Albert Camus

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Albert Camus nel 1957
Medaglia del Premio Nobel
Medaglia del Premio Nobel
Per la letteratura (1957)

Albert Camus (1913 – 1960), scrittore e filosofo francese.

Citazioni di Albert Camus[modifica]

  • A ben guardare Plotino si propone di fare, con le sole risorse della filosofia greca, ciò che a stento sono riusciti a fare dieci secoli di cristianesimo.[...] A metà strada tra le due dottrine, Plotino è designato a fare da intercessore.[1]
  • [In risposta alla domanda su quali scrittori viventi fossero più importanti per lui] E anche Simone Weil – a volte i morti sono più vicini a noi dei vivi.
And also Simone Weil – sometimes the dead are closer to us than the living.[2]
  • Il rumore del treno, il cicaleccio puerile che lo circondava nello scompartimento stipato, tutto ciò che rideva e cantava intorno a lui ritmava e accompagnava una specie di danza interiore che lo portò per ore, immobile, ai confini del mondo e finalmente lo scaricò, giubilante e interdetto in una Genova assordante, che scoppiava di salute davanti al suo golfo e al suo cielo in cui fino a sera lottavano il desiderio e la pigrizia. [...] Si smarrì poi nelle strade strette e piene di odori della città vecchia, lasciò che i colori urlassero per lui, che il cielo si consumasse sopra alle case sotto il suo peso di sole e che i gatti si riposassero per lui nell'immondizia e nell'afa. Andò sulla strada che domina Genova e lasciò salire verso di lui, in una lunga lievitazione, tutto il mare carico di profumi e di luci. Chiudendo gli occhi stringeva la pietra calda su cui stava seduto e poi li riapriva su questa città in cui l'eccesso di vita urlava in un esaltante cattivo gusto.[3]
  • Imparavo finalmente, nel cuore dell'inverno, che c'era in me un'invincibile estate.[4]
  • In verità, è un paradosso tipico dello spirito umano cogliere gli elementi senza poterne abbracciare la sintesi: paradosso epistemologico d'una scienza certa nei fatti, ma comunque insufficiente: sufficiente nelle sue teorie, ma comunque incerta, ovvero paradosso psicologico di un io percettibile nelle sue parti, ma inaccessibile nella sua profonda unità.[1]
  • La libertà non è altro che una possibilità di essere migliori, mentre la schiavitù è certezza di essere peggiori.[5]
  • La nostra sola giustificazione, se ne esiste una, è di parlare, secondo i nostri mezzi, per coloro che non possono farlo.[6]
  • Le grandi idee arrivano nel mondo con la dolcezza delle colombe. Forse, se ascoltiamo bene, udiremo, tra il frastuono degli imperi e delle nazioni, un debole frullìo d'ali, il dolce fremito della vita e della speranza.[7]
  • Non essere amati è una semplice sfortuna; la vera disgrazia è non amare.[8]
  • Nulla è dato agli uomini e quel poco che possono conquistare è pagato con morti ingiuste. Ma la grandezza dell'uomo è altrove, è nella decisione di elevarsi al di sopra della propria condizione.[9]
  • Per suicidarsi bisogna amarsi molto.[10]
  • Senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla. Ecco perché ogni autentica creazione è in realtà un regalo per il futuro.
Sans la culture, et la liberté relative qu'elle suppose, la société, même parfaite, n'est qu'une jungle. C'est pourquoi toute création authentique est un don à l'avenir.[11]
  • Un romanzo non è mai altro che una filosofia messa in immagini.[12]
  • Una letteratura disperata è una contraddizione in termini.[8]

Caligola[modifica]

  • Caligola: Ma non sono pazzo e posso dire perfino di non essere mai stato così ragionevole come ora. Semplicemente mi sono sentito all'improvviso un bisogno di impossibile. Le cose così come sono non mi sembrano soddisfacenti. [...] È vero, ma non lo sapevo prima. Adesso lo so. Questo mondo così com'è fatto non è sopportabile. Ho bisogno della luna, o della felicità o dell'immortalità, di qualcosa che sia demente forse, ma che non sia di questo mondo.
    Elicone: È un ragionamento che sta in piedi. Ma, in generale, non lo si può sostenere fino in fondo, non lo sai?
    Caligola: È perché non lo si sostiene mai fino in fondo che non lo si sostiene fino in fondo. E non si ottiene nulla. Ma basta forse restare logici fino alla fine. (atto I, scena IV)[13]
  • Mostro, Caligola, mostro. [...] Come si può continuare a vivere con le mani vuote quando prima stringevano l'intera speranza del mondo? Come venirne fuori? (Scoppia in una risata falsa, artificiosa.) Fare un contratto con la propria solitudine, no? Mettersi d'accordo con la vita. Darsi delle ragioni, scegliersi un'esistenza tranquilla, consolarsi. Non è per Caligola. (Batte il palmo della mano sullo specchio.) Non è per te. Non è vero?
  • Ho deciso di essere logico. Vedrete quanto vi costerà la logica.
  • Gli uomini muoiono e non sono felici.
  • Arricchirò le tue nozioni insegnandoti che non esiste che una sola libertà, quella del condannato a morte. [...] Ecco perché non siete liberi. Ecco perché in tutto l'impero romano l'unico uomo libero è Caligola, circondato da una nazione di schiavi.
  • Ho male al cuore, Cesonia. [...] Sono tutto scosso da conati di vomito. Mi fanno male le gambe, le braccia. Mi fa male la pelle. Ho la testa svuotata, ma la cosa più rivoltante è questo sapore che ho in bocca. Non sa di sangue né di morte né di febbre, ma di tutto questo messo insieme. Mi basta muovere la lingua perché tutto si faccia nero e l'umanità mi ripugni.
  • Ho capito una sera con lei che tutta la mia ricchezza era di questo mondo.
  • Non lasciarmi, Drusilla. Ho paura. Ho paura dell'immensa solitudine dei mostri. Non andartene.
  • Ah, comincio a vivere finalmente! Vivere, Cesonia, è il contrario di amare. Te lo dico io. Che bello spettacolo, Cesonia. Mi occorre il mondo, e spettatori, vittime e colpevoli.
  • Basta con Drusilla. Vedi, Drusilla non c'è più. E cosa rimane? Avvicinati ancora. Guarda. Avvicinatevi. Guardate. Si mette davanti allo specchio con un'espressioni delirante. [...] Caligola cambia tono, punta il dito sullo specchio e, con lo sguardo sempre fisso, ripete trionfante: CALIGOLA.
  • (Al vecchio senatore) Ciao, bella.
  • Sono un uomo semplice, io. Dev'essere per questo che sono un incompreso.
  • Insomma, sono io che faccio le veci della peste.
  • Non c'è nessun cielo, Cesonia.
  • Ah, che abiezione, che schifo, che senso di vomito sentirci crescere dentro quella stessa viltà e quell'impotenza che abbiamo disprezzato negli altri. La viltà! Ma che importa? [...] Sto per ritrovare quel grande vuoto in cui l'anima si placa.
  • Rumore d'armi e mormorio in quinta. Caligola si alza, prende un seggio e si accosta ansimando allo specchio. Si guarda, fa la mossa di balzare in avanti e, vedendo la propria immagine muoversi di riflesso nello specchio, lancia violentemente il seggio urlando. Alla storia, Caligola, alla storia! Lo specchio va in frantumi e, contemporaneamente, entrano da tutti i lati i congiurati armati. Caligola li fronteggia esplodendo in una risata selvaggia. Cherea, per primo, gli è addosso con un balzo e lo trafigge col pugnale, tre volte in pieno viso. Il riso di Caligola si trasforma in singhiozzi. Tutti lo colpiscono convulsamente. In un ultimo singhiozzo, ridendo e rantolando, Caligola grida. Sono ancora vivo!

Conferenze e discorsi[modifica]

  • C'è un'Europa borghese, individualista, quella che pensa al proprio frigorifero, ai propri ristoranti di lusso, che dice "io non voto", è l'Europa borghese, è vero. È quella che non vuole vivere. Forse lo dice, di voler vivere, ma ha collocato la vita a un livello così basso che questa ha ben poche probabilità di perpetuarsi nella storia, e perciò vegeta, e nessuna società ha mai potuto vegetare a lungo. Qui però non vedo nulla che sia espressione della misura classica. Vedo solo un nichilismo individualista, quello che consiste nel dire "non vogliamo né romanticismo né eccesso, non vogliamo vivere sul confine, né conoscere la lacerazione". Se non volete vivere sul confine né conoscere la lacerazione, non vivrete e soprattutto non vivrà la vostra società.[14]
  • C'è un mare Mediterraneo, un bacino che unisce una decina di paesi. Gli uomini che strepitano nei caffè concerto in Spagna, quelli che gironzolano nel porto di Genova, sui moli di Marsiglia, la razza curiosa e forte che vive sulle nostre coste, provengono tutti dalla stessa famiglia. Quando si viaggia in Europa, scendendo verso l'Italia o la Provenza si ritrovano con un sospiro di sollievo uomini sbracati e quella vita intensa e colorata che ben conosciamo. Ho passato due mesi in Europa centrale, dall'Austria alla Germania, a chiedermi da dove venisse la strana angustia che mi pesava addosso, l'inquietudine sorda che mi abitava. Di recente l'ho capito. Tutti erano sempre abbottonati fino al collo. Non sapevano lasciarsi andare. Non conoscevano la gioia, così diversa dal riso.[15]
  • Che cosa significa quindi tutto ciò? Significa che occorre essere semplici nei propri pensieri e nella propria azione, essere all'altezza del proprio ruolo, e fare bene il proprio lavoro. Significa che dobbiamo tutti creare, al di fuori dei partiti e dei governi, comunità di riflessione che avvieranno il dialogo fra le nazioni e affermeranno con la vita e le parole di ciascuno che questo mondo deve cessare di essere quello dei poliziotti, dei soldati e del denaro per diventare quello dell'uomo e della donna, del lavoro fecondo e del tempo libero meditato.[16]
  • L'arte non è, a mio modo di vedere, un intrattenimento solitario. È un mezzo per commuovere il maggior numero di persone offrendo loro un'immagine privilegiata delle sofferenze e delle gioie comuni. Obbliga quindi l'artista a non isolarsi; lo sottomette alla verità più umile e più universale.[17]
  • È vero che quando è fatta in primo luogo di privilegi la libertà è un insulto al lavoro e lo separa dalla cultura. Ma la libertà non è fatta in primo luogo di privilegi, è fatta soprattutto di doveri. E dall'istante in cui ciascuno di noi cerca di far prevalere i doveri della libertà rispetto ai propri privilegi, da questo istante la libertà salda il lavoro e la cultura e mette in moto una forza che è l'unica a poter favorire efficacemente la giustizia. La regola della nostra azione, il segreto della nostra resistenza, può allora essere espresso in modo molto semplice: tutto ciò che umilia il lavoro umilia l'intelligenza, e viceversa. E la lotta rivoluzionaria, lo sforzo secolare di liberazione si definisce allora come un duplice e incessante rifiuto dell'umiliazione. […] la libertà non è un regalo che si riceve da uno stato o da un capo, ma un bene che si conquista ogni giorno, con l'impegno di ciascuno e l'unione di tutti.[18]
  • Non è un caso se il filosofo ispiratore di tutto il pensiero odierno è quello che ha scritto che solo la città moderna permette allo spirito di prendere coscienza di sé stesso e che è arrivato a dire che la natura è astratta e solo la ragione è concreta. Questo è infatti il punto di vista di Hegel, ed è il punto di partenza di un'immensa avventura dell'intelligenza, quella che finisce per uccidere tutto. Nel grande spettacolo della natura, questi spiriti ebbri non vedono altro che sé stessi. È la cecità estrema.[19]
  • Poiché se nulla è vero né falso, se nulla è giusto né sbagliato, e se l'unico valore è l'efficienza, allora la regola deve essere quella di risultare il più efficiente, cioè il più forte. Il mondo non è più diviso fra uomini giusti e uomini ingiusti, ma fra padroni e schiavi. La ragione sta dalla parte di chi sottomette.[20]
  • Quel libro, Moby Dick, viene dato come premio di fine anno ai bambini delle scuole americane, e tuttavia rappresenta una delle riflessioni più profonde e più toccanti che un artista abbia potuto fare sul problema del male.[21]

Il mito di Sisifo[modifica]

Incipit[modifica]

Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non vaga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto – se il mondo abbia tre dimensioni o se lo spirito abbia nove o dodici categorie – viene dopo. Questi sono giouchi: prima bisogna rispondere.

Citazioni[modifica]

  • Il senso dell'assurdo, alla svolta di una qualunque via, può imbattersi faccia a faccia con un uomo qualsiasi. (p. 12)
  • L'abisso che c'è fra la certezza che io ho della mia esistenza e il contenuto che tento di dare a questa sicurezza, non sarà mai colmato. (pp. 19-20)
  • Il mondo, in sé, non è ragionevole: è tutto ciò che si può dire. Ma ciò che è assurdo, è il confronto di questo irrazionale con il desiderio violento di chiarezza [...] L'assurdo dipende tanto dall'uomo quanto dal mondo, ed è, per il momento, il loro solo legame. (p. 21)
  • Dal momento in cui viene riconosciuto, l'assurdo diventa la più straziante di tutte le passioni. (p. 22)
  • Voglio che mi sia spiegato tutto o nulla. E la ragione è impotente di fronte a questo grido del cuore. Lo spirito, risvegliato da questa esigenza, cerca e non trova che contraddizioni e sragionamenti. Ciò che io non comprendo è senza ragione. Il mondo è popolato da questi irrazionali, ed esso stesso, di cui non capisco il significato unico, non è che un immenso irrazionale. (p. 26)
  • A questo punto del proprio sforzo, l'uomo si trova davanti all'irrazionale e sente in sé un desiderio di felicità e di ragione. L'assurdo nasce dal confronto fra il richiamo umano e il silenzio irragionevole del mondo. È questo che non bisogna dimenticare; è a questo che bisogna aggrapparsi, poiché possono nascerne le conseguenze di tutta una vita. L'irrazionale, la nostalgia umana e l'assurdo, che sorge dalla loro intima conversazione: ecco i tre personaggi del dramma, che deve necessariamente finire con tutta la logica di cui un'esistenza è capace. (p. 27)
  • L'assurdo è essenzialmente un divorzio, che non consiste nell'uno o nell'altro degli elementi comparati, ma nasce dal loro confronto.
    Nella fattispecie e sul piano dell'intelligenza, posso dunque dire che l'Assurdo non è nell'uomo (se una simile metafora potesse avere un senso), e neppure nel mondo, ma nella loro comune presenza. (pp. 29-30)
  • […] un uomo è sempre preda delle proprie verità. Quando le abbia riconosciute, egli non è capace di staccarsene. (p. 31)
  • L'importante, diceva l'abate Galiani a madama d'Epinay, non è guarire, ma vivere con i propri mali. Kierkegaard vuol guarire. (p. 37)
  • L'assurdo, che è lo stato metafisico dell'uomo cosciente, non conduce a Dio. Forse questa nozione si farà più chiara se arrischierò la seguente enormità: l'assurdo è il peccato senza Dio.
    Si tratta di vivere entro lo stato d'assurdo. (p. 38)
  • L'assurdo è la ragione lucida, che accetta i propri limiti. (p. 46)
  • Così traggo dall'assurdo tre conseguenze, che sono la mia rivolta, la mia libertà e la mia passione. Per mezzo del solo giuoco della coscienza, trasformo in regola di vita ciò che era un invito alla morte e rifiuto il suicidio. (p. 59)
  • La certezza di un Dio, che darebbe il proprio senso alla vita, supera di gran lunga in attrattiva il potere impunito di mal fare. La scelta non sarebbe difficile; ma non vi è scelta e comincia allora l'amarezza. L'assurdo non libera: vincola. E non autorizza ogni atto. Tutto è permesso[22] non significa che nulla sia proibito. (p. 64)
  • Il tempo farà vivere il tempo e la vita servirà alla vita. (p. 64)
  • Un impiegato delle Poste è pari a un conquistatore, qualora l'uno e l'altro abbiano una coscienza comune. (p. 65)
  • Tutto ciò che fa lavorare e agitarsi l'uomo trae partito dalla speranza. Dunque, il pensiero sterile è il solo che non sia falso. Nel mondo assurdo, il valore di una nozione o di una vita viene misurato in base alla sua infecondità. (p. 65)
  • Non è affatto per mancanza di amore che Don Giovanni va da una donna all'altra. È ridicolo rappresentarlo come un visionario in cerca dell'amore totale. Ma è proprio perché egli ama le donne con eguale trasporto e ogni volta con tutto se stesso, che deve sempre rinnovare questo dono e questo approfondimento. (p. 66)
  • Perché si dovrebbe amare raramente per amare molto? (p. 66)
  • Il conquistatore dice: "No! Non crediate che per amare l'azione abbia dovuto disimparare a pensare. Al contrario; posso definire perfettamente ciò che credo, in quanto lo credo fortemente e lo vedo con una vista chiara e sicura. Diffidate di coloro che dicono: 'Questa cosa la so troppo bene per poterla esprimere'; poiché, se non possono farlo, è perché non la sanno o perché si sono fermati alle apparenze." (p. 80)
  • Viene sempre il momento in cui bisogna scegliere fra la contemplazione e l'azione. Ciò si chiama diventare un uomo. (p. 81)
  • Bisogna vivere con il tempo e con lui morire o sottrarsi a esso per una vita più grande. So che si può venire a transazioni e vivere nel secolo, credendo nell'eterno. Questo compromesso si chiama accettazione. Ma a me ripugna tale termine e voglio essere tutto o nulla. Se scelgo l'azione, non crediate per questo che la contemplazione sia per me come una terra sconosciuta. Soltanto essa non può tutto darmi, e, privato dell'eterno, voglio allearmi al tempo. (p. 82)
  • Essere privi di speranza non significa disperare. (p. 86)
  • Creare è vivere due volte. (p. 92)
  • Per l'uomo assurdo non si tratta più di spiegare e risolvere, ma di provare e descrivere: tutto comincia dall'indifferenza perspicace. (p. 92)
  • L'opera d'arte nasce dalla rinuncia dell'intelligenza a ragionare il concreto. (p. 95)
  • Se il mondo fosse chiaramente comprensibile, l'arte non esisterebbe. (p. 96)
  • Anche il creare è un dar forma al proprio destino. (p. 112)
  • Quanto rimane, è un destino di cui solo la conclusione è fatale. All'infuori di questa unica fatalità della morte, tutto – gioia o fortuna – è libertà, e rimane un mondo, di cui l'uomo è il solo padrone. (p. 113)
  • Se questo mito è tragico, è perché il suo eroe è cosciente. In che consisterebbe, infatti, la pena, se, a ogni passo, fosse sostenuto dalla speranza di riuscire? L'operaio d'oggi si affatica, ogni giorno della vita, dietro lo stesso lavoro, e il suo destino non è tragico che nei rari momenti in cui egli diviene cosciente, Sisifo, proletario degli dei, impotente e ribelle, conosce tutta l'estensione della sua miserevole condizione: è a questa che pensa durante la discesa. La perspicacia, che doveva costituire il suo tormento, consuma, nello stesso istante, la sua vittoria. Non esiste destino che non possa essere superato dal disprezzo. (p. 119)

Explicit[modifica]

Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.

L'uomo in rivolta[modifica]

Incipit[modifica]

Cos'è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando. Qual è il contenuto di questo "no"?

Citazioni[modifica]

  • I martiri non fanno le Chiese: ne sono il cemento o l'alibi. Poi vengono i preti e i bigotti.
  • Il fascismo, effettivamente, è disprezzo. Inversamente, ogni forma di disprezzo, ove intervenga nella politica, prepara o instaura il fascismo.
  • Il marxismo non è scientifico; è, al massimo, scientista.
  • Il fine giustifica i mezzi? È possibile. Ma chi giustificherà il fine? A questo interrogativo, che il pensiero storico lascia in sospeso, la rivolta risponde: i mezzi.
  • L'arte contesta il reale, ma ad esso non si sottrae.
  • L'arte e la rivolta non moriranno se non con l'ultimo uomo.
  • L'avvenire è il solo tipo di proprietà che i padroni concedono volentieri agli schiavi.
  • L'uomo è la sola creatura che rifiuti di essere ciò che è.
  • L'uomo infine non è interamente colpevole, non ha dato inizio alla storia; né è del tutto innocente poiché la continua.
  • La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei.
  • La rivolta alle prese con la storia aggiunge che invece di uccidere e morire per produrre l'essere che non siamo, dobbiamo vivere e far vivere per creare quello che siamo.
  • La rivoluzione consiste nell'amare un uomo che ancora non esiste.
  • La vera generosità verso l'avvenire consiste nel dare tutto al presente.
  • La vera passione del ventesimo secolo è la servitù.
  • La virtù non può scindersi dal reale senza divenire principio di male.
  • Lo schiavo comincia col reclamare giustizia e finisce per volere la sovranità. Ha bisogno di dominare a sua volta.
  • Nel mondo d'oggi, solo una filosofia dell'eternità può giustificare la non-violenza.
  • Non tutti i valori trascinano con sé la rivolta, ma ogni moto di rivolta fa tacitamente appello a un valore.
  • Ogni rivolta è nostalgia d'innocenza e anelito all'essere.
  • Per essere, una volta, al mondo, bisogna non essere mai più.
  • Un solo capo, un solo popolo, significa un solo signore e milioni di schiavi.

La caduta[modifica]

Incipit[modifica]

Potrei, egregio signore, senza rischiare d'importunarla, offrirle i miei servizi? Temo che lei non sappia farsi intendere dall'esimio gorilla che presiede ai destini di questo locale. In effetti, egli parla soltanto olandese. Se non mi autorizza a patrocinare la sua causa, non indovinerà che lei desidera del ginepro. Ecco, oso sperare che m'abbia capito; quella scrollata di capo deve significare che si arrende alle mie ragioni. Infatti si muove, si affretta con saggia lentezza. Lei è fortunato, non brontola. Quando si rifiuta di servire, gli basta un brontolio: nessuno insiste.

Citazioni[modifica]

  • [Riferendosi agli speleologi] Sforzarsi di raggiungere quota meno ottocento, a rischio di trovarsi con la testa stretta nella gola di una roccia (un sifone, come dicono quegli incoscienti), mi sembrava una impresa da pervertiti o da traumatizzati.
  • Si, pochi sono stati più naturali di me. Il mio accordo con la vita era totale, aderivo a quello che essa era, dall'alto al basso, senza rifiutare nessuna delle sue ironie, delle sue grandezze e delle sue servitù.
  • Devo dirlo, a furia d'essere uomo con tanta pienezza e semplicità, mi trovavo un po' superuomo.
  • [...] mi trovavo a mio agio in tutto, ma nello stesso tempo non ero soddisfatto di niente.
  • Correvo così, sempre appagato e mai sazio, senza sapere dove fermarmi, fino al giorno, o meglio la sera, in cui la musica cessò, e le luci si spensero.
  • L'uomo è fatto così, caro signore, ha due facce: non può amare senza amarsi.
  • Ho conosciuto un uomo che ha dato vent'anni della propria vita ad una sventata, le ha sacrificato tutto, amicizie, lavoro, il decoro della propria vita, e una sera ammise di non averla mai amata. Si annoiava, ecco tutto, si annoiava come la maggior parte della gente.
  • La vita diventava meno facile: quando il corpo è triste, il cuore langue.
  • Caro compatriota, devo umilmente confessarlo. Sono sempre stato pieno di vanità da scoppiare. Io, io, io, ecco il ritornello della mia cara vita, riecheggiante in tutto quel che dicevo.
  • Gradualmente ho visto più chiaro, ho imparato un po' di quello che sapevo. Fino allora ero sempre stato aiutato da uno stupefacente potere di dimenticare. Dimenticavo tutto, e in primo luogo le mie risoluzioni. In fondo, non v'era niente che contasse.
  • Bisogna che accada qualcosa, è questa la spiegazione della maggior parte degli impegni che gli uomini assumono.
  • Mi rispose, secondo le regole della cortesia parigina, che andassi in malora.
  • La verità è che ogni uomo intelligente, lei m'insegna, sogna di essere un gangster e di regnare sulla società con la sola violenza.
  • In seguito a un concorso di circostanze, è vero, ma le circostanze ci sono sempre.
  • Lei sa che cos'è il fascino: un modo di sentirsi rispondere di sì senza aver fatto chiaramente nessuna domanda.
  • Le amavo, secondo l'espressione consacrata, il che significa che non ne ho mai amata nessuna.
  • [...] e quasi tutte le donne che ho conosciute, le ho stimate migliori di me. Tuttavia, collocandole così in alto, le ho utilizzate più spesso di quanto le abbia servite.
  • Le donne infatti hanno una cosa in comune con Bonaparte: pensano sempre di riuscire dove gli altri sono falliti.
  • Ahimè, dopo una certa età ognuno è responsabile della sua faccia.
  • C'è sempre qualche ragione per l'uccisione d'un uomo. È invece impossibile giustificare che viva.
  • Ha notato che soltanto la morte ci ridesta i sentimenti? Ma lo sa perché siamo sempre più giusti e generosi con i morti? È semplice. Verso di loro non ci sono obblighi. [...] Se un obbligo ci fosse, sarebbe quello della memoria, e noi abbiamo la memoria corta. No, nei nostri amici amiamo il morto fresco, il morto doloroso, la nostra emozione, noi stessi insomma.
  • Il vero amore è eccezionale, due o tre volte in un secolo all'incirca. Per il resto, vanità o noia.
  • Insomma, per diventare famosi, basta ammazzare la portinaia.
  • Io ho imparato ad accontentarmi della simpatia. La simpatia... un sentimento da presidente del consiglio: si ottiene a buon mercato dopo le catastrofi. L'amicizia è una cosa meno semplice.
  • Mi creda per certe persone almeno, non prendere quello che non si desidera è la cosa più difficile del mondo.
  • Per essere felici non ci si deve occupare troppo del prossimo. (1983, p. 51)
  • Quando saremo tutti colpevoli, ci sarà la democrazia. (2001)
  • Quando non si ha carattere bisogna pur darsi un metodo.
  • Quanti delitti commessi semplicemente perché il loro autore non poteva sopportare di essere in colpa!
  • Tra me e me dicevo che anche la morte del corpo a giudicare da quello che avevo visto, era in sé una punizione sufficiente, assolveva tutto.
  • Una persona che conoscevo divideva gli esseri umani in tre categorie: quelli che preferiscono non avere niente da nascondere piuttosto che essere obbligati a mentire, quelli che preferiscono mentire che non aver niente da nascondere e gli ultimi quelli che amano sia mentire sia nascondere. (Bompiani, 1980, p. 75)
  • Una sola frase basterà a descrivere l'uomo moderno: egli fornicava e leggeva i giornali.
  • La verità come la luce acceca. La menzogna, invece, è un bel crepuscolo, che mette in valore tutti gli oggetti.

La peste[modifica]

Incipit[modifica]

I singolari avvenimenti che dànno materia a questa cronaca si sono verificati nel 194... a Orano; per opinione generale, non vi erano al loro posto, uscendo un po' dall'ordinario: a prima vista, infatti, Orano è una città delle solite, null'altro che una prefettura francese della costa algerina.
La città in se stessa, bisogna riconoscerlo, è brutta. Di aspetto tranquillo, occorre qualche tempo per accorgersi di quello che la fa diversa da tante altre città mercantili, sotto tutte le latitudini.

Citazioni[modifica]

  • L'importante non è che sia un bel modo di ragionare, ma che faccia riflettere. (Castel; p. 39)
  • Al principio dei flagelli e quando sono terminati, si fa sempre un po' di retorica. Nel primo caso l'abitudine non è ancora perduta, e nel secondo è ormai tornata. Soltanto nel momento della sventura ci si abitua alla verità, ossia al silenzio. (Tarrou; p. 89)
  • [...] dando troppa importanza alle buone azioni si finisce col rendere un omaggio indiretto e potente al male: allora, infatti, si lascia supporre che le buone azioni non hanno pregio che in quanto sono rare e che la malvagità e l'indifferenza determinano assai più frequentemente le azioni degli uomini. E questa è un'idea che il narratore non condivide. Il male che è nel mondo viene quasi sempre dall'ignoranza, e la buona volontà può fare guai quanto la malvagità, se non è illuminata. Gli uomini sono buoni piuttosto che malvagi, e davvero non si tratta di questo; ma essi più o meno ignorano, ed è quello che si chiama virtù o vizio, il vizio più disperato essendo quello dell'ignoranza che crede di saper tutto e che allora si autorizza a uccidere. L'anima dell'assassino è cieca, e non esiste vera bontà né perfetto amore senza tutta la chiaroveggenza possibile. (p. 101)
  • Fratelli miei, l'amore di Dio è un amore difficile: suppone un totale abbandono di se stessi e il disprezzo per la propria persona. (Paneloux; p. 176)
  • Il gran desiderio d'un cuore inquieto è di possedere interminabilmente la creatura che ama o di poterla immergere, quando sia venuto il tempo dell'assenza, in un sonno senza sogni che non possa aver termine che col giorno del ricongiungimento.
  • Quando scoppia una guerra, la gente dice: "Non durerà, è cosa troppo stupida". E non vi è dubbio che una guerra sia davvero troppo stupida, ma questo non le impedisce di durare.
  • Il sonno degli uomini è più sacro della vita per gli appestati; non si deve impedire alla brava gente di dormire. Ci vorrebbe del cattivo gusto, e il buon gusto consiste nel non insistere, è cosa che tutti sanno."
  • Ho capito allora che io, almeno, non avevo finito di essere un appestato durante i lunghi anni in cui, tuttavia, con tutta la mia anima, credevo appunto di lottare contro la peste. Ho saputo di aver indirettamente firmato la morte di migliaia di uomini, che avevo persino provocato tale morte, trovando buoni i principi e le azioni che l'avevano determinata. [...] Mi sembra che la storia mi abbia dato ragione, oggi si fa a chi uccide di più. Sono tutti nel furore del delitto, e non possono fare altrimenti. [...] La faccenda mia, in ogni caso, non era il ragionamento; era quella sudicia avventura in cui sudice bocche appestate annunciavano a un uomo in catene che doveva morire e regolavano le cose per farlo morire dopo notti e notti di agonia. La faccenda mia era il buco nel petto. E mi dicevo che mi sarei rifiutato di dar mai una sola ragione, una sola, lei capisce, a quella disgustosa macelleria.[...] Col tempo, mi sono accorto che anche i migliori d'altri non potevano fare a meno di uccidere o di lasciar uccidere: era nella logica in cui vivevano, e noi non possiamo fare un gesto in questo mondo senza rischiare di far morire. Sì, ho continuato ad avere vergogna e ho capito questo, che tutti eravamo nella peste; e ho perduto la pace. Ancora oggi la cerco, tentando di capirli tutti e di non essere il nemico mortale di nessuno.
  • "So soltanto che bisogna fare quello che occorre per non essere più un appestato, e che questo soltanto ci può far sperare nella pace, o, al suo posto, in una buona morte. Questo può dar sollievo agli uomini e, se non salvarli, almeno fargli il minor male possibile e persino, talvolta, un po' di bene. E per questo ho deciso di rifiutare tutto ciò che, da vicino o da lontano, per buone o cattive ragioni, faccia morire o giustifichi che si faccia morire. [...] Di qui, so che io non valgo più nulla per questo mondo, e che dal momento in cui ho rinunciato ad uccidere mi sono condannato ad un definitivo esilio. Saranno gli altri a fare la storia. So, inoltre, che non posso giudicare questi altri. [...] Di conseguenza, ho detto che ci sono flagelli e vittime, e nient'altro. Se, dicendo questo, divento flagello io stesso, almeno non lo è col mio consenso. Cerco di essere un assassino innocente; lei vede che non è una grande ambizione. Bisognerebbe certo che ci fosse una terza categoria, quella dei veri medici, ma è un fatto che non si trova sovente, è difficile. Per questo ho deciso di mettermi dalla parte delle vittime. In mezzo a loro, posso almeno cercare come si giunga alla pace. [...]" Dopo un silenzio il dottore domandò se Tarrou avesse un'idea della strada da prendere per arrivare alla pace. "Sì, la simpatia". [...] "Se si può essere un santo senza Dio, è il solo problema concreto che io oggi conosca".
  • Ci sono negli uomini più cose da ammirare che non da disprezzare. (1988)

La speranza e l'assurdo nell'opera di Franz Kafka[modifica]

  • Tutta l'arte di Kafka sta nell'obbligare il lettore a rileggere. I suoi scioglimenti o la mancanza di scioglimento suggeriscono spiegazioni, che non vengono, però, chiaramente manifestate e che richiedono, per apparir fondate, che la storia sia riletta sotto un nuovo punto di vista. A volte, vi è una possibilità di doppia interpretazione, da cui risulta la necessità di una seconda lettura. È quello che l'autore cercava. (2020, p. 125)
  • Un simbolo va sempre al di là di colui che se ne serve e gli fa dire, in realtà più di quanto abbia coscienza di esprimere. (2020, p. 125)
  • [Su Il Castello] Ogni capitolo è un fallimento e anche un ricominciamento. Non si tratta di logica, ma di spirito di connessione. La vastità dell'ostinatezza costituisce la parte tragica dell'opera. (2020, p. 131)
  • Kafka nega al suo dio la grandezza morale, la bontà, la coerenza, ma solo per gettarsi più facilmente nelle sue braccia. L'Assurdo è riconosciuto, accettato, l'uomo vi si rassegna e, da quel momento, sappiamo che non è più l'assurdo. (2020, p. 134)

Lo straniero[modifica]

Incipit[modifica]

Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall'ospizio: "Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti." Questo non dice nulla: è stato forse ieri.
L'ospizio dei vecchi è a Marengo, a ottanta chilometri da Algeri. Prenderò l'autobus delle due e arriverò ancora nel pomeriggio. Così potrò vegliarla e essere di ritorno domani sera. Ho chiesto due giorni di libertà al principale e con una scusa simile non poteva dirmi di no. Ma non aveva l'aria contenta. Gli ho persino detto: "Non è colpa mia." Lui non mi ha risposto. Allora ho pensato che non avrei dovuto dirglielo.

Citazioni[modifica]

  • Anch'io come tutti, avevo letto dei racconti sui giornali. Ma certo esistevano libri speciali che non ho mai avuto la curiosità di consultare; in essi forse avrei trovato dei racconti di evasione. Avrei saputo che almeno in un caso la ruota si era fermata, che in quel precipitare irresistibile, una sola volta, il caso e la fortuna avevano cambiato qualcosa. Una volta! In fondo credo questo mi sarebbe bastato: il mio cuore avrebbe fatto il resto.
  • In fondo non c'è idea cui non si finisca per fare l'abitudine.
  • Persino da un banco di imputato è sempre interessante sentire parlare di sé.
  • Tutte le persone normali, [...], hanno una volta o l'altra desiderato la morte di coloro che amano.
  • Una disgrazia tutti sanno cos'è. È una cosa che lascia senza difesa.
  • A parer suo siamo tutti condannati a morte. Ma l'ho interrotto dicendogli che non era la stessa cosa e che comunque questa non poteva essere in nessun modo una consolazione.
  • "Non hai dunque nessuna speranza e vivi pensando che morirai tutt'intero?". "Sì", gli ho risposto.
    Allora ha abbassato la testa e si è rimesso a sedere. Mi ha detto che aveva pietà di me. Non credeva che un uomo potesse sopportare una simile cosa. Quanto a me, ho sentito soltanto che cominciavo ad annoiarmi.
  • Secondo lui la giustizia degli uomini non era nulla e la giustizia di Dio era tutto. Gli ho fatto notare che era la prima che mi aveva condannato.
  • Gli ho detto che non sapevo che cosa fosse un peccato: mi era stato detto soltanto che ero un colpevole. Ero colpevole, pagavo, non si poteva chiedermi nulla di più.
  • "Tu ti inganni, figlio mio", mi ha detto. "Ti si potrebbe domandare di più. Te lo domanderanno, forse". "E che cosa mai?". "Ti potrebbe esser chiesto di vedere". "Vedere cosa?" [...] "Tutte queste pietre sudano il dolore, lo so. Non l'ho mai guardate senza angoscia. Ma dal fondo del mio cuore so che i più miserabili di voi hanno visto sorgere dalla loro oscurità un volto divino. è questo volto che vi si chiede di vedere".
    Mi sono animato un po'. Ho detto che erano mesi che guardavo quei muri. Non c'era nulla né alcuna persona al mondo che conoscessi meglio. Forse, già molto tempo prima vi avevo cercato un volto. Ma quel volto aveva il colore del sole e la fiamma del desiderio: era quello di Maria.
  • "No, non posso crederti. Sono sicuro che ti è avvenuto di desiderare un'altra vita". Gli ho risposto che naturalmente mi era avvenuto, ma ciò non aveva maggiore importanza che il desiderare di essere ricco, di nuotare molto veloce o di avere una bocca meglio fatta. Erano desideri dello stesso ordine. Ma lui mi ha interrotto e voleva sapere come vedevo quest'altra vita. Allora gli ho urlato:"Una vita in cui possa ricordarmi di questa"
  • Io, pareva che avessi le mani vuote. Ma ero sicuro di me, sicuro di tutto, più sicuro di lui, sicuro della mia vita e di questa morte che stava per venire. Sì, non avevo che questo. Ma perlomeno avevo in mano questa verità così come essa aveva in mano me.
  • Tutti sono privilegiati. Non ci sono che privilegiati. Anche gli altri saranno condannati un giorno. Anche lui sarà condannato.
  • Dal fondo del mio avvenire, durante tutta questa vita assurda che avevo vissuta, un soffio oscuro risaliva verso di me attraverso annate che non erano ancora venute e quel soffio uguagliava, al suo passaggio, ogni cosa che mi fosse stata proposta allora nelle annate non meno irreali che stavo vivendo.
  • Così vicina alla morte, la mamma doveva sentirsi liberata e pronta a rivivere tutto. Nessuno, nessuno aveva il diritto di piangere su di lei. E anch'io mi sentivo pronto a rivivere tutto. Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida d'odio."

Nozze[modifica]

  • È noto che la patria si riconosce sempre al momento di perderla. (L'estate a Algeri; 1960, p. 84)
  • Il contrario di un popolo civile è un popolo creatore. (L'estate a Algeri; 1960, p. 83)
  • La speranza, al contrario di quel che si crede, equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi. (L'estate a Algeri; 1960, p. 85)
  • Non c'è disonore a essere felici. Ma oggi l'imbecille è re, e chiamo imbecille colui che ha paura di gioire. (Nozze a Tipasa; 1988, p. 63)
  • Tutto ciò che esalta la vita, ne accresce al tempo stesso l'assurdità. (L'estate a Algeri; 1960, p. 84)
  • Una certa continuità nella disperazione può generare la gioia. (Il deserto; 1960, p. 93)

Riflessioni sulla pena di morte[modifica]

  • Chi crede di saper tutto pensa di poter tutto. Idoli temporali, che esigono una fede assoluta, pronunciano instancabilmente castighi assoluti. E religioni senza trascendenza uccidono in massa condannati senza speranza.
  • Il senso d'impotenza e di solitudine del condannato incatenato, di fronte alla coalizione pubblica che vuole la sua morte, è già di per sé una punizione inconcepibile. [...] Generalmente l'uomo è distrutto dall'attesa della pena capitale molto tempo prima di morire. Gli si infliggono due morti, e la prima è peggiore dell'altra, mentre egli ha ucciso una volta sola. Paragonata a questo supplizio, la legge del taglione appare ancora come una legge di civiltà. Non ha mai preteso che si dovessero cavare entrambi gli occhi a chi aveva reso cieco di un occhio il proprio fratello.
  • La battuta di Alphonse Karr: "Che i signori assassini comincino" non ha più alcun senso. Quelli che fanno versare la maggiore quantità di sangue sono gli stessi che credono di avere dalla loro parte il diritto, la logica, e la storia.
    Non è dall'individuo ma dallo Stato che oggi la società deve difendersi.
  • La legge, per definizione, non può obbedire alle stesse regole della natura. Se l'assassinio è nella natura umana, la legge non è fatta per imitare o riprodurre questa natura. È fatta per correggerla.
  • La pena di morte, così come, per quanto raramente, la si applica, è un disgustoso massacro, un oltraggio inflitto alla persona e al corpo dell'uomo.

Saggi letterari[modifica]

  • C'è la bellezza e ci sono gli umiliati. Per difficile che sia l'impresa, vorrei non essere mai infedele né all'una né agli altri. (p. 157)
  • Non c'è amor di vivere senza disperazione di vivere. (p. 53)
  • Quando uno ha avuto una volta la fortuna di amare intensamente passa la vita a cercare di nuovo quell'ardore e quella luce. (p. 153)
  • Segno della giovinezza è forse una magnifica vocazione alle facili felicità. (p. 80)
  • Sono avaro di quella libertà che sparisce non appena comincia l'eccesso dei beni. (p. 10)

Taccuini[modifica]

  • Cultura: grido degli uomini davanti al loro destino. (I, quaderno n. 1)
  • Intellettuale? Sì. E non rinnegare mai. Intellettuale = colui che si sdoppia. (I, quaderno n. 1)
  • Il bisogno di avere ragione: segno di uno spirito volgare. (I, quaderno n. 1)
  • La politica e il destino degli uomini sono foggiati da individui senza ideali e senza grandezza. Chi ha una grandezza in sé non fa politica. (I, quaderno n. 2)
  • Non abbiamo il tempo di essere noi stessi. Abbiamo solo il tempo di essere felici. (I, quaderno n. 2)
  • Trovare il modo d'andar fuori misura nella misura. (I, quaderno n. 2)
  • La grande città come rimedio alla vita mondana: è ormai il solo deserto accessibile. (I, quaderno n. 2)
  • Segreto del mio universo: immaginare Dio senza l'immortalità umana. (I, quaderno n. 4)
  • Non ho voglia di essere un genio filosofico. Non ho neanche voglia di essere un genio, faccio già abbastanza fatica per essere un uomo. (II, quaderno n. 5)
  • Perché un pensiero cambi il mondo, bisogna che cambi prima la vita di colui che lo esprime. Che si cambi in esempio. (II, quaderno n. 5)
  • Gli errori sono allegri, la verità è infernale. (II, quaderno n. 6)
  • Quelli che scrivono in modo oscuro hanno una bella fortuna: avranno dei commentatori. Gli altri avranno soltanto dei lettori, il che, sembra, è spregevole. (II, quaderno n. 6)
  • Se diminuisce l'amore per il dovere, è perché sono sempre meno i diritti. Solo chi è intransigente sui propri diritti ha la forza del dovere. (III, quaderno n. 7)
  • Ci sono momenti in cui abbandonarsi alla sincerità equivale a un cedimento imperdonabile. (III, quaderno n. 8)
  • Leggo spesso che sono ateo, sento parlare del mio ateismo. Ma queste parole non mi dicono niente, non hanno senso per me. Io non credo in Dio e non sono ateo. (III, quaderno n. 8)
  • Mi accuso a volte di essere incapace d'amare. Forse è vero, ma sono stato capace di eleggere alcune persone e di serbar loro, fedelmente, il meglio di me, qualsiasi cosa facessero. (Appendice al quaderno n. 8)

Incipit di alcune opere[modifica]

L'esilio e il regno[modifica]

Una mosca magra volava da qualche istante in quella corriera dai vetri ermeticamente chiusi. Inconsueta, andava e veniva senza far rumore, con un volo estenuato. Janine la perse di vista, poi la vide atterrare sulla mano immobile di suo marito. Faceva freddo. Ad ogni raffica del vento sabbioso che strideva sui vetri, la mosca aveva un fremito. Nella luce rara di quel mattino d'inverno, il veicolo avanzava a stento, si agitava in bilico, con gran fragore di lamiere e d'assali. Janine guardava suo marito. Spighe di capelli grigi piantati bassi sulla fronte angusta, naso largo, bocca irregolare. Marcel sembrava un fauno imbronciato.

L'estate e altri saggi solari[modifica]

In primavera, Tipasa è abitata dagli dei e gli dei parlano nel sole e nell'odore degli assenzi, nel mare corazzato d'argento, nel cielo d'un blu crudo, fra le rovine coperte di fiori e nelle grosse bolle di luce, fra i mucchi di pietre. In certe ore la campagna è nera di sole. Gli occhi tentano invano di cogliere qualcosa che non sian le gocce di luce e di colore che tremano sulle ciglia. Il voluminoso odore delle piante aromatiche raschia in gola e soffoca nella calura enorme. All'estremità del paesaggio, posso vedere a stento la massa scura dello Chenoua che ha la base fra le colline intorno al villaggio, e si muove con ritmo deciso e pesante per andare ad accosciarsi nel mare.

La morte felice[modifica]

Erano le dieci del mattino e Patrice Mersault camminava con passo regolare verso la villa di Zagreus.[23]

Citazioni su Albert Camus[modifica]

  • Albert Camus è uno degli scrittori dell'Algeria francese che può giustamente essere definito di fama mondiale. Eppure, come era già accaduto nel caso di Jane Austen un secolo prima, anche con Camus i critici hanno ignorato la realtà dell'impero, così evidente nelle sue opere. [...] Camus è una figura di particolare rilievo nella terribile e caotica situazione delle colonie francesi durante il faticoso processo di decolonizzazione del Novecento. Egli appartiene al periodo finale dell'imperialismo al quale è sopravvissuto, sino ai giorni nostri, come scrittore «universalista» le cui radici affondano in un colonialismo ormai dimenticato. (Edward Said)
  • Camus diceva che Cristo è venuto a questo mondo per affrontare due problemi che la filosofia non risolverà mai. Primo: perché soffro? E secondo: perché nasco con appeso al collo il cartello "condannato a morte"?... Gesù li ha presi su di sé, quindi li ha sacralizzati. (Giovanni Reale)
  • [L'opera di Camus] Ci offre la promessa di una letteratura classica, senza illusioni, ma piena di fiducia nella grandezza dell'umanità; dura, ma senza inutile violenza appassionata ma riservata... una letteratura che si sforza di descrivere la condizione metafisica dell'uomo pur partecipando pienamente ai movimenti della società. (Jean-Paul Sartre)

Note[modifica]

  1. a b Da Metafisica cristiana e neoplatonismo
  2. Da una conferenza a Stoccolma in occasione del ricevimento del Nobel; citato in postfazione a Simone Weil, On the Abolition of All Political Parties, Black Inc., Melbourne, 2013. ISBN 9781921870903
  3. Da La morte felice, traduzione di Jean Sarocchi, Rizzoli, Milano, 1971, p. 77
  4. Da L'estate e altri saggi solari, p. 99.
  5. Da Resistenza, ribellione e morte; citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  6. Da L'artista e il suo tempo, conferenza del 14 dicembre 1957, Università di Uppsala, in Ribellione e morte. Saggi politici, traduzione di Maria Vasta Dazzi, Giuseppe Guglielmi e Alberto Sensini, Bompiani, Milano, 1961, p. 323.
  7. Citato in Selezione dal Reader's Digest, giugno 1963.
  8. a b Da L'estate
  9. Da La nuit de la vérité, Combat, 25 agosto 1944; citato in Michael McDonald, Scrittori di fronte al male. Riflessioni su letteratura e politica, traduzione di Claudia Lionetti, Libri Scheiwiller, Milano, 2009, pp. 81-82. ISBN 9788876445996
  10. Da I giusti, in Teatro
  11. Dall'articolo Création et liberté, 1952.
  12. Da La Nausée par Jean-Paul Sartre, Alger républicain, 20 ottobre 1938, in Œuvres complètes, Gallimard, Parigi, 2008, p. 794; citato in Paolo Flores d’Arcais, Albert Camus, giornalista e resistente, introduzione ad Albert Camus, Questa lotta vi riguarda, Bompiani, Milano, 2018. ISBN 978-88-587-8102-9
  13. L'opinione espressa da Caligola in questo passo è stata poi sintetizzata col motto sessantottino «Siate realisti, chiedete l'impossibile», attribuito anche a Che Guevara. Cfr. il commento dell'associazione "Il folle volo"; citato in Siate realisti, chiedete l'impossibile, 21 luglio 2004.
  14. Dalla conferenza Il futuro della civiltà europea, Atene, 1955; 2020. pp. 195-196.
  15. Dalla conferenza La cultura indigena. La nuova cultura mediterranea, Algeri, 1937; 2020, p. 11.
  16. Dalla conferenza La crisi dell'uomo, New York, 1946; 2020, p. 47.
  17. Dal discorso in occasione del premio Nobel, Stoccolma, 1957; 2020, p. 296.
  18. Dal discorso Il pane e la libertà, Saint-Étienne, 1953; 2020, pp. 179-180.
  19. Dall'intervento Il testimone della libertà, Parigi, 1948; 2020, p. 106.
  20. Dalla conferenza La crisi dell'uomo, New York, 1946; 2020, p. 39.
  21. Dalla conferenza Il futuro della civiltà europea, Atene, 1955; 2020. p. 210.
  22. Con riferimento a I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, che l'autore cita poco prima.
  23. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia[modifica]

  • Albert Camus, Caligola, traduzione di Franco Cuomo, Bompiani, Milano, 2000.
  • Albert Camus, Conferenze e discorsi, 1937–1958, traduzione di Yasmina Melaouah, Bompiani, 2020.
  • Albert Camus, Il mito di Sisifo (1947), prefazione di Corrado Rosso, traduzione di Attilio Borrelli, Bompiani, 2020. ISBN 9788845246425
  • Albert Camus, Il primo uomo, traduzione di Ettore Capriolo, Bompiani, Milano, 2001.
  • Albert Camus, L'esilio e il regno, traduzione di Sergio Morando, Garzanti.
  • Albert Camus, L'estate e altri saggi solari, a cura di Caterina Pastura e Silvio Perrella, Bompiani, Milano, 2003. ISBN 88-452-5459-3
  • Albert Camus, L'uomo in rivolta, traduzione di Liliana Magrini, Bompiani, Milano, 2018. ISBN 9788858703861
  • Albert Camus, La caduta, traduzione di Sergio Morando, Bompiani, Milano, 1958.
  • Albert Camus, La caduta, traduzione di Sergio Morando, Bompiani, Milano, 19832.
  • Albert Camus, La caduta, traduzione di Sergio Morando, Bompiani, Milano, 201111.
  • Albert Camus, La devozione alla croce, a cura di L. Chiuchiù, Diabasis, Reggio Emilia, 2005.
  • Albert Camus, La peste, traduzione di Beniamino Dal Fabbro, in Opere, op. cit., 1988.
  • Albert Camus, La peste, traduzione di Beniamino Dal Fabbro, Bompiani, Milano, 1996. ISBN 8845205665
  • Albert Camus, La speranza e l'assurdo nell'opera di Franz Kafka, L'Arbalète, 1943; in Il mito di Sisifo, prefazione di Corrado Rosso, traduzione di Attilio Borrelli, Bompiani, 2020. ISBN 9788845246425.
  • Albert Camus, Lo straniero, traduzione di Alberto Zevi, Bompiani, Milano, 2001.
  • Albert Camus, Metafisica cristiana e neoplatonismo, a cura di L. Chiuchiù, Diabasis, Reggio Emilia, 2003.
  • Albert Camus, Nozze, traduzione di Sergio Morando, in Opere, op. cit., 1988.
  • Albert Camus, Opere, a cura di Roger Grenier, traduzione di Aa. Vv., Bompiani, Milano, 1988.
  • Albert Camus, Riflessioni sulla pena di morte, traduzione di Giulio Coppi, Bompiani, Milano, 2018. ISBN 978-88-587-8108-1
  • Albert Camus, Saggi letterari. Il rovescio e il Diritto. Nozze. L'estate, traduzione di Sergio Morando, Bompiani, 19602.
  • Albert Camus, Taccuini, traduzione di Ettore Capriolo, Bompiani, 2018.
  • Albert Camus, Teatro, traduzione di Vito Pandolfi, Cesare Vico Lodovici e François Ousset, Bompiani, Milano, 1964.
  • Albert Camus, Tutto il teatro: Il malinteso; Caligola; I giusti; Stato d'assedio, Bompiani, Milano, 2003.

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