Fernanda Pivano

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Fernanda Pivano

Fernanda Pivano (1917 – 2009), giornalista, scrittrice, poetessa, traduttrice e critica musicale italiana.

Citazioni di Fernanda Pivano[modifica]

  • [Sul film The Great Gatsby] 350.000 dollari a Scottina, sei milioni e mezzo per fare un film di cui un milione e mezzo impiegato nella pubblicità. A torto o a ragione una cronista americana suggerisce che alla fine di questa colossale impresa hollywoodiana al pubblico non resterà che scegliere se andare a vedere il film o leggersi il libro.[1]
  • A Genova, dove ho vissuto fino a nove anni, sono rimasta sempre legata perché è rimasta il mio paradiso perduto.[2]
  • [Sul viaggio di Faulkner in italia nel 1955] Arrivammo a un ristorante con giardino in via Manzoni, dove sapevo che il direttore ci avrebbe fatto credito fino all'indomani. Lì al fresco, dopo aver accarezzato la tovaglia con le mani distese, sorrise col viso finalmente calmo e disse la sua battuta di routine, buona per tutti i paesi in cui si trovava, che "il pane e le donne d'Italia erano i migliori del mondo".[3]
  • [Su Walt Whitman] Centocinquant'anni sono passati da quando questo ragazzaccio scamiciato, col cappello da cowboy, fascinoso di un'ambigua bellezza, giornalista e tipografo, figlio di un falegname, detestato dai professori e adorato dai ragazzi del suo tempo, capace di abbracciare tutti e di lasciarsi abbracciare da tutti, ricco di un vibrante ritmo americano, diretto e sincero, capace di affrontare il problema della situazione del Nuovo mondo, ha pubblicato a sue spese un libretto piccolino chiamandolo Leaves of Grass (Foglie d'erba). Questo ragazzaccio, capace in una ventina di anni di diventare il poeta più importante della letteratura americana di tutti i tempi, quel suo po' di educazione rudimentale l'ha ricevuta nei sei anni che ha frequentato la scuola pubblica, cominciando nel 1825 e finendo a undici anni, quando si è impiegato come fattorino in un ufficio di avvocati.[4]
  • [A Federico Fellini] Che bello! A Roma non faccio la Dolce Vita ma una vita dolce sì.[5]
  • [Sulla Beat Generation] Come la generazione del primo dopoguerra aveva avuto la sua poetessa in Edna St. Vincent Millay e il suo poeta in Hart Crane, la generazione del secondo trovò il suo poeta in Allen Ginsberg. Il suo Urlo, uscito nel 1956, fu il manifesto di una generazione che non credeva più nei miti pseudo-scientifici che avevano condotto alla nuova meccanizzazione dell'America e alla sua incondizionata adorazione del denaro come mezzo per procurarsi il potere a tutti i livelli; ma reagire al mito del denaro naturalmente riuscì molto difficile: il denaro è un veleno – è un vizio – per vincere il quale non è ancora stato fondato nessun club.[6]
  • [Riferito agli attentati terroristici dell'11 settembre 2001] Con molto dolore per i morti e per la tragedia devo dichiararmi perdente e sconfitta perché ho lavorato 70 anni scrivendo esclusivamente in onore e in amore della non violenza e vedo il pianeta cosparso di sangue.[7]
  • [Parlando della traduzione dell'Antologia di Spoon River] Così cominciano le definizioni dei biografi: Whitman come hegeliano, come trascendentalista, come profeta del personalismo o del governo del mondo o del Cristo del nostro tempo, e chissà quante altre che ora non mi vengono in mente ma a me piace una definizione un po' patetica, un po' amorosa: «Whitman è il poeta americano, più genuinamente americano».[4]
  • [Sui pappagalli di 'Generazioni d'amore'] Credo sia sempre emozionante vedere la propria vita raccontata da altri, tanto più quando è raccontata da amici. Per esempio solo Rosati poteva avere l'idea di circondarmi dei pappagalli di via Lungara [...] Il perché me lo rivelò alla fine del film ridendo come un bambino: Sono uno bianco, uno verde e uno rosso. I colori della bandiera italiana. L'unico modo di metterla era in forma di pappagallo. Con la bandiera vera diventava un film fascista.[8]
  • [Sull'incendio al Torino Film Festival del 2001] Durante la guerra. Abitavo a Torino con i miei genitori e durante i bombardamenti bruciavano molte case. Anche la nostra in corso Vinzaglio. Ma la vita, per fortuna, si imponeva sempre con prepotenza. [...] Lo ricordo bene come, come fosse ieri: durante un incendio siamo scesi tutti in strada e nonostante le fiamme e il panico che s'era creato, due ragazzi si baciavano seduti su una panchina "Bravi!" gli urlai sorridendo, ma venni subito rimproverata da mio padre che mi diede della "matta".[9]
  • E davvero agli inizi era eroico sostenere gli scrittori americani – anche Mark Twain, anche Faulkner – quando nessuno qui ne voleva sapere perché la loro base ideologica era il pragmatismo, e in Italia o non lo conoscevano o non lo accettavano. È stato riassunto con molta poesia da Fitzgerald nella frase: "il personaggio è l'azione, l'azione è il personaggio". Invece nei romanzi europei il personaggio è pensiero, però poi il pensiero non è personaggio. E allora vengono fuori elucubrazioni, ragionamenti, fantasie dove il personaggio non ha una sua consistenza reale.[10]
  • [Napoli] È[11]l'unica vera capitale d'Italia, avendo conservato splendori e miserie dell'impero spagnolo. Questo è l'unico posto al mondo dove gli aristocratici possono ancora fare i funerali col tiro a 8 di cavalli infiocchettati. Dove convivono la miseria disperata di Spaccanapoli e la sofisticazione disperata delle case degli aristocratici, capaci di affrontare così bene il ridicolo di quei fiocchetti sui cavalli ai funerali.[12]
  • [Su Scott Fitzgerald e la Lost Generation] [..] egli individuò e ricreò un costume facendosi campione della generazione del primo dopoguerra, la celebre lost generation. Per un decennio i giovani agirono, pensarono e vissero come Fitzgerald e gli eroi dei suoi libri; e intorno a lui si formò presto un seguito di imitatori che gli fece da gruppo.[13]
  • [Sul teatro di Moreno a Beacon] Era quello dunque il teatro che era stato meta di un pellegrinaggio di molti autori e attori; non solo provenienti dal Living Theatre, ma anche da Hollywood, attori che avevano trovato in Moreno lo psichiatra ideale per la comune vocazione per il palcoscenico. E se ne accorsero anche gli sceneggiatori cinematografici che lo citarono abbondantemente da Spellbound di Hitchcok fino a Tootsie con Dustin Hoffman. Ricordo quello che mi disse Zerka Moreno nell'intervista per il Corriere della Sera [...] A Beacon venni a sapere di questi giochi di ruolo dove lo psichiatra e i suoi attori ausiliari diventavano i personaggi della famiglia e del romanzo familiare del paziente ma anche degli animali, dei draghi e i diavoli delle fantasie. Venni a sapere di un episodio straordinario. Una paziente schizofrenica, che in seguito alla morte per incidente del suo bambino era convinta di vivere all'inferno e non parlava più, non comunicava più, venne portata al Teatro del dottor Moreno quando sembrò irrecuperabile. Moreno glielo mise in scena nel suo teatrino di Beacon, l'inferno del delirio, e chiese a un attore di gettare tra le luci rosse del palcoscenico un cuscino, parlandogli come fosse il bambino della paziente condannato alle fiamme per l'eternità. Così la donna urlò e si alzò in piedi per interrompere il gioco e pianse e lottò e lentamente ritrovò prima la parola poi la ragione.[14]
  • [Parlando della traduzione dell'Antologia di Spoon River] Era superproibito quel libro in italia. Parlava della pace, contro la guerra, contro il capitalismo, contro in generale tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare [...], e mi hanno messo in prigione e sono molto contenta di averlo fatto.[15]
  • [Su Henry Miller] È stata un'amicizia molto importante. Era un grande saggio, già negli anni venti praticava lo Zen... i suoi libri vendevano moltissimo perché erano pornografici, la gente non capiva che erano soprattutto slanci vitali! Lui era molto pudico, l'ho visto arrossire quando qualcuno, un italiano, gli raccontò una barzelletta oscena. Aveva conosciuto la miseria, il suo editore dopo la guerra era fallito e quando lui era riuscito a farsi pagare, volle solo biglietti di piccolo taglio. Se li ficcava un po' in tutte le tasche, ma una folata di vento glieli portò via. Lui scappò senza raccoglierli perché temeva di essere aggredito con tutti quei soldi che gli svolazzavano intorno. Come in un film di René Clair.[16]
  • I luoghi comuni del battage pubblicitario riguardano soprattutto i beat nei loro aspetti più esteriori di vita; ma poiché questi aspetti sono in continua trasformazione ormai da quindici anni, da quando il movimento nacque, più che fare una ricostruzione storica delle loro origini vorrei attirare l'attenzione sullo scrittore Jack Kerouac, autore di questo I Sotterranei ma autore anche di altri sei libri. È lui il creatore della definizione beat generation ed è lui che ha individuato il nuovo costume al suo primo apparire, in America, subito dopo la guerra; in fondo è lui che lo inventato nell'atto stesso di individuarlo e poi di descriverlo nei suoi libri, offrendo un modello di vita alla generazione successiva.[17]
  • [Su Harold Brodkey a Roma] Quando è venuto qualche giorno a Roma, ospite dello psicodrammatista Ottavio Rosati, con cui ha discusso a lungo del suo programma di Rai tre Da storia nasce storia, abbiamo passato ore deliziose, fuori delle interviste preordinate, a discutere. I suoi libri sono intrisi di sensibilità psicoanalitica, e Brodkey ha confermato con divertimento osservazioni cliniche che nessuno gli aveva mai fatto. [18]
  • [Su Jacob Levi Moreno e il Teatro di psicodramma] È vero che Moreno pensava di essere l'autore della terza rivoluzione psichiatrica dopo Pinel e Freud? [...] Come mai lo psicodramma che è nato dalla ricerca della spontaneità, ha finito per richiedere un training così specializzato per la formazione dei suoi esperti? È così difficile la spontaneità?[19]
  • Ernest Hemingway, pochi giorni prima di spararsi in bocca, mi aveva chiamata e mi aveva detto: «Non posso più bere, non posso più mangiare, non posso più andare a caccia, non posso più fare l'amore. Non posso più scrivere». La morte di cui Hemingway aveva condensato la tragedia della sua vita e aveva fatto visualizzare i molti piccoli preavvisi, le impalpabili previsioni, a chi lo aveva conosciuto; ma il dolore, l' orrore, lo spavento per il vuoto in cui ci aveva gettato ci aveva colti lo stesso di sorpresa.[20]
  • Forse il libro [Fight Club] aprirà una nuova vena narrativa; forse il linguaggio del futuro sarà questo revival di ripetizioni nel tentativo di raggiungere una tensione che va al di là perfino dell'anarchia fondamentale dell'autore.[21]
  • [Su Gregory Corso] Forse invece di raccontare aneddoti dovrei raccontare come sono cominciate le sue letture. Mi disse che le letture incominciarono in prigione, a diciassette anni, quando fu arrestato nel 1947 per una condanna a tre anni di carcere. Mi raccontò che in prigione aveva molto tempo per leggere. Lesse I Miserabili di Victor Hugo che gli fecero "capire che cos'è il bene", lesse I Fratelli Karamazov e poi Shelley, che gli fece "capire che cos'è la poesia" e lo stimolò a scrivere versi.[22]
  • [Su Generazioni d'amore] Hanno ideato tutto alle mie spalle, Rosati e Grazia Volpi. Ma ne valeva la pena. Ci saranno autentiche sfide. Come quella lanciata da Tito Schipa che vuole farmi leggere due poesie di Bob Dylan: secondo lui sono piene di analogie con La Traviata e Il Rigoletto.[23]
  • [Su Luciano Benetton] Ho offerto i miei 35.000 libri, le mie riviste underground, le lettere di Hemingway, Kerouac, Bukowsky e di tanti altri amici, ai sindaci di Milano e di Roma, a Renato Nicolini, al Vaticano, alla biblioteca Sormani, e tutti mi hanno detto di no [...] soltanto Luciano Benetton, principe rinascimentale, li ha accettati.[24]
  • Ho per lei [Laurie Anderson‎] la stima che si deve avere per una grandissima artista multimediale, ma Lou è un' altra cosa. Lui con la sua musica ha cambiato il mondo, non so se mi spiego. Peccato che a casa mia non possa sentire i suoi dischi: non sono capace di usare lo stereo.[25]
  • I giovani di oggi hanno bisogno di un blue print, che qualcuno dica loro cosa fare, perché oggi le situazioni politiche sono così drammatiche, le situazioni sociali sono così perverse che non sanno che cosa pensare, che cosa cosa fare.[26]
  • Il libro, [Fight Club] tra il sadico e il noir, è ispirato dalla disperazione, dalla alienazione, dalla violenza che conducono la Generazione X alla più completa anarchia, affondata nell'angoscia dei giovani contemporanei.Ne risulta un esempio di nichilismo quasi psicopatico, o se si vuole di fondamentalismo anarchico, realizzato con invenzioni contenutistiche del tutto inconsuete e una struttura vagamente alla William Burroughs, dove associazioni e gruppi perversi vengono presentati in un linguaggio basato su ripetizioni fin troppo letterarie, su espressioni vernacolari del più recente slang e su termini medici a volte esoterici.[21]
  • La mia fantasia viene continuamente abbracciata dalla dialettica senza confine di questo meraviglioso uomo di musica: a una voce dello stato borghese ormai irrispettoso, Gaber ha offerto una morale che risolvesse il potere e l'antipotere. Alle nostre risposte egoiste Gaber ha offerto il sarcasmo, quello in cui si nascondeva la soluzione definitiva: il sentimento. [...] Oh, Gaber, tu eri quello che un artista riesce a scoprire nell'anima del mondo sapendo che l'anima del mondo è sempre dalla parte sua.[27]
  • [«Cosa pensa di quei ragazzi che affollano i concerti e parlano a modo loro?»] Mi guardano smarriti, aspettando il blue print, un modello di comportamento che io non posso dare. E ogni volta dico loro la stessa cosa: tocca a voi mostrare la strada dell'integrità e dell'onestà, sperando che gli adulti la seguano [...] Sono i giovani che devono riportare la realtà all'innocenza originaria.[28]
  • [Sull'incendio al Torino Film Festival del 2001] Mi pare una casualità troppo grossa, per essere davvero una coincidenza. Non credo a un fatto personale contro di me ma forse contro quel che rappresento. Sono cosi poco importante, che nessuno può averla con me come persona. Ma forse dà fastidio il mio buddismo: il mio pacifismo ad oltranza, il pacifismo non violento che rappresento. Non tutti amano gli scrittori che ho glorificato con questo film, non tutti amano questo paese, l'America. [...] Forse, chi ha fatto tutto questo non sa che a essere distrutta non è stata la pellicola di Facchini, ma l'intero magazzino che custodiva le pellicole del Festival. Sono addolorata, avrei fatto qualsiasi cosa per evitare questo trauma agli amici che sono venuti per me.[29]
  • [Su Ernest Hemingway] Mi prese per mano, mi condusse alla sua tavola, mi fece sedere accanto a sé e mi disse in quel suo bisbiglio così difficile da capire finché non ci si era abituati: «Raccontami dei Nazi». Fu l'inizio di un'amicizia che non finì mai, perché la mia devozione continuò anche dopo la sua morte.[30]
  • Nel suo stile massimalista, reazione al minimalismo caro a Raymond Carver, David Foster Wallace si abbandona a frasi lunghe, complesse, a volte sonore, a volte satiriche, e passa da monologhi analfabeti dei poverissimi alle spiegazioni tecniche ad esempio di certi medicinali, con un linguaggio base che è casuale e complesso, ricco di slang e anche di erudizione, capace di alternare precisione e imprecisione a proposito di uno stesso argomento.[20]
  • Non c’è dubbio che la repressione e l’intolleranza sono atteggiamenti che mi hanno sempre provocato orrore e ripugnanza, fin da quando ero bambina. Forse la scoperta della repressione la feci sul mio dolcissimo Prinz, un grosso Collie paziente e docile fino all’insipienza, che mi teneva compagnia mentre giocavo nella grande casa silenziosa della nonna, nella penombra fresca dei pomeriggi d’estate odorosi di gerani e caprifogli, che mi divertivo a innaffiare su un terrazzino e strapiombo sui tetti d’ardesia, nel paradiso perduto della mia infanzia genovese. Prinz parlava solo l’inglese e fu per farmi capire da lui che mi feci insegnare dal nonno le prime parole. Ma la prima parola che mi insegnarono a dire fu: don’t. Era la parola che questo povero Prinz, per paziente e docile che fosse, si sentiva ripetere dal mattino alla sera: doveva sedersi se stava in piedi, doveva alzarsi se stava seduto, doveva svegliarsi se dormiva, doveva addormentarsi se era sveglio, voglio dire, qualunque cosa stesse facendo gli dicevano don’t e gliene facevano fare un’altra. E’ che io sono sempre stata anche più insipiente di lui: ho capito per tempo che i don’t che mi venivano somministrati anche più frequenti che a lui senza che riuscissi più di quanto abbia fatto lui a sottrarmici. Caro Prinz.[31]
  • [Su Harold Brodkey] Non ci rimane che guardare sbigottiti le migliaia di pagine dei suoi libri, ricordare lo charme sapiente e il suo humour irresistibile [...] Era straordinaria la stima che gli tributavano i suoi colleghi americani, giovani e vecchi: quando anni fa avevo detto al mio caro amico Don De Lillo, l'indimenticabile autore di Rumore Bianco, che andavo da lui, mi ha avvertito: "Conoscerlo ti cambierà la vita."[32]
  • ["So che il suo musicista preferito è Mozart."] Non è Mozart ma è Bach. Suonavo con grande gioia. È suonando il pianoforte che ho conosciuto le mie estasi.[33]
  • [Alice Toklas] Parlavamo tutto il pomeriggio, anzi era lei a raccontarmi storie sempre diverse di tutti quelli che passavano da lei. Fumava lunghe Pall Mall tenendole tra le dita, ma alla base, perché non si macchiassero di nicotina. Mi ha regalato il bottone di corallo di Gertrude... Era piccola e sottile, era così buona. L'unico di cui l'ho sentita dir male era Hemingway perché si era innamorato di Gertrude Stein... doveva difendere il suo territorio. Se penso che delle sue famose ricette tre gliele ho date io he non so cuocere neanche un uovo! Quella più famosa, la crema all'hashish, da fare con la piantina di marijuana che cresce sul davanzale - che aveva fatto sequestrare il libro in America – gliela aveva mandata Paul Bowles.[34]
  • [Sull'incendio scoppiato al suo ingresso al Torino Festival del 2001] Per chi crede alle coincidenze non c'è dubbio che è una coincidenza a dir poco straordinaria.[35]
  • Pavese voleva che lo leggessi [Addio alle armi] per farmi capire la differenza tra la letteratura inglese e quella americana. Gli altri libri che mi lasciò quella sera con questa intenzione furono l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters Autobiografia di Sherwood Anderson e i Fili d'erba di Walt Whitman.[36]
  • Penso che Napoli sia l'unica capitale d'Italia perché è una città che raccoglie le qualità tipiche di una capitale: estrema miseria ed estremo fasto. A parte le bellezze naturali, che non sono suo merito, le è rimasta la grandeur spagnola ed è l'unica città a sommare a questa grandeur l'allure della grande capitale.[37]
  • Quando la Beauvoir scrisse tutto di loro con tanto di nomi e cognomi e lettere d'amore a beneficio del pubblico, Algren, il grande, che aveva inventato la letteratura proletaria, si vergognò tanto che si ritirò dalla sua Chicago per andare a vivere altrove.[38]
  • Quanto vorrei che tu fossi sempre felice, quali che siano le tue scelte e ti augurassi che la tua scelta della libertà non ti tradisca mai [...] Diventerai sempre più bravo e io avrò sempre più soggezione di te e sempre meno posto nella tua vita. Sempre più rimpianto per un destino che non si poteva cambiare. Ma la tua fotografia con i ricciolini dei vent'anni l'avrò sempre con me anche se tu forse non la ricordi più.[39]
  • [Cesare Pavese] Quella sera aveva inghiottito la sua polvere assassina; nessuno di noi gliela aveva tolta dalle mani. Ci ha perdonato, ci ha chiesto perdono. Di che cosa? Che cosa avevo fatto, che cosa mi aveva fatto, che cosa ci aveva fatto dopo aver aiutato decine di scrittori a farsi conoscere, con quel suo viso tragico che aveva dimenticato il sorriso, quella sua vita segreta che non aveva svelato a nessuno, quella sua infinita conoscenza del mondo che non le è bastata per sopportarlo?[20]
  • [Parlando di Giorgio Gaber] Ricordo con emozione le sue proteste, le sue disperazioni, le sue speranze: non mi ha mai delusa. Aspettavo tremante la prossima rivelazione dei suoi sogni, delle sue delusioni, dei suoi scontri.[40]
  • Se ho sbagliato perdonatemi: i sogni sono quasi sempre sbagliati, mi dicono. Eppure io non riesco a dimenticare la lezione forse più importante che mi ha dato il mio indimenticabile maestro Ernest Hemingway: "Ho fatto una pace separata".[41]
  • Si capisce che il mio grande guru del misticismo orientale è stato Allen Ginsberg. Ma il guru che per primo mi ha mostrato piccoli riti propiziatori, per esempio quando salvava la vita a un insetto o compiva un gesto gentile verso un ramo o una foglia alla vigilia di qualche avvenimento emozionante, è stato Pavese. A consacrare l’amore, ma proprio come un guru in levitazione, è stato un vero grande mago, che infatti resta nascosto. E a darmi da leggere Il Ramo d’Oro di Frazer è stato Hemingway. Mi dispiace, sono monotona, i miei nomi sono sempre gli stessi. Forse il mio nuovo guru uscirà dalla tua generazione, che dici?[42]
  • Si dice che Fabrizio sia il Dylan italiano, perché non dire che Dylan è il Fabrizio americano?[43]
  • [Su Ottavio Rosati] Stava finendo il servizio militare e si presentò con la divisa da tenente in aeronautica, spavaldo e presuntuosetto, all'albergo Hassler dove vivevo i miei primi giorni di auto-esilio romano, sofisticata e femme fleur, ancora con gli abiti di New York, Parigi e Londra, ancora bella come si vedeva nelle fotografie più o meno di repertorio, ancora abituata alla gentilezza di lettori sconosciuti che per strada mi chiedevano l'autografo. Aveva vent'anni, grandi occhi pieni di stupore, un’intensa consuetudine col grande poeta-saggista Juan Rodolfo Wilcock che gli aveva insegnato l'uso di metafore e di associazioni imprevedibili. Collaborava a Ciao2001 e a II Mondo. Soprattutto aveva un fanatico amore per la psicoanalisi e un altrettanto fanatico amore per lo spettacolo. A volte diceva: Voglio diventare uno psicoanalista, a volte: Voglio fare il regista, col fervore dei poeti, degli artisti, degli ideologi; un fervore col quale avevo convissuto da quando a nove anni avevo scritto il mio primo romanzo. Voleva intervistarmi sul mio libro Beat Hippie Yippie, senza essere mai stato nessuna delle tre cose e senza sapere nulla del loro significato. Come se non bastasse, mi disse subito che quel pomeriggio si era appena ribellato a non so che pretesa di sua madre e di sua nonna: Sono stato duro con loro. Molto duro. Il suo registratore naturalmente non funzionava (un classico per me). Sul mio piccolino giapponese ancora insolito in Italia mi fece domande sempre meno teoriche via via che le schivavo ridendo.[44]
  • [Sulla crisi del suo matrimonio nel 1976] Sottsass mi aveva annientata entrando in casa con una scena di brutalità inconcepibile in un artista raffinato e dolce come lui. La scena era culminata con una mia umiliazione finale conclusa da una cena alla quale mi aveva costretta a partecipare con la sua amante che lo aveva salutato baciandolo ostentatamente sulle labbra.[45]
  • Sottsass si era semitrasferito da una sua amante: io avevo passato la sera a farmi intervistare da Radio Lugano. Il 29 ottobre cadeva l'anniversario del mio matrimonio che era stato nel 1949: ventisette anni di devozione e di amore che non riuscivo a non rimpiangere anche se mi avevano distrutto la vita.[46]
  • [Sui gioielli ceduti] Volevo far credere di aver avuto da Sottsass il pegno tradizionale del fidanzamento, una delle mie tante stupidaggini fatte in quel dopoguerra; avrei poi regalato la splendida collezione di gioielli di Sottsass esposta alla Galleria del Sestante negli anni Cinquanta al Museo Beaubourg [...] Il 21 dicembre eravamo andati ad Amsterdam a salutare per l’ultima volta Kho Liang Ie morente. Ero straziata. Mi aveva detto con quel suo dolce viso che non sorrideva più: Is’nt it stupid?. Gli avevo dato, nell’illusione che gli portasse fortuna, un cuoricino d’argento che Sottsass mi aveva regalato lungo la strada, convinta che prima di partire ne avrei comprato un altro uguale ma Sottsass, forse con ragione, si era offeso e non aveva voluto comperarmi il secondo e così non avevo portato fortuna a Kho Liang Ie e invece avevo portato un’irrimediabile sfortuna a me.[47]

Da Generazioni d'amore: le quattro Americhe di Fernanda Pivano

Dal booklet del DVD del film di Ottavio Rosati, Istituto Luce Cinecittà, Italia, 2020. Disponibile parzialmente in Plays.it.

  • Avevo 19 anni, non ero mica tanto una bambina. E c’era questo ragazzo più o meno della mia età. Un giorno, mentre mi allacciavo un sandalo e mi giravo su dopo aver allacciato il sandalo, questo ragazzo mi ha dato un bacio. Io, terrorizzata, ho piantato lì tutto, sono corsa da mamma: “Mamma aspetto un bambino”. La mamma, poverina, è svenuta e ci sono voluti i sali inglesi per farla rinvenire e poi mi ha detto: “Chi è stato?”, una specie di urlo che è arrivato fino al cielo e… [Cioè l’idea era i bambini possono venire con un bacio?] Io capivo questo, insomma. Il mio senso era quello che vuol dire nascono con un bacio. Non è molto diverso dalla realtà. In fondo nascono con un bacio.
  • Improvvisamente il mio vicino di casa che è anche un mio carissimo amico da trent'anni, quello tra l'altro che mi ha fatto conoscere questo caseggiato, come lo chiamo io, lì in Via Lungara 3, ha cominciato con un pappagallo, poi due pappagalli, poi tre pappagalli, poi quattro pappagalli. Adesso ne ha sette, otto, non so. Praticamente è come se ci parlasse, insomma... Sono molto carini. Io non ho tempo di occuparmene. Mi piacerebbe, ma non ho tempo.
  • Mio padre era un donnaiolo veramente sperticato. Gli uomini andavano nel demi-monde che era una valvola di sicurezza formidabile perché loro andavano lì, compravano i gioielli, le carrozze che c'erano allora, le pellicce, le ville, le case... E queste donne non interferivano con la famiglia. Erano bravissime. Stavano lì e confortavano questo loro benefattore e basta. E questo quindi non dava in fondo un grande fastidio. Nelle famiglie non ce se ne accorgeva neanche. Si chiamavano Consigli di Amministrazione. Era un padre-modello. Ogni sabato mi faceva leggere un libro. Mi faceva andare nel suo studio, mi dava un libro, commentava il libro che mi dava da leggere, si faceva dire com'era il libro che avevo letto.
  • Io ho avuto una educazione vittoriana severissima per cui il sesso era l'ultima cosa che aveva importanza. Ufficialmente. Però proprio per questo, ho fatto il diavolo a quattro per raggiungere l'era della liberazione sessuale.
  • Hanno bocciato me e Primo Levi. Devi pensare che era pieno periodo eroico del Fascismo e mi hanno mandata a settembre in tutte le materie. Allora c'erano i cartelloni dove c'erano i voti dello scritto per vedere se si era ammessi agli orali di settembre. Quando abbiamo visto avevamo tutti i nostri compagni di classe intorno, in silenzio con la bocca aperta che guardavano e noi due ci siamo guardati e ho detto: Ma Primo, cosa hai fatto? Hai fatto un tema anti-fascista?" Lui: "Se fossi scemo, sono ebreo". Mi ha risposto.
  • Lei [Marlene Dietrich] era molto amica di Hemingway, il legante era questo. È stata l'ultima persona che ha parlato con Hemingway. Ad un certo punto io le ho chiesto: "Ma come fai ad essere così bella?". Perché lei era bellissima, aveva la pelle bianca come quell'ombrellino. È incredibile com'era bella quella creatura! "Come fai ad essere così bella?" E lei, con quegli occhioni che aveva: "Ma è facile, basta fare l'amore cinque volte al giorno". Allora le ho detto: "Ma io non credo che mio marito ce la farebbe". Lei: "Ah, ma mica sempre con tuo marito".
  • I professori dell'università se potessero mettermi il sale nel caffè me lo metterebbero. Ma i giovani mi vogliono bene, e mi vogliono bene perché ho portato in Italia questi autori che parlavano della vita quotidiana, toglievano l'enfasi e la retorica e la grancassa alle parole per dire le parole di tutti i giorni. E i giovani erano contenti che in qualche parte del mondo queste cose esistevano..." Ma davvero esistono? Ma com'è Bukowski ma com'è questo com'è quell'altro" e si divertivano a sentirmelo dire e io mi divertivo a dirglielo perché in fondo i ragazzi capivano quello che era successo.

Cos'è più la virtù[modifica]

Incipit[modifica]

Salomè una rondine non fa primavera e di sera Salomè tutti i gatti sono bigi, lo sai, chi sa mai [...] Salomè, Salomè dov'è più la virtù.

Citazioni[modifica]

  • Lì sulla riva c'era un elefantino minuscolo ancora con i movimenti maldestri, la piccola proboscide che oscillava adagio e forse avrebbe fatto pensare a qualcuno a un simbolo fallico. [...] "Si è innamorato di lei, signora, disse il guardiano sorridendo. "Che insolente", pensai. Dissi: "Ma lei scherza.." "No, non scherzo" insisté il guardiano. "Non vede? Gli dica qualcosa di gentile." Mi avvicinai all'elefantino, gli accarezzai un orecchio. "Bravo, Bambi," gli dissi sottovoce "ora devi fare il bagno, se no ti picchiano. Su, vai" e gli diedi una piccola spinta. (p. 40)
  • "È un personaggio antipatico" disse Nico perentorio. "Ma perché?" chiesi. "Perché non fa che collezionare dichiarazioni d'amore e lasciarle cadere l'una dopo l'altra. Perfino con gli elefantini. "Ma cosa dovrebbe fare per essere simpatico?" chiesi. "Andare a letto con qualcuno, ogni tanto." "Ma questa donna è stata educata così" dissi cercando di spiegare il personaggio. "Da una madre sessuofoba in tempi in cui si credeva alla virtù." (p. 205)
  • Fammi il piacere" ripeté Nico. "Che cosa vuol dire brutalizzare il sesso? Nella migliore delle ipotesi i lettori penseranno che si tratta di una donna frigida. E non è questa la cosa peggiore. Il fatto è che il personaggio è falso. Non corrisponde alla tua vera natura." "Ma il personaggio non è autobiografico. È inventato" dissi. (p. 206)
  • "Ma il personaggio non mente. È sincero. Non è vero che vive una menzogna. È stato educato a quello che una volta si chiamava la purezza." (p. 208)
  • "Parli come se Pirandello non fosse mai esistito. Tu pensi che che non sto analizzando il personaggio ma te. Ma che cos'altro potrei fare? (p. 208)

Excipit[modifica]

Finché un giorno accadde qualcosa. Un giorno in un bagliore di fiamme gialle e una puzza di zolfo qualcosa mi bruciò nel cuore. Fu un gelido fuoco sinistro. Dissi: "Che strano." Pensai: "È l'Araba Fenice?"

La mia kasbah[modifica]

Incipit[modifica]

Nella mia Kasbah, qui a Trastevere, venni a vivere quindici anni fa. Era un antichissimo palazzone diviso in due ali, ciascuna con un suo giardinetto e ciascuna suddivisa a sua volta in due ali. Ogni ala aveva una decina di appartamenti allineati, piccolini, non più di cento metri quadrati, tre stanze disposte su tre piani collegati da una scala a chiocciola che terminava su un terrazzino coi muri color ocra, quel rosato che ritorna su turri i vecchi muri romani sotto il sole del tramonto.

Citazioni[modifica]

  • Un modello immaginato per una taglia piccola diventa ridicolo su una donna grassa. (p. 97)
  • [...] è proprio impossibile varcare il muro della vita privata della gente. (p. 104)
  • Qualunque ragazzina potrebbe darci lezioni di sesso e di comportamento sessuale. Noi siamo solo delle gran cretine. Non siamo al passo con i tempi. (p. 116)
  • Quello che per me è verità, se a lei non sta bene, può essere bugia. Insomma, un'invenzione. (pp. 116-117)
  • Ricordai una lettera di Pavese a Gisella, dove diceva che quando si è innamorati si vuole vedere le fotografie dell'anima da bambina, si vuol sapere se piangeva o no, se dormiva o no, tutto. Ero innamorata io? Mi pareva proprio di sì. (pp. 138-139)
  • Se dobbiamo avere dei segreti, lascia che a me restino segreti almeno i pensieri. (p. 139)

Explicit[modifica]

Dovrei cercare un appartamento: ma chi si è provato sa cosa vuol dire. E non riesco a pensare cosa sarà la mia vita senza le amiche della kasbah. Non riesco a pensare proprio a niente. Forse ha ragione Alessandra: oltre che un appartamento dovrei cercarmi un altro fidanzato.

Incipit di alcune opere[modifica]

Album americano[modifica]

Queste quaranta conferenze, interventi o presentazioni o comunque li si vogliano chiamare che hanno espresso una parte dei miei sogni dal 1945 al 1996 mi sono sembrate, rileggendole adesso, una confessione di amori mica tanto segreti e mica tanto fortunati: contrastati dalla cortina di ferro di un Establishment molto radicato nelle sue convinzioni e tenuti in vita soltanto dalla complicità di due, forse tre, generazioni di ragazzi che mi hanno fatto coraggio nelle mie incruente battaglie coi mulini a vento in difesa della libertà.

America rossa e nera[modifica]

Quei primi decenni dell'ottocento che agitarono l'Europa e l'Italia nei moti di indipendenza di liceale memoria, videro l'America impegnata soprattutto a impadronirsi delle terre indiane: nel 1827 i Winnebago vennero cacciati dal Wisconsin, nel 1834 vennero sterminati Falco Nero e i suoi Siouk e Fox, nel 1835 i Cherokee dovettero cedere le terre a Est del Mississippi, nel 1840 i Seminole dovettero abbandonare la Florida: aveva avuto ragione il grande Capo Osceola quando aveva firmato col pugnale anziché con la penna il trattato imposto sette anni prima dagli uomini bianchi.

Amici scrittori[modifica]

Questo libro che ho finito di scrivere (si fa per dire) nel 1994, l'ho cominciato nel 1965 sulla terrazza della nostra camera al delizioso albergo Pellicano di Porto Ercole in cima alla collina coperta di cedri del Libano a strapiombo sul mare. Sottsass passava le giornate con Roberto Olivetti sulla barca, o meglio sul veliero, di Giangiacomo Feltrinelli...

Altri amici altri scrittori[modifica]

Questo libro che ho continuato a scrivere per tutto il 1995, è costituito in parte da un gruppo di capitoli della mia raccolta Amici Scrittori che l'editore ha dovuto restituirmi per rendere pubblicabile il manoscritto abnorme di ottocentoquaranta pagine.

Beat hippie yippie: dall'underground alla controcultura[modifica]

Neal Cassady e Jack Kerouac "ritornati puro spirito", Allen Ginsberg nomade con armonium, cimbali e quintali di posta in arrivo tra un centro di meditazione tibetano e una dimostrazione di protesta non violenta, Gregory Corso in giro per New York a fotografare con una Minox tutto il fotografabile e chissà perché a riposarsi nella sala totocorse dell'inventore dei fili di plastica per stendere la biancheria, William Burroughs a Londra con Brion Gysin a parlare per l'ennesima volta della riduzione cinematografica di Naked Lunch, Lawrence Ferlinghetti sopraffato a San Francisco dalla sua fama di poeta superbestseller e di editore superdavanguardia, Gary Snyder ella solitudine della Sierra Nevada a veder crescere la sua sofisticata reputazione di orientalista.

C'era una volta un beat[modifica]

6 aprile 195. Portorico: giorni fatati, magiche spiagge, Lucullo Beach con la tenera sabbia impalpabile degradante nel tenero mare impalpabile, fatato tepore magico, palme casuali come fili d'erba in un prato, bancarelle dove bere acqua di cocco king size per gli albori del turismo di massa e caimiti da mangiare morbidi e bianchi per la gente del posto, capelli e occhi neri, diseredati e orgogliosi, derelitti e invincibili...

I miei quadrifogli[modifica]

Se il lettore avrà la pazienza di controllare la mia povera cosiddetta calligrafia col testo stampato si accorgerà che a volte, per esempio nel pezzo su Gregory Corso, qualche frase o qualche parola scritta a mano sono state sostituite con altre frasi e altre parole. Chissà perché. Just becase.

L'altra America negli Anni Sessanta[modifica]

Finiti i fanatismi e le diffidenze, il decennio degli Anni Cinquanta d'America si presenta come focolaio o matrice o sorgente dei vari canali che hanno caratterizzato il decennio successivo: l protesta politica e la protesta psicologica, la protesta culturale e la protesta della "droga", la protesta razziale e la protesta sessuale.

La balena bianca ed altri miti[modifica]

Sono passati tanti anni da quando rividi Pavese al suo ritorno dal confino e gli chiesi che differenza c'è tra la letteratura inglese e quella americana. Glielo chiesi perché si era informato sui miei studi da bravo ex insegnante, e quando gli avevo detto che stavo lavorando a una tesi su Shelley si era messo a ridere e mi aveva canzonata perché non avevo insistito a farmene dare una in letteratura americana.

Lo zio Tom è morto[modifica]

Non c'è europeo reduce dall'America che non ricordi con orrore o, nella peggiore delle ipotesi con stupore la discriminazione razziale in atto negli Stati Uniti, specialmente negli stati del Sud, nonostante gli sforzi del governo centrale per impedirla.

Mostri degli anni Venti[modifica]

Quando nel 1915 uscì Spoon River Anthology, una raccolta di versi in cui si immagina che i defunti di una cittadina recitino da sé il proprio epitaffio, l'America fu percorsa da un brivido: il pubblico, addestrato dalla letteratura di denuncia che Theodore Roosvelt aveva definito muckraking, credette dapprima di dover cercare e trovare soltanto lo scandalo nelle rivelazioni brucianti di intimità segrete messe spietatamente a nudo in versi dalla forma insolita e dal contenuto violentemente anticonformista.

Viaggio americano[modifica]

Quando mi sono accorta di aver scritto più di millecinquecento articoli sempre parlando di letteratura americana mi è venuto qualche dubbio sulla mia salute mentale.

Citazioni su Fernanda Pivano[modifica]

  • A lei non solo mi lega una profonda devozione, ma anche un sempre crescente stupore per la sua attività di studiosa e traduttrice. (Giuseppe Ungaretti)
  • Attraverso Fernanda ho avuto rapporto con una certa letteratura: la letteratura americana, non voglio dire di rivolta ma di distacco, anzi di denuncia. E quindi mi sono trovato di colpo con tutto questo pacchetto di persone che ho conosciuto, ho frequentato, con cui ho parlato, come una specie di conferma di tutto quello che da ragazzo in maniera molto vaga già potevo immaginare. (Ettore Sottsass)
  • [Alla sua morte] Ciao signora libertà. Ci vediamo. (Don Gallo)
  • Con Fernanda Pivano l'Italia scoprì l'America, era una donna straordinaria, una donna di novant'anni che aveva la curiosità di una ragazza... cui la cultura italiana deve moltissimo. (Walter Veltroni)
  • Con la Nanda ho fatto il libro The Beat Goes On: credevo di dover solo fotografare e assemblare documenti, fotografie, lettere, invece lei mi mise alla macchina da scrivere. Dettava e raccontava aneddoti meravigliosi. Anche se a volte aggiungeva: Ti è piaciuto, chissà se è vero?. (Guido Harari)
  • Da sola, in pochi anni, in molti viaggi, con un entusiasmo instancabile, Fernanda Pivano ha creato un ponte fra la cultura americana e quella italiana forte abbastanza da resistere agli umori avversi della guerra nel Vietnam, alla tensione anti-americana della Guerra fredda, alla drastica polarizzazione destra-sinistra. Il suo capolavoro: orientare la cultura militante di sinistra verso "la sua" America, quella dei grandi, nuovi poeti. (Furio Colombo)
  • Fernanda Pivano! Tu sei una ragazza dannatamente bella! Tu sei Fernanda Pivano. Una ragazza grande intellettuale di Milano! La gente ce l'ha con te perché sei bella. La ragione è questa. Bum! Bum! Giusto! (Jack Kerouac)
  • Fine intellettuale che, lungo un appassionato percorso, è stata protagonista della cultura italiana. Sensibile sostenitrice delle relazioni con la letteratura straniera e segnatamente di quella americana, Fernanda Pivano ha dato un contributo straordinario alla capacità della cultura italiana di tessere e coltivare rapporti che hanno arricchito il nostro patrimonio e favorito intensi scambi letterari con il resto del mondo. (Giorgio Napolitano)
  • Grazie alla sua influenza mi trovai trasformato in un grande scrittore americano prima ancora di essere tradotto in italiano [...] essere adottati da Fernanda fa un po' paura. È difficile sentirsi degni di far parte del suo pantheon di giganti letterari. (Jay McInerney)
  • Ha prodotto tutto, dall'Antologia di Spoon River quando Pavese le scriveva lettere elogiando la sua versione e le sue gambe, al Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald. Ci ha dato lei Allen Ginsberg, proteggendolo dalle mode, "un poeta, diceva, non soltanto un minestrone beat". Ha trattato con gentilezza l'orso Hemingway [...] astemia tra gli ubriachi, morigerata tra le orge, gentile in mezzo a gente che rigettava il galateo, è stata Fernanda Pivano a spiegarci il mondo della droga psichedelica ("allargate l'area della coscienza") a ricordare i pericoli della tossicodipendenza [...] non manderebbe in galera nessuno per uno spinello ma predica contro l'eroina [...] la dolce e cara e indispensabile Fernanda Pivano. (Gianni Riotta)
  • Insomma, [per gli italiani] Luttazzi sta alla stand-up comedy come Fernanda Pivano sta alla letteratura dei grandi americani, con la differenza che Fernanda Pivano non andava a dire che Sulla strada l'aveva scritta lei. (Saverio Rimondo)
  • La Pivano è una star letteraria. Un conto è celebrare il genio di Kerouac che nei suoi libri si mette a nudo. E un conto è rivelare se stessa. Nei romanzi che ha pubblicato con Rusconi, Fernanda ha creato dei personaggi immaginari derivati dalla realtà. Lei ama i Beat ma non è una Beat. È l'ambasciatrice dei Beat. (Aldo Carotenuto)
  • Lei ammirava Allen Ginsberg ma non era molto interessata agli altri Beats. Non era interessata alla mia poesia, per esempio. Amava Gregory Corso [...] e divenne famosa per la grande autorevolezza sui poeti Beat in Italia. Quindi tutto ciò che lei ha detto sulla generazione Beat è stato considerato verità assoluta, ma molte cose che ha detto su Beats non sono vere perché se le è immaginate. Le piaceva molto Kerouac. (Lawrence Ferlinghetti)
  • L'Italia tra il fascismo e la guerra era rimasta fuori dal circuito: è stata un ponte con l'America. (Gore Vidal)
  • Mettere a disposizione di tutti il sapere e la cultura è stato il grande sogno di Nanda. Per realizzarlo Nanda si è rivolta a chi poteva aiutarla in modo concreto e autentico, procedendo con una donazione alla Fondazione Benetton dell'universalità della propria biblioteca: i libri, i manoscritti, le lettere, tutti i documenti che testimoniano un'epoca di cultura e di arte. La Fondazione ha accolto questo incarico con entusiasmo, risorse e ingentissimi investimenti, dando il via alla catalogazione – che prosegue tutt'ora – di tutti i documenti, avvalendosi di personale esperto e qualificato. (Luciano Benetton)
  • Nanda vivrà per sempre nel mio cuore e nei miei ricordi. È stata per me una seconda madre - una madre per i miei romanzi, una madre che mi voleva bene, che non mi attaccava ma mi spronava e mi dava consigli con gentilezza, cercando di rendere migliori i miei libri. (Erica Jong)
  • Non c'era nessuno come lei nell'universo letterario americano: Fernanda era «vera». (Bret Easton Ellis)
  • Non so cosa farei senza di te [...] In italiano ho sempre te come un'ancora [...] Quest'anno ho lavorato col traduttore spagnolo e ho avuto una buona traduzione. Ma Nanda è quasi come scrivere il libro [...] Sono lieto che il libro [Il vecchio e il mare] piaccia in Italia. Ma se piace so quanto devo a te e per favore sappi sempre che lo so. (Ernest Hemingway)
  • Raffinata e instancabile cercatrice di bellezza. (Letizia Moratti)
  • Sarà sempre la nostra ragazza, una fonte d'amore. (Vasco Rossi)
  • Sono stato molto spiacente per le omissioni e i cambiamenti suggeriti alla Signora Pivano dal curatore della Mondadori [...] Ho lasciato la decisione nelle mani di Nanda Pivano perché ha lavorato così a lungo, così intensamente, con tanto amore e tanta attenzione alla curatela e alla traduzione del testo. Desidero lasciare la decisione definitiva nelle sue mani perché dopo tutto questo libro [Juke-Box all'idrogeno] è forse più suo che mio. (Allen Ginsberg)
  • Stavo per svenire – ed è stato lì che ho protetto il corpo di Nanda. L'ho protetto dal mio, dal danno che il mio stava per fargli. La sua stretta sul mio braccio era un attestato di fiducia totale; il suo vecchio corpo malato si affidava ciecamente al mio; se fossi andato in terra in quel momento me lo sarei tirato dietro, e gli avrei fatto più danni del cancro che lo rodeva. Perciò smisi di svenire, o per meglio dire rallentai lo svenimento, sviluppando uno sforzo assurdo per restare in piedi; mi guardai intorno, vidi che c'era Valeria un passo dietro di noi, attesi che Valeria facesse quel passo, le dissi in un orecchio di mettere il suo braccio al posto del mio sotto la mano stretta della Nanda, lei lo fece, meccanicamente, senza capire perché, e a quel punto, quando il corpo della Nanda era in salvo, staccato dal mio, al sicuro, svenni sul marciapiede. L'ho salvata. [...] Io non ho mai dato retta al consiglio che la Nanda mi dava, di stare alla larga dai marmocchi. Mi piacciono troppo. E credo che quella cosa che si scrive meglio senza bambini intorno, sicuramente vera per Kerouac o per Hemingway, per me, nel mio piccolo, non funzioni. Così, quando ho potuto mi sono riunito ai miei tre figli e, sempre quando ho potuto, ne ho perfino fatto un altro. Una femmina, stavolta, dopo tre maschi. Nina. Be' , ecco cosa vi dico: il tempo per la nascita di Nina scadeva a ferragosto dello scorso anno, ma Nina non ne voleva sapere di nascere. Non era pronta. 16 agosto, 17 agosto: niente. Poi è morta la Nanda. Poi Nina è nata. È una cosa, come ho detto. E, come ho detto, potete farne quel che volete. (Sandro Veronesi)
  • Sulla strada fu una folgorazione, a cominciare dalla prefazione di Fernanda Pivano. Saputo che era scesa all’hotel Hassler, andai con Zaccagnini a conoscerla. Ci vestimmo da “on the road”, quasi da zingari, con gilet e tutto: non ci fecero entrare. “Ma noi abbiamo un appuntamento con la signora Pivano!”. “Eccola”. La donna che aveva scoperto la Beat Generation era una sciura con caschetto, tailleur, borsetta Gucci e filo di perle. Diventammo molto amici. Suo marito Ettore Sottsass invece era un po’ ispido. (Roberto D'Agostino)
  • Una donna straordinaria. Non si è mai risparmiata. (Dario Fo)
  • Un artista ha bisogno di avere accanto una persona così, che gli dà forza ed energia. Era una stimolatrice di idee. (Jovanotti)
  • Un giorno Fernanda mi ha telefonato dicendo che voleva vedermi a Roma, e abbiamo combinato. Ci siamo incontrati a Piazza di Spagna. Era inverno e Fernanda aveva un grosso cappotto di peli ed era molto cambiata; sembrava appena uscita da un bagno gelato, dopo un sogno sconvolgente. Mi ha detto che stava divorziando e che sarebbe tornata a casa a Torino e se avevo ancora voglia di stare con lei. Le ho detto che mi sarebbe piaciuto molto, e dopo qualche mese è stato così. (Ettore Sottsass)

Note[modifica]

  1. Dai Diari/1974.2009, Bompiani, Milano, p.10
  2. Citato in Luca Ponte, Le genovesi, Fratelli Frilli Editori, Genova, 2004, p. 66. ISBN 88-7563-023-2
  3. Da Quando Faulkner venne alla scoperta dell'Italia, Corriere della Sera, 5 luglio 1982.
  4. a b Da Dai versi di Whitman rinacque l'America, Corriere della Sera, 24 dicembre 2005, p. 41.
  5. Citato nell'intervista di Ottavio Rosati a Lewis Yablonsky; disponibile in Plays.it.
  6. Da Beat hippie yippie dall'underground alla controcultura, Bompiani, Milano, 1977, pp. 17-18.
  7. Dalla home page di FernandaPivano.it; citato in Scomparsa a Milano Fernanda Pivano, Lastampa.it, 18 agosto 2009.
  8. Dall'intervista di Rossana del Chierico Moretti, Antiche amicizie, 2002, in cat. Fondazione Benetton studi e ricerche, A.3, n. 8-9, pp. 18-20; riportata in Plays.it.
  9. Dall'intervista Rassegna bella e sfortunata, La Stampa, 24 novembre 2001, p. 37
  10. Citato in Giulia Borghese, Cara Fernanda l'America ti scrive, Corriere della Sera, 12 dicembre 1998.
  11. In minuscolo nella fonte dopo i due punti.
  12. Citato in Bianca de Fazio, La Pivano incorona Napoli "è qui l' unica vera capitale", ricerca.repubblica.it, 14 gennaio 2003.
  13. Da Introduzione a Jack Kerouac, I Sotterranei, traduzione di Anonimo, prefazione di Henry Miller, Feltrinelli, Milano, 1980, p. 10.
  14. Dallo Psicocinema al Teatro del Tempo, 1991 Teatro Carignano, Torino in Plays.it
  15. Dal programma televisivo La Storia siamo noi, Raitre, 25 febbraio 2008. Video disponibile su Rai.it.
  16. Citato in Giulia Borgese, Cara Fernanda l'America ti scrive, Corriere della Sera, 12 dicembre 1998.
  17. Da Introduzione a Jack Kerouac, I Sotterranei, 1980, pp. 9-10.
  18. Da Brodkey: Io, clandestino all'ombra di James e Hemingway, Corriere della Sera, 5 maggio 1992.
  19. Dall'intervista di Zerka Toeman Moreno, Curarsi l'anima con il teatro, Corriere della Sera, 19 maggio 1980; riportata in Plays.it.
  20. a b c Da Foster Wallace : addio al mago della giovane prosa, Corriere della Sera, 15 settembre 2008.
  21. a b Dalla postfazione a Chuck Palahniuk, Fight Club, Mondadori, 2013, pp. 189-191. ISBN 978-88-04-50835-9
  22. Da Diceva Gregory Corso, in Gregory Corso, Poesie un pianto per l'America del poeta tutto beat, Bompiani, Milano, 1978, p. VII.
  23. Come è cinematografica la vita di Fernanda, Panorama, 7 settembre 2000, p. 147.
  24. Citato in Claudio Altarocca, Pivano: accademici bastardi, La Stampa, 16, dicembre 1998, p. 24.
  25. Citato in Corriere della Sera, 29 giugno 2005.
  26. Dall'intervista rilasciata nel 1997 in occasione dell'ottantesimo compleanno, trasmessa da Radio Tre il 19 agosto 2009.
  27. Citato in Pedrinelli, p. 112.
  28. Da un'intervista rilasciata nel settembre 1998; citato in Aristea Canini, Nanda Pivano e la Beat generation: il selvaggio Kerouac si fidava solo di lei, BergamoNews.it, 18 agosto 2019 e in il Messaggero.it.
  29. Citato in Giovanna Favro, Un attentato contro di me: Fernanda Pivano: non può essere un caso, La Stampa, 23 novembre 2001, p. 11.
  30. Dalla postfazione ad Addio alle armi, p. 317.
  31. Dalla Pivano a Fernanda attraverso la Nanda, intervista di Ottavio Rosati per "Cia Cook Book", Arcana ed., Roma, 1972 riportata in Plays
  32. Citato in Addio ad Harold Brodkey detto il "Proust d'America", Corriere della Sera, 27 gennaio 1996.
  33. Dall'intervista di Rossana del Chierico Moretti Antiche amicizie in 'Via Condotti', cat. Fondazione Benetton studi e ricerche, A.3, n. 8-9, pp. 18-20 riportata in Plays.it
  34. Citato in Giulia Borgese, Cara Fernanda l'America ti scrive, Corriere della Sera, 12 dicembre 1998.
  35. Citato in Incendio a Torino, Bloccato il film su Fernanda Pivano, Corriere della Sera, 23 novembre 2001, p. 40.
  36. Dalla postfazione ad Addio alle armi, p. 316.
  37. Citato in Giuliana Gargiulo, Napoli è, Alfredo Guida Editore, Napoli, 1997, p. 79. ISBN 88-7188-168-0
  38. Citato in Corriere della Sera, 17 settembre 1994.
  39. Da 11 marzo Buddhista, Plays.it.
  40. Citato in Pedrinelli, p. 111.
  41. Da Ho fatto una pace separata, Dreams creek Production.
  42. Dalla Pivano a Fernanda attraverso la Nanda, intervista di Ottavio Rosati per "Cia Cook Book", Arcana ed., Roma, 1972 riportata in Plays
  43. Citato in Giuseppina Manin, De André, il film, Corriere.it, 19 ottobre 2008.
  44. 'Rai3 tra Pirandelli e pazzarielli' (Conferenza al Teatro Stabile di Torino)
  45. Dai Diari/1974.2009, Bompiani, Milano, p.136
  46. Dai Diari/1974.2009, Bompiani, Milano, p.137
  47. Dai Diari/1974.2009, Bompiani, Milano, p.29 e p.33

Bibliografia[modifica]

  • Ernest Hemingway, Addio alle armi (A Farewell to Arms), traduzione e postfazione di Fernanda Pivano, prefazione di Ernest Hemingway, Mondadori, 2007. ISBN 978-88-04-56710-3
  • Fernanda Pivano, La balena banca e altri miti, Mondadori, 1961. ISBN8842802646
  • Fernanda Pivano, America rossa e nera, Vallecchi, Firenze, 1964. ISBN-10: A000079192
  • Fernanda Pivano, L'altra America negli anni Sessanta. Antologia in due volumi, Officina-Lerici, Roma, 1971-1972. ISBN 8879660241
  • Fernanda Pivano, C'era una volta un beat - L'avventura degli anni'60, Arcana, Roma, 1976. ISBN 88-85859-11-9
  • Fernanda Pivano, Mostri degli Anni Venti, Il Formichiere, Milano, 1976. ISBN 88-7738-141-8
  • Fernanda Pivano, Beat hippie yippie: dall'underground alla controcultura, Bompiami, 1977. EAN 9788845283574
  • Fernanda Pivano, Cos'è più la virtù, Rusconi, 1986. ISBN 88-18-06017-1
  • Fernanda Pivano, La mia kasbah, Rusconi, 1988. ISBN 88-18-06043-0
  • Fernanda Pivano, Amici scrittori, Mondadori, Milano, 1995. ISBN 88-04-38452-2
  • Fernanda Pivano, Altri amici, altri scrittori, Mondadori, Milano, 1997. ISBN 88-04-42215-7
  • Fernanda Pivano, Viaggio americano, Bompiani, Milano, 1997. ISBN 978-88452-9287-3
  • Fernanda Pivano, Album americano, Frassinelli, 1997. ISBN 88-7684-418X. 81-1.97
  • Fernanda Pivano, I miei quadrifogli, Edizioni Frassinelli, 2000. ISBN 88-7684-591-7
  • Fernanda Pivano, Diari 1917-1973, Bompiani, Milano, 2008. ISBN 978-88-452-6013-1
  • Fernanda Pivano, Ricordo di Giorgio Gaber; in Andrea Pedrinelli (a cura di), Gaber, Giorgio, il Signor G. Raccontato da intellettuali, amici, artisti, Kowalski, Milano, 2008 (pp. 111-112). ISBN 978-88-7496-754-4
  • Fernanda Pivano, Diari 1974-2009, Bompiani, Milano, 2010. ISBN 978-88-452-5971-5
  • Fernanda Pivano, Lo zio Tom è morto, Bompiani, 2015. ISBN 978-88-452-8039-9

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