Aldo Grasso

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Aldo Grasso (1948 – vivente), critico televisivo, giornalista e professore universitario italiano.

Citazioni di Aldo Grasso[modifica]

  • Abbandonata la coralità dei primi atti, «1994» procede verticalmente, soffermandosi a ogni puntata su un personaggio. Depurata dalle storylines meno convincenti, la commistione tra fiction e non-fiction funziona anche al netto di ansie didascaliche e citazioniste. I vari Notte, Pietro Bosco (Guido Caprino) e Veronica Castello (Miriam Leone) intrecciano ancor di più le proprie vicende con quelle dei personaggi realmente esistiti: Berlusconi (restituito con grande cura da Paolo Pierobon), Di Pietro (Antonio Gerardi), D’Alema, e ancora Bossi, Maroni, Alessandra Mussolini... «1994» è una galleria di personaggi chiave di quegli anni, che scava nelle contraddizioni del potere e dissimula un distacco che è in realtà uno sguardo senza sconti su una politica trasfigurata in mediocrità, dove a sembrarci più veri sono i personaggi fittizi. La serie accumula elementi e rimandi, con una colonna sonora che è ritratto maniacale di un’epoca (dai R.E.M. ai Blur, dai C.S.I. alle Hole) e che arricchisce la scrittura pulita di un team consolidato di sceneggiatori (Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo).[1]
  • Acquistare cartoon per adulti, mondarli e trasmetterli nei pomeriggi per ragazzi non pare, onestamente, una strategia particolarmente geniale.[2]
  • Adinolfi, infatti, mostra scarsa dimestichezza con la conduzione, ha un marcato accento romanesco, è un inguaribile narciso. Però è giovane perché ha un blog. Sul quale scrive: «Sono orgoglioso di aver messo il mio lavoro a disposizione di chi ricorda che le mafie hanno causato negli ultimi quindici anni 2500 morti in questo nostro malandato paese». Non sarebbe meglio acquisire qualche competenza, oltre al mestiere di blogger, prima di affrontare temi così importanti e decisivi?[3]
  • Al diavolo «La pupa e il secchione»! Al diavolo Platinette e i suoi conati di moralismo! Al diavolo la categoria infestante degli opinionisti (l'opinione inghiotte il pensiero e lo restituisce come sterco)! Al diavolo Crozza! Fermi tutti, c'è Carlo Fruttero.[4]
  • «Assolutamente sì»: Simona Ventura non è più capace di dire «sì» o «no». Come tutti i ragazzini, e come Fedro del Grande Fratello, sente il bisogno di aggiungere l'avverbio rafforzativo, anche in contesti in cui è totalmente inutile. Glielo hanno fatto notare ieri nel corso di Quelli che il calcio. In una sola serata è riuscita a raggiungere vertici da record; e anche ieri non si è risparmiata e ha chiuso la trasmissione, passando la linea a Enrico Varriale, con un «assolutamente sì».[5]
  • «Boris» (è il nome di un pesciolino rosso portafortuna) si offre come un inesorabile ma buffonesco atto d'accusa contro la cialtroneria di molta serialità italiana. Per questo piace molto a chi odia «I soliti idioti», al sereno dandinismo, molto diffuso sui giornali (la versione trendy del luogocomunismo): è rassicurante, ribadisce il primato e il disprezzo degli intelligenti sui buzzurri, è un atto di diffida nei confronti dei furbastri. Tutto bene, tutto giusto. Salvo che una lettura così — così ideologica — è riduttiva nei confronti della stessa serie. Ai dandinisti basterebbe dire: ma l'avete visto «30 Rock» di Tina Fey, che affronta lo stesso argomento ma con ben altra complessità metaforica e linguistica? Paradossalmente, per apprezzare «Boris», bisogna partire dal fatto che anche «Boris» è figlio di quella tv italiana che vive di budget risicati, di approssimazioni, di balle, di facilonerie, di romanità folkloriche, di indotto Rai. «Boris» è irresistibile proprio quando si aggrappa alla sua cattiva stella.[6]
  • «Boris» è una fiction tutta italiana che prova a riflettere su un diffuso stato d'animo della fiction italiana: il cinismo. Ridendo e scherzando, si mettono così a nudo i non pochi difetti della serialità italiana: la tolleranza estetica, l'arte di arrangiarsi, la scarsa professionalità, ecc. Questo il suo merito maggiore. Che non è poco, anzi. Troppo spesso, però, ha preferito indulgere alla caricatura, alla canzonatura, rinunciando alla battuta sferzante, al graffio, al fremito nervoso. Come poi ha dimostrato la versione cinematografica.[7]
  • [Sulla sospensione di Michele Santoro] [...] Santoro è di nuovo martire. Che poi è la sua condizione ideale di lavoro, il terreno su cui si muove meglio, il clima che lo tonifica e mette in secondo piano la qualità del suo lavoro.[8]
  • [Sulla sospensione di Michele Santoro] Come Masi mostra il cartellino (provvedimento autopunitivo per la Rai, con un vago sospetto di vendetta personale), la polemica s'infiamma, si grida alla censura, scatta la solidarietà del popolo santoriano, due vasi di coccio come Paolo Garimberti e Paolo Ruffini alzano la voce per dire che così si danneggia il pluralismo. Santoro non chiede di meglio. Provoca per essere martirizzato. Sfida l'autorità per essere mandato al supplizio. Vive per trasformare il patimento in sacrificio.[8]
  • [...] «Boris» viene sempre additato come un esempio di tv intelligente, di satira riuscita, di atto d'accusa contro la tv. La sensazione che si prova ora è infatti quella di recensire un film che passa in seconda visione, secondo i canoni distributivi di una volta.[6]
  • Breve la vita del cantautore solitario e tormentato (morto in un incidente d' auto), ma intensa per la creatività delle sue composizioni tra paradosso e sarcasmo: artista esuberante e satirico, dotato di una vena musicale trascinante, Rino Gaetano ha interpretato un ruolo, arguto e irriverente, poco frequente nel panorama della canzone italiana.[9]
  • [Su Federico Buffa racconta Storie Mondiali] Buffa è un formidabile storyteller, una narratore di storie che si diramano per mille rivoli. O meglio, i racconti di Buffa hanno una struttura ad albero: il tronco è il calcio, i rami sono le connessioni che via via prendono corpo attraverso associazioni, link, collegamenti, divagazioni. A differenza di alcuni giornalisti sportivi che in passato amavano esibire il loro sapere di fronte a una platea non particolarmente attrezzata, Buffa sa che cultura è innanzitutto fare bene le cose, coltivare i dettagli (magari con alcuni vecchi Lp).[10]
  • C'è in Parente, nel suo libro [Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler], una violenza compressa, un accanimento con cui chiede alla vita (d'artista) di essere più della vita. Per lui ogni essenza permanente si è dileguata, al pari dell'idea stessa di valore. Il mondo dell'arte è la rappresentazione più bruciante del trascolorare dei valori, delle reputazioni, delle ambizioni.[11]
  • C'era una volta la tv dei ragazzi. E ora, dicono, non c'è più. C'era una volta uno spazio sicuro per i più piccoli. E ora, dicono, quello spazio non esiste più, inghiottito dal flusso indistinto di una tv che affianca il reality al cartone animato. C'era una volta una tv pedagogica che tanto insegnava ai più piccini. E ora, dicono, la tv ha perso questo valore, non insegna più nulla, ricerca solo il maggior numero di spettatori, anche fra i bambini. C'era una volta, dicono. E se invece la tv dei ragazzi esistesse ancora, e fosse migliore, più ricca e attrezzata di quella di ieri? La tv dei ragazzi non è morta. Anzi, è la più grande novità offerta dalla tv digitale. La nostalgia per la tv dei ragazzi spesso è nostalgia per quando eravamo ragazzi: «Zurlì, mago del giovedì», «Chissà chi lo sa?», «Giovanna la nonna del corsaro nero», «Giocagiò», «I ragazzi di padre Tobia», «Il Dirodorlando», «Giramondo», «Scaramacai», «Topo Gigio»... Ma anche, per quel che riguarda gli anni 70 e 80, «Atlas Ufo Robot», «Tandem», «Bim Bum Bam» e poi il prezioso investimento pedagogico dell’ «Albero azzurro», di «Melevisione» e «Trebisonda».[12]
  • [Su Daniele Vimercati] Certe sere mi trovo a cercare affannosamente la sua immagine su Telelombardia. Era davvero un bravo conduttore, più di Vespa e Santoro. Il suo talk show politico Iceberg era diventato uno di quegli appuntamenti che aiutano lo spettatore a capire qualcosa in più.[13]
  • Com'è noto, «Boris» mette in scena il dietro le quinte di un set televisivo alle prese con una serie tv fasulla, il classico telefilm nostrano. Che finge di ispirarsi alla serialità americana ma non fa altro che ingigantire tutti i difetti di quella italiana, a partire dalle condizioni materiali di realizzazione: budget risicati, attori improbabili, piani di lavorazione approssimativi, troupe al limite della professionalità, telefoni cellulari sempre spenti, ecc. Spesso «Boris» additato come un esempio di satira riuscita, di atto d'accusa contro la tv. Star indiscussa del racconto è proprio René Ferretti (Francesco Pannofino), «il Roberto Saviano della fiction», la caricatura del regista cialtrone, figlio di quella tv italiana che vive di budget risicati, di approssimazioni, di balle, di facilonerie, di romanità folkloriche, di indotto Rai.[14]
  • Come ci ha insegnato François Truffaut, Hitchcock è un maestro per generazioni di registi e di spettatori: ogni volta che si vede un suo film è come se lo si vedesse per la prima volta, sempre con il fiato sospeso.[15]
  • Come tutti i veri buoni, il dottor House deve mostrarsi cattivo. Non inducano in errore i modi bruschi. Sotto una dura scorza batte un cuore grande così. Conviene ripeterlo: Dr. House è prima di tutto una grande lezione di diagnostica, un testo da rendere obbligatorio nelle facoltà di medicina.[16]
  • Competenza, modestia, essenzialità. Anna Billò, con quella sua aria di entrare in punta di piedi nelle cose che fa ha dato una svolta a «Champions League Show», il programma sportivo di Sky che segue le partite delle squadre più forti d'Europa.[17]
  • Dal 1º dicembre 1973 al 2 giugno 1974 venne decretato dal governo lo stato di «austerità» per risparmiare energia: le auto non potevano circolare la domenica, cinema e teatri chiudevano alle 23, la Rai doveva cessare le trasmissioni entro le 22.45. Il provvedimento si rivelò del tutto inutile ma fu il perfetto sigillo di un clima sparagnino e provinciale, di una miseria inventiva e culturale.[18]
  • «Derrick ist tot»: l'attore Horst Tappert ha battuto il suo ultimo ciak. Che non è esattamente un addio perché continuerà a sopravvivergli il fantasma dell'ispettore Derrick. È un moderato congedo da un personaggio, l'ispettore Derrick appunto, che non si congederà mai perché, sia nel bene che nel male, appartiene all'eternità televisiva: quasi 300 episodi, 23 anni di onesta militanza schermica, un'infinità di repliche. In video, nulla si crea e nulla si distrugge.[19]
  • Dopo otto stagioni, continue girandole di sentimenti e incroci sentimentali, pazienti in bilico tra la vita e la morte, gesti di generosità e sacrificio, salvataggi e vere carneficine ospedaliere, è ormai evidente che «Grey's Anatomy» rappresenta la perfetta e più compiuta incarnazione del melodramma nella televisione contemporanea: regole «di genere» oliate alla perfezione, con uno spruzzo di modernità che si esprime al meglio nella colonna sonora che oscilla tra il pop e l' indie americano.[20]
  • E giusto per rimpiangere il tempo che fu, spiace che la finale degli Internazionali di Roma di tennis, trasmessa domenica da SkySport, non sia stata commentata da Gianni Clerici e Rino Tommasi, i padri fondatori della moderna telecronaca a due. Le trasmissioni sportive devono molto ai due (i telecronisti di Sky sono tutti figli loro), inopinatamente spariti, e forse Roma avrebbe potuto rappresentare l'occasione per un grazie, per un congedo con l'onore delle armi.[21]
  • [Su Nicoletta Orsomando] È stata l'annunciatrice della RAI per antonomasia, la personificazione della «signorina buonasera». Il volto sereno, il sorriso imperturbabile, la dizione perfetta, l'eleganza discreta hanno conquistato la platea dei telespettatori. Nel corso degli anni ha condotto anche qualche rubrica di intrattenimento e ha partecipato come ospite a numerosi programmi.[22]
  • Ebbene sì, lo ammetto: «Non è la Rai» non mi piaceva, inutile fingere il contrario. […] Allora ero prigioniero di alcuni giudizi e di non pochi pregiudizi. Il programma in sé non era molto diverso dall’intrattenimento facile: cruciverbone, giochini telefonici, canzoni, balletti, discoteca, Enrica Bonaccorti, Paolo Bonolis... Per l’esplosione delle cento adolescenti in costume, acerbe e maliziose, si parlava di lolitismo (pregiudizio), di traviamento (al Corriere arrivavano decine e decine di lettere di genitori disperati e un critico alle prime armi ne era colpito), di strategia berlusconiana per intontire il Paese (altro pregiudizio), di deriva televisiva. Pareva che «Non è la Rai» fosse solo la risposta Fininvest a «I ragazzi del muretto» della Rai o alla «Piscina» di Alba Parietti. Tempi in cui per «L’istruttoria» di Giuliano Ferrara si parlava di Circo Barnum. I metri di paragone erano altri: «Avanzi», «Mai dire gol», per qualcuno anche «Twin Peaks».[23]
  • Falqui e Guido Sacerdote erano stati negli Usa, avevano visto spettacoli nuovi, volevano proporli in Italia. Piccola parentesi: fondamentale è stato il sodalizio con Sacerdote, suo produttore e complice di tante scoperte. Guido era figlio di un ricco farmacista di Alba: per un po' proseguì l'attività paterna, ma poi abbandonò tutto, prima per seguire Remigio Paone e poi per entrare nella Rai di Milano come capo ufficio scritture. Insieme, Antonello e Guido, girarono il mondo alla scoperta di «attrazioni» e inventarono il sabato sera della Rai.[24]
  • Fidel Mbanga Bauna lavora per il Tg3 del Lazio. Nel 2003, fu il primo extraco­munitario nero a presentarsi nelle liste di Alleanza nazionale a Montecitorio. Il quotidiano La Padania diretto da Gigi Moncalvo titolò così: «Faccetta nera en­tra in Parlamento», ricevendo in cam­bio risentite reazioni.[25]
  • Fra tutti i programmi culinari che la tv propone (sono tantissimi, segno che siamo passati dal cibo come nutrimento al cibo come linguaggio), «MasterChef» è il più bello, il più attraente, il più vivace. La specialità della casa è la severità: finalmente qualcuno che ha il coraggio di essere rigoroso, esigente, inflessibile, come il magistrale Anton Ego, il critico enogastronomico di Ratatouille. I poveri di spirito confondono la severità con la cattiveria e così s'imbrogliano, preparano piatti di rara modestia, senza un briciolo di fantasia e di competenza.[26]
  • Gianfranco Funari è stato l'ultimo romantico della televisione, convinto fino all'ultimo di poter cambiare il mondo apparendo. Nonostante le disillusioni, nonostante l'emarginazione. Funari ha sempre amato una televisione esagerata, gridata, popolare, persino al di sopra delle sue possibilità; ma questo era l'aspetto più affascinante, la sfida avventurosa ed eroica, l'azzardo impresso al suo modo di fare televisione. Per anni Funari è stato un parafulmine: quando si parlava di televisione spazzatura, dell'incagliarsi del video il riferimento era d'obbligo.[27]
  • «Gomorra. La serie» è una corsa spettrale, livida, notturna, che spaventa e seduce, come fosse il racconto di una civiltà esausta, senza redenzione.[28]
  • Gotham [...] tiene Batman fuori dallo schermo e dagli eventi narrati, per concentrarsi su quanto è avvenuto prima, sulle origini del mito. L'idea del prequel però da sola non basta: se le scene e la fotografia sono molto curate, la scrittura e la recitazione non sono sempre all'altezza. E i richiamo costanti alla mitologia di Batman – si affacciano sullo schermo, ancora giovani o bambini, molti dei suoi futuri nemici: il Pinguino, l'Enigmista, Catwoman – sono forse l'indice più evidente di una narrazione che non trova appieno una sua originalità, ma è costretta a lanciare continue strizzate d'occhio ai fan per risultare interessante.[29]
  • «Grey's Anatomy» è indubbiamente un prodotto «di genere», come lo è stato «E.R.», ma è anche una macchina narrativa che sembra non mostrare segni di usura e sa abbinare, molto più di altri telefilm, perfetta padronanza di racconto e capacità di rivolgersi a un pubblico ampio e popolare.[20]
  • [Su Romanzo criminale - La serie] Ho guardato la prima puntata pieno di pregiudizi. Giunto infine alla dodicesima, devo ammettere invece che ci troviamo di fronte a uno degli esiti più riusciti della fiction italiana. La livida saga del Libanese, del Dandi, del Freddo, di Patrizia ha trovato una scrittura che finalmente esce dai canoni dell'agiografia all'italiana.[30]
  • [Sul Festival di Sanremo 2022] Ho la sensazione che Sanremo stia sempre più diventando un gioco di socialità, invece che un gioco di società. Mi spiego: molti lo guardano per poterne parlare sui social. [...] Ecco: il coinvolgimento di Internet è un elemento che ha fatto aumentare gli ascolti che potevano crescere solo ringiovanendo il pubblico, visto che le altre fasce di età rimangono stabili e fidelizzate da diversi anni. [...] probabilmente le persone hanno la sensazione che la pandemia stia finendo e hanno voglia di divertirsi, di rincorrere l'allegria.[31]
  • I segreti di Twin Peaks ha segnato un'epoca. Non solo televisiva. Ha simboleggiato l'inquietudine degli anni Novanta, cui ha offerto persino una colonna sonora, scritta da Angelo Badalamenti.[32]
  • Il cinismo è la crudeltà dei delusi: non possono perdonare alla vita di aver ingannato le loro certezze.[33]
  • [Su How I Met Your Mother] Il costante lavoro sui dialoghi, sulla narrazione e sulle sue forme regala risate a più livelli e si aggiunge all'impeccabile recitazione degli attori (solo in parte limitata dal doppiaggio) e agli scontri tra le differenti visioni del mondo dei personaggi: dal protagonista Ted, architetto sognatore e romantico, a Robin, aspirante giornalista di origini canadesi, e alla «coppia perfetta» formata da Lily, insegnante d'asilo meno fragile di quanto sembri, e Marshall, avvocato e ragazzone un po' ingenuo. Mentre il vero «mattatore» resta Barney (un ottimo Neil Patrick Harris), sciupafemmine impunito.[34]
  • Il fascino di questa seconda serie sembra non consistere più nell'esplosione della violenza, nel racconto dei reati commessi dalla banda della Magliana; appare invece il desiderio di cogliere il «retroscena» del crimine, rivelare tutto ciò che è profondo, sempre sospeso tra la meschinità (il Freddo, il Dandi, Bufalo, Scrocchiazeppi si comportano da bulli di periferia) e la tragicità, tra lo squallore di una bar e le «mani sulla città».[35]
  • Il mondo dello spettacolo dovrebbe farle un monumento, per tutta la strepitosa intelligenza, l'ironia acuminata, la grande sapienza che la Valeri ha sempre profuso: una voce salutare, grazie anche alla sua prosa amara, appena mascherata da un sorriso d'intesa.[36]
  • Il Palio è forse la competizione più antitelevisiva che esista; per questo ha resistito per anni e conserva immutato il suo fascino. La gara in sé dura poco più di un minuto; è un minuto di fuoco dove i fantini si menano con il nerbo di bue, vengono disarcionati, rischiano di finire travolti dai cavalli. Il resto è un mistero che appartiene solo ai senesi. La Tv non può dare conto delle trattative segrete, delle congiure, della disinvoltura dei tradimenti, delle cerimonie criptiche che accompagnano la manifestazione. Non può dare un volto allo spirito feroce dei contradaioli. È solo sventolio di bandiere, folklore in costume, 50 minuti di snervante attesa nei preamboli dello stallo per un evento che si consuma in un baleno.[37]
  • Il Palio è un rito che si ripete da secoli, sempre uguale, sempre liturgicamente rispettoso della tradizione ed anche degli intrighi sottobanco. Non è facile tradurlo in video: di veramente televisivo c'è la corsa, che dura poco più d'un minuto. Il resto è contorno, preparazione, lento caricamento della molla.[38]
  • Il problema della Cuccarini è che non è una cinicona come Maria De Filippi né una casinista come Simona Ventura. Lei ci crede veramente al ballo, all' impegno, al talento. A volte rischia di farsi coinvolgere emotivamente dalle storie che i ragazzi raccontano, fin troppo.[39]
  • [Su Pif] Il suo è un giornalismo d'inchiesta innovativo che ha molta presa sul pubblico più giovane: quella di Pif si potrebbe definire un'antropologia light.[40]
  • «Il testimone» di Pif è un compendio di osservazioni psicologiche più che sociologiche, sia che si parli di arte contemporanea o dell'oscuro cantante Fabio Roma. Da lui non bisogna pretendere discorsi sistematici, ma piccole osservazioni, graffi, discontinuità, una sorta di antropologia dell'inafferrabile e dell'incompiuto.[41]
  • In Campania è finita l'era Bassolino, nonostante «Un posto al sole». Negli anni, la soap di Raitre ha disegnato una Napoli che non c'è, una Napoli molto bassoliniana, una Napoli da portineria dove però non è mai esistito il problema spazzatura (tanto che si è dovuto provvedere altrimenti).[42]
  • [...] In «Covert Affairs» lo spionaggio subisce un processo di «soapizzazione», il punto di vista della protagonista femminile tinge tutto di rosa e anche il racconto dei retroscena del funzionamento della macchina dell'intelligence vira presto verso la descrizione degli intrecci di coppia tra gli agenti segreti, a partire da quelli di cui è protagonista il direttore dell'agenzia Arthur Campbell (Peter Gallagher), che ha tutta l'aria di essere più esperto in armi di seduzione che in armi convenzionali.[43]
  • In Italia, per ragioni economiche, il talent diventa una sorta di lungo reality, con serate interminabili, liti continue, giudici che rubano spazio ai concorrenti. [...] Il talent italiano crea ascolto ma non scrittura.[44]
  • In molti considerano la Roubaix come l'ultima follia del ciclismo moderno, con quel gruppo di amatori che ogni anno ripristina i tratti di pavé, copre le buche con aguzzi cubi di pietra, pulisce stradine buone sole per i carriaggi. La Parigi-Roubaix è l'enfer du Nord, è meravigliosa insensatezza, è leggenda.[45]
  • In Pif c'è un po' dello spirito buonista, dell'atteggiamento ex equo solidale di Mtv, ma la sua indagine sulle malattie mentali è curiosa, piacevole, intelligente. Pif ribadisce un concetto fondamentale: nel racconto l'importante è il punto di vista e ogni punto di vista rappresenta anche una scelta morale.[46]
  • In tv ormai la lingua italiana è un optional, la sintassi un mistero oscuro.[42]
  • [Su Daniela Santanchè] Indomita groupie.[47]
  • L'aspetto più piacevole di «MasterChef» è proprio il suo andamento narrativo: il programma si struttura come un racconto, non sempre a lieto fine. Non possono adesso mancare i giudizi sui tre chef (pan per focaccia), ma solo da un punto di vista mediologico. Barbieri è falsamente paterno e discretamente noioso; l'ombroso Cracco vorrebbe essere il nostro Gordon Ramsay ma non ne ha né il carisma né l'antipatia, è prigioniero della sua caricatura; Bastianich è il meno stellato dei tre, ma alla fine risulta il più simpatico e il più televisivo.[26]
  • [Su Scrubs - Medici ai primi ferri] L'idea di fondo è di situare la storia su piani diversi, non importa se pubblici o privati, se realistici o puramente immaginari. L'importante è che le sequenze siano montate seguendo una partitura musicale e che a ogni momento di sentenziosità clinica o di drammaticità ne corrisponda uno di decostruzione retorica e satirica. [...] quando i medici vengono a contatto coi pazienti o con gli infermieri scaturiscono scintille, reazioni improprie e incontrollate, errori, sarcasmi e diagnosi da brivido.[48]
  • L'intuizione di Casaleggio padre è stata proprio quella di mettere in connessione sulla Rete persone «inattive e frustrate», dando loro il movimento che gli mancava, il M5S. Adesso però finiscono per essere troppo attivi.[49]
  • La comicità vera di "Cascina Vianello" nasce proprio dall'impatto fantasioso con il nuovo ambiente in cui i due si sono trasferiti per ritrovare la pace.[50]
  • La disputa più avvincente era questa: la famosa coppia Arbore-Boncompagni non lavorava più insieme e in molti credevamo (critici ben più titolati di me) che la «tv intelligente» fosse prerogativa del primo e il suo contrario del secondo (senza capire che quella spudoratezza stilistica stava cambiando la tv, nel suo profondo). E poi i giornali erano pieni della cerimonia che ogni giorno si ripeteva davanti agli studi della Safa Palatino, a Roma. Centinaia di ragazze che aspiravano a far parte del cast, madri agguerrite che cercavano di imporle o di trascinarle via, interventi di psicologi e sociologi, il Telefono Azzurro bollente. Difficile non tenerne conto.[23]
  • La domanda che spesso mi faccio è questa: ma dopo la strepitosa parodia di Maurizio Crozza – «Kazzenger, il programma dove la scienza è a suo agio come un pupazzo di neve in un altoforno» – Roberto Giacobbo riesce ancora ad andare in onda? Riesce ancora a prendersi sul serio? Come fa a restare impassibile quando racconta di un militare risucchiato da una turbina d'aero e rimasto incredibilmente illeso? Ci dev'essere stato un tempo in cui la parodia annientava la propria «vittima», adesso il ridicolo attacca tutto e non distrugge niente. [...] La disseminazione dei contenuti tv su molte piattaforme non fa altro che amplificare questa corrente vorticosa che scalza dal suo appoggio ogni personaggio, ogni argomento, e lo trascina in un vortice dove la beffa è anche celebrazione. Se il compito della parodia è quello di rovesciare i termini, rendere cioè sbilenco il dritto, slabbrato il compatto, banale il grave, con la tv nulla è più ciò che dichiara di apparire. «Voyager» è la riprova che lo sberleffo di Crozza serve anche a rendere dritto lo sbilenco, compatto lo slabbrato e, soprattutto, grave il banale.[51]
  • «La pupa e il secchione» è il trionfo della rassegnazione: salvo i concorrenti, sono tutti rassegnati. Anche noi. Rassegnati a Papi, rassegnati a Paola Barale, rassegnati a questa tv.[33]
  • [...] la serie [di Gomorra] ha questo di sconvolgente: l'inchiesta di Roberto Saviano raccontava il male generato dalla criminalità organizzata; qui, invece, il male perde i contorni rassicuranti dell'estraneo e ne acquista di più familiari, quelli che ci appartengono. Tutto ciò è merito della scrittura capace di trasformare le vele di Scampia in una lunga veglia nelle tenebre, in un'intollerabile monotonia del male.[28]
  • [Su White Collar] La serie è divertente, ben costruita anche se a volte lo stile meriterebbe di essere ingravidato da contenuti un po' più sostanziosi.[52]
  • La serie [di Romanzo criminale] parte dall'uccisione di Giorgiana Masi, freddata da un colpo di pistola a Ponte Garibaldi per ricostruire le avventure della banda della Magliana, in un intreccio oscuro fra servizi segreti e criminali comuni, fra l'immaginario spaesato di Rino Gaetano e quello ben più radicato di Franco Califano.[53]
  • [Su NCIS - Unità anticrimine] La serie ha questo di singolare: non raggiunge mai vette eccelse di scrittura anche se lo standard professionale rimane alto; a differenza di «Jag» mescola un po' i generi (i morti parlano come proiezione dei vivi) e al dramma si unisce una buona dose di umorismo, per raccontare le dinamiche spesso complesse di una squadra investigativa costretta a operare in condizioni di stress (nei rapporti interpersonali, tuttavia, si notano alcuni cedimenti); i temi trattati sono sempre molto interessanti. Tocca infatti alla serialità introdurre nell'immaginario popolare argomenti che forse in passato sono stati sottovalutati.[54]
  • [Su MacGyver] La serie, una delle poche che rilegge con ironia il genere degli «eroi senza paura», ha ottenuto un buon successo anche in Italia, dove è stata trasmessa sulle reti Fininvest.[55]
  • La televisione ha assunto il pollaio come modello di civiltà.[56]
  • La tv premia, indifferentemente, chi la venera come chi la irride. Basta saperla servire.[57]
  • Lo spettacolo sportivo si dimostra ancora una sede particolarmente adatta per inscenare i drammi formali che assillano i sogni di una comunità, perché ogni singola gara rappresenta un paradigma, più o meno riuscito, che serve a regolare e conciliare le molte contraddizioni che attraversano la società in cui viviamo. Succede però che ora, specie con la Tv, lo sport rimanga sovente vittima della sua stessa messa in scena, del suo simulacro.[58]
  • Lo sviluppo delle telecomunicazioni ha creato un mondo mediato e iperconnesso e ha costretto noi che lo abitiamo a fare i conti con confini non più locali, ma globali, cambiando anche le regole con cui definiamo il nostro senso di appartenenza a una comunità. Per ora, questa appartenenza si manifesta specialmente attraverso la sofferenza e l'orrore. Una sterminata comunità mediale tenuta insieme dallo spavento.[59]
  • Luttazzi è il più colto e caustico fra i nostri comici. L'unico in grado di conciliare l'epica satirica e la visionarietà.[60]
  • «Masterchef» conferma che il famigerato genere del reality sta attraversando una trasformazione interessante, vista all'opera anche con «Pechino Express»: si sperimenta oltre la diretta, oltre il televoto. Il raffinato lavoro di montaggio alla base di questi nuovi esempi permette di raccontare i concorrenti e le loro vicende in modo meno «grezzo», più pensato e interessante, dispiegando lungo le puntate una narrazione seriale anche complessa.[61]
  • [Riferito al film L'attimo fuggente] Molto riconoscibile la voce del professor John Keating, ovvero di Robin Williams che, citando Walt Whitman, insegna ai ragazzi molto più che delle nozioni: insegna ad apprezzare la vita, la bellezza, la poesia.[62]
  • Negli ultimi 30 anni la tv generali­sta ha «inventato» tre grandi generi: il talk show, il reality, il talent show: intimamente legati tra loro, sia pure con caratteristiche differenti. Il talk è servito soprattutto per da­re voce a chi aveva difficoltà ad appa­rire in tv e a traghettare la famosa «gente» da un ruolo passivo a uno più attivo; il reality è il post-moderno di massa, l'assoluta indistinzione tra tv e realtà, «tra realtà bruta e realtà formatizzata» (Walter Siti); da una co­stola del reality è nato il talent, che pa­radossalmente ha il compito di ripor­tare la professionalità in tv, dopo an­ni in cui sono salite alla ribalta molte persone «senza mestiere», al più fe­nomeni da baraccone. Il talent show, la cui forma iniziale risalirebbe alle gare nei college, ha avuto la sua consacrazione al cinema con Fame (Saranno famosi, 1980), storia di alcuni studenti della High School of Performing Art di New York che, a sua volta, ha dato origine alla omonima serie tv (1982), la vera matrice di tutti i format del genere: American Idol, Pop Idol, The X Factor, Popostars, Operación Triun­fo, Amici, X Factor, Ti lascio una can­zone, ecc.[44]
  • Nel programma «Il testimone», giunto intanto alla quarta stagione, Pif ha sempre intervistato illustri sconosciuti, gli piaceva fare l'antropologo dei non famosi, il curioso dello sconosciuto.[63]
  • Nella paleo-TV (anni '50 e '60), le rubriche librarie hanno un atteggiamento pedagogizzante verso il pubblico, tipico di tutta la televisione di quegli anni. [...] Nasce la figura del divulgatore di libri e assume le sembianze di Luigi Silori, ex assistente di Ungaretti, docente di letteratura italiana contemporanea nell'ateneo genovese, come tiene a precisare il Radiocorriere: «Viene dalle fila della cultura universitaria, ma non ritiene illegittima questa partecipazione della letteratura alla vita, questa riscoperta comunicazione tra l'uomo e il suo libro». Le trasmissioni di Silori sono delle sfilate, delle passerelle di uomini e libri; è anche l'unico conduttore di trasmissioni sui libri cui sia concesso il privilegio di frequentare il palinsesto serale.[64]
  • No, Pio e Amedeo con i loro pargoli ad ascoltare Elisa che canta «A modo tuo»! Ma come, i campioni del politicamente scorretto, i due scrocconi impuniti, i portatori insani di villania hanno un cuore e si commuovono stringendo a sé l'immagine dell'innocenza! Chi si aspettava una «Felicissima sera. All inclusive» (Canale 5) all'insegna della maleducazione (meglio, della recita della maleducazione), sarà rimasto deluso. Ma uscire dai propri cliché, sorprendere, indossare vestiti nuovi è segno di maturità. Forse la prima edizione dello show aveva deluso proprio per il contrasto fra un tipo di comicità che ha bisogno della strada e del montaggio e il varietà classico. Questa volta, Pio e Amedeo sembrano aver trovato la giusta misura, passando dallo sberleffo light (l'ossessione per l'inclusività, la presa in giro del «Pensati libera» di Chiara Ferragni a Sanremo) al'’intervista divertente con Silvia Toffanin, cercando di tirare dentro in ogni modo il convitato di pietra, Piersilvio Berlusconi.[65]
  • Non capisco come Gerry Scotti, dopo aver accettato (immagino non per beneficenza) di condurre tre o quattro programmi, di dirigere una radio, di fare il testimonial per più ditte, possa lamentarsi di essere sfruttato da Mediaset. Ha persino confessato di essere ricorso alle vie legali per mettere un freno a questa sovraesposizione. Naturalmente la confessione è avvenuta durante la presentazione alla stampa di un suo nuovo programma, «Paperissima».[66]
  • Non capisco come Paolo Bonolis, quello di «Ciao Darwin» e di «Chi ha incastrato Peter Pan?», possa andare in un'università a dire che certa tv ha contribuito a corrompere il nostro Paese. Lui dov'era? Ma, ancora di più, non capisco come il pubblico degli studenti – un incontro promosso da Sinistra universitaria alla Statale di Milano – scenda in piazza a protestare contro la Gelmini e, intanto, si beva gli alibi di Bonolis.[66]
  • «Non è la Rai» è stata una trasmissione che ha rappresentato uno spartiacque: nel modo di fare televisione, nel modo di vederla, nel modo di rappresentare la spensieratezza. Ma è stata anche la trasmissione con cui una generazione di ragazze e ragazzi ha chiuso il suo rapporto con il mezzo. Per questo, a rivederla, conserva i caratteri di una grande festa e insieme di un lungo addio. Internet avrebbe spento ogni desiderio di rispecchiarsi in quel totem domestico così "arcaico". In apparenza, sembrava un programma senza copione, senza regia (come poi sarebbe stata tanta televisione a venire), in realtà Gianni Boncompagni è stato uno dei primi registi a capire che la televisione bastava a sé stessa, che era in atto un processo di disintermediazione, che Ambra sarebbe stata più interessante di Enrica Bonaccorti o di Paolo Bonolis. Bastava crearle le condizioni di esprimersi direttamente ai suoi coetanei.[23]
  • Per tutti gli anni '60 e '70, Cronkite ha incarnato l'esempio di giornalismo anglosassone: controllare il potere stando dalla parte della gente, acquisire grande credibilità, ascoltare sempre più campane, separare i fatti dalle opinioni ma in una versione nuova, televisiva. L'anchorman è la guida dello spettatore nella selva delle notizie, è il suo punto di riferimento, la sua luce nella notte. Di più: Cronkite era l'informazione televisiva; grazie a lui il mezzo, in quanto a stima, ha fatto passi da gigante.[67]
  • Pif è l'unico intervistatore che quando fa le domande ride di gusto. Tanto che un intervistato, un simpatico disagiato mentale, gli dice: «Tu potresti essere uno dei nostri». Pif è l'unico intervistatore che fa le domande e le accompagna con i sottotitoli, per paura che lo spettatore non capisca. Pif è l'unico intervistatore che al termine della sua inchiesta ammette candidamente: «Quel che ho capito è che c'è molto da capire». [46]
  • Pif ha una tecnica di corteggiamento del tutto particolare: non è un pedinatore, non è un vendicatore, non è un comico prestato al sociale. Per ribaltare ai nostri occhi il mondo che descrive, si fa prima complice, mette in mostra la propria finta sprovvedutezza, affila le armi senza mai mostrarle.[41]
  • Pippo è Sanremo, Sanremo è Pippo. Nessuno come lui sa interpretare lo spirito del Festival, scegliere le canzoni adatte al Festival, rappresentare il pubblico che segue il Festival.[68]
  • Prendendo a pretesto la vita degli altri, Pif racconta se stesso: mette in gioco la sua persona, la sua psicologia, la sua indole. Spontaneamente o artificiosamente non è dato sapere, ma poco importa.[63]
  • [Su Mario Capanna] Quando le rivoluzioni finiscono lasciano dietro solo una schiera di reduci e di burocrati. Noi abbiamo avuto una specie di rivoluzione, il mitizzato ‘68, che si è lasciata alle spalle un impiegato fedele. Di più: un parastatale della rivolta, un ufficiale di scrittura di quegli anni «formidabili». Ogni volta che interviene dimostra che la sorte di chi si è ribellato troppo è la sottomissione a un’idea fissa.[69]
  • Quando si dice avere nerbo: Aldo Busi è stato radiato da tutte le trasmissioni Rai. La decisione è stata presa da Viale Mazzini dopo le escandescenze dello scrittore nella puntata di mercoledì sera: «Il direttore di Raidue, Massimo Liofredi, sentito il direttore generale della Rai Mauro Masi, ha ravvisato nel comportamento dello stesso palesi e gravi violazioni delle regole e delle disposizioni contrattuali». Busi non metterà più piede in Rai (gli restano sempre gli studi Mediaset). […]«Una clausola mi imponeva di non parlare in modo offensivo di politica e di religione. Ho preteso che venisse tolta. Altrimenti cosa dovrei dire tutto il giorno? Cip-cip?»[70]
  • Questa nostra società variamente descritta, e giustificata, come postmoderna, neobarocca, «copia e incolla», virtuale, vive sostanzialmente sulla citazione. Buona parte della cultura pop, dai libri alle canzoni, è tutta un blob. La citazione è insieme lo strumento e la nota dominante della società della sostituzione: in un'epoca dove tutto è già stato detto e visto non ci resta che procedere nella combinazione di nuove figure, assemblando spezzoni di frasi e sequenze. Trasformando la citazione in stornamento. Uno degli aspetti più seducenti della moderna storia delle idee è la loro perenne mobilità, la loro incessante trasformazione. Temi, figure, pulsioni migrano da un territorio all'altro cambiando, nel passaggio, se stessi e lo scenario che li accoglie.[71]
  • [Su Neon Genesis Evangelion] Questo anime del 1995 sembra a prima vista simile a mille altre serie giapponesi. In realtà, l’ideatore e regista Hideaki Anno lavora sui cliché del genere robotico, caricandoli di nuovi e complessi significati. L’impatto è tale che in Giappone si citano a proposito dell’anime Freud e Kierkegaard e per la prima volta l’animazione televisiva è considerata una forma d’arte. La serie coglie nel segno realizzando un approfondito ritratto della giovane generazione nipponica: i ragazzi giapponesi si riconoscono in Shinji, Rei e Asuka, nel loro trascinarsi senza uno scopo, nella loro paura di crescere, nella loro disperata ricerca di approvazione. Di episodio in episodio l’atmosfera si fa sempre più cupa e angosciosa, grazie anche alla splendida regia di Anno, mentre parallelamente ai dilemmi esistenziali dei personaggi si dipana una trama complessa, che riguarda lo stesso futuro del genere umano, con riferimenti alla Bibbia e alla Cabala ebraica. I pericoli della scienza, utilizzata dall’uomo per perfezionare sé stesso, erano già stati affrontati ne Il mistero della pietra azzurra dallo studio Gainax, fondato da Anno e da altri animatori nel 1984. Negli ultimi due episodi di Evangelion, Anno si concentra sul percorso interiore di Shinji, uscito dal suo guscio e pronto ad affrontare il mondo e gli altri. Questo atipico finale ha lasciato perplessi i fan giapponesi, tanto che Anno ha realizzato un altro finale in due film per il grande schermo ancora inediti in Italia. La difficile età dell’adolescenza, affrontata in materia meno drammatica ma non per questo meno approfondita, è al centro anche di un altro anime targato Gainax-Anno, Le situazioni di Lui & Lei, trasmesso sempre da MTV.[72]
  • Sembra quasi un paradosso ma spesso si fa fatica a trovare un romanzo moderno o un film che sia più interessante di un buon telefilm. C'è in giro, ad esempio, un'opera che rappresenti un viaggio metafisico fra i segreti del Male più avvincente di Twin Peaks?[73]
  • Sembrerà paradossale, ma la cucina è solo un pretesto: la vera forza di «Masterchef» è nella sua attenta costruzione, nella meticolosa miscela di tutti gli «ingredienti» narrativi. Le storie di un gruppo di personaggi, che da perfetti sconosciuti diventano persone per cui (e con cui) soffriamo, aspettando il verdetto delle prove. La perizia del montaggio, che miscela la frenesia delle gare con le riflessioni dei «confessionali», e ci fa dimenticare che, a differenza di altri talent, qui tutto si è già compiuto e non possiamo intervenire.[74]
  • «Signore e signori, buonasera...». Per non farsi mancare nulla, la Rai ha ri­tenuto che il suo primo annunciatore maschile dovesse anche essere di colo­re: un segno dei tempi, come si dice, sia in senso semiologico che in quello so­ciologico. Ma che fatica: per diventare «signorino buonasera», Livio Beshir si è laureato con lode in Scienze della Co­municazione, è diventato giornalista pubblicista, ha vinto una borsa di Stu­dio Erasmus alla Facoltà di Scienze So­ciali della Sorbonne di Parigi, ha studia­to tecniche recitative al Living Theatre e conta al suo attivo esperienze di lavoro nel teatro, nella tv, nel cinema e nella pubblicità.[25]
  • [Su Sant'Antonio di Padova] Sospeso tra la citazione pasoliniana (l'imbarazzante invenzione di Giulietto) e una più naturale propensione alla raffigurazione zeffirelliana, il lavoro di Marino ci restituisce [...] un santo incerto e legnoso, intellettuale e miracolistico, ossessionato dal peccato di vanagloria e stretto nell'umiltà francescana.[75]
  • Sul Mortirolo (quota 1854) è nato il mito di Marco Pantani, quando il 5 giugno 1994 salutò tutti e andò in fuga nell'ultima parte della salita, passando in vetta con 10 minuti su Nelson Rodriguez, primo degli inseguitori.[76]
  • [Sulla cazzimma] [...] termine napoletano che sta a significare un atto di sottile perfidia nei confronti del prossimo.[77]
  • Visto in Tv, il Palio di Siena è solo il palio dell'assurdo.[78]
  • Wikipedia fonda il suo sogno su un altro sogno: il senso di responsabilità di una comunità scientifica. E ai sogni, ogni tanto, bisogna crederci.[79]
  • [Su Cascina Vianello] Sandra e Raimondo hanno la grazia di un vino novello: leggeri, moderatamente effervescenti si lasciano sempre "bere". E siccome il vitigno da cui provengono è nobile, riescono a trasformare una trama esile e vaga (di Avellino, Consarino e Continenza) in una occasione di sincero divertimento.[50]

I Ricchi e Poveri, l'esilio di Marina e i confronti con gli Abba

corriere.it, 24 febbraio 2021.

  • È una vita che mi chiedo: come mai i Ricchi e Poveri non sono gli Abba? Perché non è stato fatto un musical su di loro? Perché non un film? Le loro canzoni non potevano diventare una storia d'amore da far impallidire «Mamma mia!»?
  • Martedì sera, i Ricchi e Poveri erano protagonisti di «A grande richiesta», uno dei programmi più privi d'idee che la storia di Rai 1 ricordi. Non importa. L'importante è che ci fosse anche Marina Occhiena e che lei e Angela Brambati siano tornate le amiche geniali di un tempo. Adesso, i più tignosi stanno a fare le pulci su come le canzoni sono reinterpretate dopo il ritorno dell'esiliata (un esilio durato una quarantina d'anni) ma sono minuzie.
  • A Carlo Conti hanno raccontato le solite cose: come li ha scoperti Franco Califano che offriva loro le cene («Ah, ma allora siete ricchi di spirito, ma poveri di tasca»; di lì il nome Ricchi e Poveri); le esperienze teatrali con Garinei e Giovannini (che, evidentemente non hanno creduto in loro, altrimenti ciao Abba); un musical, «Sarà perché ti amo», fatto da altri e presto abortito; gli Abba che si sono ispirati a loro: «Hanno studiato le nostra canzone e le nostre armonie come noi abbiamo fatto con i Mamas & Papas. Quindi non ci hanno copiato, ma cerano delle idee musicali, il modo di armonizzare, era abbastanza simile». Sì, ma perché dagli Abba è venuto fuori un film come «Mamma mia!» e dai Ricchi e Poveri solo la partecipazione a un film di Giulio Paradisi, «Terzo Canale. Avventura a Montecarlo»?

Il solo posto dove il dionisiaco si sposa con l'apollineo

Corriere della Sera, 19 settembre 2022.

  • Un po' sono geloso che tutti abbiano scoperto le Langhe. Io non ho scoperto un bel nulla perché ci sono nato, ma i miei genitori, nel dopoguerra, sono dovuti scappare perché allora era miseria nera. Sui cartelli stradali che cadenzavano i paesi, lungo la sinuosa provinciale che da Montezemolo porta ad Alba, appariva la scritta «zona depressa». C'era povertà, c'era malora, c'era necessità di abbandonare quei posti; prima della guerra, molti erano andati a cercar fortuna in Francia, in America; dopo la guerra, molti avevano venduto quel poco che avevano per andare a trovare un lavoro altrove, specie in Liguria: diventarono panettieri, osti, macellai.
  • Mai avrei pensato che le Langhe diventassero così famose. Ci sono giorni in cui, per andare a casa mia, bisogna rallentare a Barolo perché ci sono così tante macchine che si fa fatica a passare. È arrivata anche l'Unesco a dare la sua benedizione: «Un esempio eccezionale di paesaggio culturale inteso come prodotto nel tempo dell'interazione tra uomo e natura, plasmato dalla continuità di una tradizione antica finalizzata a una produzione vinicola di eccellenza». La prosa è un po' burocratica, ma fa niente.
  • Un tempo (anni 80-90) si diceva che le Langhe fossero state salvate dagli svizzeri, visto che intere comunità di svizzeri tedeschi avevano comprato cascine abbandonate, impiantato vigne, costruito scuola dove spiegavano come sfrondare gli alberi, innestare un ciliegio selvatico, curare l'orto. Adesso sono arrivati gli americani, quelli ricchi, e hanno cominciato a comprare aziende storiche, produttrici di alcuni tra i più quotati cru di Barolo. Ma io sono eternamente grato a chi nel tempo ha salvato il «Tesoro delle Langhe», quel misterioso complesso intreccio di enogastronomia e letteratura (il solo posto in Italia dove il dionisiaco si sposa all'apollineo, secondo la grande lezione del filosofo piemontese Giorgio Colli). Senza mettere in gioco la complessità, non si spiegherebbero certi personaggi (Luigi Einaudi), certi vini (dal Dogliani al Barolo), certi libri (soprattutto quelli di Beppe Fenoglio), certe imprese (Slow Food).

Storia della televisione italiana[modifica]

Incipit[modifica]

Questo libro nasce da un desiderio: restituire alla televisione italiana la sua dignità di apparato simbolico. La maggior parte degli scritti finora dedicati alla televisione ha quasi sempre privilegiato gli aspetti politici, economici, strutturali: serrate analisi sul potere politico, stringenti interrogatori sui «modi di produzione», minuziosi atti d'accusa sul ruolo della programmazione. Tutti interessanti, documentati, bene argomentati ma prigionieri di una dimenticanza: i programmi.

Citazioni[modifica]

  • Filiberto Guala, il cui compito principale era quello di aprire la porta della televisione alla Democrazia Cristiana e, detto meno brutalmente, alla tradizione culturale del cattolicesimo. (p. 17)
  • [Su Filiberto Guala, amministatore delegato della Rai dal 1954 al 1956] Due le impronte principali da lui lasciate: lo svecchiamento dell'azienda ancora molto torinese (con dirigenti Eiar e austeri signori liberali che si volevano occupare solo di prosa) e il reclutamento dei nuovi funzionari attraverso un celebre corso di addestramento. (p. 85)
  • Nel 1960 Guala, dopo aver annunciato ai familiari che si concedeva una vacanza, entrò come novizio nel monastero trappista delle Frattocchie, alle porte di Roma. (p.85)
  • [Su Silvio Noto] Entra a far parte della Compagnia della Rivista della Rai e poco dopo diventa uno dei più popolari divi dei primi ruggenti anni televisivi: Primo applauso, Album di famiglia e il grande successo di Telematch assiema a Enzo Tortora. (p. 85)
  • [Su Silvio Noto] Presentatore, attore, showman, il suo vero pezzo forte è il mimo, un mimo condito di umorismo e di una tipica gestualità meridionale sposata all'esperienza teatrale che gli permette di girare più di venti film accanto ai nomi celebri del cinema commerciale di allora: Walter Chiari, Billi e Riva, Villa. (p. 85)
  • Dagli anni Settanta, Noto ha chiuso ogni rapporto con la Rai ma ha continuato a fare spettacoli nelle TV commerciali. (p. 85)
  • Campanile sera è indubbiamente l'invenzione più squisitamente italiana della Rai; da una parte c'è il recupero di tutto un armamentario radiofonico, ben collaudato, di giochini, prove di abilità pratica alla portata di tutti, dall'altra l'idea di passare alla partecipazione individuale al gioco a quella collettiva. (p. 130)
  • Con Campanile sera si innesca il meccanismo di amplificazione televisiva e dalla partecipazione individuale si passa a quella di massa, con la fatidica «manina» che, non appena viene inquadrata, si agita frenetica per inviare saluti a zii, nonni e parenti in genere. (p. 130)
  • A conti fatti, non dovremmo considerare Campanile sera come una delle componenti del cosiddetto «miracolo economico»? Premi in denaro non ce ne sono (ai concorrenti convocati a Milano vengono solo rimborsate le spese di viaggio), quello che conta è poter fare bella figura in TV, essere orgogliosi del proprio Campanile davanti a tutta la Nazione; nessuno, quindi si vergogna di vivere e partecipare in prima persona al gioco e la provincia può esprimere così quel senso di coralità e unità che ha finora custodito tra la sua gente. (p. 131)
  • [Su Giovanna, la nonna del Corsaro Nero, programma della Rai del 1961] La domenica pomeriggio, dal 19 novembre, arriva sui teleschermi la «nonnina sprint, più forte di un bicchiere di gin». Si tratta di Anna Campori protagonista della rivista musicale di Vittorio Metz che affronta in incredibili avventure il pirata Morgan, battendolo a braccio di ferro, il capitano Kid, piegandolo con la spada e il pirata Barbanera, vincendolo con la pistola. Il nipote Corsaro Nero è interpretato da Roberto Villa, e le coreografie sono di Susanna Egri e la regia di Alda Grimaldi. Nicolino, forse il personaggio più strepitoso di questa saga della TV dei ragazzi, è interpretato da Pietro De Vico. (p. 139)
  • È la «signora» della TV italiana. Non più solo annunciatrici o vallette, le donna, grazie a Enza Sampò, al suo volto sereno e rassicurate, alla sua immagine di donna sobria ed efficiente, capace di pensare e parlare, trovano in video nuove strade televisive. (p. 142)
  • [Sulle Gemelle Kessler] Ballerine, show-girl, Alice ed Ellen (Lipsia, 28 agosto 1936), fanno il loro ingresso nella TV italiana con Giardino d'inverno. Poi partecipano a ben sei serie di Studio Uno e a Canzonissima '69; tornano in TV nel 1980 con Kessler Kabaret. Alcune sigle dei loro programmi sono diventate famosissime, come «La notte è piccola per noi», «Da-da-umpa» e «Pollo e champagne». (p. 143)
  • [In riferimento al programma televisivo Scala reale] Peppino De Filippo, per la prima volta nelle vesti di giudice di gara e presentatore, porta in televisione la macchietta Pappagone e la sua arguzia napoletana. (p. 193)
  • [Su Alighiero Noschese] Quando si toglie la vita con un colpo di pistola (era ricoverato in una clinica romana) stava preparando lo spettacolo L'inferno può attendere. (p. 230)
  • [Su Alighiero Noschese] Le sue imitazioni più riuscite restano quelle di Ugo La Malfa, Giovanni Leone, Amintore Fanfani, la regina Elisabetta, Moshe Dayan, Marco Pannella, Khomeini... (p. 230)
  • Chi era Alighiero Noschese? È difficile definirlo. Un parodista, un mimo, un fantasista? O soltanto un prodigioso imitatore? O, più semplicemente e profondamente, un attore? (p. 230)
  • Noschese era tutto. Un trasformista, un acrobata della voce; nella selva dei tipi e dei personaggi reali, un camaleonte che si mimetizzava non tanto con l'ambiente quanto con ogni tronco umano sul quale scegliesse di posarsi, sanguisuga fantastica, vampiro dei comportamenti e delle mimiche altrui. (p. 230)
  • [Su L'altra domenica] La più mitica e sorprendente delle trasmissioni di culto, va subito segnalata per aver anche inaugurato l'era dell'interazione elettronica. Per la prima volta infatti il pubblico può entrare in diretta comunicazione con la televisione. Basta fare un numero di telefono e avere un po' di fortuna per prendere la linea: «Indovina, indovinello, dove sta la caramello?». Pochi i soldi in palio (solo 20 mila lire) ma tanta l'ironia – i fagioli, gli indovinelli scemi e le centinaia di milioni di lire arriveranno dopo, con Raffaella Carrà & Co. (p. 320)
  • L'altra domenica riesce a creare un clima stralunato e fantastico, tipico dell'improvvisazione a lungo studiata, affondando le radici nella grandiosa esperienza radiofonica di Alto gradimento; ma la banda dei personaggi sgangherati, lo spettacolo e la risata che nascono da un'idea che, fulminea, attraversa gli occhi del conduttore e si propaga dallo schermo alla ricerca della complicità dello spettatore, sono una novità per la TV. (pp. 320-321)
  • Così, L'altra domenica diventa il gesto più radicale del «decentramento Rai», tanto invocato dai paragrafi della riforma. Arbore comincia a crearsi uno spazio tutto suo, fuori dalla routine e dall'avvilimento. Sul modello radiofonico del disc-jockey costruisce un nuovo ruolo che si potrebbe definire del media-jockey, e che consiste nel far convivere e trasformare in spettacolo, con garbate miscele e fulminanti spunti, i media più diversi: i filmati, i dischi, la diretta, i fumetti, il telefono, i sottofondi musicali. (p. 321)
  • Bontà loro è certamente una novità, anche se riprende, senza saperlo, il modello dei talk shows americani. Ma, a differenza di quelli, nel programma di Costanzo si colgono subito il gusto italiano della chiacchiera in pubblico, la voglia di conoscere la gente che conta e quella di grufolare un po' in casa d'altri. (p. 332)
  • Bontà loro è il prototipo di un fenomeno destinato a dilagare e a diventare modello di ogni discorso televisivo: il bisogno di confessarsi. La politica, i problemi sociali, l'attualità non sono argomenti così interessanti quanto il «privato». (p. 332)
  • Bontà loro è chiacchiera. Inchieste, obbligatorie emissioni di opinioni, inquisizioni e poi giudizi non richiesti, deliri, bisogno di dire, dire, dire hanno trasformato, come insegna Michel Foucault, l'uomo occidentale in una «bestia da confessione»: la «messa in discorso» di ogni problema è uno dei più sottili e abili sotterfugi con cui il potere continua a estendere la sua amministrazione. (p. 333)
  • La trovata risolutiva di Portobello è quella di considerare la provincia come l'ideale «bacino d'utenza», smettere di rivolgersi al pubblico schifiltoso delle grandi città. (p. 346)
  • Dai giornali di provincia Portobello «ruba» alcune preziose macchine d'interazione: i piccoli annunci, ad esempio. Ma ecco la novità mediologica. Il mezzo televisivo fa sì che sovente i modi della messa in scena siano spietati, svuotino il povero inserzionista di ogni parvenza umana, annullino la sua personalità in favore del simulacro dell'esibizione: il gelato antisgocciolo, la scheda elettorale circolare, il progetto di spianare il colle del Turchino per fare uscire la nebbia dalla Val Padana, sono solo alcune delle tante idee di un'Italia «irreale» che Portobello rinchiude in claustrofobiche cabine provviste di telefono, per la poco entusiasmante pratica del «chi offre di più?». (p. 346)
  • Del resto, sin dai tempi di Campanile sera, Tortora sa come «promuovere» il ricco materiale umano della provincia, è veramente l'unico, grande conduttore televisivo che sappia toccare, con mano leggera ma ferma, i tasti dell'universo dei «non-integrati». A Portobello, la sua coltivata enfasi retorica, contrappuntata da qualche sapiente lacrima, si dispiega in tutto il suo splendore nelle due rubriche fisse: Fiori d'arancio e Dove sei?, piccole felici anticipazioni dei più grevi tormenti di Agenzia matrimoniale e Chi l'ha visto?. (p. 346)
  • Dopo aver frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia, Barendson [...] aveva commentato, come inviato del Tempo, il primo impegno della nazionale dopo la guerra (a S. Siro contro l'Austria). (p. 348)
  • Alla Tv, prima di diventare nel '68 responsabile dei servizi sportivi del Tg, aveva ideato e condotto Sprint, definito il Tv 7 sportivo, e che gli offrì la possibilità di accomunare il mondo dello sport a quello dello spettacolo, di avvicinare alle competizioni registi come Nanni Loy e Damiano Damiani, e attori come Vittorio Gassman, Walter Chiari e Ugo Tognazzi. (p. 348)
  • La sua grande creazione è 90 minuto che, come sosteneva lo stesso Barendson, «è una trasmissione piccola che indica una strada ed esalta nei suoi limiti l'attualità dell'informazione in TV». Barendson ha pubblicato due romanzi, Il serpente ha tutti i colori e Ivi per sempre, e una commedia, Slow motion, sul mondo del calcio. (p. 348)
  • Buon musicista, dopo una ricca ma piuttosto oscura carriera di pianista e compositore, Simonetti [...] s'impose in TV negli anni Sessanta, con il personaggio dello svagato e surreale entertainer, grazie alla disinvoltura e al talento comico che rivelò in numerosi varietà. (p. 348)
  • Dirigeva l'orchestra, accompagnava i soliti cantanti ospiti, faceva da spalla a Isabella Biagini, ma sapeva ritagliarsi anche spazi inconsueti come «fine dicitore» e soprattutto come «favoliere», con racconti strambi e graziosi fra Campanile e Marchesi. (p. 348)
  • [Sulla trasmissione televisiva della Rai Piccoli fans] Zuccherosa e squittente, amorosa e svampita, Sandra Milo presenta la seconda edizione del «mini-Festival» della canzone italiana – la prima risale al 1983 ed era condotta dalla giovane Fiammetta Flamini. Età minima per partecipare alla trasmissione non c'è: anzi, più i concorrenti sono piccoli e più l'audience sale, anche se non sanno cantare. Con i vestitini da grande occasione, tutti pizzi e fiocchi rosa per le bambine, papillon e bottoni dorati per i maschietti, questi poveri disgraziati si esibiscono nei più recenti successi musicali e strappano lacrime di emozione ai genitori in sala. La Milo non riesce a trattenersi dal farsi dare baci e dall'esclamare continuamente: «Che carini!». (p. 431)
  • La Piovra, arrivata alla quinta stagione televisiva, non solo non ha «stancato» il pubblico, come qualcuno poteva ragionevolmente temere, ma ha ulteriormente avvinto nelle sue spire il pubblico (è stata seguita da una media di dodici milioni, ogni puntata) e, quel che più importa, anche la critica. (p. 433)
  • Dal punto di vista della costruzione linguistica La Piovra è un curioso e avvincente «mostro». I tratti somatici la apparentano a una non troppo fortunata stagione della cinematografia nazionale, la cosiddetta epoca del cinema democratico. [...] I tratti caratteriali, invece, appartengono al serial americano. (p. 433)
  • Questa doppia identità crea dei curiosi effetti. Se lo spettatore è più interessato alla finzione rischia la perenne delusione: scontri armati inverosimili, battute infelici [...]. Ma se lo spettatore utilizza la finzione per capire qualcosa di più di quello che si conosce su un fenomeno canceroso di vita sociale, allora la Piovra è la riprova ideale per difendere dei sentimenti diffusi, dei risentimenti sentiti, delle idee sfuocate ma profondamente vere. (pp. 433-434)
  • La telenovela è una specie di fotoromanzo animato. (p. 449)
  • I cultori italiani delle telenovelas hanno già imparato a operare una profonda distinzione fra le opere in lingua portoghese e quelle in lingua spagnola. Le prime, realizzate in Brasile, sono decisamente più accurate, non esenti da citazioni «colte», stilisticamente controllate: molte riprese in esterni, belle donne, bella musica e un chiaro tentativo di misurarsi con i telefilm importati dagli States. Le seconde, invece, girate in Messico e in Argentina, sono povere dal punto di vista registico e girate per lo più in interni: fotoromanzi semoventi che si affidano totalmente al primo piano dei protagonisti, a lunghi dialoghi, al coinvolgimento emotivo con lo spettatore. (p. 450)
  • Le telenovelas non vanno assolutamente confuse con le soap, anche se le loro vite s'intrecciano da più di un cinquantennio. Sponsorizzata da un detersivo, la soap nasce intorno agli anni Trenta come trasmissione radiofonica mattutina, di un quarto d'ora circa: un piccolo sceneggiato quotidiano che ha come protagonista quasi sempre una donna afflitta da problemi familiari. Ogni puntata dura quanto un bucato a mano e serve, in qualche modo, a «detergere» i problemi delle ascoltatrici. Ma è un modello inesportabile. Così la Procter & Gamble inventa per il mercato cubano la radionovela: rispetto alla soap è più elementare, piena di effettacci ma meno articolata sul piano linguistico, insomma, il classico parente povero. (p. 450)
  • Le telenovelas si distinguono per area linguistica (portoghese/spagnola) e per struttura (aperta/chiusa). Quella «chiusa» si basa su una sceneggiatura scritta in anticipo, quella «aperta» su una che cresce giorno per giorno, secondo gli umori del pubblico, la simpatia degli attori, le reazioni dei giornali «popolari»; ovviamente è antropologicamente più interessante ma di difficile esportazione. (p. 450)
  • [In riferimento alla trasmissione televisiva della Rai Parola mia] Luciano Rispoli [...], aria da aristocratico meridionale, cerimonioso fino all'eccesso, è l'ideatore e conduttore della trasmissione basata sulla conoscenza del dizionario e della letteratura italiana. (p. 454)
  • Come dirigente Rai, Rispoli ha all'attivo alcune fortunate trasmissioni radiofoniche come Chiamate Roma 3131 (nella sua versione originaria, prima di Corrado Guerzoni, ha dato il via alle confessioni e alle chiacchiere più spudorate via etere), Gran varietà, Il buttafuori. È stato anche direttore del Dipartimento Scuola Educazione (il settore didattico della Rai, incaricato di sostenere in qualche modo la produzione culturale e didattica dell'Ente); ma molti lo hanno rimproverato di preferire la presenza in video all'oscuro e oneroso compito del dirigente. (p. 454)
  • Finalmente è arrivato il successo di Parola mia e Rispoli ha conosciuto la popolarità: così ha potuto dar sfogo a tutta la sua affettazione, alla sua esibita leziosaggine, alla sua omaggiosa ossequiosità verso le casalinghe senza più la paura di essere rimproverato da critici maliziosi. (p. 454)
  • [Su Gian Luigi Beccaria, in riferimento alla trasmissione televisiva Parola mia] [...] il vero divo della trasmissione, il maestro Manzi degli anni Ottanta, il prof. Cutolo del vocabolario. (p. 454)
  • Langarolo di origine, Ordinario di Storia della Lingua italiana all'Università di Torino, autore di preziosi libri sulla prosa italiana, sui dialetti, sui linguaggi settoriali, su Beppe Fenoglio, Beccaria è stato «l'insegnante più popolare e amato d'Italia», colui che ha saputo trasmettere agli spettatori il suo entusiasmo e la sua passione per la lingua italiana. (p. 454)
  • Apparentemente introverso, schivo, appartato come un eroe fenogliano, Beccaria ha a poco a poco acquistato confidenza con il mezzo, trasformando il suo ruolo di giudice-arbitro in quello più profondo del demiurgo della trasmissione. Sarebbe impensabile un'altra Parola mia senza la presenza rassicurante, il volto da grande caratterista, i modi poco formali del prof. Beccaria. (pp. 454-455)
  • [Su Colpo grosso] Primo sexy-varietà della televisione italiana (16 novembre 1987, Italia 7), «il tormentone cochon della sera tardi, la telenovela a luci rosse made in Italy, il paradiso dei voyeur dello schermo». Spogliarelli, battute salaci e a senso unico, piccole evasioni erotiche orchestrate da Umberto Smaila, detto «Smaiala». (p. 483)
  • [Su Donatella Raffai in riferimento alla sua conduzione del programma televisivo di Rai 3 Chi l'ha visto?] La Raffai vive il programma con il piglio di una missionaria laica; fosse per lei, sull'Italia ogni sera calerebbe il coprifuoco. (p. 505)
  • Chi l'ha visto? è ormai un genere, una forma di romanzo popolare che ha già creato dei sottogeneri: la foto della bimba «rapita» distribuita agli angoli delle strade, il ritratto di un bimbo scomparso diffuso dai cartoni del latte (discreta forma forma pubblicitaria anche per la Centrale del latte), le fotografie di persone sparite inviate al Presidente della Repubblica. (p. 506)
  • Blob è sicuramente il programma più originale di questa nostra nostra televisione, perché sotto la parvenza del divertimento – riproporre alcuni spezzoni curiosi del giorno prima, montati però da una perfida mano che s'incarica di connettere tutte le coincidenze più strambe del palinsesto – finisce per imporsi come la più perfetta trasmissiome-spia dell'attuale stato della televisione italiana. (p. 511)
  • Blob è un singolare esempio di metatelevisione, di televisione cioè che parla di televisione. Un collage di frammenti – il frammento, si sa, è ormai la vera unità di misura della video-visione – ripercorre una giornata televisiva all'insegna di papere, disturbi, errori, dichiarazioni folgoranti, vuoti, lapsus, distonie, insomma, di tutti i luoghi comuni, di tutti gli incidenti tecnici, di tutto lo scemenziario di cui i programmi ormai grondano in larga misura. Blob è una specie di rubrica critica della televisione fatta solo di immagini; e perciò una critica diversa da quella scritta e da quella parlata. (p. 511)
  • Blob si presenta come uno show autonomo fatto di ritagli, scarti, rifiuti: il vero show della televisione spazzatura. (pp. 511-512)
  • Gianni Ippoliti [...] è uno dei grandi capocomici della televisione povera: da anni viaggia con una corte dei miracoli, una piccola compagnia instabile di guitti «presi dalla strada», con cui inscena, di volta in volta, sceneggiati, dibattiti, incontri, scontri. (p. 559)
  • Ex arbitro di calcio, studi in sociologia, Ippoliti ha debuttato su Italia 1 con Provini, rassegna di dilettanti vogliosi di andare allo sbaraglio e di essere soprattutto esaminati da un occhio impietoso. (p. 559)

Citazioni su Aldo Grasso[modifica]

  • Aldo Grasso fa di mestiere il critico televisivo. Non gli sfugge nulla. È l'occhio di falco del palinsesto. È uno che non fa sconti a nessuno, neppure ai valsusini che cercano di difendere la loro valle definiti da lui oggi sul Corriere "geneticamente arrabbiati" dopo che era stato dedicato un piccolo spazio ai No Tav nel programma Piazzapulita di Formigli. (Beppe Grillo)
  • Aldo Grasso otto volte su dieci ha sempre ragione, io non penso di far parte delle restanti due! [sorride, ndr]. (Giovanni Benincasa)
  • Ogni tanto rido perché Grasso quando critica qualcuno o qualcosa, spesso mi trova d'accordo. Allora vuol dire che quando parla male di me c'ha ragione. Scherzi a parte, il critico è giusto che ci sia ma non può essere sempre e comunque con tutti. Dopo un po' viene da pensare che non sia una critica ma un gioco al massacro. Grasso elogia principalmente personaggi di scarsa rilevanza mediatica. Come dire, faccio questo mestiere da DeeJay Television dell'88. Se tu in 20 anni mi massacri e basta... (Amadeus)

Note[modifica]

  1. Da «1994», la fiction dove a sembrare più veri sono i personaggi fittizi, Corriere.it, 6 ottobre 2019.
  2. Da Cartoni giapponesi e censura, Corriere.it, 19 giugno 2000.
  3. Da Adinolfi, Curzi e la competenza, Corriere della Sera, 23 dicembre 2007, p. 69.
  4. Da Fermi tutti quando c'è Fruttero, Corriere della Sera, 20 aprile 2010, p. 55.
  5. Da Assolutamente sì, Simona e la Crusca, Corriere della Sera, 27 settembre 2004, p. 39.
  6. a b Da «Boris» esempio di tv intelligente, Corriere.it, 18 novembre 2011.
  7. Da «Boris» compie 10 anni: tanti meriti ma non è una serie «cult», Corriere.it, 5 aprile 2017.
  8. a b Citato in Nuovo autogol della Rai su Santoro, Corriere della Sera, 14 ottobre 2010.
  9. Da Quando di una Fiction Piacciono le Canzoni, Corriere della Sera, 13 novembre 2007, p. 57.
  10. Da I Mondiali di Buffa narratore formidabile, Corriere.it, 18 aprile 2014.
  11. Da Così parlò Max Fontana, genio pop. Uno sberleffo all'impero dei mostri, Corriere.it, 29 gennaio 2014.
  12. Da La nuova tv è quella per i ragazzi, corriere.it, 17 settembre 2008.
  13. Citato in Pierluigi Saurgnani, Vimercati, gran borghese. Il giornalista che scoprì Bossi, ecodibergamo.it, 13 marzo 2012.
  14. Da Pannofino, il calcio e l'effetto Boris, Corriere.it, 3 luglio 2012.
  15. Da Un solo Hitchcock e si scopre il sonoro, Corriere della Sera, 28 aprile 2010, p. 55.
  16. Da Una grande lezione di diagnostica, Corriere della sera, 16 luglio 2006, p. 47.
  17. Da Anna Billò, competenza e modestia per raccontare il calcio, Corriere della Sera, 23 ottobre 2020.
  18. Da La tv del Ra(i)gazzo Vezzoli, La Lettura, suppl. del Corriere della Sera, 7 maggio 2017, pp. 26-27.
  19. Da Addio Derrick, corriere.it, 16 dicembre 2008.
  20. a b Da «Grey' s Anatomy» melodramma perfetto, Corriere della Sera, 25 gennaio 2012, p. 47.
  21. Da Sabato sera in tv, un relitto di tristezza, Corriere.it, 17 maggio 2011.
  22. Da Addio signorina buonasera Orsomando era l'annunciatrice simbolo della tv. Aveva 92 anni, il sorriso era promessa di felicità, Corriere della Sera, 22 agosto 2021.
  23. a b c Da «Non è la Rai» visto con gli occhi di oggi: meritava più elogi Il programma di Boncompagni, di cui si festeggia l’anniversario, era accompagnato da giudizi e pregiudizi, ma stava cambiando la tv, corriere.it, 21 settembre 2005.
  24. Citato in Il regista che inventò il varietà in tv (con Mina e le Kessler), Corriere della Sera, 22 luglio 2022.
  25. a b Da Dall’annunciatrice Nicoletta a Beshir / I volti della tv che raccontano l’Italia Papere e imitazioni alla Noschese, l’era (finita) delle signorine buonasera. Oggi il debutto di Livio, corriere.it, 5 luglio 2009.
  26. a b Da MasterChef surclassa gli altri show culinari, Corriere della Sera, 14 ottobre 2011, p. 71.
  27. Dalla prefazione di Il potere in mutande di Gianfranco Funari (con Morena Funari e Alessandra Sestito), Rizzoli, 2009. ISBN 978-88-17-03290-2
  28. a b Da «Gomorra», la serie è meglio del film, Corriere.it, 7 maggio 2014.
  29. Dal Corriere della Sera; citato in Gotham, Mediaset.it, 10 novembre 2014.
  30. Da Il Libanese e il Dandi: fiction riuscita, Corriere.it, 16 gennaio 2009.
  31. Dall'intervista di Linda Varlese, Aldo Grasso: "Il boom di Sanremo? La gente ha voglia di allegria. E il merito va soprattutto a Zalone", huffingtonpost.it, 3 febbraio 2022.
  32. Citato in Giorgio Nigra, Lynch ci ripensa: niente seguito di Twin Peaks, ilPrimatoNazionale.it, 7 aprile 2015.
  33. a b Da Il cinismo di Papi sfrutta l'ignoranza, Corriere.it, 4 maggio 2010.
  34. Da Risate a più livelli se la sitcom è originale, Corriere.it, 3 giugno 2011.
  35. Da Romanzo criminale, sfida ambiziosa, Corriere.it, 20 novembre 2010.
  36. Da Franca Valeri: Rai le dedichi una serata, Corriere.it, 1 febbraio 2011.
  37. Da Palio dell'attesa: il fascino dell'antitelevisione, la Repubblica, 4 luglio 1998, p. 36.
  38. Da La svolta ambientalista della festa, la Repubblica, 17 agosto 1995, p. 14.
  39. Da Cuccarini, emozioni da talent show, Corriere della Sera, 18 aprile 2009, p. 63.
  40. Luca Aristodemo Gentile, L'antropologia light di Pif, su Università Cattolica del Sacro Cuore, 10 aprile 2013. URL consultato il 28 novembre 2014.
  41. a b Da Pif, antropologia dell'inafferrabile, Corriere della Sera, 7 marzo 2013, p. 63.
  42. a b Da Quando la tv crea strani effetti, Corriere.it, 2 aprile 2010.
  43. Da Lo spionaggio in versione soap, Corriere.it, 28 maggio 2011.
  44. a b Da Talent Show, l'ultima svolta tv, ora vince chi riconquista i giovani, Corriere.it, 31 maggio 2009.
  45. Da Parigi-Roubaix vinta da Colbrelli: l'ultima follia del ciclismo più avvincente di un copione vero, Corriere.it, 3 ottobre 2021.
  46. a b Da Pif, con intelligenza tra i malati mentali, Corriere della Sera, 5 dicembre 2008, p. 61.
  47. Da Il legittimo impedimento affondò la bella Nicole, Corriere.it, 15 luglio 2012.
  48. Da L'ironia dei medici di Mtv, Corriere della Sera, 5 aprile 2003, p. 39.
  49. Da De Masi parla di lavoro (e teorizza l'ozio), Corriere.it, 9 aprile 2017.
  50. a b Da Cascina Vianello a due passi da Arcore, Corriere della Sera, 20 settembre 1996, p. 35.
  51. Da L'aldilà di Giacobbo più forte delle gag, corriere.it, 6 febbraio 2013.
  52. Da Guardia e ladro Patto che funziona, Corriere della Sera, 25 giugno 2010, p. 71.
  53. Da Romanzo criminale: la serie batte il film, Corriere della Sera, 12 novembre 2008, p. 53.
  54. Da Ncis, Nessuna Vetta ma Standard Alto, Corriere della Sera, 28 marzo 2007, p.47.
  55. Citato in Le Garzantine, Televisione.
  56. Da Al paese dei Berlusconi, Garzanti, 1993.
  57. Da Perché la tv premia Piero Chiambretti, Corriere della Sera, 1 maggio 2010, p. 69.
  58. Da Tadini rilancia l'eleganza di Gianni Clerici, Corriere della sera, 31 gennaio 1999, p. 30.
  59. Da Dal Vulcano alla Macchia marina Uniti dalle Tragedie (Mediatiche), Corriere della sera, 29 aprile 2010, p. 42.
  60. Da Il libro di Luttazzi riscatta la cagnara dello show, Corriere della sera, 4 agosto 2001, p. 39.
  61. Da Così «Masterchef» trasforma il reality, Corriere della sera, 22 dicembre 2012, p. 71.
  62. Da Se «L'attimo fuggente» diventa l'occasione per celebrare l'Ipad, Corriere della Sera, 17 febbraio 2014, p. 15.
  63. a b Da Pif intervista i vip ma la star è lui, Corriere della sera, 7 aprile 2011, p. 63.
  64. Da Il libro e la televisione. Storia di un rapporto difficile, ERI, 1993, p. 140. ISBN 88-39-70801-4
  65. Da Pio e Amedeo, ex scorretti che hanno trovato la giusta misura, corriere.it, 26 marzo 2023.
  66. a b Da Gli alibi di Bonolis e Scilipoti alla radio, Corriere.it, 19 dicembre 2010.
  67. Da «L'uomo più fidato d'America» Che pianse per la morte di JFK, Corriere della sera, 19 luglio 2009, p. 10.
  68. Da Le pagelle di Sanremo, Corriere.it, 4 marzo 2007.
  69. Citato in Mario Capanna, il sessantotto come professione, Corriere.it, 17 dicembre 2016.
  70. Da Busi radiato dalla Rai. Ipocrisie annunciate, Corriere.it, 19 marzo 2010.
  71. Da Luttazzi, gag copiate: ma così fan tutti, Corriere.it, 12 giugno 2010.
  72. Citato in Le Garzantine, Televisione.
  73. Da Prima lezione sulla televisione, Laterza, p. 35. ISBN 88-581-0305-X
  74. Da Ingredienti narrativi: il sale di Masterchef, Corriere della Sera, 9 dicembre 2011, p. 63.
  75. Dal Corriere della Sera, 3 aprile 2002; citato in Sant'Antonio di Padova, cinematografo.it.
  76. Da Aristotele in fuga sullo Stelvio. Lo spirito vitale del Giro d'Italia, Corriere.it, 26 aprile 2016
  77. Da Bellucci e D'Alema: fisiognomica della tv, Corriere.it, 16 giugno 2009.
  78. Da Ma in Tv è una cronaca dell'assurdo, la Repubblica, 17 agosto 1993, p. 11.
  79. Da Wikipedia, un sogno a cui bisogna credere, Corriere.it, 25 aprile 2010.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]