Leone Traverso

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Leone Traverso (1910 − 1968), grecista, germanista e traduttore italiano.

Citazioni di Leone Traverso[modifica]

  • [Su La pietra lunare di Tommaso Landolfi] Qui l'organo a mille canne della prosa di Landolfi romba a tutte le raffiche, premuto su tutti i pedali nel tumulto concertato d'un incredibile uragano. (citato in Giuseppe Mesirca, Immagini di città, Introduzione, p. 22.)
  • Ermetica è tutta la poesia moderna: pensiamo, per tacere dei nostri, a Yeats, Pound, Lorca, Rilke, Valéry, Dylian Thomas, Wallace Stevens... Né mancano certi esempi d'altre età, individuali e di intere scuole: provenzali, stilnovisti, M.Scève, Gòngora, metafisici inglesi; fra i tedeschi, non pochi dei «minnesänger» e dei barocchi... Dopo il miglior d'Annunzio (certe zone dell' Alcyione) la lirica italiana è risolutamente incamminata su quella via. (citato in Giuseppe Mesirca, Immagini di città, Introduzione, p. 30)
  • [Le impressioni dei viaggi in Italia, riferite dal giovane Hofmannsthal nelle lettere ai parenti e confluite poi nelle prime opere.] ... lo sviluppo quasi autonomo delle immagini, un genuino senso dei magici rapporti fra le cose, l'incarnazione felicissima dell'oggetto nella parola ripropongono alla nostra attenzione il mistero di fantasmi di cui non è ancora esaurito il movimento. (citato in Giuseppe Mesirca, Immagini di città, Introduzione, p. 31)
  • [ Leone Traverso incontrò nel 1936 a Berlino Felix Hartlaub] Quanto dolore, già mi chiedevo allora, aveva penetrato quell'anima? E quanta forza la sosteneva, se ancora poteva reggere? Di nulla si doleva, ma visibilmente soffriva di tutto, nella coscienza mai un attimo assopita, che tutto o quasi tutto offendeva; e dalla sofferenza poteva spremere ancora una dolcezza da antico re savio e infelice o da giovane martire. (da Ricordo di Felix Hartlaub, in Felix Hartlaub Nell'occhio del tifone, p. 10)
  • Nel tremendo frastuono della guerra, dispersi o troncati quei legami, l'angoscia soffocò ogni voce.
    Terminato il conflitto, esitai, mi sembra, a lungo, prima di chiedere notizie di Felix alla sua famiglia: come sarebbe Felix, della fibra di un Trakl, di una Virginia Woolf, potuto, anche illeso, sopravvivere alla immensità dei dolori? La sollecita accorata risposta della sorella confermò i miei funebri presentimenti.
    È un verso di Rilke.
    E voi forse o giovinetti chiamati anzitempo all'Eliso. (da Ricordo di Felix Hartlaub, in Felix Hartlaub, Nell'occhio del tifone, pp. 10-11)
  • [Su Stefan George] Contro l'onda informe dell'epoca, un edificio dalle linee pure e severe; contro la piattezza d'una società senza spirito, l'orgoglio inconciliabile d'una nobiltà cosciente d'una missione nel rigore d'uno stile; contro la falsa chiarezza dei fatti grezzi e delle conquiste meccaniche, il mistero d'una natura d'uomo predestinato. Non polemica d'altra parte, ma contegno; non vaga effusione in sogni e velleità, ma rilievo plastico di oggetti e situazioni definiti. E una specie di crudeltà, nell'orgoglio senza dubbi della propria esemplare realtà spirituale. Simile sapore hanno per me certe parti della Herodiade di Stéphane Mallarmé a cui questo poema [Algabal] di George può confrontarsi per lo splendore sidereo delle sillabe compatte in un «mot total, neuf et comme incantatoire[1]».[2]
  • [...] la propria infanzia non [...] solo un'Atlantide sommersa da sabbie leggendarie, ma, qual è, il terriccio d'ogni fioritura più tarda. [3]
  • Gerarchia dei balocchi: «la bambola è tanto inferiore a una cosa di quanto la marionetta le è superiore» (Rilke). Pure il bambino "diviene" in quel mondo; penetrerà più tardi la realtà delle cose, e, iniziato per tempo alle delusioni, anche il dominio dell'umano troverà angusto; finché non gli appaia la misura perfetta che in sé abbraccia passato e avvenire e vita e morte equabilmente: l'angelo delle Elegie. Questo il nostro cammino per Rilke, la ragione del nostro passaggio sulla terra.[4]
  • [...] non importa molto se i fratelli o gli esemplari uno se li cerca tra i vivi, o, a un certo momento, tra i morti [...] ché lo spirito supera agevolmente le epoche e la sua ora è sempre.[5]

Introduzione a Predelle dal '200 al '500[modifica]

  • [Nelle predelle] In lotta con lo spazio angusto, la fantasia s'accende a stamparsi più viva negli occhi e la memoria; squillano più audaci i colori a contrasto; si stagliano incisi i gesti definitivi. Dalla celebrazione imperante nelle tavole maggiori si trapassa nelle predelle alla narrazione, ma rapida di solito, per episodi folgoranti (e a volte – inverosimiglianza cara all'ingenuità dei bassorilievi primitivi – si condensano in un riquadro tempi diversi della medesima storia). Chi nutra familiarità con le splendide «vite» di santi martiri ed eremiti trecentesche ritrova qui tradotto in segni e colori lo stupore di quei «fatti» mirabili: respira nei prodigi l'anima ardente.
    E qui si libera l'estro fantastico del pittore, nella tavola grande imbrigliato dalla solennità rappresentativa e dal rigore dei moduli trasmessi. (pp. VII-VIII)
  • [Il mutamento dello stile di uno stesso pittore nell'esecuzione della predella rispetto alla tavola grande ] Pittori celebrati per placido equilibrio compositivo intonano d'improvviso il ritmo più concitato, come il Giambellino di Pesaro; e altri, d'una quadratura romana come Mantegna, toccano poi finezze gotiche. I ferraresi scatenano nelle predelle ardore ferrigno, che sprizza dai gesti acuminati faville; la visione di un Lotto raggiunge una temperie allucinata; nella selvetta «spessa e viva» di un Paolo Uccello ci s'addentra come nel regno di Matelda; Masaccio concentra la sua forza drammatica in «atti unici»; il Botticelli stilla mezze tinte come un grande veneziano e inventa quegli spazî di silenzio attorno alle figure, che sedurranno poi la fantasa dei «metafisici». (p. VIII)
  • Dalle pie leggende si trapasserà, con i mutati gusti e costumi, fino all'incanto dei paesaggi deserti, alla reviviscenza, dove tempera il fervore la malinconia, delle «favole antiche». Vorranno linee e colori, emuli già dell'epica e dell'architettura, ormai carpire il suo segreto alla musica: ultima nostalgia d'ogni arte. (p. VIII)

Immagini di città[modifica]

  • Verona è città fra le altre preziosa: qui stendono orli rosa alle vie grigie, lastre di marmo sonore sotto il piede come fondamenta veneziane. E tra quel rosa e un rosso ferrigno varia il colore dominante: solo a maggior rilievo spicca l'oro verde di un palazzo barocco, in disparte il topazio caldo di San Zeno, negli avanzi romani un pallore tra di nuvola e d'acqua levigata dalla luna. (da Verona, p. 35)
  • L'innesto così felice che diresti spontaneo dell'opera dell'uomo sugli elementi naturali è che rende così solenni e confidenti insieme le nostre città. L'uomo e il sito collaborano in uno scambio perfetto di favori. Di qui quell'aria di necessità che acquistano rapidamente le costruzioni e d'altra parte di suprema libertà. «Nul hasard, mais une chance extraordinaire». Città opere d'arte. (da Verona, p. 37)
  • Pretesto a noi di recidivi sgomenti l'eleganza di un Palladio perfettamente inteso a elevare olimpi e ninfei per convegni di numi, tutti fughe di sale, prospettive magiche dove non sembra penetrare neppure il sospetto delle necessità dei mortali. In certe sue ville chi oserà, non che altro, cibarsi? se non forse, con gli occhi, dei doni di Pomona e Vertunno affrescati alle pareti o incorruttibili nelle marmoree cornucopie tra le braccia delle statue tutelari. (da Vicenza, p. 46)
  • [...] in quella chiesa dedicata al protomartire, d'apparenza così modesta all'esterno (mezzo affondata nel terreno sembra spuntare come un fiore selvaggio), familiare e strana, intimamente ricca ma raccolta senza grandigia, tutti i germi degli sviluppi posteriori covano in tranquilla convivenza confidente nel futuro. È in essa già quella fusione degli elementi più disparati, per cui poi la città intera arriva ai nostri giorni assimilando perfettamente ogni influenza e dono dell'epoche nel suo volto originale di pietra. Ché Bologna è soprattutto pietra, architettura: evita persino la lusinga di un fiume per non deviare dalla sua astrale geometria in giochi di riflessi effimeri. E dall'Appennino (che ogni montagna è già un abbozzo architettonico) sembra solo accogliere l'invito a modellare l'informe, a trasportare le possibili figure dal sonno della materia immobile nella realtà umana di una nuova natura, definita, organizzata. (da Bologna, p. 63)
  • [I Colli Euganei] La linea di questi colli (che a volte, quando navigano nell'aria vapori leggeri, sembrano veli stesi su seni addormentati), può ricordare la dolcezza della Toscana. Ma a mano a mano che si avvicina, quell'azzurro trascolora in verde di arbusti olivi alberi da frutto, si schiudono gole inattese tra pareti di roccia denudate, digradanti come quinte in uno scenario, e per un gioco delle strade che corrono orlando il lembo delle colline a un raggio quasi sempre identico da certi poggetti centrali ornati da ciuffi di cipressi a galla sulla pianura conclusa in mezzo, il paesaggio ora c'illude d'una fissità fatata come nei sogni, ora sembra quasi per un incanto orfico muoversi danzando con noi. (da Visita ad Arquà, pp. 66-67)
  • [Aquisgrana] Certe porte della città tuttavia salde e lavorate come forzieri, fondamenta di mura inconcusse, il Duomo, richiamano le illusioni miracolose, l'ingenua forza del più bel medioevo; altrove, verniciate ricostruzioni acuiscono per contrasto l'odore funebre che esala ogni vetusta città. Al cadavere autentico si è sostituita una neutra forma asettica, di fedeli misure, intangibili al tempo, gelidamente estranea al corso umano. (da Aquisgrana, p. 73)
  • [Colonia] Qui si sorseggia il tempo come il vino. Traspare da questa fiducia nel futuro una tradizione romana di pazienza agricola, dominando le stagioni volubili l'abbondanza dei raccolti e la fortuna degli uomini. Spavalderia anseatica temperata d'ironia e gaiezza francese nei discorsi; nell'accento largo e ondulato si rispecchia la calma concentrica della conca fluviale nel giro delle sue colline.
    Mai in altra città m'ha confortato tanto spirito compagnevole e tale gusto dell'intimità. (da Specchio della vita apparente a Colonia sul Reno, p. 76)
  • Al nome di Parigi, prima delle case e le vie e gli uomini che vi si muovono con l'onda dei sogni all'ultima curva, rinasce il cielo della strana città. S'alza dalle creste del terreno ondulato, sopra le sagome di pietra, o s'incava nello specchio delle acque, profondo, lieve e libero come mai in altro luogo. (da Memoria di Parigi, p. 97)
  • Sul marmo opaco di Notre-Dame le nuvole stendono un baldacchino d'argento antico: e i festoni enormi di edere ricadenti verso l'acqua sbalzano fregi di bronzo verde alla cintura di pietra della Senna. Questa armonia spontanea di elementi diversi, questa simpatia naturale che li attrae senza violenza a una comunità di vita libera e complementare, conclude questa città così varia nell'unità di una sfera. (da Memoria di Parigi, p. 97)
  • [...] nella più grandiosa prospettiva d'Europa, dal Museo del Louvre all'Étoile, per i Campi Elisi, nel monumento della propria gloria hanno[6]partecipe e primo segno il cielo, incastonato e come riflesso dall'uno all'altro degli archi in fuga a rispecchiare verticale l'anello dell'orizzonte. E umanamente i grandi alberi popolano le rive e le vie, e intorno alle isole la Senna si curva in anse dolci e segrete di donna.
    Qui il viso della sera s'inclina lentissimo verso di noi, sino a sfiorarci quasi la gota con le ciglia. (da Memoria di Parigi, pp. 97-98)
  • Poco prima di mezzogiorno, traverso la piazza abbacinante, che custodiscono le due torri arenate di guglie aguzze come lance, penetriamo nell'eccelsa grotta freschissima, dove dai vetri istoriati scendono per la penombra tappeti di colori liquidi sotto i nostri piedi. Fontane luminose pullulano nel silenzio degli ambulacri aperti come radure fiorite fra i fusti grigi degli degli enormi colonnati. Rossi vinosi, verdi di malachite, viola di more, gialli di pesche, azzurri di giacinto o notturni, si sfanno sotto il sole inondando il pavimento a rivoli come orti pigiati. (da Visita a Chartres, pp. 100-101)
  • Lasciando ai Francesi i loro difetti, va loro riconosciuto un amore e un'intelligenza della natura, una delicata confidenza mista di «distance», che è puro umanesimo. Anche nel cuore della città, lungo la Senna o sui boulevards come nei grandi parchi, gli alberi prosperano felici di una civiltà che li ama e se ne consola quasi di una presenza sovrumana ma benigna e per qualche via segreta in comunicazione con gli uomini. (da Ricordi di Versailles, p. 109)
  • [I Trionfi (Carmina Burana e Carmina Catulli) di Carl Orff eseguiti a Monaco nella Sala d'Ercole del Palazzo Reale] Una forza naturale si espandeva liberamente, ignara di mille dubbi che crucciano in questa età la gran parte degli artisti innanzi ancora di pronunciare la prima parola, di tirar la prima linea o di appuntare la prima nota. Ma insieme l'abilità più disinvolta, la sprezzatura più sottile e audace nell'uso della tecnica e dei singoli strumenti: dal gregoriano alla dodecafonia, tutte le possibilità sfruttate con perfetta sicurezza e opportunità. (Singolari effetti che Orff sa trarre, per esempio, dagli xilofoni). A volte un'eco d'aria popolare, che pareva consunta, e si svolge ora in una freschezza insospettata; qui la gravità di un ritmo binario (ecco i russi, pensiamo) ritorta in un umorismo irresistibile; là un attacco di una solennità bachiana; ma poi chiuse rapide, spesso brusche, di una ben risoluta modernità.
    Un eclettico? Forse; anzi, certo. Ma memoria e fantasia, impulso e stesura talmente fusi da raggiungere un'evidente unità... D'altra parte (e non mi sembra affatto un vizio) una tale aderenza ai testi, ma spontanea, congeniale, che non si sanno poi immaginare disgiunti da quella musica o tanto meno rivestiti di un'altra. (da Incontro a Monaco con Carl Orff, pp. 111-112)
  • I Carmina Burana erano assai noti. [...] Più recenti i Carmina Catulli, ma di un estro, di una penetrazione e varietà anche maggiori. Di Catullo, Orff ha saputo riscoprire e rimodellare in note l'impeto e l'amarezza, «quella continua pulsazione della propria vita nella propria arte» (secondo le parole di Concetto Marchesi) che dopo due millenni ne fa ancora il poeta di Roma più vicino a noi. (da Incontro a Monaco con Carl Orff, p. 112)

Studi di letteratura greca e tedesca[modifica]

  • The whole man must move at once. In Eschilo, l'integrità e il movimento di tutte le energie – che l'una soccorre e tende l'ala all'altra, la meditazione alla fantasia, l'impeto dell'azione all'incantato traboccare lirico – si configura in tale vivente unità che solo un ingrato artificio critico può tentare di dividerlo in parti. Il maratonomaco, il "signore dionisiaco", da un punto muove, come dal centro i raggi di una sfera, a investire tutti gli aspetti della vita apparente, a scavarne il senso e il valore: da un bisogno che è certezza, di giustizia. (da Sull'Orestiade di Eschilo, p. 12)
  • [...] già con Hölderlin in Germania e col Leopardi in Italia (o anzi già col Petrarca?) s'instaura in luogo della tradizionale mitologia pagana una sorta di nuova singolarissima mitologia fondata sullo strumento stesso della poesia: sul linguaggio. La carica straordinaria di certe parole collocate opportunamente, un intimo ritmo che governa il moto della frase, la cadenza di una musica segreta, giungono a destare fantasmi remoti come sorti dal cuore, circonfusi di stupore quasi apparizioni invocate di figure leggendarie. Da allora ogni oggetto del ricordo o della speranza si fa "mito", anzi per taluni la parola stessa, per un ritorno involontario alla radice del vocabolo, ché "mito" vale in greco appunto "discorso", "parola". (da Introduzione alla lettura di Pindaro, p. 39)
  • Al più forte è anche data la grazia, e a Hölderlin, come a Dante, accade di penetrare nella più intima fibra, a volte quasi affondare e sommergersi nella polpa delle percezioni, mentre mira al bersaglio più alto. Virtù della lingua e dello stile su cui Hölderlin ha tanto meditato e innovato da "elevare la grammatica in condizione di mistero e farne ritmo." (da Sugli ultimi inni di Hölderlin, p. 56)
  • Quasi l'aria di un altro pianeta circola nelle ultime lettere, quieta e intensa, un'aura d'Eliso. Ma le forme di quel mondo a noi restano occulte per sempre. Morendo Kleist ci ha proposto il suo supremo mistero. Pure da quella fine si estende il riflusso su tutta la sua vita e sull'opera, che ne è frutto, un'ombra luminosa singolare, quasi saggio d'un'altra atmosfera, in cui risalta d'un chiaroscuro unico ogni gesto del poeta come delle sue figure. (Qui è l'ombra che rileva l'ombra). In ogni manifestazione tramandataci, accanto al valore reale dell'atto che siamo costretti a considerare definitivo, vibra così per noi quasi il presagio e la promessa di altre possibilità inesaurite; come il torso del Guiscardo superstite esaspera il rimpianto dell'intera figura non eseguita. (da Saggio su Kleist, p. 118)
  • [...] l'opera intera di Kleist (come per esempio di Gogol), anche dove sembra distrarci in ilarità, è tutta tesa da questa tremenda serietà, rigata da questa vena scura (così a Goethe assunto ormai nell'Olimpo di Weimar si spiega come ripugnasse una simile incarnazione di Werther). D'altra parte anche nel suo rigore definitivo essa appare ancora, esclusa ogni idea di giuoco o di ironia romantica, un coup de dés trionfale che però jamais n'abolira le hasard. (da Saggio su kleist, p. 121)
  • [Sulla Pentesilea] Kleist sapeva che questo carmen non prius auditum apriva una nuova strada – per nessun altro forse che sé. Ritorna la forma di carmen perpetuum senza divisione in atti, per questa eruzione ditirambica del suo carattere più intimo, che, solo per la necessità di concretarsi plasticamente, assume le spoglie drammatiche. Ma il furore d'azione kleistiano qui s'individua, esplode e ripiega, nel furore d'amore: l'èrōs aníkatos máchan qui investe tutta l'esistenza, fino a troncarla nell'impeto del delirio. Eros è qui la vera anima mundi: da lui sorge ogni movimento e da lui nasce alla fine – per una tipica ritorsione kleistiana del soggetto su se stesso – invece della vita, la morte. (da Saggio su kleist, p. 131)
  • [Sulla Pentesilea] Qui l'anima splende nuda d'ornamento, nelle immagini del suo sogno primordiale. Ed è fatica sterile, e inaridisce alla fonte la poesia, voler ridurre a cifra alcuna di quelle immagini, quasi si trattasse di artificiati velami allegorici, non delle configurazioni stesse del sangue, per noi legate senza scampo – le più tortuose come le più folgoranti – all'atto stesso espressivo. Per nessuna opera di Kleist si sono cercate e inventate tante chiavi – per nessuna si dimostra tanto inutile ogni chiave, aperta come essa è ad ogni occhio, solo rivestita del suo lume. Ma se l'occhio rimane abbagliato, non accusi della propria tenebra la luce. (da Saggio su Kleist, p. 134)
  • [...] mai espressa, si potrebbe però rintracciare anche in lui – in contrasto col suo bisogno di azione – la radice d'ogni sentimento tragico della vita: che azione è colpa. Alla catena delle cause e degli effetti, alla contraddizione intima che è nel loro stesso giro ("ogni azione ne genera migliaia, e spesso dalla peggiore nasce la migliore") egli non oppone che una certezza, indimostrabile, mistica del sentimento; di fronte al sistema esteriore del mondo, qualcosa come il più segreto e inconsapevole nucleo della persona che esiste. (da Saggio su kleist, p. 145)
  • [...] ma non è un mondo fisico (presocratico, lucreziano, einsteiniano) di cui Rilke canti la metamorfosi; è il mondo dei moti umani ancora e sempre, che riduce e simula i moti cosmici; è ancora, perduta nell'universo, la terra, intrisa d'umanità che sola lo esalta: consolare di un po' d'eternità l'effimero deve l'uomo, celebrare è la missione del poeta. E se nelle Elegie, nei Sonetti e in alcune ultime poesie si rievocano le cose ormai in fuga – temi, profili, eco di puri nomi – nel breve rammemorare non è minore intensità che nel lungo indugio, cui l'amore l'aveva curvato in altri tempi, nel Libro delle Immagini o nelle Poesie nuove.
    Da quello sguardo di commiato sono avvolte le "cose" in una luce che le riarde, e sfumano come in un vapore di lagrima; figure d'antichi miti (Narciso, kore, Perseo, il Cigno) esalano in musica. "Lontano, oscuro sulla soglia chiara" Orfeo saluta Euridice travolta nel buio. (da Sulle poesie sparse e ultime di Rilke, p. 281)
  • ""Una nuova poesia vuol dire per l'autore ogni volta domare un leone, e per il critico fissare un leone negli occhi, mentre egli magari più volentieri s'abbatterebbe a un asino"". Ridurre in versi una poesia d'altra lingua vale d'altra parte affrontare una terza fatica (un "monstrum") che imita e riassume in qualche modo quelle due. (p. 295)
  • [...] Benn da medico, riconosce e denuda le malattie, tratta col cauterio le piaghe. Un'impassibilità di gelo nei primi versi, un gioco lugubre di parole a volte: cartelle cliniche di una società. Il tono in Trakl è trasognato nella rassegnazione; in Heym venato di tristezza nell'onda epica; in Gottfried Benn neutro e spietato insieme: il suo inchiostro è un acido che rivela e incide. (da Mezzo secolo di poesia tedesca, p. 315)
  • La saggezza, se mai si raggiunga, non deve imperare accigliata e crudele, ma saper sorridere, indulgente, nella sua forza, anche al pizzico di follia libera, disinteressata, geniale che arricchisce la vita e alimenta l'arte. (da In memoria di Thomas Mann, p. 338)

Sul "Torquato Tasso" di Goethe e altre note di letteratura tedesca[modifica]

  • Sul cammino degli uomini segnati ogni circostanza matura, ogni avvenimento conferma il destino. E la fine stessa e le avventure e il colore della sopravvivenza nella memoria degli uomini riflettono ancora l'identico modulo, celeste. Così dell'artista «tel qu'en lui même enfin l'éternité le change» e dell'opera superstite appare un giorno nel nostro cielo la nuova costellazione, come segno (nella forza originaria) e mito d'un'epoca. (da La lirica di Hölderlin, p. 19)
  • [...] mentre la poesia pericola spesso ancora oggi di risolversi in una fisica obiettiva, specchio di leggi del nostro giro breve Hoelderlin doveva scontare in un lunghissimo crepuscolo di follia il tentativo di rapire una favilla al sole. Ché non soltanto egli intese a rinnovare il linguaggio «tuffandosi alla fonte delle parole, per trarne una materia non di cultura, ma originaria, la Parola che dà vita» (Stefan George); ma nella ricerca di un paese innocente riassume l'umano nella sfera dell'origine e delle regole divine. «Per questo il più pericoloso dei beni, il linguaggio, è dato all'uomo perché egli, creando, distruggendo e perendo, e ritornando all'eternamente viva, alla maestra e madre, testimoni di avere ereditato ciò che egli è, imparato da lei il suo mistero più divino, l'amore che tutto conserva». (da La lirica di Hölderlin, pp. 19-20)
  • [Sul Leonce e Lena di Büchner] Il romanticismo tedesco nei suoi elementi più fragili (giovinette nostalgiche, bardi, selve, chiari di luna) è qui sepolto col miglior garbo del mondo dallo spirito meno romantico di Germania: in un'aria di «féerie» un allegro balletto funebre di marionette. (da Profilo di Georg Büchner, p. 132)
  • «L'aforismo è l'ultimo anello di una lunga catena di pensieri»[7]. E rischia appunto come tale – da Eraclito a Nietzsche – di stritolare, tanto stringe, la verità che reca. (da Aforismi di Marie von Ebner-Eschenbach, p. 201)
  • La costruzione di una filosofia imparziale sarà forse destino di altri, aspirazione per lui; di Nietzsche ogni pensiero è una reazione a qualcos'altro; e – come da Balzac s'è cominciato a scrivere «con tutti i sensi» – le «prove» di Nietzsche appaiono lucidissime registrazioni fisiologiche [...].Ogni sentenza nietzschiana è filtrata dai suoi patimenti; eroica, non sempre vittoriosa sulle bizzarrie del temperamento, la passione della verità. Ogni fiore della pianta spinosa ha il sapore delle radici. (da Lettere di Nietzsche, pp. 258-259)
  • Ma il grande incompreso, in vita e in morte, dagli altri aveva poi compreso sé stesso? O quale irresistibile attrazione verso il supremo Antagonista gli dettava il titolo dell'opera ultima, autobiografica, Ecce Homo? Da quale modulo più vicino che i Vangeli aveva dedotto la musica per i suoi versetti Zarathustra? E dopo il primo sussulto della follia, all'amico Peter Gast spediva un messaggio:
    «Mio maestro Pietro!
    «Cantami una nuova canzone. Il mondo è trasfigurato e tutti i cieli gioiscono. Il Crocifisso». (da Lettere di Nietzsche, p. 259)
  • Opera di trapasso, Aurora, intesa ancora ad abbattere più che a costruire, vibra di una singolare tensione interna per il paradosso del suo impegno stesso, che è dimostrare razionalmente l'irrazionalità originaria della morale in corso. Occasione per eccellenza sia a demolire idoli, sia (anche più) a illuminare caverne dell'inconscio occupate da «sacra» tenebra di millenni. (da "Aurora" di Nietzsche, p. 263)
  • È una discesa imperterrita agli inferi degli istinti, Aurora, un'esplorazione che si vuole profana, «scientifica», nel territorio per millenni interdetto del «sacro». Ma quale tensione – sotto la freddezza «scientifica», – negli incontri con Platone, con Cristo... dove la voce del nuovo avversario pare a volte incrinarsi, di là dal senso delle parole, nella memoria dell'antica ammirazione e amicizia. Ambivalenze da ricordare un Hölderlin. (da "Aurora" di Nietzsche, p. 264)
  • [Su Ernst Jünger] È questa impassibilità di registrazione il più appariscente carattere della sua prosa, maturata del resto non solo dall'esperienza dell'età dell'acciaio, ma dall'esercizio scientifico e dallo studio degli esemplari di tutti i tempi. Il gioco dei sentimenti, come nei massimi scrittori, si riflette piuttosto in certe increspature improvvise di quella superficie smagliante; segreti refoli del ritmo o un digradare di colori nei suoni accennano – ma solo a chi paziente esamini il tessuto nell'originale – la mobilità di cieli al primo sguardo immutabili. Ché la prosa di Jünger va letta come poesia, e d'uno dei più sottili orchestratori. [...] Per Jünger «realista» nella visione della vita, ma nella pratica dell'arte – senza dubbio – platonico, ogni aspetto del mondo si deve nella scrittura modellare secondo un'idea che preesistente gli corrisponde: nell'identità dell'archetipo e della frase, la perfezione. (da Ritorno di Jünger, p. 268)
  • [Sulle Memorie di Lou Andreas Salomé] L'orgoglio e l'aridità della donna intellettuale è il basso continuo di quest'opera. (Preziosa l'osservazione che a Vienna, dove pure entrò «con muchas campanillas», si preferiva un altro genere di donna, la «Wiener Mädel» ricca di altre qualità femminili). Ora come non pensare alla fragilità fisica di uomini quali Nietzsche o Rilke? Né ci sembra neppure retrospettivamente appetibile assistere a un incontro fra Menadi intellettuali quali Lisbeth Nietzsche, Lou Andreas Salomè e Cosima Wagner a Bayreuth. Veramente allora il «meglio», per distorcere un po' la frase della vegliarda in agonia, «il meglio è la morte». (da Memorie di Lou Andreas Salomè, pp. 287 – 288)

Citazioni su Leone Traverso[modifica]

  • Non ci sembra di propendere per l'esagerazione se consideriamo Leone Traverso come «il pellegrino appassionato dei santuari dell'arte e dell'anima», «il membro di un ideale ordine laico» a cui appartennero, al dire di Praz, oltre a Hugo von Hofmannsthal e a Walter Pater, anche Henry James e Marcel Proust, un devoto di Robert de la Sizeranne, l'autore di Ruskin et la religion de la Beauté, e non ultimo il d'Annunzio delle città del silenzio: Venezia, Mantova, Ferrara, ammirato da Hofmannsthal e, con scelte selettive e mai ripudiate, pure da Traverso, che si riteneva, boutade a parte, l'ultimo della stirpe dei decadenti. (Giuseppe Mesirca)

Note[modifica]

  1. Una parola totale, nuova e come incantatrice.
  2. Dall'introduzione a Stefan George, Poesie, traduzione di Leone Traverso, presentazione di Giuseppe Bevilacqua, Casa Editrice Le Lettere, 2003, pp. 10-11. ISBN 8871660196.
  3. Dalla prefazione di Rainer Maria Rilke, Charles Baudelaire e Heinrich von Kleist, Bambole, giocattoli e marionette, a cura di Leone Traverso, Passigli Editore, 1998, p. 7. ISBN 8836805779.
  4. Dalla prefazione di Rainer Maria Rilke, Charles Baudelaire e Heinrich von Kleist, Bambole, giocattoli e marionette, a cura di Leone Traverso, Passigli Editore, 1998, pp. 7-8. ISBN 8836805779.
  5. Da Profilo di Hans Carossa, in Hans Carossa, I casi del dottor Bürger, a cura di Leone Traverso, prefazione di Italo Alighiero Chiusano, Passigli Editori, Firenze, 1993, p. 124. ISBN 8836804616
  6. I francesi.
  7. Marie von Ebner-Eschenbach, traduzione di Rodolfo Paoli, collana «Fuochi» Morceliana.

Bibliografia[modifica]

  • Leone Traverso, Immagini di città, introduzione di Giuseppe Mesirca, Bertoncello, 1986.
  • Leone Traverso, Ricordo di Felix Hartlaub, in Felix Hartlaub Nell'occhio del tifone, Lerici, 1961.
  • Leone Traverso, Studi di letteratura greca e tedesca, Feltrinelli, Milano, 1961.
  • Leone Traverso, Sul "Torquato Tasso" di Goethe e altre note di letteratura tedesca. Pubblicazioni dell'Università di Urbino, serie di Lettere e Filosofia, vol. XIX, Argalìa Editore, Urbino, 1964.
  • Roberto Salvini e Leone Traverso, Predelle dal '200 al '500, introduzione di Leone Traverso, Vallecchi Editore, 1959.

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