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Giulio Confalonieri

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Giulio Confalonieri

Giulio Confalonieri (1896 – 1972), musicologo, compositore, pianista e critico musicale italiano.

Come si ascolta la musica

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  • Un genio smisurato come quello di Bach, è naturale che imprimesse la sua orma indelebile su tutto quanto andasse accostando. La sua capacità incredibile di pensare in contrappunto, cioè di concepire la musica per linee orizzontali, idonee ciascuna, di esse, a rappresentare per se sola un interesse melodico o ritmico altissimo, e, quindi, a sovrapporsi, per formar splendide e affascinanti armonie: la sua capacità di cantare sempre e dovunque, fosse canto particolarmente adatto alla natura della voce umana o alla natura degli istrumenti; la sua capacità di edificare attraverso il rinascere continuo del flusso sonoro; tutto questo e altro ancora pongono Giovanni Sebastiano Bach sovra un piano del tutto personale. (cap. X, pp. 89-90)
  • L'Oratorio di Haendel riproduce, più o meno, in quanto aspetto esteriore, le maniere di Carissimi, di Stradella e di Alessandro Scarlatti. Anche gli Oratori di Haendel sono suddivisi in Recitativi, Arie, Duetti e Cori. Ma l'intonazione appare più grandiosa, più epica; gioia e dolore sono espressi con accento che oseremmo dire più realistico; i sorrisi si illuminano più chiaramente, le ferite dolgono con spasimo più acuto. Anche la maggior parte e la maggiore ampiezza riservate all'intervento del Coro non costituiscono soltanto un dato tecnico, riferentesi a una più grande abilità raggiunta dalle masse corali, ma indicano una diversa prospettiva psicologica e drammatica. Il Coro è, per Haendel, la testimonianza dell'umanità vivente; è la voce della collettività umana, messa davanti allo spettacolo o al ricordo di straordinarie azioni, di straordinarie immagini, di trascendentali contatti con lo spirito divino. (cap. X, pp. 90-91)
  • [Domenico Scarlatti] Le sue sonate per clavicembalo, tutte costituite da un unico «tempo» (o «movimento») con con notevole maggioranza di «movimenti» svelti e veloci, in confronto ai «movimenti» lenti, possono rassomigliarsi a bagliori di astri sconosciuti. Qualcosa di infallibile, oserei dire di divinatorio, si spigiona dalle sue brevi Sonate. Le subitanee evasioni, le impennate capricciose, le affermazioni spavalde e pur sempre regolate da un'eleganza, da una signorilità, da un buon gusto irraggiungibile, le sfumature armoniche, assolutamente inedite per quella epoca, l'articolazione dei disegni, la corrente vitale e la linfa inesauribile dell'eloquenza costituiscono un fenomeno musicale del tutto sfornito di precedenti, e, salvo i casi vicini dello spagnolo Soler e del napoletano Paradisi, assolutamente privo di conseguenti. (cap. XI, p. 99)
  • Quello di Domenico Scarlatti resta un un vero e proprio mistero. Quand'anche si pensi all'influsso della musica popolare e della danza spagnola, è assai difficile spiegare come un artista spenda la prima metà della sua esistenza a produrre opere mediocri e la seconda metà a creare, uno dietro all'altro, i più perfetti capolavori. (cap. XI, p. 100)
  • Chopin, in fondo, ebbe un animo semplice. Miracolosa la sua facoltà di captare l'imponderabile, di esprimere le immagini più complesse e i moti più reconditi della coscienza senza attentare alla loro freschezza, né intervenire per correggerli o aggiustarli secondo i canoni della retorica, riuscendo tuttavia a comporli in moduli così chiari da essere prontamente compresi e assimilati. (cap. XIX, p. 157)
  • Robert Schumann [...] fu una natura estremamente complessa, portata con eguale ardore agli atti del puro intuito estetico e agli atti della lunga introspezione, della astratta e disinteressata meditazione. La pazzia che lo colse negli ultimi anni e lo condusse alla morte in età ancora giovane, ebbe forse antecedenti lontani, in quel suo vivere in continui dissidi interiori, perpetuamente combattuto fra tesi e decisioni opposte, fra l'attrazione della musica e l'attrazione della letteratura, fra l'entusiasmo e lo scetticismo, fra gli slanci più appassionati e il più violento sarcasmo. (cap. XIX, pp. 157-158)
  • Mendelsshon, in certo qual senso, fu il solo dopo Beethoven e Schubert, capace di comporre una Sinfonia o un'Ouverture senza divagare, senza perdere mai il filo, senza squilibrare la linea di condotta, senza sfigurare l'andamento tematico. (cap. XIX, p. 160)
  • Mendelsshon ignorò forse i sentimenti più forti, non subì il fascino dell'infinito, al pari di Chopin, né l'urgenza dei travagli interiori al pari di Schumann. Ma con le scintillanti musiche pel Sogno di una notte d'estate di Shakespeare, con le mirabili ouvertures [...] lasciò una traccia indelebile nella storia della musica europea. (cap. XIX, p. 160)
  • In Italia, gli anni dal 1800 al 1900 segnarono la stasi, se non addirittura la perdizione della della musica istrumentale. L'Italia, che aveva inventato quasi tutte le grandi forme strumentali e vocali, dalla Cantata al Concerto, dal Ricercare per organo alla Cantata e all'Oratorio, sembrò quasi ripudiare il suo passato. Tutta presa nella smania dell'Opera, giunse a pensare che lo scriver musica d'altro tipo costituisse un atto innaturale e un tradimento alla sua genuina natura. Perfino un uomo dell'altezza di Verdi arrivò a proclamare: «A noi italiani la musica vocale; quella strumentale ai tedeschi». (cap. XXII, p. 181)
  • [...] i pittori impressionisti tendevano a fissare sulla tela un momento prezioso dell'azione osservativa: quello in cui la coscienza non aveva avuto ancora tempo di coordinare le sue visioni, ma anzi le andava raccogliendo in uno stato che non potremmo dire di veglia nel senso preciso del termine, ma tuttavia producente, perché ricco di superstiti reminiscenze e di enigmatiche premonizioni. A questo vago senso di stupefazione si aggiungeva anche un briciolo di distacco, un'ombra di ostentata e signorile stanchezza. (cap. XXIV, p. 195)

Storia della musica

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Come tutti sanno, una parte non trascurabile del progresso umano consiste nel condannare come inutili e ingenui, come infantili e indegni di perderci tempo, buon numero di quei problemi che ieri o ier l'altro parevano essenziali, che a padri e avoli toglievano il sonno e che pure, sfuggendo alle tenaci ricerche. mandavano da lontano un messaggio: «Se sei buono a risolverci, tu possiederai i segreti della vita». Scaduti i tempi della pietra filosofale, della quadratura del circolo e dell'elisir di giovinezza, quest'indagine intorno alla possibilità di definire la musica parve più dura a morire. E iniziata con gli inizi d'ogni pensiero, con i primi tentativi di affidare a una scrittura il pensiero perché durasse, perché testimoniasse di se medesimo anche in futuro, essa vivacchiò sino ai giorni presenti, dopo aver raggiunto i suoi fastigi più alti tra seconda metà del XVIII secolo e la seconda metà del XIX secolo. Ma oggi come oggi, giorno in cui scrivo, chiedersi che cosa è la musica farebbe sorridere un vero scienziato o un vero filosofo.

Citazioni

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  • La musica, la cosa più vicina al silenzio eloquente.«Impredicabile è Iddio – scrive Sant'Agostino – intraducibile di parole e pure impossibile a tacersi. Lo canterai senza costrizione di sillabe e il cuore godrà, libero dall'impaccio delle parole». (p. 25)
  • [Sul canto gregoriano] [...] tutto l'immenso patrimonio musicale della Chiesa è là, simile a un discorso rivolto dalla terra al cielo, privo di intenti propriamente artistici, semplicemente desideroso di spiegarsi e di farsi intendere.
    Non c'è voce di singolo uomo che sovrasti la collettività corale; l'Ecclesia cancella l'individuo e di tante ombre umane fa un corpo supremo. (p. 38)
  • La musica ruota nei cieli dell'universo, con tutte le sue possibilità e le sue leggi; è un pensiero già fatto, forse un pensiero di Dio, e i musici la scoprono, come i navigatori scoprono terre che c'erano e che ancora non si sapevano. (p. 73)
  • Proclamando la musica «un'arte limitata», Gluck, sopra tutto, alluse alla possibilità di tradurre in sensi precisi ciò che la sua mente si figurava con precisi concetti. Sicché questo musicista confidò piuttosto nei modi della poesia, della pittura e della plastica. Fu salvo da una grave minaccia per le virtù insopprimibili della sua arte e perché, fino al suo tempo, la musica non aveva saputo esprimersi se non in accenti così nobili che, senza pregiudizio di contenuto, rappresentavano già di per se stessi un'evoluzione e un miglioramento spirituale. (p. 263)
  • Non so neppur io quanti abbiano trovato sapore di Senna nell'acque del Danubio in principio di secolo. Sì, è vero; ma mentre i parigini, a un certo punto, si scontravan sempre con la politica e qui allora diventavan tutti gravi, noiosi e non di rado feroci, i viennesi non riuscivan mai ad occuparsene con vera passione; erano assai contenti di aver delegato questo incarico a un gruppetto di persone per nulla «popolari» e così, liberati, poter pensare a ben altro. Come dice Grillparzer, l'immagine monotona della verità «era tutta circonfusa di racconti e di giuochi»; ogni cosa trasvolava palpitante e svelta verso il cielo della musica. (p. 408)
  • «In codesto ragazzo c'è la fiamma divina». Sia storia o leggenda, avrà qualcuno riferito a Schubert il giudizio del suo idolo morente? Noi non possiamo neppure esser certi se Franz, come vuole Giuseppe Huttenbrenner, fosse riuscito finalmente a vedere Beethoven pochi giorni prima della sua morte e, in ogni caso, a rimaner là muto, in un angolo, davanti a un uomo che non poteva più né parlare né muoversi. (p. 417)
  • La musica è il solo mezzo di cui Schubert dispone per chiarire a se stesso l'interrogativo del proprio io e l'interrogativo delle cose create. (p. 419)
  • La Natura sente in certo modo il bisogno di rivelarsi, di esprimere il ritmo e le fatiche della propria vita, di trasmettere fino alla nostra coscienza i contorni del suo esistere, le personalità dei suoi esseri singolari, il significato che, pure oscuramente, ogni cosa animata o inanimata, sa di possedere. (p. 421)
  • Per merito di Schubert l'idioma germanico acquista una strana predisposizione alla musica e la lirica tedesca diventa tutta un gigantesco Lied possibile. Per merito suo è accaduto che in Germania, anche le persone del popolo non ignorano quasi mai, insieme col nome dei compositori, il nome dei poeti che hanno ispirato tante canzoni. (p. 430)
  • Per circa un secolo, in Muzio Clementi venne celebrato quasi esclusivamente il rinnovatore della tecnica pianistica, l'antesignano di quel pianismo trascendentale che culminerà poi nel Chopin di certi Studi e di certe Ballate, nel Liszt, nello Schumann dei Papillons e dei Carnevali, nel Brahms delle Variazioni su temi di Paganini e di Haendel. Documento del suo virtuosismo rimasero le opere didattiche e un'ammirazione, mista a un poco di noia, incoronò la sua vecchia figura sì[1] da dettare a Claudio Debussy la prima pagina del Children's Corner, intitolata appunto Doctor Gradus ad Parnassum. (p. 540)
  • Clementi, sia pure con la timidezza di un temperamento fondamentalmente classico, apre il cancello di un giardino non ancor visitato, entro cui stanno immagini non esprimibili se non nel confessionale del pianoforte. (p. 541)
  • Cento altre premonizioni della musica futura sarebbe facile rilevare nell'opera di Clementi, premonizioni e messaggi certamente raccolti, perché, se le influenze di un autore su un altro possono spesso revocarsi in dubbio, mancando l'assoluta sicurezza di una conoscenza effettiva, noi siamo certissimi che Liszt, Chopin, Mendelssohn, Schumann, Brahms, studiarono tutti almeno il Gradus ad Parnassum. (p. 542)
  • Le idee di Weber, per quanto figlie di un cervello impulsivo e ingombro di troppa mobilia, risultano abbastanza chiare. Il loro lato debole consiste in tre cose: primo, che molte «novità» sembravan tali al maestro e, in realtà, non lo erano; secondo, che l'attuazione non fu sempre pari all'entusiasmo del concepimento; terzo, che anche a Weber successe quanto succede, nella vita, frequentissimamente, ossia che uno crede di buttare in aria ogni cosa e non si accorge che molte cose le lascia invece nel loro bell'ordine primitivo. (p. 515)
  • Se esistettero le «galoppate all'italiana» di Rossini e dei rossiniani, esistette pure il soprassalto alla Weber, inaspettato ribollire dei violini all'unisono o in ottava, ascendenti in brevissimo spazio dal registro grave al più acuto, sopraffazioni fulminee degli «ottoni» che coprono, come in una valanga, il flebile canto di precedenti battute. (p. 518)
  • Diresti che il romanticismo di Weber è molto più letterario che musicale. Sotto l'aspetto musicale, se ne togli le Ouvertures le quali, per la volubilità architettonica, quasi preludono al Poema sinfonico, Weber sembra spesso dominato da puntigli classici se non addirittura accademici. Lo stacco della idea, lo slancio iniziale è quasi sempre nuovo e suggestivo, tanto che, ad ascoltatori del passato come Théophile Gautier, la musica del maestro tedesco poteva dare l'impressione di immagini e di reazioni «extra musicali»; ma il procedere del pensiero, le conseguenze delle proposizioni, la vita spaziale dei temi ricadono in rigide formule. (p. 519)
  • Il genio, secondo Goethe, è suscitatore di bellezza, apportatore di chiarezza e di luce; sue figurazioni divine sono Apollo, che libera la terra rinnovata dalla voracità di Pitone; Deucalione, che crea uomini scagliando pietre; Ganimede che si innalza con il desiderio verso la letizia eterna di Giove; Prometeo, che dona civiltà ai mortali. La musica di Mendelssohn appare a Goethe come un corrispettivo della propria poesia. E invero, se Mendelssohn non ha mai detto parole inaspettate come le ha dette Goethe, se non ha mai conosciuto il prodigioso modo goethiano di accordare la vertigine sulla cadenza del concetto logico, egli ha saputo tuttavia accordare il fondo romantico, l'aspirazione romantica dell'animo con la struttura classica della mente. (p. 608)
  • Mendelssohn e Schumann aggiungono pietre, arricchiscono di opere difensive il castello che Schubert aveva incominciato a costruire, quasi giocando; che Liszt era andato avanti a munire, spinto dalla sua natura di virtuoso e dalla sua natura di profeta; che Chopin aveva scelto a dimora per poter sorprendere, da quel recesso, l'esistenza occulta degli atomi spirituali, e, col loro nobile impegno, con la loro sterminata passione, col rinascente orgoglio nazionale e sociale, pervengono ad individuare, in maniera sempre più decisa e forte, la figura della nuova musica nordeuropea. Una musica la quale, nelle sue molteplici forme (da camera, liederistiche, sinfoniche, orchestrali-corali), tende a localizzarsi, a staccarsi da ogni residuo italianizzante o francesizzante, e, purtroppo, collabora ad acuire l'artificioso dissidio, la gratuita distinzione che rattristerà l'Ottocento, la dannosa, balorda opposizione fra musica «armonica» e musica «melodica», fra musica «di pensiero» e musica «di sentimento». (p. 604)

Note

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  1. Nel testo: "si" (refuso).

Bibliografia

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  • Giulio Confalonieri, Come si ascolta la musica, Edizioni Rai, Torino, 1966.
  • Giulio Confalonieri, Storia della musica, Edizioni Accademia, Milano 1975.

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