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Herman Melville

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Herman Melville

Herman Melville (1819 – 1891), scrittore, poeta e critico letterario statunitense.

Citazioni di Herman Melville

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  • Il povero vecchio passato, schiavo del futuro.
The poor old Past, The Future's slave.[1]
  • La più sottile depravazione si unisce abitualmente a una prudenza non comune, perché deve tutto nascondere.[2]
  • La passione, anche quella più profonda, non richiede un palcoscenico grandioso per recitare la sua parte.[2]
  • Le Marchesi! Quali strani visioni di cose esotiche evoca il loro solo nome! Belle houris – banchetti di cannibali – boschi di noci di cocco – banchi di corallo – capi tatuati e templi di bambu; vallate piene di sole, piantate di alberi del pane – canoe intagliate cullantesi sulle azzurre acque splendenti – foreste selvagge custodite da idoli orribili – riti pagani e sacrifici umani.[3]
  • Un sorriso è il mezzo scelto per ogni ambiguità.
A smile is the chosen vehicle of all ambiguities.[4]

Bartleby lo scrivano

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Sono un uomo piuttosto anziano. La natura della mia professione, negli ultimi trent'anni, mi ha portato ad aver contatti fuor del comune con ciò che direbbesi un interessante ed alquanto singolare genere di individui, dei quali fino ad ora, ch'io sappia, nulla è stato scritto: mi riferisco ai copisti legali, ovvero scrivani.[5]

Citazioni

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  • Avrei preferenza di no. (Bartebly: p. 12)
    Preferirei di no.[6]
I would prefer not to.
  • Non di rado accade che, se contrariati in maniera insolita e profondamente irragionevole, si senta vacillare in noi le nostre più elementari convinzioni. Si comincia, per così dire, a contemplare la possibilità che, per quanto sorprendente sia il fatto, tutte le buone e giuste ragioni abitino in casa dell'altro. (p. 14)
  • Ah, la felicità corteggia la luce, perciò noi crediamo allegro il mondo; ma la miseria si nasconde da lungi, perciò pensiamo che non esista miseria. (p. 22)
  • Per un essere sensibile, non di rado la compassione è dolore. (p. 24)
  • Il grosso problema era questo: non tanto s'io avessi assunto ch'egli mi lasciasse, quanto, s'egli avesse preferenza a farlo o meno. Ed egli era uomo di preferenze, più che di assunti. (p. 31)

Diario italiano

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  • Mercoledì 18 febbraio
    Prima dell'alba siamo passati tra Capri e il Continente e siamo entrati nel Golfo di Napoli. Ero sul ponte. L'indistinta massa del Vesuvio fu presto in vista. L'ho riconosciuta da un quadro (della mamma?). Ben presto ho «sentito» la città. Luci brillanti. Siamo stati trattenuti a bordo fino alle nove dalla polizia che se la prende con comodo. Con alcuni altri sono sceso all'Hotel de Geneve. Colpito dalla prima apparizione di Napoli. Grandi folle, strade belle, edifici alti. A colazione Rhinelander e Friedman han detto che sarebbero andati a Pompei. Mi sono unito a loro, le ferrovie sono dovunque le stesse. Siamo passati attraverso Portici, Resina, Torre del Greco. Pompei è uguale ad ogni altra città. La stessa antica umanità. Che si sia vivi o morti non fa differenza. Pompei è un sermone incoraggiante. Amo più Pompei che Parigi. C'erano delle guardie silenziose come il Mar Morto. Al Vesuvio a dorso di cavallo. Vigneti sulle pendici. Arrampicata sulle ceneri. Aggrappato alla guida. Discussione. Il vecchio cratere di Pompei. Il cratere attuale è come una vecchia miniera abbandonata. L'uomo che brucia. Rosso e giallo. Tuoneggiante. Boati. Una lingua di fuoco. Sono sceso nel cratere. Liquirizia congelata. Son sceso giù in fretta. Crepuscolo. Cavalcata nel buio. All'Annunziata trovato un vetturino per Napoli. Una corsa nel freddo senza soprabito. Di ritorno all'Hotel a mezzanotte. La strada e la campagna erano silenziose. Un sobborgo. Cena a letto. (pp. 23-24)
  • Pranzo e passeggiata nella strada di Toledo. Grande folla. Riesce difficile vedere la differenza da Broadway. Mi sembra d'essere lì. (pp. 25-26)
  • Passeggiato per la Strada Nuova. I palazzi son meno belli di quelli di Roma, Firenze, e Venezia. Una caratteristica sono i dipinti di architetture invece che della realtà. Ogni sorta di elaborata architettura è rappresentata negli affreschi – Il detto di Machiavelli secondo il quale l'apparenza delle virtù può essere vantaggiosa quando la realtà lo sarebbe meno – (p. 79)
  • [Sulle strade di Genova] Strade come quelle di Edimburgo, soltanto più erte e aggrovigliate. (p. 79)
  • Alla Cattedrale. Marmi bianchi e neri in disposizione alternata. Il bassorilievo a "graticola" – bello l'interno. (p. 80)
  • Preso l'omnibus (2 soldi) fino all'estremità del porto. Il faro (alto 300 piedi). Ci son salito. Vista superba. La costa verso il sud. Un promontorio. Tutta Genova e le sue fortezze dinanzi a voi. L'altezza e la distanza di queste fortezze, la loro esterna solitudine. La desolazione, l'aspetto selvaggio delle valli che intercorrono sembrano fare di Genova la capitale e il campo fortificato di Satana; fortificato contro gli Arcangeli. Le nuvole che si addensano sui bastioni sembrano immaginarie. (p. 80)
  • [Su Genova] Ho visitato i palazzi. Stile differente da quelli di Roma. Grandi atrii che precedono i cortili. (p. 81)

Moby Dick

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Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m'accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell'anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che m'accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c'è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l'altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l'oceano.

Pina Sergi

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Chiamatemi Ismaele. Qualche anno fa — non importa ch'io vi dica quanti — avendo poco o punto denaro in tasca e niente che particolarmente m'interessasse a terra, pensai di mettermi a navigare per un po', e di vedere così la parte acquea del mondo. Faccio in questo modo, io, per cacciar la malinconia e regolare la circolazione. Ogniqualvolta mi accorgo di mettere il muso; ogniqualvolta giunge sull'anima mia un umido e piovoso novembre; ogniqualvolta mi sorprendo fermo, senza volerlo, dinanzi alle agenzie di pompe funebri o pronto a far da coda a ogni funerale che incontro; e specialmente ogniqualvolta l'umor nero mi invade a tal punto che soltanto un saldo principio morale può trattenermi dall'andare per le vie col deliberato e metodico proposito di togliere il cappello di testa alla gente — allora reputo sia giunto per me il momento di prendere al più presto il mare. Questo è il sostituto che io trovo a pistola e pallottola. Con un ghirigoro filosofico Catone si getta sulla spada; io, quietamente, mi imbarco. Non c'è niente di straordinario in questo. Basterebbe che lo conoscessero appena un poco, e quasi tutti gli uomini, una volta o l'altra, ciascuno a suo modo, si accorgerebbero di nutrire per l'oceano su per giù gli stessi sentimenti miei.

Citazioni

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  • Già: come tutti sanno, meditazione e acqua sono sposate per sempre. (cap. I; 2004, p. 25)
  • L'ignoranza è madre della paura [...]. (cap. III; 2004, p. 49)
  • Meglio dormire con un cannibale sobrio che con un cristiano ubriaco. (Ismaele: cap. III; 2004, p. 52)
  • [...] nel parere dei più fare qualcosa con freddezza equivale a farlo secondo le buone maniere. (cap. V; 2004, p. 60)
  • Queequeg era nativo di Rokovoko, un'isola lontanissima a sud-ovest. Non è segnata in nessuna carta: i luoghi veri non lo sono mai. (cap. XII; 2004, p. 88)
  • Giacché tutti gli uomini di tragica grandezza diventano tali per un che di morboso. (cap. XVI; 2004, p. 111)
  • Ora, com'ho accennato prima, io non ho obiezioni contro la religione di nessuno, qualunque essa sia, purché questa persona non uccida e non insulti nessun'altra persona per la ragione che quest'altra persona non ci crede anch'essa. Ma quando la religione di un uomo si fa realmente insensata, quando è per lui un autentico tormento, e rende insomma questa nostra terra una locanda scomodissima a starci, allora io credo che sia proprio la volta di pigliare in disparte l'individuo e discutergli insieme la cosa. (Ismaele: cap. XVII, 1963)
  • In una parola, Queequeg, l'inferno è un'idea nata la prima volta da un pasticcio di mele digerito male; e perpetuata da quel momento in poi attraverso le dispepsie ereditarie causate dai Ramadan. (Ismaele: cap. XVII; 2004, p. 126)
  • L'anima è come la quinta ruota in un carro. (Elia: cap. XIX; 2004, p. 132)
  • Le cose più meravigliose sono sempre quelle inesprimibili, le memorie profonde non concedono epitaffi: questo capitolo lungo sei pollici è la tomba senza lapidi di Bulkington. Voglio dire soltanto che accadeva a lui come a una nave travagliata da fortuna, che trascorre miseramente lungo la costa a sottovento. Il porto sarebbe disposto a darle riparo, il porto è misericordioso, nel porto c'è sicurezza, comodità, focolare, cena, coperte calde, amici, tutto ciò che è benevolo al nostro stato mortale. Ma in quel vento di burrasca il porto, la terra, sono il pericolo più crudele per la nave. Bisogna ch'essa fugga ogni ospitalità; un urto solo della terra anche se soltanto sfiorasse la chiglia, farebbe rabbrividire il bastimento da cima a fondo. Con ogni sua forza, essa spiega tutte le vele per scostarsi e, così facendo, combatte proprio coi venti che la vorrebbero portare in patria, torna a cercare l'assenza di terra del mare sconvolto, precipitandosi per amor della salvezza perdutamente nel pericolo: il suo unico amico è il suo nemico più accanito!
    Capisci ora, Bulkington? Sembra che tu afferri barlumi di quella verità intollerabile ai mortali, che ogni pensare serio e profondo è soltanto l'intrepido sforzo dell'anima per mantenere la libera indipendenza del suo mare, mentre i venti più selvaggi della terra e del cielo cospirano a gettarla sulla costa traditrice e servile?
    Ma siccome nell'assenza della terra soltanto sta la suprema verità senza rive, infinita come Dio, così meglio è perire in quell'abisso ululante che venire vergognosamente sbattuto a sottovento, anche se in questo fosse la salvezza. Poiché, allora, oh! chi vorrebbe come un verme strisciare vilmente a terra? Terrore dei terrori! È così vana tutta quest'angoscia? Coraggio, Bulkington, coraggio! Tienti ferocemente, semidio! Su dagli spruzzi della tua morte oceanica, su, in alto, balza la tua apoteosi! (Ismaele: cap. XXII, 1963)
  • E con questo [Starbuck] sembrava intendere non soltanto che il coraggio più degno di fiducia e più utile è quello che sorge dalla giusta stima del pericolo da affrontare, ma anche che un uomo che non abbia nessuna paura è un compagno di gran lunga più pericoloso di un vigliacco. (cap. XXVI; 2004, p. 157)
  • Gli uomini possono apparire detestabili come società per azioni e come popoli; furfanti possono essere, sciocchi e assassini; gli uomini possono avere volti ignobili e insignificanti; l'uomo ideale tuttavia è una creatura tanto nobile e splendente, tanto grandiosa e luminosa che sopra ogni sua macchia ignominiosa tutti i suoi compagni dovrebbero affrettarsi a gettare i loro manti più preziosi. (cap. XXVI; 2004, p. 159)
  • La vecchiaia ama sempre la veglia; quasi che l'uomo, quanto più lungo è il tempo che l'ha tenuto allacciato alla vita, tanto di meno abbia a che fare con ciò che rammenta la morte. (cap. XXIX; 2004, p. 170)
  • Secondo me [Achab] deve avere quella che a terra chiamano la coscienza; è una specie di micragna, dicono, peggio del mal di denti. (Stubb: cap. XXIX; 2004, p. 173)
  • Infatti, quale che sia la superiorità intellettuale di un uomo, essa non potrà arrogarsi mai sugli altri una supremazia pratica ed efficace senza l'ausilio di un qualche esterno artificio, di una qualche esterna prevaricazione, sempre, in sé, più o meno ignobili e abbietti. (cap. XXXIII; 2004, p. 196)
  • Tutti gli oggetti visibili, vedi, sono soltanto maschere di cartone, ma in ogni evento, nell'atto vivo, nell'azione indubitata, qualcosa di sconosciuto, ma sempre ragionevole, sporge le sue fattezze sotto la maschera bruta. E se l'uomo vuol colpire, colpisca sulla maschera! (Achab: cap. XXXVI, 1963)
  • Lascio una scia bianca e torbida; pallide acque, gote ancor più pallide, dovunque io navighi. I flutti gelosi si gonfiano ai lati per sommergere la mia traccia; lo facciano; ma prima io passo. (Achab: cap. XXXVII; 2004, p. 220)
Io lascio un bianco e torbido solco, acque pallide, volti più pallidi, dovunque io navighi. Flutti gelosi si gonfiano lungo le fiancate per sommergere la mia traccia. Facciano pure, ma prima, io passo.[7]
  • Deviarmi? La via del mio fermo proposito è segnata da rotaie di ferro per correre sulle quali il mio spirito è scanalato. Su precipizi senza fondo, attraverso i cuori infestati delle montagne, sotto i letti dei torrenti, io mi precipito infallibilmente. Nessun ostacolo c'è, nessun gomito su questa mia strada di ferro! (Achab: cap. XXXVII, 1963)
  • Egli [Achab] ammucchiava sulla gobba bianca della balena la somma di tutta la rabbia, di tutto l'odio sentiti dalla sua razza fin dai tempi di Adamo; e poi, come se il suo petto fosse stato un mortaio, le sparava addosso la carica del suo cuore ardente. (cap. XLI; 2004, p. 240)
  • Ma è vana impresa volgarizzare gli abissi, e ogni verità è un abisso. (cap. XLI; 2004, p. 241)
  • Non è, no, il ricordo dei suoi terremoti distruttori di cattedrali; né il timor panico suscitato dai suoi mari frenetici; né l'assenza di lacrime dei suoi aridi cieli che non versano mai pioggia; né la vista della sua immensa distesa di guglie contorte, di cornicioni divelti e di croci tutte pendenti (come pennoni inclinati di flotte all'ancora); né i suoi viali suburbani dove i muri delle case giacciono l'imo sull'altro come un mazzo sparpagliato di carte; non sono queste cose soltanto a fare di Lima senza lacrime la città più strana e più triste che si possa vedere. (cap. XLII)
  • Anche se in molti dei suoi aspetti questo mondo visibile sembra formato nell'amore, le sfere invisibili furono formate nella paura. (cap. XLII; 2004, p. 253)
  • Oh, Dio! quali estasi torturanti sopporta colui che è consumato da un'unica inappagata brama di vendetta! Dorme coi pugni serrati; e si sveglia con le unghie piene di sangue che gli trafiggono le palme. (cap. XLIV; 2004, p. 260)
  • Dio ti aiuti, vecchio [Achab], i tuoi pensieri hanno creato una creatura dentro di te; e colui che l'intensità del pensiero rende un Prometeo, di quel cuore per sempre si ciberà un avvoltoio; quell'avvoltoio è la creatura stessa che egli crea. (cap. XLIV; 2004, pp. 261-262)
  • Nei momenti di forte emozione gli uomini sdegnano ogni considerazione volgare; ma momenti simili fanno presto a svanire. (cap. XLVI; 2004, p. 273)
  • Né la recluta inesperta che, via dal seno della sposa, marcia nell'ardore febbrile della sua prima battaglia; né lo spirito del morto che s'imbatte nell'aldilà nel primo fantasma sconosciuto: né questo né quello possono provare emozioni più strane e più forti di quelle di colui che si trova per la prima volta a vogare dentro il malioso cerchio di schiuma del capodoglio inseguito. (cap. XLVIII; 2004, p. 287)
  • Si dànno, in questo affare strano e confuso che chiamiamo vita, circostanze e occasioni bizzarre nelle quali si prende tutto l'universo come un gran tiro birbone, anche se non se ne capisce che vagamente il senso, e si ha più che il sospetto che tutto quanto il tiro sia stato giocato soltanto alle proprie spalle. Tuttavia, niente serve a scoraggiarci, per niente sembra valga la pena di metterci a litigare. Si buttan giù tutti i fatti, tutti i culti, e le credenze, e le opinioni, tutte le asperità visibili e invisibili, per nocchiute che siano; come uno struzzo dallo stomaco possente trangugia pallottole e pietre focaie. E in quanto alle difficoltà e alle angustie di poco conto: prospettive d'improvvisa rovina, pericolo di rimetterci la vita o un braccio, tutte queste cose, e perfino la morte, sembrano non più che bottarelle date bene e con le migliori intenzioni, allegre gomitate impartite da quel vecchio invisibile e inspiegabile d'un giocherellone. (cap. XLIX; 2004, pp. 290-291)
  • Il giro del mondo! In questa frase c'è di che ispirare orgogliosi sensi; ma dove mai conduce tutta questa circumnavigazione? Attraverso pericoli innumerevoli, solamente allo stesso punto dal quale siamo partiti, dove coloro che ci siamo lasciati dietro, al sicuro, sono sempre stati davanti a noi.
    Se questo mondo fosse una pianura senza fine, e navigando a est potessimo raggiungere sempre nuove lontananze e scoprire visioni più dolci e strane di tutte le Cicladi o le Isole del Re Salomone, allora sì che il viaggio prometterebbe qualcosa. Ma inseguendo quei misteri che popolano i nostri sogni, o torturandoci a dar la caccia a quello spettro diabolico che prima o poi nuota innanzi a tutti i cuori umani; andando così a caccia intorno a questo globo, queste cose o ci trascinano in sterili labirinti o ci lasciano, sommersi, a mezza strada. (cap. LII; 2004, p. 303)
  • Ma non soltanto il mare è un tale avversario dell'uomo che è per lui un estraneo: esso è anche un nemico diabolico delle proprie creature e, peggio di quel padrone di casa persiano che assassinò i suoi ospiti, non risparmia la prole ch'esso stesso ha generato. Come una tigre inferocita che balzando per la giungla schiaccia i suoi stessi piccoli, il mare scaglia anche le più forti balene contro la roccia e le lascia lì a fianco a fianco con gli avanzi frantumati delle navi. Nessuna pietà, nessun potere, tranne il suo, lo governano. Sussultando e sbruffando come un destriero da battaglia impazzito, che abbia perduto il suo padrone, l'oceano senza legge scorre il globo.
    Considerate l'astuzia del mare: come le sue creature più temute scivolano sott'acqua, senza quasi affatto mostrarsi, perfidamente nascoste sotto le più incantevoli tinte dell'azzurro. Considerate pure lo splendore e la bellezza diabolici di tante delle sue razze più feroci, quali le forme aggraziate ed eleganti di tante specie di squali. Considerate ancora il cannibalismo universale del mare: come tutte le sue creature si predano a vicenda mantenendosi fin dall'inizio del mondo in guerra eterna.
    Considerate tutto questo, e poi volgetevi a questa verde, graziosa e dolcissima terra: considerateli entrambi, la terra e il mare, e non scoprite una bizzarra analogia con qualcosa in voi stessi? Poiché, come questo spaventevole oceano circonda la terra verdeggiante, così nell'anima dell'uomo c'è un'insulare Tahiti, piena di pace e di gioia, ma circondata da tutti gli orrori della vita a metà sconosciuta. Che ti protegga Iddio! Non allontanarti da quest'isola, ché potresti non tornare mai più! (cap. LVIII, 1963)
  • O natura, e tu, anima umana! come le vostre intrecciate analogie giungono al di là di ogni dire! non c'è minimo atomo che si agiti o viva nella materia senza avere un duplicato raziocinante nella mente dell'uomo. (Achab: cap. LXX; 2004, p. 389)
  • Immersa nei pensieri, una bella fronte umana è come l'Oriente quando lo travaglia il mattino. Nella quiete del pascolo, la fronte arricciata del toro ha in sé un che di grandioso. Quando spinge pesanti cannoni su per le gole montane, la fronte dell'elefante è maestosa. D'uomo o d'animale, la fronte misteriosa è come quel gran sigillo d'oro imposto dagli imperatori tedeschi ai loro decreti. Vuol dire: «Dio: fatto oggi di mio pugno». (cap. LXXIX; 2004, p. 428)
  • [...] il capodoglio non respira che circa un settimo, o una domenica, di tutto il suo tempo. (cap. LXXXV, 1963)
  • E così, a quanto pare, c'è una ragione in tutto, perfino nella legge. (cap. XC; 2004, p. 493)
  • [...] mi colpì il fatto notevole che, in geometria, tutti i corpi che scivolano giù per il cicloide, ad esempio la mia steatite, da qualunque punto discendano impiegano sempre lo stesso tempo. (cap. XCVI, 1963)
  • E c'è un'aquila dei Catskill in certe anime, che riesce sia a tuffarsi nelle gole più cupe sia a spiccare di nuovo il volo sino a sparire negli spazi solari. E anche se vola per sempre nella gola, quella gola sta tra i monti; così anche quando scende più in fondo l'aquila di montagna è sempre più alta degli altri uccelli della pianura, per quanto eccelsi possano librarsi a volo. (cap. XCVI; 2004, p. 520)
  • E un significato si cela in tutte le cose, o tutte le cose avrebbero ben poco valore, e il mondo stesso non sarebbe che un vuoto nulla, salvo che per venderlo a carrettate, come fanno delle colline nei pressi di Boston, per riempire qualche acquitrino della Via Lattea. (cap. XCIX; 2004, p. 525)
  • Per produrre un possente libro, bisogna scegliere un tema possente. Non si potrà mai scrivere libro grande e duraturo sulla pulce, anche se molti sono coloro che l'hanno tentato. (cap. CIV; 2004, p. 555)
  • Di sotto al cappello abbassato sul viso, Achab lasciò cadere una lacrima nel mare; e tutto il Pacifico non conteneva ricchezze pari a quell'unica piccola goccia. (cap. CXXXII; 2004, p. 648)
  • Se io fossi il vento, non soffierei più su un mondo tanto malvagio e miserabile. Mi trascinerei chi sa dove in una caverna e ci starei appiattato. Eppure è un essere nobile ed eroico il vento! Chi l'ha mai vinto? in qualunque battaglia dà sempre l'ultimo colpo e il più amaro. Correte per dargli, e non riuscite che a passargli attraverso. Ah! Un vento vigliacco che colpisce uomini nudi, ma non vuol ricevere un solo colpo. Persino Achab è più coraggioso, più coraggioso di lui. Se soltanto il vento avesse un corpo! ma tutte le cose che più esasperano e offendono i mortali, tutte sono incorporee, benché soltanto incorporee come oggetti, non come agenti. Ecco la specialissima, ingegnosissima e perfida differenza! (Achab: cap. CXXXV; 1963)
  • [Ultime parole] Verso di te rotolo, verso di te, balena che tutto distruggi senza riportar vittoria; fino all'ultimo mi azzuffo con te, dal cuore dell'inferno ti trafiggo; in nome dell'odio ti sputo addosso l'estremo respiro. Affonda tutte le bare e tutti i catafalchi in un vortice solo! e poiché né questi né quelle possono essere per me, ch'io ti trascini sbranata mentre continuo a darti la caccia, benché sia legato a te, dannata balena! Così, lascio andare la lancia! (Achab: cap. CXXXV; 2004, p. 685)

Dopo che il Parsi fu sparito, avvenne che fossi io colui che le Parche destinarono a prodiere di Achab, quando quel prodiere prese il posto vacante; e sempre io colui che, quando l'ultimo giorno i tre uomini furono sbalzati fuori dalla lancia rollante, fu sbattuto a poppa. Così, galleggiando ai bordi della scena che seguì ed essendone in tutto spettatore, quando il risucchio affievolito della nave affondata mi raggiunse, allora venni trascinato, ma lentamente, verso il vortice che si chiudeva. Quando vi giunsi, si era placato in una pozza di lattea schiuma. In tondo, allora, sempre in tondo a circoli via via più stretti che mi avvicinavano alla bolla nera simile a un bottone, sull'asse di quel cerchio che roteava lento, novello Issione io girai. Infine, toccando quel centro vitale, la bolla nera scoppiò; e allora, liberata dalla sua molla ingegnosa e risalita con gran forza, per la sua leggerezza, alla superficie, la bara-salvagente sfrecciò in tutta la sua lunghezza fuor d'acqua, ricadde, e mi galleggiò accanto. Tenuto su da quella bara, quasi per tutto il corso d'un giorno e d'una notte fluttuai su di un oceano molle e funereo. Inoffensivi, i pescicani mi guizzavano accanto come se avessero un catenaccio alla bocca; i selvaggi falchi marini trascorrevano via col becco inguainato. Il secondo giorno, un veliero si avvicinò e mi raccolse, finalmente. Era la «Rachele» che incrociava raminga e che, tornando sui suoi passi alla ricerca dei figli perduti, trovò solo un altro orfano.

[Herman Melville, Moby Dick, introduzione, traduzione e note a cura di Pina Sergi, Rizzoli, Milano, 2004. ISBN 88-17-00329-8]

Citazioni su Moby Dick

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  • Moby Dick è un libro triste, squallido, piatto, addirittura ridicolo… Quel capitano pazzo, poi, e di una noia mortale. (The Southern Quarterly Review, 1851)[8]
  • Quel libro, Moby Dick, viene dato come premio di fine anno ai bambini delle scuole americane, e tuttavia rappresenta una delle riflessioni più profonde e più toccanti che un artista abbia potuto fare sul problema del male. (Albert Camus)

Incipit di alcune opere

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Benito Cereno

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Nell'anno 1799, il capitano Amasa Delano, di Duxbury nel Massachusetts, capitano d'una grossa nave per la caccia alle foche e per il commercio in genere, getto l'ancora, con un carico di notevole valore, nel porto di S. Maria, una piccola isola deserta alla estremità meridionale della lunga costa del Cile, per rifornirsi d'acqua.[9]

Galapagos

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Disse allora il traghettatore: "Non sostiamo,
Senza sospetto potremmo sprofondare:
Le isole non son che sogno vano,
Non sono terraferma a cui approdare
Ma trappole errabonde e vanno invano
Per le acque senza fine, con l'inganno:
Diconsi Vaganti, al largo gira, andiamo,
Molti viandanti pria di te vi hanno
Trovato triste morte o grande danno;
Mai più fece ritorno da quel lido
Chi vi ha posato piede
Vagare sempre deve, nel dubbio infido.

Oscure, tetre, come avello arcano
Che all'infinito sol carogna brama,
al vertice dimora il gufo insano,
Che con l'oscuro canto sempre trama
Ansiose fughe di gioiosi uccelli,
Gemono sol fantasmi in quegli avelli".

Pensate a venticinque cumuli di cenere, scaricati qui e là in un campo alla periferia della città. Immaginate che alcuni siano giganteschi come montagne e che il campo sia il mare: avrete così l'idea esatta delle Encantadas, o isole Incantate. Un arcipelago di vulcani spenti, piuttosto che di isole, più o meno come apparirebbe il mondo dopo una conflagrazione punitiva.

Taipi

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Sei mesi in alto mare! Sì, com'è vero che son vivo, sei mesi senza veder terra; sei mesi trascorsi a inseguire il capodoglio sotto il cocente sole dell'equatore, tormentati dall'onda lunga del Pacifico – il cielo sopra, il mare tutt'intorno e null'altro![10]

Citazioni su Herman Melville

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  • Melville è per gli oceani del mondo quello che Omero è per il Mediterraneo orientale. In un formidabile romanzo, Moby Dick (1851), egli ha scritto la storia della grande balena Moby Dick e del suo cacciatore, il capitano Achab, e creato così il più grande epos dell'oceano in quanto elemento. (Carl Schmitt)
  • Nel 1852, prostrato dall'insuccesso dell'ultimo romanzo, che noi giudichiamo il suo capolavoro, si guardò allo specchio e vide l'immagine del fallito perfetto. Diventò l'uomo più solo del mondo, come Gesù. Aveva trentatré anni, ma non poté morire. Invece di morire viaggiò, come se viaggiare fosse un'altra versione della morte. Tornava alla sua prima vita di marinaio avventuroso e esperto baleniere, ma senza più illusioni. Raggiunse l'arcipelago vulcanico delle Galápagos, che i primi navigatori avevano battezzato Islas Encantadas, e vi trovò la tetraggine dell'inferno. [...] Incontrò le grandi tartarughe. Quelle, che avevano sbalordito Darwin, lui le paragonò a una stirpe di dannati danteschi. Vide che incespicano eroicamente nelle rocce, che disperatamente si dibattono e premono per spostarle. «La suprema loro maledizione» scrisse, «è il fatale impulso a tirare dritto in un mondo ingombro di ostacoli». Capì che l'estenuante storia della Natura non differisce minimamente da quella degli uomini, la sua e la nostra. (Eugenio Baroncelli)
  • Non ricordo chi ha detto: grande è la conoscenza, infinito è il dolore. Melville ci ha messo di fronte a questo. (Arnoldo Foà)

Note

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  1. Da Pezzi di battaglia: aspetti della guerra
  2. a b Da Billy Budd
  3. Da Typee, cap. I.
  4. Da Pierre o delle ambiguità
  5. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  6. Da Bartleby lo scrivano, traduzione di Enzo Giachino, Einaudi, 1994.
  7. Citato in Andrea Pazienza, Zanardi. La prima delle tre.
  8. Citato in Storia della bruttezza, a cura di Umberto Eco, Bompiani, Milano, p. 393. ISBN 978-88-452-7389-6
  9. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  10. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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  • Herman Melville, Bartleby lo scrivano, traduzione di Gianni Celati, Feltrinelli, 1996. ISBN 88-07-82005-6
  • Herman Melville, Benito Cereno e Billy Budd, traduzione di Giancarlo Buzzi, Dalai, 2009.
  • Herman Melville, Diario italiano, traduzione di Guido Botta, Robin Edizioni, Roma, 2002.
  • Herman Melville, Galapagos, traduzione di Cesare Pavese, Tascabili La Spiga.
  • Herman Melville, Moby Dick, o, la Balena, traduzione di Cesare Pavese, Frassinelli, Torino, 1963.
  • Herman Melville, Moby Dick, introduzione, traduzione e note a cura di Pina Sergi, Rizzoli, Milano, 2004. ISBN 88-17-00329-8

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