Mario Gromo

Mario Gromo (1901 – 1960), giornalista, scrittore e critico cinematografico italiano.
Citazioni di Mario Gromo[modifica]
- [Su Una romantica avventura] A lungo si disse di quest'ultimo film di Camerini, quando fu proiettato a Venezia. A rivederlo, le prime impressioni ancora si confermano, anche per alcuni efficaci ritocchi che nel frattempo il film ha potuto avere. È un Camerini ancora più scaltro e sottile, che con molta maestria usa qui il racconto incorniciato nel ricordo dei due protagonisti. E abbandonandosi alla rievocazione di quella che per lei fu la sua vera giovinezza, Anna può finalmente comprendere l'infinita e sofferta devozione di Luigi, da lei sposato senza amore.[1]
- Carlo Ninchi è un magnifico attore, quale ancora non l'avevamo veduto sullo schermo; di una sobrietà scabra e incisiva, dalla ferma maschera che tutto esprime.[2]
- Chi nega o mette in dubbio l'importanza, per un film, di un buon soggetto, vada a vedere Infedeltà. L'autore della vicenda è Sinclair Lewis, che già si era permesso di raccontarla ben più... compiutamente nel suo notissimo romanzo, Dodsworth, dal quale il film è tratto. La riduzione ne è talvolta necessariamente sommaria, talvolta più convenzionale del necessario; ma tra parentesi un po' verbose, e ritorni un po' insistiti, non è difficile scorgere una salda ossatura, che pacatamente dà vita a tipi e a caratteri, e la regia di William Wyler ne viene così corroborata, ne acquista sovente sapore.[3]
- Con Centomila dollari Camerini ha voluto comporre un film spigliato e divertente, sia ricorrendo, ai motivi più cari alla sua vena, quanto innestandovi toni e ritmi più movimentati e appariscenti, di quello spregiudicato e dinamico candore proprio a molte commediole cinematografiche americane. Ne è venuto uno spettacolo garbato, assai piacevole; dove i toni calzanti e talvolta mordenti sono del Camerini più vero, il quale da sornione si centellina la sequenza sospesa al sottinteso, all'ammicco ironico, a una perspicace malizia.[4]
- Da quanto tempo Blasetti non si vagheggiava il suo Fieramosca? Una libera riduzione del romanzo, per la folta materia che gli avrebbe offerto, per il significato che poteva assumere, per le risorse quasi inesauribili di movimento, di ritmo e di colore, sembrava già a priori perfettamente attagliarsi al temperamento di questo nostro animoso regista. E si sentiva che sarebbe stata questa la prova decisiva per la sua regia, ne sarebbe potuto uscire un nostro film che avesse un tono, un'impronta, un carattere; e nei pronostici s'azzardava la parola stile.[5]
- Dopo La trappola, eccoci a Calafuria. Là, una vicenda già tutta distesa per le esigenze di una sceneggiatura, e poi invece stranamente infoltita e fatta deviare da parte degli sceneggiatori, che non avrebbero dovuto sentirne alcun bisogno; qui, una vicenda assai folta di casi e di ambienti, che gli sceneggiatori dovevano forzatamente snellire. Snellire significa quasi sempre variare, ma questa volta la sceneggiatura, almeno come racconto di vicenda, appara plausibile e accurata, eccettuato il finale: nel romanzo Tommaso Bardelli muore in un ospedaletto, mi pare di Gradisca, dopo un'azione sul Carso; nel film il lieto fine calca toni e deforma situazioni, dopo averle frettolosamente predisposte. Ma questa figuretta di Marta è viva, è forse la migliore interpretazione di Doris Duranti; l'ambiente della villa Jackson è un ambiente; e quasi tutto il film è sorvegliato da una vigile cura, patinata sovente di toni un po' letterari, a evitare i quali sarebbe stata necessaria tutt'altra impostazione. Così, il film appare come una illustrazione di alcuni episodi del romanzo, tratteggiata da un disegnatore che ha saputo trarre partito da indovinati esterni, da pause un po' sospese, da morbidezze ora un po' torbide, ora allusive; e accanto alla Duranti è Gustav Diessl, sobrio e intelligente come sempre.[6]
- [Su Fedora] Già altre volte ridotto per lo schermo ritorna il drammone di Vittoriano Sardou [...] che ora ha offerto una sceneggiatura al Mastrocinque, forse il più abile dei nostri registi di teatro filmato [...] Diciamo subito che si tratta di un filmone eccezionale per ricchezza di mezzi, una ricchezza che talvolta non esita a diventare sfarzo [...] ma lo spettacolone c'è, ripetiamolo, con tutte le sue risorse.[7]
- [Su Vittorio De Sica in Gli uomini, che mascalzoni] Ha saputo tratteggiare, con grande semplicità di mezzi, un tipo di giovanotto trasognato e scanzonato quanto basta e ora dopo questa prova felice De Sica può aspirare a essere quel buon attore che finora mancava allo schermo italiano.[2]
- Ieri La gerla di papà Martin; e oggi Guerra in tempo di pace; che dipana i suoi atti rosei e arzilli nelle sequenze di Manovre d'amore. Il teatro di ieri e dell'altro ieri fornisce così i suoi spunti al cinema di oggi: che li ringiovanisce, e dà loro, sovente, una lievissima patina d'ironia, più o meno involontaria. Il primo tempo di Manovre d'amore è, sotto questo aspetto, davvero calzante.[8]
- Il Camerini è regista che aiuta gli attori, con molta intelligenza. Con i suoi suggerimenti vedremo quasi certamente una Miranda nella sua più vera luce.[2]
- [Su Cavalleria] Il conte Solaro [...] è un giovane Nazzari, alla sua prima interpretazione d'impegno; se dapprima ha qualche incertezza poi appare saldo e sicuro.[2]
- [Su La porta del cielo] Il film è assai nobile, rivela in ogni istante una scrupolosa cura, ha sequenze notevoli, ma è per lo più esteriore. Gli manca quel brivido umano e profondo che avrebbe dovuto far vibrare queste diverse ed uguali vicende; si compiace dell'inquadratura (e ve ne sono di bellissime), insiste su primi piani dolenti senza supporre che finiranno per elidersi a vicenda, e la stessa insistenza impiega in effetti sonori, dai canti alle preghiere.[9]
- [Su La freccia nel fianco] Il film è di uno dei nostri giovani meglio dotati, Alberto Lattuada, che qui sembra aver rinunciato a parecchie ambizioni, per tendere a una regia soltanto attenta e sicura. Alle prese con i due protagonisti il giovane regista non ha saputo fare dei suoi due attori due interpreti: particolarmente la Lotti, eccettuato un suo ultimo primo piano, non è attrice da sostenere un personaggio ambiguo e artificioso come questo.[10]
- [Su La signora di tutti] Il film è stato premiato alla Biennale con la coppa del ministero delle Corporazioni, perché ritenuto il tecnicamente migliore fra gli italiani scesi in gara al Lido. La motivazione è esatta. A Teresa Confalonieri toccò l'altissimo premio della coppa di S. E. il capo del governo per il nobilissimo assunto di rievocare dinanzi al nostro popolo una pagina gloriosa del Risorgimento; ma giustamente la tecnica della Signora di tutti doveva essere segnalata.
«Tecnica», «pratica», «mestiere»: termini che fanno arricciare il naso ai puri di cuore; termini che ben poco hanno in realtà a vedere con l'arte; e sono di un'enorme importanza nei domini dello spettacolo.[11] - [Su Darò un milione] Il film, partito con un'andatura indiavolata, sostenuta fino a metà percorso, si placa nel patetico per riaccendersi nella girandola finale che conclude un film intelligente come pochi, sia pure con qualche squilibrio e alcune incertezze, un film quasi sempre gustosissimo e talvolta piacevolissimo.[12]
- Il Mattoli fu uno degli organizzatori di Za-Bum, una compagnia di riviste e di spettacoli vari che qualche anno fa ebbe una sua fortuna. Dall'organizzare un giro sulle varie piazze alla tentazione di cimentarsi con il cinema il passo è breve ed ecco il Mattoli affrontare la regia ed esordire due anni or sono con Tempo massimo, un film intonato a una modesta satira dello sport, ora sorridente, ora ridanciana. Eppure, anche in quel filmetto, prescindendo da parecchie svolte della vicenda, e da alcune uscite di dubbia lega, c'erano una scioltezza e una disinvoltura davvero singolari in un esordiente.[13]
- [Su I migliori anni della nostra vita] Incoronato di premi a ripetizione, e di successi idem, il film rapidamente conquista lo spettatore. Non attendetevi casi singolari, sono pagine di vita vissuta, sorridenti e commoventi, d'un loro sorriso qua e là malizioso, e di una commozione semplice, quasi elementari. Ma sono narrate da William Wyler, il regista di Infedeltà e di Jezebel, de La voce nella tempesta e de La Signora Miniver, che va sempre più affinando un suo modo accorto e pacato, apparentemente quasi dimesso, ed efficace nel dare rilievo a un particolare da nulla, o esprimerne un brivido di emozione.[14]
- [Su Dopo divorzieremo] Inscenato elegantemente e piacevolmente interpretato da Amedeo Nazzari e Vivi Gioi, il film si ambienta in una America caramellata e disinvolta e ci presenta un'altra variazione del tema matrimonio in bianco [...] Il film è piacevole, scorre con garbo, si ravviva di trovatine e di battute azzeccate, ed è la rivelazione di Lilia Silvi [...].[15]
- [Su Fuga a due voci] La parte del baritono: ovvero come impostare un film che per protagonista non debba avere il solito tenore, ma un aitante e abbastanza fotogenico baritono. La vicenda del film tutta si aggira fra le quinte di un film da farsi: con una sua piacevolezza e una sua disinvoltura.[16]
- La pubblicità annuncia La peccatrice come il capolavoro di Amleto Palermi; e di questo nostro infaticabile regista è certo, con Cavalleria rusticana, il film di maggiore impegno, e che vuole staccarsi da parecchia della nostra produzione corrente. Anzitutto il tema, assai difficile: la caduta e la redenzione di una giovane donna. Poi la tessitura: a romanzo, decisamente, non a novelletta. Poi la protagonista: centro e vittima ed eroina della complessa vicenda. Infine gli ambienti, alcuni dei quali non esitano di portare l'obiettivo in zone discretamente... rimote dall'uso, basterà dire che le prime sequenze s'inquadrano in una casa di malaffare. Questi che ho enumerato sono tutti elementi ed intenzioni a favore del film: per i loro assunti, per il loro coraggio.[17]
- Maria Denis appare sobria e sicura come ancora non l'avevamo veduta; è un'attricetta sulla quale poter contare.[2]
- Mattoli rischia di fare sul serio. A furia di sfornare film su film, dei quali prima sforna soggetti e sceneggiature; a furia di imbastire spettacoloni che ambiscono a un brivido drammatico, e vorrebbero dosarlo con il sorrisetto e la lacrimuccia; a furia di battere e ribattere su questo mestiere di regista, che di solito è un mestieraccio: eccolo ora, con Stasera niente di nuovo, imbroccare tipi, sequenze, ritmi, episodi.[18]
- [Su La dolce vita] Non sempre la materia è decantata. Appartiene, ancora e sovente, alla cronaca. Non lievita, non vibra. Sono dati di fatto. Se gelidamente posti in una loro impeccabile prospettiva, avrebbero potuto avere una loro straordinaria efficacia; così, invece, appaiono qua e là pesti, quasi sfuocati, o ripetuti, ridondanti. C'è infatti una certa monotonia, sia pure assai colorita, di tipi, di scorci, di accenti. Se codesta monotonia fosse stata soltanto apparente, e allora calibrata in un suo ritmo rigoroso, dalla sordina sempre più ossessiva, tutto ciò avrebbe potuto avere un'altra sua non meno straordinaria efficacia. Così, invece, i tipi si stingono talvolta l'uno sull'altro, o si ricalcano. Dovrebbe giustificarli un loro minimo comun denominatore; ma questo è così esplicito che lungo il cammino, per forza di cose si attenua, e si fa risaputo.[19]
- Non ti conosco più è il fratello minore di Lohengrin. Un'altra fortunata commedia del De Benedetti gli ha dato la sceneggiatura, Malasomma lo stesso brio malizioso nella regia. Meno ricco di trovate e di sviluppi più propriamente cinematografici (che in Lohengrin felicemente si susseguivano) è pur sempre un piacevole e talvolta piacevolissimo saggio di teatrino filmato. Ove si escluda l'ultima parte, che ha tutti gli indugi dell'inevitabile conclusione, la commediola fila tra sorrisi e risate con un suo garbo disinvolto, con un suo modesto ma schietto timbro di sceneggiatura.[20]
- Non v'è film di Camerini che non riveli animo e intenzioni d'artista; anche prescindendo dai risultati, non sapremmo quale miglior lode formulare per chi dedica la sua vita al mondo dello schermo, un mondo che non è sempre dominato dalle ragioni dell'arte. [...] Con T'amerò sempre ha voluto tentare un'opera di più ampio respiro, dai toni talvolta decisamente drammatici; dalla novelluccia è voluto passare al romanzo; e se proprio non si può dire che il romanzo sia riuscito, ne è però sbocciato un lungo racconto, pervaso di schietta umanità, narrato con voce pacata e quasi sempre incisiva. [...] Non si creda, tuttavia, che il film sia tutto toccato con mano felice. Le scene iniziali sono prolisse; qualche altra lentezza è facilmente riscontrabile; e quasi tutto il dialogato dell'ultima scena è semplicemente inutile, danneggia non poco, con la sua verbosità, quella tensione drammatica che era stata efficacemente raggiunta e che già aveva in sé implicito il "finale". [...] riguardo al Besozzi, questa è certo la sua migliore interpretazione cinematografica. Un'altra sorpresa è offerta da Mino Doro, un nuovo attore, dalla maschera che stranamente somiglia a quella di Clark Gable: un interprete sobrio e intelligente, efficacissimo mentre la De Giorgi è volenterosa, talvolta convincente [...].[21]
- Oggi, dopo aver visto King Kong, si potrebbero inaugurare due altre categorie: film per miopi, film per non miopi; e King Kong è fatto per un pubblico affetto da almeno una mezza dozzina di diottrie. […] Tutto ciò per lo spettatore assai miope, apparirà in una visione apocalittica, densa di brividi, d'imprevisti. […] Non tutti sono miopi, però; e ieri sera, nei momenti più volonterosamente spaventosi risuonavano non poche risate, con un nutrito codazzo di fischi finali. Siamo in parecchi a non portare occhiali. Se King Kong rinuncia a priori a ogni e qualsiasi intento d'arte, e vorrebbe invece soltanto ammanirci lo spettacolone terrificante, e specialmente in una sorta di campionario delle risorse tecniche sulle quali la cinematografia può ormai sicuramente contare, è proprio in questo assunto che il film rivela le sue pecche più grossolane. […] Prescindendo dalla cartapesta degli sfondi, questi mostri antidiluviani, dinosauri e C., sono tutti timidi ed epilettici: si muovono lentamente e a scatti, come vogliono i meccanismi ad orologeria che li governano. Si salva King Kong, che il terribile urango non è che un uomo camuffato, e le sue proporzioni sono ottenute con delle sovrapposizioni, degli schermi multipli: ma sono, questi sistemi, veramente l'ultima parola della tecnica, del trucco cinematografico?[22]
- Rose scarlatte è stato il primo film di De Sica regista; Maddalena zero in condotta ne è il secondo; e il simpatico attore – che naturalmente è tra gli interpreti, ed è anzi il protagonista, non meno naturalmente in una «parte» di buon figliolo – conferma le possibilità di una sua regia, lieve e garbata come il tono del film esigeva.[23]
- Spero che È sbarcato un marinaio piaccia al pubblico come il film si merita. Ma non gli si accosti chi vuole vicende fin troppo movimentate, ambienti e tipi eccezionali, casi aggrovigliati o abnormi: il film di Ballerini è piano, semplice, vivo di una sua modestia ma autentica vita. La vicenda per la vicenda non è gran cosa, tutt'altro. Un marinaio sbarca a terra. Incontra una ragazza. Schermaglie, ripicchi, idillio. Poi una grossa nube, un po' di dispetto, un po' di gelosia; e alla fine i due si uniranno per sempre.[24]
- [Su Settimo velo] Tutto ciò poteva essere raccontato senza ipnosi, senza dottori, senza citazioni di Salomè; ma poteva anche dar vita a un film banale. Mentre questo, merito o non merito di tutto il più o meno misterioso e complicante contorno, ha un suo tono, un suo interesse, sia pure un po' estetizzanti. Ma il come dalla ragazzetta nasca la pianista, è un bel capitolo; il tipo dello zio, la sua casa, la sua vita, sono ben segnati; e i tocchi intelligenti sono parecchi. Insomma, con tutte le sue pretese e i suoi difetti, un film da non confondersi con i soliti altri. Accanto al Mason è Ann Todd: un'attrice non comune, anche se nella maschera un po' ricorda una Garbo in trentaduesimo e, nella recitazione, una Garbo in sessantaquattresimo.[25]
- [Su La cena delle beffe] Tutto solido e tutto evidente, è questo tra i migliori film di Blasetti, e, naturalmente con toni assai diversi, da porsi accanto al Salvator Rosa. Il «soggetto» contenuto nel notissimo poema drammatico di Sem Benelli offriva certo una vicenda forte e rilevata, senza esitazioni, senza oscillazioni; e il ritmo cinematografico l'avrebbe poi ancora probabilmente rafforzata. Ma bisognava trovarlo, quel ritmo; e farne tutt'uno con battute, volti, costumi, luci, scorci, ambienti e fondali. Blasetti vi è pienamente riuscito e la sua opera di regista è qui inappuntabile: tanto che sovente non la si avverte, tanto fluido e convincente è il serrato procedere dei fatti e tanto caldo è il divampare delle passioni.[26]
- [A proposito di Clara Calamai] Un'esordiente assai promettente.[2]
- [Su Umberto D.] Un film per spregiudicati e delicati buongustai; un film sottovoce. Orchestrato con una coerenza intima, con un'abilità assai scaltra, con tocchi appena accennati, quasi sempre espressivi.[27]
- [Su 4 passi fra le nuvole] Un filmetto quasi sempre delizioso, che ha la sua importanza. Anzitutto perché ci dà una commedia sana, arguta, sentita, e poi perché Blasetti ci offre con questo film una piccola sorpresa, ci rivela cioè un volto ancora inedito del suo temperamento [...]. Il film sotto la sua apparente levità, e sotto la sua autentica grazia, dà vita e cadenze che sono schiette, umane, nostre.[28]
Note[modifica]
- ↑ Da La Stampa, 29 ottobre 1940; citato in Una romantica avventura - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ a b c d e f Citato in Massimo Scaglione, I Divi del Ventennio, per vincere ci vogliono i leoni..., Lindau, 2005.
- ↑ Da La Stampa, 1957; citato in Infedeltà - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da La Stampa, 24 marzo 1940; citato in Centomila dollari - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da La Stampa, 29 dicembre 1938; citato in Ettore Fieramosca - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da Sullo schermo: Calafuria, di F. Calzavara, La Stampa, 21 maggio 1943, p. 3.
- ↑ Da La Stampa, 13 febbraio 1943; citato in Chiti, p. 138.
- ↑ Da La Stampa, 1º dicembre 1940; citato in Manovre d'amore - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da La Nuova Stampa, 12 gennaio 1946; citato in La porta del cielo, cinematografo.it.
- ↑ Da La Nuova Stampa, 4 novembre 1945; citato in La freccia nel fianco, cinematografo.it.
- ↑ Da La Stampa, 5 dicembre 1934; citato in La signora di tutti - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da La Stampa, 31 agosto 1935; citato in Darò un milione, cinematografo.it.
- ↑ Da La Stampa, 6 febbraio 1936; citato in Amo te sola - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da La Stampa, 1957; citato in I migliori anni della nostra vita - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da La Stampa, 1° dicembre 1940; citato in Dopo divorzieremo, cinematografo.it.
- ↑ Da La Stampa, 6 marzo 1943; citato in Fuga a due voci - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da Davanti allo schermo: cinema italiano 1931-43, a cura di Gianni Rondolino, La Stampa, Torino, 1992, p. 132. ISBN 88-7783-059-X
- ↑ Da La Stampa, 28 febbraio 1943; citato in Stasera niente di nuovo - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da La Stampa, 6 febbraio 1960; citato in Claudio G. Fava, I film di Federico Fellini, Volume 1 di Effetto cinema, Gremese Editore, 1995, p. 96. ISBN 8876059318
- ↑ Da La Stampa, 28 gennaio 1936; citato in Non ti conosco più - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da La Stampa, 28 aprile 1933; citato in Chiti, p. 356.
- ↑ Da Sullo schermo: King Kong, di M. C. Cooper e E. B. Schoedsack, La Stampa, 3 dicembre 1933
- ↑ Da La Stampa, 1° gennaio 1941; citato in Maddalena: zero in condotta - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da La Stampa, 21 aprile 1940; citato in È sbarcato un marinaio - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da La Nuova Stampa, 6 dicembre 1946, p. 2.
- ↑ Da La Stampa, 13 febbraio 1942; citato in La cena delle beffe - Rassegna stampa, mymovies.it.
- ↑ Da Umberto D., La Nuova Stampa, 22 gennaio 1952, p. 3.
- ↑ Da La Stampa, 30 gennaio 1943; citato in Quattro passi fra le nuvole, cinematografo.it.
Bibliografia[modifica]
- Roberto Chiti e Enrico Lancia, Dizionario del cinema italiano: i film, Gremese Editore, Roma, 2005. ISBN 88-8440-351-0
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