e i Piemontesi, il dire tutti due , li manifesta entrambi per Italiani, e condanna il lor odio. E ancorché il Genovese innestandovi il C ne faccia il bastardume Scì, non si interpreta con tutto ciò codesto Scì per Francesismo, che troppo sconcia affirmativa sarebbe; e malgrado il C di troppo, i Genovesi per Italiani si ammettono. E nello stesso modo, es. gr. i Savojardi e i Francesi, dicendo tutti e due Oui, sono, e meritano d'essere una stessa Nazione. E qui per occasione, noterò alla sfuggita, che l'Oui e il non si son mai maritati. (Prosa prima, nota 3, p. 12)
  • Robespierre che parla] Una donzella forte, chiamata Carlotta Corday (che è stata il solo nostro Bruto) entrata nella ferma risoluzione di perder sè stessa per pure trucidar un tiranno, non si elesse perciò di trucidar me. Costei, più assai di coraggio che non di senno fornita, uccise nel bagno un vile fazioso, che per infermità già stava morendosi, un mio lodatore, e detrattore a vicenda, che io non amava, nè stimava, nè temea; ma che pure, se non veniva scannato dalla nostra Bruta, l'avrei fatto uccider io, come torbido, e fastidioso. (Prosa quinta. Dialogo fra il Re Luigi XVI e Robespierre)
  • Tutto fanno, e nulla sanno; | Tutto sanno, e nulla fanno: | Gira, volta, e' son Francesi; | Più li pesi, | Men ti danno. (VIII, 23 marzo 1793, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921)
  • Schiavi or siamo, sì; ma schiavi almen frementi. (XVIII)
  • Donna entro vi appar d'alta sembianza. | D'innocenza la nobile baldanza | Schernir le fa l'empie servili trame; | Regina sempre; è trono a lei lo strame, | Su cui giacente ogni uom più forte avanza. | Tremar veggio ivi i pallidi custodi; | E tremare i carnefici, che il segno | Stanno aspettando dai tremanti Erodi. | Vedova, e Madre strazïata, pregno | Di morte il cor, del tuo morir tu godi, | Donna, il cui minor danno è il tolto Regno. (XXIV)
  • Ahi fiacca Italia, d'indolenza ostello, | Cui niegan corpo i membri troppi e sparti, | Sorda e muta ti stai ritrosa al bello? (XXVII)
  • Giorno verrà, tornerà il giorno, in cui | Redivivi omai gl'Itali, staranno | In campo audaci, e non col ferro altrui | In vil difesa, ma dei Galli a danno. | Al forte fianco sproni ardenti dui, | Lor virtù prisca, ed i miei carmi, avranno: [...] Gli odo già dirmi: O Vate nostro, in pravi | Secoli nato, eppur create hai queste | Sublimi età, che profetando andavi. (Conclusione)

Oreste

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Elettra: Notte! funesta, atroce, orribil notte,
presente ognora al mio pensiero! ogni anno,
oggi ha due lustri, ritornar ti veggio
vestita d'atre tenebre di sangue;
eppur quel sangue, ch'espiar ti debbe,
finor non scorre. – Oh rimembranza! Oh vista!
Agamennón, misero padre! in queste
soglie svenato io ti vedea; svenato;
e per qual mano!

Citazioni

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  • Spesso è da forte, | più che il morire, il vivere. (IV, 2)
  • [...] a me chiedesti sangue: | e questo è sangue;... e sol per te il versai. (V, 13)

Citazioni sull'Oreste

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  • Il sipario si alza; ascolto attenta questi bei versi concisi e fermi che comprendo più facilmente della lingua parlata: è scultura greca e romana. Nei drammi di Alfieri, che chiamerei volentieri stoici, a forza di sobrietà nell'azione e di laconicità nel linguaggio, la commozione vi coglie, per così dire, senza che ve ne rendiate conto, s'impone a grandi tratti attraverso alcune figure che personificano con semplicità sentimenti eterni. Nell'Oreste, è prima di tutto Elettra che s'impossessa della nostra anima. Il suo lutto filiale, la sua angoscia incessante per un fratello che ritrova, ma che il trionfante assassino del loro padre cerca bramosamente e minaccia, sostengono l'azione fino al quarto Atto. Allora l'azione prorompe spaventosa e sublime; essa vi associa a tutti i combattimenti e a tutte le lacerazioni delle passioni umane: è come una mischia sconvolgente di istinti e dolori contrari [...] Questo quarto atto dell'Oreste di Alfieri è una delle cose più belle che abbia visto a teatro: ascoltandolo pensavo alle puerili dispute di scuola, alle ingiustizie e agli accecamenti reciproci dei due campi che rinchiudono il sublime in uno stampo arbitrariamente prescritto. Il sublime piomba su noi come un uccello divino; si abbatte dall'alto, ci rapisce sulle sue ali che fremono e planano; noi ci abbandoniamo alla sua imperiosa ascesa, incuranti della forma e del colore delle sue penne: così fece la folla quella sera. (Louise Colet)

Satire

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  • De' ceti tutti i vizj tutti; è questo | il patrimonio eccelso di vostr'arte; | ma non di alcun de' ceti aver l'onesto. | D'ogni città voi la più prava parte, | rei disertor delle paterne glebe: | vi appello io dunque in mie veraci carte | non Medio Ceto, no, ma Sesqui-plebe. (dalla satira quarta, La sesqui-plebe)
  • Bella Napoli, oh quanto, i primi dì! | Chiaja, e il Vesuvio, e Portici, e Toledo, | coi calessetti, che saettan lì; | e il gran chiasso e il gran moto, ch'io ci vedo, | d'altra vasta città finor digiuno, | fan sì che fuggon l'ore e non m'avvedo. | Ignoranti miei pari, assai più d'uno | la neghittosa Napoli men presta, | con cui l'ozio mio stupido accomuno. | Ma, sia pur bella, ha da finir la festa. | Al picchiar di Quaresima, mi trovo | tra un fascio di ganasce senza testa. (dalla satira nona, I viaggi)
  • Tali havvi ingiurie e audaci modi irsuti, | con cui può il Tristo al Buon far grave breccia, | né legge v'ha che incontro a ciò lo aiuti. | La sola spada ell'è che allora intreccia | una tal salutifera mistura, | che fa mite il Valor, muta la Feccia. | Ogni plebeo scrittor vuol far secura | sua pancia e il tergo, il düellar dannando: | ma di ciò scriva sol chi, da paura | sciolto, impugnò pria della penna il brando. (dalla satira decima, I duelli)

Saul

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David: Qui freno al corso, a cui tua man mi ha spinto, | Onnipossente Iddio, tu vuoi ch'io ponga? | Io qui starò. – Di Gelboè son questi | I monti, or campo, ad Israél, che a fronte | Sta dell'empia Filista. Ah! potessi oggi | Morte aver qui dall'inimico brando! | Ma, da Saùl deggio aspettarla. Ahi crudo | Sconoscente Saul! che il campion tuo | Vai perseguendo per caverne e balze, | Senza mai dargli tregua. E David pure | Era già un dì il tuo scudo; in me riposto | Ogni fidanza avevi; ad onor sommo | Tu m'innalzavi; alla tua figlia scelto | Io da te sposo... Ma, ben cento e cento | Nemiche teste, per maligna dote, | Tu mi chiedevi : e doppia messe appunto | Io teu recava...

Citazioni

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  • David: Meglio è morir, che trarre | Selvaggia vita in solitudin, dove | A niun sei caro, e di nessun ti cale. (atto I, scena IV, vv. 235-236, p. 31)
  • David: Quanto in rimirar le umane | Cose, diverso ha giovinezza il guardo, | Dalla canuta età! (atto II, scena I, vv. 12-13, p. 39)
  • David: Ma il sol già celasi; | Tace ogni zeffiro; | E in sonno placido | Sopito è il re. (III, 4)
  • Saul: Seggio è di sangue e d'empietade il trono. (IV, 3)
  • Saul: Profeta | De' danni miei, tu pur de' tuoi nol fosti. (IV, 4)
  • Saul: Sacerdoti crudeli, empj, assetati | Di sangue sempre. (IV, 4)

Citazioni sull'opera

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  • Il Saul fu creato dall'Alfieri attraverso una visione quale avrebbe potuto avere del personaggio lo Shakespeare, leggendo la Bibbia. L'anima artistica dell'Alfieri si rivela, rispetto alla concezione del protagonista della sua tragedia, in quella stessa posizione di artefice sereno e spassionato in cui ravvisiamo costantemente il genio del tragico inglese di fronte a tutte le sue creature. (Pasquale Leonetti)
  • L'Alfieri fu tutto conquiso dalla poesia delle pagine meravigliose dell'antico testo sacro, e sentì per istinto che l'espressione drammatica più alta che avrebbe potuto darle sarebbe stata il rappresentarla nella sua genuina essenza. Il Saul è perciò rispetto alla Bibbia come nessun'altra tragedia dell'Alfieri è rispetto alle sue fonti. (Pasquale Leonetti)

Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso

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Il parlare, e molto più lo scrivere di sé stesso, nasce senza alcun dubbio dal molto amor di sé stesso. Io dunque non voglio a questa mia Vita far precedere né deboli scuse, né false o illusorie ragioni, le quali non mi verrebbero a ogni modo punto credute da altri; e della mia futura veracità in questo mio scritto assai mal saggio darebbero. Io perciò ingenuamente confesso, che allo stendere la mia propria vita inducevami, misto forse ad alcune altre ragioni, ma vie più gagliarda d'ogni altra, l'amore di me medesimo; quel dono cioè, che la natura in maggiore o minor dose concede agli uomini tutti; ed in soverchia dose agli scrittori, principalissimamente poi ai poeti, od a quelli che tali si tengono. Ed è questo dono una preziosissima cosa; poiché da esso ogni alto operare dell'uomo proviene, allor quando all'amor di sé stesso congiunge una ragionata cognizione dei propri suoi mezzi, ed un illuminato trasporto pel vero ed il bello, che non son se non uno.

Citazioni

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  • Nella città d'Asti in Piemonte, il dì 17[28] di gennaio dell'anno 1749, io nacqui di nobili, agiati ed onesti parenti. (I, I; 1967)
  • Il nascere agiato mi fece libero e puro nè mi lasciò servire ad altri che al vero. (I, I; 1967)
  • Ripigliando dunque a parlare della mia primissima età, dico che di quella stupida vegetazione infantile non mi è rimasta altra memoria se non quella d'uno zio paterno, il quale avendo io tre in quattr'anni mi facea por ritto su un antico cassettone, e quivi molto accarezzandomi mi dava degli ottimi confetti. Io non mi ricordava più quasi punto di lui, né altro me n'era rimasto fuorch'egli portava certi scarponi riquadrati in punta. Molti anni dopo, la prima volta che mi vennero agli occhi certi stivali a tromba, che portano pure la scarpa quadrata a quel modo stesso dello zio morto già da gran tempo, né mai più veduto da me da che io aveva uso di ragione, la subitanea vista di quella forma di scarpe del tutto oramai disusata, mi richiamava ad un tratto tutte quelle sensazioni primitive ch'io avea provate già nel ricevere le carezze e i confetti dello zio, di cui i moti ed i modi, ed il sapore perfino dei confetti mi si riaffacciavano vivissimamente ed in un subito nella fantasia. (I, II; 1967)
  • [...] tutti gli amori dell'uomo, ancorché diversi, hanno lo stesso motore. (I, III; 1967)
  • Il rispetto delle altrui proprietà nasce e prospera prestissimo negli individui che ne posseggono alcune legittime loro. (I, IV; 1967)
  • Oh quanto è sottile, e invisibile quasi la differenza che passa fra il seme delle nostre virtù e dei nostri vizi! (I, V; 1967)
  • Onde io imparai sin da allora, che la vicendevole paura era quella che governava il mondo. (II, IV; 1967)
  • Allora imparai, che bisognava sempre parere di dare spontaneamente, quello che non si potea impedire d'esserti tolto. (II, VI; 1967)
  • E mi ricordo, tra l'altre, che nella Biblioteca Ambrosiana, datomi in mano dal bibliotecario non so più quale manoscritto autografo del Petrarca, da vero barbaro Allobrogo, lo buttai là, dicendo che non me n'importava nulla. (III, I; 1967)
  • [...] io mi ero subito ripurgata la pronunzia di quel nostro [dei piemontesi] orribile u lombardo, o francese, che sempre mi era spiaciuto moltissimo per quella sua magra articolazione, e per quella boccuccia che fanno le labbra di chi lo pronunzia, somiglianti in quell'atto moltissimo a quella risibile smorfia che fanno le scimmie, allorché favellano. E ancora adesso, benché di codesto u, da cinque e più anni ch'io sto in Francia ne abbia pieni e foderati gli orecchi, pure egli mi fa ridere ogni volta che ci bado; e massime nella recita teatrale, o camerale (che qui la recita è perpetua), dove sempre fra questi labbrucci contratti che paiono sempre soffiare su la minestra bollente, campeggia principalmente la parola nature. (III, I; 1967)
  • [...] dell'andare non mi saziava mai, ma immediatamente mi addolorava lo stare. (III, II; 1967)
  • Ma il libro dei libri per me, e che in quell'inverno mi fece veramente trascorrere dell'ore di rapimento e beate, fu Plutarco, le vite dei veri grandi. Ed alcune di quelle, come Timoleone, Cesare, Bruto, Pelopida, Catone, ed altre, sino a quattro e cinque volte le rilessi con un tale trasporto di grida, di pianti, e di furori pur anche, che chi fosse stato a sentirmi nella camera vicina mi avrebbe certamente tenuto per impazzato. All'udire certi gran tratti di quei sommi uomini, spessissimo io balzava in piedi agitatissimo, e fuori di me, e lagrime di dolore e di rabbia mi scaturivano dal vedermi nato in Piemonte ed in tempi e governi ove niuna alta cosa non si poteva né fare né dire, ed inutilmente appena forse ella si poteva sentire e pensare. (III, VII; 1967)
  • [...] una picciolezza ne fa due, e sempre poi si moltiplicano. (III, VII; 1967)
  • [Sui Saggi di Montaigne] Mi dilettavano ed instruivano, e non poco lusingavano anche la mia ignoranza e pigrizia, perché aperti cosí a caso, qual che si fosse il volume, lettane una pagina o due, lo richiudeva, ed assai ore poi su quelle due pagine sue io andava fantasticando del mio. (III, VIII; 1967)
  • Nella sua salvatica ruvidezza quello [la Finlandia] è un dei paesi d'Europa che mi siano andati più a genio, e destate più idee fantastiche, malinconiche, ed anche grandiose, per un certo vasto indefinibile silenzio che regna in quell'atmosfera, ove ti parrebbe quasi esser fuor del globo. (III, IX; 1967)
  • Ma non possedendo io allora nessuna lingua, e non mi sognando neppure di dovere né poter mai scrivere nessuna cosa né in prosa né in versi, io mi contentava di ruminar fra me stesso, e di piangere alle volte dirottamente senza saper di che, e nello stesso modo di ridere: due cose che, se non sono poi seguitate da scritto nessuno, son tenute per mera pazzia, e lo sono; se partoriscono scritti, si chiamano poesia, e lo sono. (III, XII; 1967)
  • Bisogna veramente che l'uomo muoia, perché altri possa appurare, ed ei stesso, il di lui giusto valore. (III, XIV; 1967)
  • Ed io sempre ho preferito originale anche tristo ad ottima copia. (III, XII; 1967)
  • [...] il sommo diletto dei poeti non si può mai estrarre, finché si combatte coll'intenderli. (IV, I; 1967)
  • Chi molto legge prima di comporre, ruba senza avvedersene, e perde l'originalità, se l'avea. (IV, II; 1967)
  • L'estate è la mia stagion favorita; e tanto più mi si confà, quanto più eccessiva riesce [...]. (IV, VII; 1967)
  • [...] mai si può veramente ben conoscere il pregio e l'utilità d'un amico verace, quanto nel dolore. (IV, X; 1967)
  • [...] ella [la lingua italiana] ha ben denti, ed ugne, e saette, e feroce brevità, quanto e più ch'altra lingua mai l'abbia, o le avesse. (IV, XI; 1967)
  • Il fanatismo ebdomadario di quel poco tempo ch'io mi vi trattenni [a Parigi], era allora il pallon volante; e vidi due delle prime e più felici esperienze delle due sorti di esso, l'uno di aria rarefatta ripieno; l'altro, d'aria infiammabile ed entrambi portanti per aria due persone ciascuno. Spettacolo grandioso e mirabile; tema più assai poetico che storico, e scoperta, a cui per ottenere il titolo di sublime, altro non manca finora che la possibilità o verisimiglianza di essere adattata ad una qualche utilità. (IV, XII; 1967)
  • [...] l'aver con chi piangere menoma il pianto d'assai. (IV, XIV; 1967)
  • [...] mi ritrovai perciò nell'aprile una fierissima podagra a ridosso, la quale m'inchiodò per la prima volta in letto, e mi vi tenne immobile e addoloratissimo per quindici giorni almeno, e pose così una spiacevole interruzione ai miei studi sì caldamente avviati. (IV, XVI; 1967)

E così affibbiatomi questo nuovo ordine, che meritatolmi o no, sarà a ogni modo l'invenzione ben mia, s'egli non ispetterà a me, l'imparziale posterità lo assegnerà poi ad altri che più di me se lo sia meritato. A rivederci, o lettore, se pur ci rivedremo, quando io barbogio, sragionerò anche meglio, che fatto non ho in questo capitolo ultimo della mia agonizzante virilità.

Incipit di alcune opere

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Agide

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Anfar: Ecco, or di nuovo sul regal tuo seggio stai, Leonida, assiso. Intera Sparta, o d'essa almen la miglior parte, i veri maturi savj, e gli amator dell'almo pubblico bene, a te rivolti han gli occhi, per ottener dei lunghi affanni pace.
Leon: Di Sparta il re non io perciò mi estimo, finché rimane Agide in vita. Ei vive non pur, ma ei regna in cor de' molti. Asilo gli è questo tempio, il cui vicino foro empie ogni dí tumultuante ardita plebe, che re lo vuol pur anco, e in trono un'altra volta a me compagno il grida.

Tragedie, edizione 1866

Bruto primo

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Collatino Dove, deh! dove, a forza trarmi, o Bruto,
teco vuoi tu? Rendimi, or via, mel rendi
quel mio pugnal, che dell'amato sangue
gronda pur anco... Entro al mio petto...

Bruto Ah! pria
questo ferro, omai sacro, ad altri in petto
immergerassi, io 'l giuro. – Agli occhi intanto
di Roma intera, in questo foro, è d'uopo
che intero scoppi e il tuo dolore immenso,
ed il furor mio giusto.

Bruto secondo

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Cesare Padri illustri, a consesso oggi vi appella
il dittator di Roma. È ver, che rade
volte adunovvi Cesare: ma soli
n'eran cagione i miei nemici e vostri,
che depor mai non mi lasciavan l'armi,
se prima io ratto infaticabilmente
a debellargli appien dal Nilo al Beti
non trascorrea. Ma al fin, concesso viemmi,
ciò che bramai sovra ogni cosa io sempre,
giovarmi in Roma del romano senno;
e, ridonata pria Roma a se stessa,
consultarne con voi.

Della tirannide

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ALLA LIBERTÀ
Soglionsi per lo più i libri dedicare alle persone potenti, perché gli autori credono ritrarne chi lustro, chi protezione, chi mercede. Non sono, o DIVINA LIBERTÀ, spente affatto in tutti i moderni cuori le tue cocenti faville: molti ne'loro scritti vanno or qua or là tasteggiando alcuni dei tuoi più sacri e più infranti diritti. Ma quelle carte, ai di cui autori altro non manca che il pienamente e fortemente volere, portano spesso in fronte il nome o di un principe, o di alcun suo satellite; e ad ogni modo pur sempre, di un qualche tuo fierissimo naturale nemico. Quindi non è meraviglia, se tu disdegni finora di volgere benigno il tuo sguardo ai moderni popoli, e di favorire in quelle contaminate carte alcune poche verità avviluppate dal timore fra sensi oscuri ed ambigui, ed inorpellate dall'adulazione.

La virtù sconosciuta

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DIALOGO
INTERLOCUTORI: FRANCESCO GORI, VITTORIO ALFIERI

VITTORIO
Qual voce, quale improvvisa e viva voce dal profondo sonno mi appella e mi trae? Ma, che veggio? al fosco e muto ardere della notturna mia lampada un raggiante infuocato chiarore si è aggiunto! Soavissimo odore per tutta la cameretta diffondesi... Son io, son io ben desto, o in dolce sogno rapito?

FRANCESCO
E che? non conosci la voce, l'aspetto non vedi del già dolce tuo amico del cuore, e dell'animo?

Mirra

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Cecri.

Vieni, o fida Euriclèa: sorge ora appena
l'alba; e sì tosto a me venir non suole
il mio consorte. Or, della figlia nostra
misera tanto, a me narrar puoi tutto.
Già l'afflitto tuo volto, e i mal repressi
tuoi sospiri, mi annunziano...

Euriclea.

Oh regina!...
Mirra infelice, strascìna una vita
peggio assai d'ogni morte. Al re non oso
pinger suo stato orribile: mal puote
un padre intender di donzella il pianto;
tu madre, il puoi. Quindi a te vengo; e prego,
che udir mi vogli.

Ottavia

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Seneca: Signor del mondo, a te che manca?
Nerone: Pace.
Seneca: L'avrai, se ad altri non la togli.

Sofonisba

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Siface fra centurioni romani: Finché rieda Scipione, almen lasciarmi con me stesso potreste.—Il piè, la destra, gravi ha di ferro; al roman campo in mezzo Siface stassi; ogni fuggir gli è tolto: gli sia concesso il non vedervi, almeno.

Citazioni su Vittorio Alfieri

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  • Alfieri esuberantemente stufo prese la immutabile risoluzione di rompere ogni non degno legame, e per togliersi occasione ai ma' passi si tagliò le ricche e lunghe chiome, affinché, siccome il decoro non permetteva allora a nobil uomo di mostrarsi in sì umile assetto quasi di servo tosato, più non potesse uscir di casa e giunse a tale di farsi legare sulla sedia per obbligarsi alla applicazione della mente. (Felice Daneo)
  • Come è noto, l'Alfieri ha mentito moltissimo, nel raccontare agli sbalorditi contemporanei la storia della sua vita. Mentì per quel dispotismo contro se stesso che dimostrò, per esempio, nel modo con cui si dette a creare un suo linguaggio e si costrinse tirannicamente a diventar poeta – aveva finito per trovare una severa forma di grandezza in cui imprimere a viva forza la sua vita e la sua memoria: deve esserci stato non poco tormento in tutto questo. – Non presterei fede alcuna neppure a una biografia di Platone, scritta da lui medesimo: così come non credo a quella di Rousseau o alla vita nuova di Dante. (Friedrich Nietzsche)
  • Da te fino a quest'ora uom non è sorto, | o sventurato ingegno, | pari all'italo nome, altro ch'un solo, | solo di sua codarda etate indegno, | allobrogo feroce, a cui dal polo | maschia virtù, non già da questa mia | stanca ed arida terra, | venne nel petto; onde privato, inerme | (memorando ardimento!) in su la scena | mosse guerra a' tiranni: almen si dia | questa misera guerra | e questo vano campo all'ire inferme | del mondo. Ei primo e sol dentro all'arena | scese, e nullo il seguì, che l'ozio e il brutto | silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto. || Disdegnando e fremendo, immacolata | trasse la vita intera, | e morte lo scampò dal veder peggio. | Vittorio mio, questa per te non era | età né suolo. Altri anni ed altro seggio | conviene agli alti ingegni. (Giacomo Leopardi)
  • E a questi marmi | venne spesso Vittorio ad ispirarsi, | irato a' patrii Numi; errava muto | ove Arno è più deserto, i campi e il cielo | desîoso mirando; e poi che nullo | vivente aspetto gli molcea la cura, | qui posava l'austero; e avea sul volto | il pallor della morte e la speranza. | Con questi grandi abita eterno: e l'ossa | fremono amor di patria. (Ugo Foscolo)
  • E tu nemica | La sorte avesti pur: ma ti rimbomba | Fama che cresce e un dì fia detta antica. (Giacomo Leopardi)
  • Fu pietoso figlio, ottimo fratello, sviscerato amico, uomo veramente libero, filosofo in pensieri, in parole, ed in opere: altamente sdegnoso senza essere incivile, fiero senza essere inumano, grave senza vero, appassionato senza essere sragionevole. Fu ancora il solo nel suo secolo che conoscendo la sovrana dignità dello scrittore, non vendé né profanò mai i suoi lucidissimi inchiostri; anzi li consacrò costantemente alla verità, alla virtù, alla gloria. L'alta carica a cui ambì, fu quella di tribuno del genere umano: il colore delle spoglie di cui si addobbò, fu il bruno, perché comprendeva, sentiva, diceva di esser morto il buon senso. Onde stette, e starà in mezzo al fremito degli aquiloni,

    Come torre in alto valor fondata e salda. (Francesco Lomonaco)

  • Il Foscolo non aveva attitudini alla tragedia, perché di temperamento troppo soggettivo e, aggiungo, sentimentale, mancandogli anche quella potenza, che direi condensatrice, tutta propria dell'Alfieri, che riusciva talvolta a imporre sulla scena almeno un colosso fra schematiche larve. Ma il carattere dell'Alfieri era d'un uomo tutto di un pezzo e non lo rodevano intimi dissidii di pensiero. Alfieri era un grande uomo semplice e moveva in buona fede e seriamente dalla scena «guerra ai tiranni» . Anche se poi, come acutamente osservò il Croce, finisce per ammirarli[29]. (Giuseppe Citanna)
  • In Santa Croce di Firenze il monumento erettogli dalla nobile e generosa straniera [Luisa di Stolberg-Gedern, contessa d'Albany] fa ricordare, che nel natio suo paese non fu ancora onorato di marmoreo o metallico monumento. Basterebbe quest'uomo ad elevare l'Italia su tutte le altre nazioni. (Francesco Regli)
  • L'Alfieri, anche se si tenne lontano da ogni forma di religione rivelata, pur riconoscendo in qualche momento le suggestion e le risonanze emotive del culto cattolico, in tutta la sua vita e in tutta la sua opera fu sorretto da un'alta idealità, ossia da costante amore «del vero e del retto», da un senso elevato dell'eroico e da quella religione della libertà che fu il fondamento del liberalismo e del romanticismo europeo. (Bruno Maier)
  • La tragedia alfieriana infiammò il sentimento politico e patriottico, accelerò la formazione d'una coscienza nazionale, ristabilì la serietà d'un mondo interiore nella vita e nell'arte. (Francesco De Sanctis)
  • Nella sua non lunga esistenza (morì a cinquantaquattr'anni) non smentì mai questo eccezionale impasto di potenze spirituali che costituisce il suo carattere, e lo dimostrano le vicende biografiche che egli stesso rievocò nella Vita con una forza di sincerità che riesce talora eccessiva, ma che dà esatta la misura spirituale dell'uomo. (Pasquale Leonetti)
  • Noi leggiamo Alfieri con amore perché egli adagia le proprie passioni in un'età e su di alcuni eroi che sopportano il duro pondo, ma se egli avesse dovuto tragediare Giulietta e Romeo, la Francesca da Rimini, la Pia dei Tolomei, allora non si potrebbe resistere allo sconcio di vedere la modesta Pia coll'elmo e col coturno romano. (Nicola Marselli)
  • Non pago di imitare lo stile classico, volle servirsene come d'uno stilo per colpire sulla scena ogni forma di tirannide; la tirannide viziosa nella Virginia, nell'Oreste, nella Congiura de' Pazzi, nel Bruto Primo, la tirannide sacerdotale nel Saul, la tirannide domestica e politica nell'Antigone e nel Filippo, e così di seguito, ma sempre congiunta con molta ipocrisia. (Angelo De Gubernatis)
  • Non si vuol [...] negare che l'Alfieri non sia pieno di situazioni altamente tragiche, che non intrecci il nodo rapidamente, e rapidamente non lo sciolga, che non descriva passioni profonde e violente, che non faccia uso di un dialogo sempre animato e sempre incalzante, che non ispieghi quasi sempre sentimenti elevatissimi; che finalmente una grande sublimità non sia il carattere delle sue tragedie. Ma per sostenersi fece tali sforzi da non poterli celare, e divenne spesso scabroso nel verso, e duro nell'espressione. (Ambrogio Levati)
  • O dell'italo agon supremo atleta | misurator, di questa setta imbelle, | che stranïata il sacro allòr ti svelle | che vuol la santa bile irrequïeta? || E a qual miri sai tu splendida meta | ed a che fin drizzato abbian le stelle | questa età che di ciance e di novelle | per quanto ingozzi e più e più si asseta? (Giosuè Carducci)
  • Pitture di costumi di alcune età furono le tragedie d'Alfieri, quantunque pochi personaggi, quasi tutti protagonisti, senza intermezzi di episodi e di secondari accidenti, vengano sulla scena; ma il dire conciso, i sentenziosi concetti e le rigidezze del verso erano atti a scuotere e destare una profonda impressione. Senonché le fierezze e gli sdegni dell'Astigiano, non movendo come quelli del Parini dalla severità del pensiero, né dal sentimento intieramente schietto della civile ugualità[30], che al cuor suo di patrizio repugnava, operarono che la riforma del teatro tragico riuscisse in qualche parte manchevole e fuori dal vero. (Enrico Poggi)
  • Quando Alfieri compone la tragedia ha innanzi un tipo, mettiamo il tipo della madre, del tiranno, del ribelle, del patriotta. A lui poco importa, se questo tipo sia conforme, e sino a qual punto, con la storia; prende il nome, prende i fatti in grosso, come li trova, senza esame e investigazione propria, poi lavora lui, lavora d'immaginazione, mira a raccogliere nel personaggio tutte le qualità che possono rappresentare nella sua ultima potenza quell'ideale che gli fluttua nella mente. (Francesco De Sanctis)
  • Questa fremente impazienza, che lo spinge in avanti verso uno scopo che non sapeva distinguere... questa agitazione dolorosa di un'anima in angustia in tutti i legami della società, in tutte le condizioni, in tutti i paesi; ... questo bisogno imperioso di qualcosa di più libero nello Stato, di più fiero nell'uomo, di più devoto nell'amore, di più completo nell'amicizia; ... questo ardore in cerca di un'altra esistenza, di un altro universo, che cercava invano, con la rapidità di un messaggero, da un'estremità all'altra dell'Europa, e che non poteva trovare nel mondo reale... (Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi)
  • Surse Vittorio Alfieri, che diede alla Tragedia Italiana il nerbo che gli imitatori dei Greci ed i poeti di Corte le avevano tolto; ne sbandì ogni accessorio ed ogni ornamento poetico, non curando che la forza e la sublimità; ed allontanò ogni personaggio il quale non partecipasse direttamente all'azione. Ma questo sistema rendette un po' uniforme l'andamento delle sue tragedie, in cui scorgi quasi sempre un tiranno, due anime generose ed innamorate, e un qualche vile ministro. (Ambrogio Levati)
  • Un genio erede della terribilità di Dante: di natura sdegnoso, e fornito di tutti gli impeti tragici, d'ingegno sublime, di spiriti audaci, di mirabile originalità: inventore d'una nuova lingua tragica, concisa, tremenda, insanguinata: creatore di nuovi piani semplicissimi, ben ordinati: emulo d'Euripide: ritrovatore di possenti caratteri, ben pronunciati, sempre seguiti con una singolare sublimità: e altamente veggente nella scelta di argomenti atti a destare i due grandi commovimenti tragici, lo spavento, e la misericordia: diciamo l'immortale Vittorio Alfieri. (Francesco Regli)
  • Una convincente collocazione storica dell'Alfieri e della sua opera deve ricorrere ai due essenziali termini di riferimento dell'illuminismo e del romanticismo, restando inclusa in quest'ultimo quella corrente letteraria tedesca che fu detta dello Sturm und Drang. (Bruno Maier)
  • Vittorio Alfieri, come uomo e come scrittore, non ha compagni. Difficilmente da un altro Plutarco potrebbesi comporre una vita parallela alla sua. (Pasquale Leonetti)

Note

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  1. Da Virginia, V, 4.
  2. Da La congiura de' Pazzi.
  3. Dalle Rime, XLVIII, 1795.
  4. Da Polinice, II, 4, 211. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  5. Da Della tirannide.
  6. Da Dare e tôr quel che non s'ha, in Epigrammi, XV. In Gli epigrammi, le satire, il Misogallo di Vittorio Alfieri, Paravia, Torino, 1903.
  7. Da Antigone, V, 6.
  8. Da Sonetto LXXIII, nelle Rime.
  9. Dalla prefazione alle Chiacchiere.
  10. Da Sofonisba, I, 1.
  11. Da Mirra, III, 2.
  12. Da Sonetto CXVIII, nelle Rime.
  13. Da Scritti politici e morali.
  14. Da Rime, XVII (1797), in Opere postume, XI, Londra (in realtà, Firenze), 1804, p. 93.
  15. Da Negri vivaci e in dolce fuoco ardenti, vv. 1-4.
  16. Dai Giornali, 26 aprile 1777.
  17. Da A Dante, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, Milano, 1921, p. 412.
  18. Da Mirra, V, 2.
  19. Da Virginia, atto II, scena II.
  20. Da Colascionata seconda, v. 11, in Vita, cit., appendice quarta.
  21. Epigramma citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, U. Hoepli, Milano, 1921, p. 443.
  22. Solo fra i mesti miei pensieri in riva.
  23. Da Della Tirannide, libro 1, cap. 2.
  24. Da Antigone.
  25. Da Rime varie, XIX.
  26. Nel 1999, la Zecca dello Stato italiano, in occasione del 250° anniversario della nascita del poeta, ha emesso una moneta in argento 835/1000, del peso di 14,60 g, diametro 31,40 mm, con l'effigie di Vittorio Alfieri e al verso il celebre motto in questa forma (tiratura 51.800 pezzi; vedi immagine della moneta).
  27. Da Risposta dell'autore alla lettera di Ranieri de' Calzabigi, 1783.
  28. In realtà, Vittorio Alfieri nasce il 16 gennaio; tuttavia nella sua biografia scrive 17 gennaio.
  29. Saggio sull'Alfieri, nella Critica, XV (1917), pp. 309-17. [N.d.A.]
  30. Termine letterario per uguaglianza.

Bibliografia

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  • Vittorio Alfieri, Agamennone, Società Editrice Dante Alighieri di Albrighi, Segati & C. 1928.
  • Vittorio Alfieri, Agide, Laterza, 1947.
  • Vittorio Alfieri, Bruto primo e Bruto secondo, in "Tragedie / Vittorio Alfieri", Volume III, a cura di Nicola Bruscoli, Laterza, 1946.
  • Vittorio Alfieri, Del principe e delle lettere, tipografia di Kehl, 1795.
  • Vittorio Alfieri, Filippo, introduzione e note di Bruno Maier, Garzanti Editore, 1990.
  • Vittorio Alfieri, La Congiura de' Pazzi, in Tragedie, a cura di Nicola Bruscoli, Bari, Laterza, 1946, vol. II, pp. 295-349.
  • Vittorio Alfieri, Il Misogallo, Edizioni dell'Orso, Alessandria, 2016. ISBN 978-88-6274-731-8
  • Vittorio Alfieri, Oreste, in "Tragedie / Vittorio Alfieri", Volume I, a cura di Nicola Bruscoli, Laterza, 1946.
  • Vittorio Alfieri, Saul, Società Editrice Dante Alighieri di Albrighi, Segati & C. 1934.
  • Vittorio Alfieri, Ottavia, Laterza, 1946.
  • Vittorio Alfieri, Sofonisba, Laterza, 1947.
  • Vittorio Alfieri, Tragedie, a cura di L. Toschi, Sansoni, 1985.
  • Vittorio Alfieri, Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso, a cura di Giampaolo Dossena, Editore G. Einaudi, Torino, 1967.

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