Michele Serra

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Michele Serra al Festival Internazionale del Giornalismo 2010.

Michele Serra (1954 – vivente), giornalista, scrittore, autore televisivo e umorista italiano.

Citazioni di Michele Serra[modifica]

  • A sedici anni ero anarchico. A sedici anni non si capisce niente. Non si sa come funziona il mondo.[1]
  • A Venezia per i vostri bisogni servitevi delle toilette pubbliche. Ce ne sono ben due: una a Mestre e una sull'autostrada per Padova, dove, tra l'altro, potrete ammirare il fenomeno dell'acqua alta in pieno autogrill.[2]
  • Chiedersi se il Pci dimentica Berlinguer significa chiedersi se il Pci dimentica i valori. I nostri militanti hanno magari dimenticato il Berlinguer del compromesso storico, ma hanno viva memoria del Berliguer dell'austerità. Magari è solo un simbolo, ma accidenti come contano i simboli.[3]
  • Chi lo considera [Mark Twain] uno dei padri della letteratura americana ha torto per difetto: è uno dei padri della letteratura democratica di ogni latitudine, e uno dei massimi codificatori dell'umorismo come arma insuperabile per prendere le misure al potere, e dopo averle prese, prenderne le distanze.[4]
  • Il razzismo finirà quando potremo dire che ci sono neri stronzi come i bianchi.[5]
  • [I]o associo la voce di Fabrizio a un vuoto che gli si fa intorno: lui chiede spazio e chiede tempo, prima di tutto col timbro della voce, con il modo con il quale scandisce le parole. Non si poteva ascoltarlo se non mettendo quella voce su una specie di ara, attorno alla quale non potevi far altro che dare un ascolto totale alle sue parole.[6]
  • [A proposito del commento di Silvio Berlusconi sulla vittoria di Barack Obama] Io credo che sarebbe ora di dire che è semplicemente uno sciocco. Ecco, più che puntare sul, come dire... sull'allarme istituzionale, la repubblica in crisi... Ecco cominciare a dire quello che poi appare abbastanza evidente: che è un uomo abbastanza sciocco e dice spesso cose molto sciocche, e forse è stato sopravvalutato anche dai suoi avversari. Dopo di che le polemiche, insomma, è persino inutile farle. Insomma... si prende atto, si constata, si fa un sorrisetto purtroppo di sufficienza. Ecco perché la cosa triste è che si è costretti a fare un sorrisetto di sufficienza su quanto dice e fa, insomma, il primo degli italiani, escluso il capo dello dello stato, cioè il capo del governo. Piuttosto penoso, ecco... Penoso e sconsolante. Fa il commento più sciocco, non voglio neanche dire che sia una gaffe: è il commento più frivolo, più superficiale, meno colto, meno politico, meno serio. È come... come quando fa le corna nelle fotografie di gruppo, è una persona che non è all'altezza di rappresentare un paese: ma non l'Italia, qualunque paese. E dispiace, insomma, che dire? Cioè, non è neanche una cosa da dire con veemenza, la si dice con... con malinconia profonda a questo punto; però, insomma, non è una novità, dovremmo esserci abituati. Ma ne dirà un'infinità ancora di cose del genere, perché purtroppo il livello è quello: è una persona di basso livello intellettuale. Questa è la mia opinione.[7]
  • L'Italia entra nel Duemila ancora in attesa del suo Settecento.[8]
  • La forza dei veri artisti si vede anche dalla fortuna di dare piacere e fare compagnia anche dopo che se ne sono andati. In Italia è accaduto solo per De André e Gaber, attorno ai quali ci si ritrova in tanti, senza mai meravigliarsi che nel novero degli amici ci siano persone estremamente difformi per idee politiche e calibro culturale, senza nessuna necessità di dover giustificare differenti punti di partenza.[9]
  • La Prima Repubblica cercava di usare le posate a tavola. Questi mangiano con le mani, e ruttano con soddisfazione.[10]
  • La sinistra italiana si ritrova con gli stessi voti dai tempi di Giuseppe Mazzini. Il vero talento consiste nel ripartirli tra liste ogni volta differenti. È come spostare i vecchi mobili di casa una volta all'anno, per avere una inebriante sensazione di novità pur vivendo da sempre nello stesso trilocale ereditato dal nonno.[11]
  • [Sull'uso delle intercettazioni] Noi giornalisti siamo una categoria che confonde spesso la libertà di stampa con l'impunità di casta [...] Ovvio che se si scopre che un politico che prende voti come paladino della famiglia tradizionale, e poi nella sua vita privata frequenta i bordelli, o anima orge gay, un interesse pubblico c'è, ed è pure evidente: si tratta di smascherare un ipocrita che inquina il discorso pubblico. Ma in molti altri casi il diritto/dovere di informare c'entra come i cavoli a merenda. Si tratta solo di raggranellare qualche lettore in più, incrementare il voyeurismo di massa, accanirsi contro un avversario politico per il puro piacere di farlo. Con un'aggravante: che la lagna corporativa contro "il bavaglio" approfitta comodamente di una causa nobile e nevralgica, che è la libertà di stampa, la libertà di espressione. Ci sono cronisti di mafia che rischiano la vita, e ci sono giornalisti rovinati economicamente da cause civili micidiali. Parlare solo di intercettazioni è così determinante, o piuttosto è fuorviante? Mi faccio anche un'altra domanda: che cosa attenta di più alla libertà di stampa, eventuali limiti alla pubblicazione di documenti giudiziari, oppure il gigantesco mutamento degli assetti editoriali e del modo di produzione delle "notizie"? Molte "notizie" vengono confezionate non più per scelta redazionale ma sulla base di selezioni algoritmiche e pubblicitarie. La decisione di pubblicare qualcosa, e non qualcos'altro, è pesantemente influenzata (eufemismo) dalla dipendenza delle imprese editoriali da vari service esterni alle redazioni. Giudicate voi quanto si è parlato di intercettazioni [...] e quanto di questa stravolgente metamorfosi strutturale dell'informazione.[12]
  • Non volendo favorirlo in modo smaccato, Agnelli lo assume nel gruppo Fiat attraverso un regolare e severo concorso, al quale partecipano, oltre a Luca Cordero di Montezemolo, due pesci rossi. La prova d'esame consiste in una sola domanda: «Preferiresti lavorare alle presse o fare il direttore sportivo alla Ferrari?» Con molto equilibrio, Luca risponde che preferirebbe fare il direttore sportivo alle presse.[13]
  • Per conquistarsi la patente di moralista, vent'anni fa, bisognava essere dei notevoli rompicoglioni. Oggi basta dire "non si passa con il rosso" e già sei considerato tale.[10]
  • Perché la cosa più difficile e preziosa che ha fatto Gaber è stato annullare lo scarto (così pesante e doloroso, oggi) tra "alto" e "basso", tra popolarità di massa e di nicchia. E avere qualità e riuscire a farne anche quantità, giacché il suo successo teatrale fu di massa, è più o meno il contrario di quanto accade, in genere, in un sistema di comunicazione che sembra avere individuato nella qualità un odioso nemico.[9]

Il metodo di Michele Serra per salvarsi dalle vere, false, comunque troppe notizie (e dai populismi)

Intervista di Dario Ronzoni, linkiesta.it, 7 dicembre 2019.

  • Non siamo onnipotenti, non ce la possiamo fare da soli — cliccando con lo smartphone in mano, davanti al tablet — a dominare il mondo. Dobbiamo chiedere a qualcuno di darci una mano. E siccome le notizie del futuro saranno miliardi, servirà un mediatore che svolga questa funzione. [«...che sarebbe quella dei giornali...»] Sì, che un tempo svolgevano i giornali e che in parte forse continueranno a svolgere anche in futuro. E non importa nulla se saranno di carta, di piombo, di bassorilievo su pietra o fatti di pixel. Voglio pagare qualcuno di cui mi fido che mi dica: le notizie importanti sono a, b, c. E anche d. [«Niente fai-da-te?»] Io odio il mito del fai-da-te. Secondo me sta anche parzialmente distruggendo perfino la socialità in questo Paese [l'Italia]. Io voglio fidarmi di qualcuno. Ho bisogno di fidarmi di qualcuno. E così come mi fido di quello che mi vende il salame o la coppa, voglio fidarmi di quello che mi vende le notizie.
  • Secondo me il problema è too much news, cosa che poi riguarda il web in generale. In questo momento puoi avere tutto l'universo a disposizione: io mi spavento e dico no, grazie. Non si può avere tutto l'universo, non sono all'altezza. Quindi il problema principale è la mole, smisurata, di notizie, e poi certo, c'è anche il problema delle fake news, eccome se c'è. Ma quello c'è sempre stato però, ecco. [«Sì?»] Oggi è diverso perché si è trasformato in un'arma a disposizione dell'ultimo imbecille, dell'ultimo farabutto, mentre prima era uno strumento impegnato dai giornali quando facevano disinformazione. Erano persone autorevoli o presunte tali. Adesso la bomba atomica è in mano anche all'uomo della strada. Non lo considero un particolare progresso.
  • [«Cosa è cambiato di più del mondo?»] La dimensione tecnologica. Un cambiamento enorme, gigantesco. [...] Il cambiamento tecnologico avvenuto tra l'epoca di Gutenberg e i miei inizi [nel giornalismo] negli anni '70, rispetto a quello che è successo dai miei inizi anni '70 fino a oggi, be', è stato infinitamente meno grande. Io, per formazione, sono più vicino a Gutenberg che al millennial.
  • Il "populismo" ha una base tremendamente individualistico-narcisistica L'idea che ci si possa autocostituire in popolo, pur non essendolo in realtà. È un sentimento furibondo, certo, e lo si è detto. Ma è anche presuntuoso. [...] C'è una presunzione tremenda di fondo, del genere: "Ci penso io a dire sì, no, e da casa mia dirigo il mondo". Col cavolo che funziona.

Citazioni tratte da articoli[modifica]

Cuore[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Il limite della democrazia: troppi coglioni alle urne. (5 aprile 1992)
  • Seppi la notizia dal telegiornale delle 13 e 30, una domenica di novembre, mentre ero a pranzo da amici. Molti di noi piangevano, tutti rimanemmo sconvolti come raramente mi ricordo mi sia capitato di cogliere, considerando quanto munita fosse già allora la crosta di indifferenza con la quale ci difendevamo dal mondo. Per quanto mi riguarda (per quanto sento) la morte di Pier Paolo Pasolini è uno degli avvenimenti più significativi e commoventi di questo secolo. E giusto o sbagliato fosse il suo populismo, corretta o esagerata la sua percezione del moderno come catastrofe antropologica, credo che nessun intellettuale o artista italiano contemporaneo abbia così fortemente affrontato l'epoca fino a farsene divorare, fino a distruggersi. Per queste ragioni, e per la nostalgia struggente che ho per la sua scrittura acuminata e accesa e perfino per il suo viso e la sua voce, mi chiedo se il vero e grande scandalo sia la sciatta negligenza con la quale si è indagato sulla sua fine, e non piuttosto il fatto che non esista una piazza o una strada o una scuola d'Italia dedicata al suo poeta, vissuto per le sue strade, anzi nel punto indeterminato, annichilente nel quale tutte le strade, perfino quelle di periferia, si interrompono. (da Pasolini, il caso è chiuso, n. 239, 9 settembre 1995)

L'Unità[modifica]

Finire invischiati in Mani pulite, in termini politici, vuol dire non aver saputo opporre al modello di sottosviluppo italiano alcuna alternativa praticabile.[14]

la Repubblica[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • [A proposito della riforma Moratti] La scuola morattiana rischia di essere, per quelle persone che sono i bambini, una lunghissima anticamera davanti alla porta del capufficio. Una precocissima, spietata selezione del personale. (da Il bimbo manager della Moratti, 9 ottobre 2003, p. 17)
  • [...] Tutto all'Inter è in odore di romanzesco, di eccessivamente emotivo, in un clima eccitato e ipercritico che in fondo rassomiglia poco al pragmatismo settentrionale e ha qualche cosa di intimamente meridionale. (da Inter. Il nostro Don Chisciotte, 18 febbraio 2005)
  • Ovunque un "tu" piacione e colloso, un clima da eterna rimpatriata (e si immaginano i ristoranti, i bavaglioli, le risate grasse) e una furbizia greve, da commedia dell'arte: quella stessa che poi vediamo, ripulita dei suoi quadri più inconfessabili, nei peggiori talk-show calcistici, dove "l'amico Moggi" da anni ammannisce a una platea spesso estasiata oscure facezie e sorridenti minacce, una specie di andreottisimo però imbertoldito, un'imitazione popolaresca del Potere che è parodia però senza saperlo. In fondo soprattutto penosa, e penosa non tanto perché rimanda a probabili prepotenze calcistiche, quando perché incarna (altro che calcio...) la vecchia furbizia contadina italiana appena appena camuffata, incravattata di fresco, e riscodellata in video per la gran gioia di chi non vuole fare la fatica di pensarci diversi, noi italiani, da questo stucchevole arrangiarci da subalterni: da servi, altro che da potenti. (Che la furbizia sia caratteristica servile, e mai signorile, è la sola fondamentale scoperta politica che milioni di italiani devono ancora fare). (da Il Paese anormale dove Moggi comanda, 5 maggio 2006)
  • [A proposito della spettacolarizzazione della cronaca nera] Il sospetto [...] è che l'angosciosa percezione di un salto di qualità del male e della violenza sia dovuta soprattutto a una assai più diffusa conoscenza di crimini sempre avvenuti, ma solo oggi diventati materia prima quotidiana di un sistema mediatico cresciuto in maniera esponenziale. Ogni frammento di orrore viene ingigantito, ogni urlo di dolore amplificato, su ogni singola variazione attorno all'orrendo tema della violenza dell'uomo sull'uomo vengono allestiti fluviali dibattiti. L'esile scia di sangue che i cantastorie trascinavano per piazze e villaggi è diventata il mare di sangue che esonda dal video: ma è sempre lo stesso sangue, probabilmente anche la stessa dose pro-capite, solo con un rendimento "narrativo" moltiplicato per mille, per un milione, per un miliardo di volte. (da Lo spettacolo del male, 13 gennaio 2007)
  • Da relativista etico, l'unica certezza che mi sorregge è non volere e non sapere imporre la mia condotta di vita al professor Buttiglione. Lui non può dire altrettanto. (9 febbraio 2007)
  • Problemi di una minoranza culturalmente difforme e sessualmente non ortodossa, che non riguardano il placido corso della vita civile di maggioranza, quella della "famiglia tradizionale". Ma è vero il contrario. L'intero assetto (culturale, civile, politico, legislativo) dei diritti individuali e dei diritti di relazione riguarda il complesso della nostra comunità nazionale. La sola pretesa di elevare a Modello una sola etica, una sola mentalità, una sola maniera di stringere vincoli tra persone e davanti alla comunità, basta e avanza a farci capire che in discussione non sono i costumi o il destino di una minoranza. Ma i costumi e il destino di tutti. [...] Chi si sente minacciato dall'omosessualità non ha ben chiaro il concetto di libertà. Che è perfino qualcosa di più del concetto di laicità. (da La bandiera della laicità, 16 giugno 2007)
  • C'è un dispiacere speciale nell'apprendere che Valentino Rossi è accusato di avere sottratto al fisco italiano (cioè alla comunità dei suoi tifosi, tra i quali noi) sessanta milioni di euro. È il dispiacere di scoprire che anche un ragazzo giovane, fortunato, geniale nel suo campo, il più fresco e irrituale tra i personaggi emersi negli ultimi anni, è invischiato nella solita, vecchia, insopportabile melma che rende invivibile questo Paese. Come se niente di davvero "nuovo" potesse mai capitare, dalle nostre parti. (9 agosto 2007)
  • Specialmente in questi ultimi anni, con mezzo paese che sgobba per pagare fino all'ultimo euro quelle tasse che un altro mezzo paese rifiuta di pagare, non c'è pretesto o scusa o arzigogolo che tenga: se davvero il giovane Valentino Rossi di Tavullia, o perché mal consigliato o perché furbo in proprio, ha ingannato il fisco italiano, la sua immagine (almeno agli occhi di mezza Italia) ne esce offuscata in modo irreparabile. L'altra mezza, magari, aggiungerà all'ammirazione per il campione spavaldo anche la complice simpatia per il businessman disinvolto, perché niente eccita gli umori più bassi di questo paese quanto uno che "sa fare bene gli affari propri". Ma Valentino Rossi, se le pesantissime accuse del fisco saranno confermate, gli affari propri li ha fatti malissimo. (9 agosto 2007)
  • La cosa peggiore del "Vaffanculo Day" era il titolo, che dietro l'ammicco "comico" contiene tutta la colpevole vaghezza del populismo. (Vaffanculo, satiricamente parlando, è roba da Bagaglino, non da Beppe Grillo). (9 settembre 2007)
  • Il manifesto di convocazione, nella sua indubitabile rozzezza (dire che "dal '43 a oggi in Italia non è cambiato niente" è, per dirla con Grillo, una notevole belinata), era di contenuto squisitamente politico. Almeno due dei tre punti in oggetto (negare ai condannati il diritto di rappresentare il popolo, impedire alle segreterie dei partiti di nominare di straforo i candidati senza passare attraverso il vaglio degli elettori) sono molto difficilmente liquidabili come "qualunquisti". Esprimono, al contrario, un'insofferenza per larga parte condivisibile e condivisa da milioni di italiani, molti dei quali (senza bisogno di vaffanculo) hanno appena fatto la coda per il referendum Segni contro questa indecorosa legge elettorale proprio perché non sopportano più il piglio castale e l'autoreferenzialità malata delle varie leadership di partito. E chiedono la partecipazione diretta dei cittadini alla scelta della propria classe dirigente. Più controverso il terzo punto, perché non è detto che congedare un ottimo politico dopo due sole legislature coincida con il miglioramento della qualità professionale della classe politica (anzi). Ma quello che lascia il segno, vedendo decine di migliaia di cittadini mobilitarsi attorno a Grillo, alle sue drastiche parole d'ordine, al suo ringhio esasperato, perfino alla sua presunzione di Unto dalla Rete, è constatare, piaccia o non piaccia, che un uomo famoso ma isolato, popolare ma ex televisivo, antimediatico suo malgrado o fors'anche per sua scelta, sia in grado di mobilitare una folla che molti dei piccoli partiti, pur radicatissimi nei telegiornali e sui giornali, neanche si sognano. (9 settembre 2007)
  • Roberto Cavalli perfeziona gli slip a vita bassa lanciando le mutande alle ginocchia, che lasciano scoperti i genitali. Allo studio la possibilità di abbassare anche i genitali, con una serie di pesi e di tiranti. L'uomo del 2008, secondo gli stilisti milanesi, è dunque un giovane atletico, ammanettato, con occhiali a specchio, cranio rasato, un alano al guinzaglio, niente pantaloni, mutande alla caviglie, scroto ribassato. (da Parole in satira per dodici mesi, 28 dicembre 2007, p. 36)
  • San Siro, quando gioca l'Inter, perde il brillio entusiasta e diavolesco del rosso milanista, diventa un catino ombroso, spesso anche adombrato, il catino che riflette e raccoglie l'incertezza degli umori celesti, mezzo azzurri mezzo neri. (da Dottor Inter e Mister Hyde, 13 maggio 2008)
  • Brunetta è il classico fanatico: uno che quando parla gli saltano uno dopo l'altro i freni inibitori, e gli esce fumo dalle orecchie. [...] In questo Brunetta (come parecchi ex socialisti, ahimè) è il berlusconiano perfetto: pur di non dubitare di se stesso, attribuisce ogni problema alla malvagità del Nemico. (da Demagogia al governo, 20 settembre 2009)
  • Il fascismo, in Europa, è al bando. La sua apologia, in Italia, è fuori legge. Questo non basta, ovviamente, a impedirne le varie forme di reviviscenza. Ma basta, almeno, a far capire a fascisti e nazisti che non sono bene accetti nella pur larga famiglia democratica. Se Mussolini si risente perché qualcuno le ricorda in pubblico che il nonno, fondatore del fascismo e principale ispiratore di Hitler, non merita rispetto, è perché in decine, centinaia, migliaia di dibattiti, per anni, per rassegnazione o per ignavia o per cinismo, nessuno ha ritenuto importante dirglielo. In Germania un eventuale nipote Otto Hitler andrebbe in televisione a dire che il nonno fu una brava persona? O condurrebbe una vita ritirata, intagliando orologi a cucù? (30 gennaio 2013)
  • La satira è sempre stata un linguaggio di minoranza, per pubblici stretti, piuttosto radicali e piuttosto colti. La comicità è popolare, la satira assai raramente. La comicità è universale, perché accomuna, la satira non può esserlo perché divide. (da La vocazione minoritaria dei vignettisti diventati eroi, 14 gennaio 2015, p. 36)
  • Il termine perse con il tempo ogni specifica mira contro le ristrette cerchie di ottimo censo e di facile radicalismo, per diventare generico dileggio di qualunque posizione politica che risulti irritante per il pensiero reazionario. Nella vulgata di destra è diventato "radical chic" tutto ciò che odora di solidarismo (è per lavarsi la coscienza!) o di amore per la cultura (è per umiliare la gente semplice!) e ovviamente di critica del populismo (è disprezzo per il popolo!). Più in generale, il termine è semplicemente perfetto per ridurre quel vasto e disorientato mondo detto "sinistra occidentale" a una ipocrita cricca di potenti con la puzza sotto il naso che hanno perduto ogni rapporto con "il popolo". (Caro Tom Wolfe ma quali radical chic, 5 gennaio 2018)
  • Vi chiedo, ovunque voi siate, di stappare una bottiglia per lui, e levare il bicchiere, così come stanno facendo i suoi amici. Una delle cose più tremende di questi giorni è che non si possono fare i funerali. Il suo sarebbe stato — e sarà, appena possibile — pieno di cose da mangiare e di cose da cantare. Se conoscete qualche canzone di Endrigo cantatela per lui, era il suo preferito. Basta anche qualche verso. Basta un sorso, un pensiero, un ringraziamento, una pedalata sulle Alpi francesi o sui Pirenei, e Gianni Mura sarà di nuovo insieme a noi. Per sempre insieme a noi.[15]
L'Amaca[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • La spiegazione è che l'etichetta del "popolare" è una comoda menzogna per produrre su larghissima scala (a basso costo e quasi azzerando la fatica creativa) prodotti dozzinali. Così come avviene per il cattivo cibo, la cattiva cultura di massa accampa il pretesto di incontrare "i gusti del pubblico". In realtà, lo corrompe e lo livella. Né regge il pretesto (classista!) secondo il quale sono solo i più acculturati e gli snob a giudicare pessimo ciò che lo è. Valentino non ha tre lauree e non legge Musil. Gli bastano e gli avanzano, per capire l'andazzo, due occhi e due orecchie. (1º novembre 2006)
  • Il problema è che, con il trascorrere delle generazioni, noi occidentali ci siamo convinti che il benessere e la tecnologia siano "naturali": ovvi come il sorgere del sole, gratuiti come lo scorrere dei fiumi. E su questa credenza, che è scientificamente assurda, irrazionale come la più arcaica delle superstizioni, si poggia tutto o quasi il nostro quotidiano, tutta o quasi la nostra politica. Siamo riusciti (scelleratamente) a rendere occulti i costi, i guasti, i rischi di un sviluppo che poggia, invece, su un prelievo sempre più massiccio e scriteriato di risorse limitate. (11 novembre 2006)
  • Questa ripetizione ossessiva di sé stessi, al di là del dato anagrafico, è il vero segno dell'"invecchiamento" italiano: vecchio è chi dispera di cambiare e di cambiarsi, ed è ormai rassegnato a essere fino alla fine ciò che è sempre stato. (17 novembre 2006)
  • Il problema è che, probabilmente, se riuscissero a tacere per dieci secondi consecutivi, e a riflettere per i successivi dieci, molti italiani vorrebbero sprofondare per la vergogna. È per questo che amano così tanto fare casino. (4 gennaio 2007)
  • Criminalizzare i criminali è fondamentale. Criminalizzare un'intera area politica vuol dire regalare ai criminali uno spazio insperato, e molto più vasto della nicchia asfittica nella quale si nascondono. (16 febbraio 2007)
  • Cerco di dirlo così come mi viene, mi scusino eventuali pignoli o suscettibili. Leggere sulle prime pagine le parole "contro natura", pronunciate dal papa [Benedetto XVI] a proposito delle unioni omosessuali, mi fa rivoltare le viscere. La natura umana è così complicata e ricca (essendo biologica, psicologica, culturale, sociale) che estrarne un pezzo e appenderlo al lampione del Giudizio Divino equivale ad amputarla. L'omosessualità è sempre esistita ed esisterà sempre, consiste di amore e di vizio, di eros e di moda, di piacere e di colpa, di profondità e di futilità, tanto quanto le altre pulsioni dell'animo e del corpo. Si può diffidarne, si può criticarla, ma solo una violenta e impaurita torsione dello sguardo sulle persone, sulla vita, sull'eros, può arrivare addirittura a scacciare l'amore omosessuale dalla "natura umana". (15 marzo 2007)
  • [...] la Hilton è la Parodia Finale, dopo di lei non potranno esserci altre parodie sia pure in una società strutturalmente parodistica. Consumati fino allo sfinimento tutti i miti e i modelli possibili, fatta indigestione di ogni tipo di star, di ogni genere di guru o di maudit o di strafica, ripetuti malamente e a volume sempre più alto tutti i linguaggi, si è infine individuato nella Hilton l'approdo definitivo: una che, finalmente, non solo non sa fare nulla, ma nemmeno ci prova. Purtroppo la sua unicità non sarà capita. Milioni di ragazze e ragazzi già sognano di imitarla. (6 giugno 2007)
  • Mettiamola così: dovessi riscrivere il mio ben pagato commento, alla luce delle parole di Grillo e delle mail invelenite che ho ricevuto, aggiungerei qualche preoccupazione in più sulla totale assenza di dubbi e sulla sicumera settaria che rischia di catalizzarsi attorno a Beppe. Intelligenza e passione sono virtù, rompere gli schemi pure, ma il fanatismo è un vizio tra i peggiori. Anche il Dalai Lama accetta critiche. (11 settembre 2007)
  • Nei paesi anglosassoni uno che si spacciasse per elettore di un partito non essendolo, verrebbe considerato con spregio totale tanto dagli avversari quanto dai suoi. Da noi – non c'è niente da fare – la furbizia, che è una delle più spregevoli manifestazioni di assenza di talento, continua a sembrare una virtù. E dire "li ho fregati!" piace da matti, anche se è la voce del ladro a parlare. (18 ottobre 2007)
  • Immaginiamo che un cittadino, nauseato dalle liti e dall'inconcludenza di questa coalizione di narcisi disfattisti, decida che forse è il momento di guardare al centrodestra. Neanche il tempo di volgere lo sguardo, e si imbatte nel miliardario ridens che riceve tra le sue ortensie, sovreccitato, una delegazione di ispettori europei e gli mostra i sondaggi che lo danno al 63 per cento. [...] A questo punto la domanda è: possibile che il centrodestra italiano, nonostante si avveda che l'avversario politico è in catalessi, si ritrovi ancora con un leader del genere? Non ce n'è uno meglio, più moderato, meno irritante, più legalitario, meno esibizionista, insomma più normale e più votabile? E se non c'è, perché non proviamo ad affiancare all'estenuante dibattito su come è ridotta la sinistra, anche un piccolo dibattito a latere su come è conciata la destra, poveretta? (25 ottobre 2007)
  • L'eroico Piergiorgio Odifreddi, isolato esponente delle bizzarre teorie chiamate Scienza e Ragione, era esposto l'altra sera nello studio di Bruno Vespa, per l'occasione consacrato a Padre Pio, come un reperto di altri secoli. Vespa gli si rivolgeva con la simpatia incuriosita che si rivela agli ospiti esotici: Ecco a voi, cari amici, un buffo signore barbuto che è qui per testimoniare l'esistenza, in questo Paese, dei non credenti. Incredibile!, avrebbe detto Mike Bongiorno agitando la sua cartelletta. Il resto del cast, tanto per dire la par condicio, era così composto. La madre di un bambino miracolato da Padre Pio. Il frate portavoce della holding di Padre Pio. Lo studioso cattolico Vittorio Messori che ha raccontato di essere stato miracolato da Padre Pio: una lettera gli era stata recapitata a casa un'ora dopo essere stata spedita da Padre Pio. Luciano Rispoli che è stato sposato da Padre Pio. E soprattutto la devota Irene Pivetti, che non conobbe Padre Pio ma è la prova vivente dell'esistenza dei miracoli: nessuno può spiegare razionalmente come poté diventare Presidente della Camera. Nonostante Vespa si fosse dimenticato di esporre la Mercedes (che funziona anche senza benzina) mi sono divertito moltissimo. (3 novembre 2007)
  • In fila per salutare il vecchio Biagi, davanti alla camera ardente di via Quadronno, ieri mattina c'era una Milano prevalentemente popolare. Quel genere di popolo decoroso e composto che siamo abituati a definire "antico", ma è perfettamente nostro contemporaneo. Solamente, ci siamo disabituati a vederlo: tanto quanto Biagi, è stato sfrattato dalla televisione per fare posto al neo-popolo adrenalinico, bistrato e burino che staziona giorno e notte nei palinsesti. Con un paio di amici ci siamo trovati a ragionare sulla straordinaria popolarità di Biagi. Per paradosso, ci ha colpito che questa popolarità toccasse proprio a uno "di sinistra". Popolare e di sinistra erano, fino a un paio di decenni fa, quasi sinonimi. Poi qualcosa è cambiato, la sinistra è parsa più in simbiosi con i ceti medi colti, con le élites intellettuali, e se si rivolge al popolo è più per rimproverarlo che per sentirsene parte. Il lascito più prezioso di Biagi, dunque, sta proprio in ciò che a volte gli fu rimproverato: la sua profonda e naturale popolarità, la facilità estrema con la quale sapeva entrare in sintonia con le persone semplici. Per lui essere di sinistra voleva dire essere popolare: pensandoci bene, questo era puro anticonformismo... (8 novembre 2007)
  • Il cristiano energumeno e razzista sogna la rivincita di Lepanto. (in la Repubblica, 12 aprile 2008)
  • Si legge quasi ovunque [...] che "il capitalismo non c'entra niente" con crac e banche chiuse e manager felloni. Che siano stati dunque il comunismo o il socialismo o il pensiero greco o il giusnaturalismo, in forme subdole, a spingere metà del mondo a indebitarsi fino al midollo? [...] Nelle ingenuissime, strenue difese delle virtù del liberismo, che di suo sarebbe buono e benefico, ed è stato deviato dalle intenzioni malvagie di poche cricche di mascalzoni (per altro in genere impuniti e ben liquidati), pare di risentire pari pari la patetica difesa che alcuni comunisti fecero del comunismo, in sostanza un'ottima idea applicata però maluccio o malissimo da despoti asiatici o burocrazie ottuse. Allo stesso modo il liberismo degli ultimi vent'anni viene considerato un'idea così brillante, così gagliarda, che non gli si imputa neanche ciò che proprio lui e solo lui può avere innescato, un capitalismo senza più alcun rapporto con la ricchezza prodotta dal lavoro, senza misura e senza controlli, senza etica e senza freni. (3 ottobre 2008)
  • Non è per contraddire Barack Obama, ma "il Paese dove tutto è possibile" non sono gli Usa. È l'Italia. Dove è possibile che il capogruppo del partito di maggioranza commenti l'elezione di Obama dicendo che fa contenta Al Qaeda. È possibile che il leader di un altro partito di governo abbia definito "bingo bongo" gli africani. È possibile che un altro autorevole leader di quel partito abbia definito "culattoni" gli omosessuali. È possibile che un sindaco del Nord inviti a trattare gli immigrati come "leprotti", a fucilate. È possibile che Marcello Dell'Utri (interdetto dai pubblici uffici, e però senatore della Repubblica: è possibile anche questo) ammonisca le giornaliste del Tg3 perché abbassano il morale della Nazione. È possibile che il premier, proprietario di televisioni, nel pieno del suo ruolo istituzionale inviti gli imprenditori a non destinare investimenti pubblicitari ai suoi concorrenti. È possibile che, in piena crisi finanziaria, lo stesso premier esorti ad acquistare azioni indicandone il nome. È possibile che una trasmissione della televisione pubblica sia oggetto di una spedizione punitiva di squadristi. È possibile che un ex presidente della Repubblica rievochi la violenza e gli intrighi di Stato come metodo repressivo delle manifestazioni studentesche. E sono possibili mille altre di queste meraviglie, nel solo vero paese dove veramente tutto è possibile. Così possibile che si è già avverato. (6 novembre 2008)
  • Molti ebrei sono cittadini israeliani, e lo sono per legittima scelta e con pieno diritto. Ma molti altri ebrei non lo sono, vuoi per scelta vuoi per sorte individuale. E dunque la proposta di boicottare "i negozi degli ebrei" per protestare contro i vergognosi bombardamenti di Gaza è al tempo stesso razzista e ignorante, e per giunta, ambientata nel ghetto di Roma, fa riaffiorare le più fosche memorie della persecuzione nazifascista. (10 gennaio 2009)
  • Scrivete "Dio c'è", e nessuno vi accuserà di avere intenzioni offensive. Scrivete che non c'è, e si leverà un coro ostile. Questa è la differenza sostanziale tra teismo e ateismo. (14 gennaio 2009)
  • Ciò che i nuovi reazionari chiamano "relativismo" [...] è solo una maniera malevola di definire la libertà. (31 gennaio 2009)
  • Il terrore della morte traspare da atti e parole di alcuni credenti assai più che da atti e parole di spiriti laici. (5 febbraio 2009)
  • Esporsi al giudizio di una comunità è un atto nobile e umile, ma se la comunità è così fortemente dominata dalla menzogna e dalla superstizione, quanto vale il suo giudizio? Antigone ebbe il privilegio di ribellarsi alle leggi. Ma come ci si ribella all'illegalità? (10 febbraio 2009)
  • Il berlusconismo riassume così perfettamente ciò che le persone di sinistra non sopportano (ricchezza offensiva, ignoranza del limite, spregio per la cultura, clericalismo in campo etico e classismo anticristiano in campo sociale, più il resto che non sono spiccioli) da rendere ovvia la speranza che prima o poi questo momento deprimente e pericoloso della storia italiana finisca. (23 febbraio 2009)
  • L'idea di reintrodurre le divise scolastiche, in questo clima e in quest'epoca, ha qualcosa di nuovamente sovversivo: l'infrazione di regole – quelle del conformismo modaiolo – che sono più pervasive e più subdole di qualunque regolamento scolastico. (14 aprile 2010)
  • Rispetto ai numi quasi tutti improbabili – vendicativi, precettivi, prepotenti, esosi – che gli uomini si sono inventati, la Natura ha una sua oggettiva indiscutibilità: è quello che è e fa quello che sa fare. (18 aprile 2010)
  • Le battute su «Fini leader della sinistra» sono, appunto, solo battute, in genere parecchio scadenti, e rivelatrici non tanto della presunta «doppiezza» di Fini, quanto della monoliticità ottusa del berlusconismo. (30 aprile 2010)
  • Se esistesse un Emilio Fede di sinistra, direbbe che Emilio Fede quello vero, con il suo pistolotto sprezzante su Roberto Saviano, ha espresso, su Saviano, un'opinione molto simile a quella dei Casalesi. (11 maggio 2010)
  • Persone come Bondi non hanno tempo per la disonestà, e anche ne avessero la considererebbero un impiccio, un disturbo, tempo sottratto al solo impegno che li gratifica, che è servire fino allo stremo, fino alla rovina il destino del Capo. (12 maggio 2010)
  • Non ho mai capito che cosa sia esattamente Comunione e Liberazione, né cosa intendesse veramente dire il suo fondatore don Giussani, la cui prosa fiammeggiante e misteriosa è uno dei rebus irrisolti del ventesimo secolo. Per questo leggo diligentemente, e da parecchi lustri, le cronache del meeting di Rimini, cercando di rimediare a questa lacuna. Ma devo ammettere che più leggo, meno capisco. (27 agosto 2010)
  • Poiché la scelta dei parlamentari, con questo sistema elettorale inverecondo, è tutto sulle spalle dei leader, purtroppo se il dito indica Scilipoti, siamo tutti autorizzati a guardare Di Pietro. (9 dicembre 2010)
  • [Sulla controversia sul numero di campionati italiani vinti dalla Juventus F.C.] La Juventus ha tutto il diritto di ritenersi vittima di una sentenza sbagliata e cucirsi sulle maglie la terza stella. Ma un secondo dopo, la Federazione Italiana Gioco Calcio dovrebbe dichiararsi sciolta, perché il suo operato e quello della giustizia sportiva sono ritenuti carta straccia, e giudicati nulli, da una delle società più autorevoli e note del calcio italiano. Terze vie non ce ne sono, perfino in un Paese di ipocrisie e di pateracchi. Perché attribuirsi due scudetti revocati per frode sportiva non è solo un gesto di "orgoglio ritrovato", come pensa abbastanza puerilmente il presidente Andrea Agnelli. È, a tutti gli effetti, un gesto che sconquassa dalle fondamenta le istituzioni del calcio, le sconfessa, le rifiuta. È un durissimo chiamarsi fuori dal mondo in cui si opera e dalle sue regole. Nella vita, ovviamente, ci si può anche ribellare. Quello che non si può fare è credere che ci si possa ribellare al modico prezzo di qualche titolo di giornale, e cavarsela temperando le polemiche con un paio di interviste diplomatiche. (9 maggio 2012)
  • Il successo, in Italia, è sempre visto come un furto a danno dei mediocri. (28 aprile 2015)
  • Tra i vari consigli per affrontare la canicola forse manca quello decisivo: la resilienza. Termine di origine metallurgica, indica la capacità di un metallo di resistere a urti e torsioni. È dunque il contrario della fragilità, che come è noto dipende dalla mancanza di elasticità: chi non si piega, più facilmente si spezza. Per esteso, in psicologia e in senso lato il termine indica la capacità di sopportazione. Il resiliente patisce il caldo allo stesso modo del non resiliente: la differenza è che accetta il disagio come inevitabile, non si ribella dando in smanie e imprecando. Anche perché dare in smanie e imprecare aumenta, e di molto, la sudorazione e il malessere. E dunque, alla fine, lo stesso identico caldo ha, sul non resiliente, effetti assai peggiori. (19 luglio 2015)
  • Per attirare i gonzi di ogni ordine e grado, oggi non c'è metodo più efficace che agitare il fantasma di una casta malvagia che ha come solo scopo affamare il popolo. (29 dicembre 2016)
  • Dovessimo augurarci qualcosa, per il nuovo anno, non riguarda il mondo, la cui media annuale di violenze e nefandezze è piuttosto costante, nei decenni, e promette di essere invariata anche dopo la mezzanotte di oggi. Riguarda magari noi stessi, la nostra capacità di rimanere gentili e integri anche sotto gli urti dell'esterno. Si chiama resilienza, è termine derivato dalla metallurgia, ultimamente è una parola di successo ed è un successo meritato. Si può essere resilienti alle mode, alle offese, ai condizionamenti sociali, ai dissesti economici, alle crisi personali e alle crisi sociali. Resilienti non significa refrattari, ovvero indifferenti al mondo. Significa partecipi, significa che ci si offre al vento e ci si espone al cielo, ma con la capacità di non farsi spezzare o torcere o atterrare. (29 dicembre 2016)
  • [Sul termine "buonismo"] [...] quella parola è un alibi insostituibile: serve a ridurre ogni moto di umanità o di gentilezza a un'impostura da ipocriti, e di conseguenza ad assolvere ogni moto di grettezza e di disumanità. (26 febbraio 2017)
  • Per un momento di memoria vera bastano anche il fiore deposto, il gesto grato, lo scorcio di muro, la fotografia, il portone, la lapide, il cippo, la breve sosta silenziosa. Basta un minuto per sentire che oggi è il 25 Aprile. (25 aprile 2017)
  • È fuori moda parlare di emergenza antifascista, in questo Paese; non fosse che è il Paese che il fascismo lo ha incubato, partorito e regalato al mondo, e come tale dovrebbe farsi qualche controllo periodico. (17 maggio 2017)
  • È forte il ricordo di quando, nel 2011, le celebrazioni per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia si trasformarono, in tutto il Nord, in diffusa ricorrenza popolare, con il tricolore che occhieggiava ovunque. Lì ebbe fine, dal punto di vista emotivo, il secessionismo italiano. (31 ottobre 2017)
  • "La mafia è una montagna di merda", disse Peppino Impastato. Ma forse è molto meno di quello: la mafia è il niente, il niente che si organizza per derubare e tenere sotto schiaffo chiunque sia qualcosa, faccia qualcosa, produca qualcosa. La mafia è la dittatura degli incapaci. (18 novembre 2017)
  • Berlusconi è il firmatario di una bancarotta politica che non divenne anche economica per il rotto della cuffia. Se occorre ricordarlo non è tanto per arginare la sua grottesca permanenza sulla scena (chi lo vota crede nel paranormale). È soprattutto per segnalare che il paese, e con esso anche la diciassettesima legislatura, ha il merito di avere già voltato pagina rispetto a lui e alla sua funesta epoca. (30 dicembre 2017)
  • Il successo della Lega e di tipi come il Salvini, e delle destre nazionaliste virilmente atteggiate, è anche lo sbocco naturale per caterve di maschi alfa, beta e gamma gonfi di testosterone, e con un gran bisogno di sfogarsi. Settant'anni senza una guerra come si deve, per noi europei abituati a farne almeno una per ogni generazione, hanno lasciato il segno. Per le strade e nelle spiagge è pieno di potenziali miliziani, già con la faccia, lo sguardo, l'abbigliamento dell'attaccabrighe. (1° agosto 2018)
  • Finiti liberalismo e comunismo, destrutturato il lavoro in una poltiglia impalpabile, parlare di borghesia e di classe operaia è un po' come parlare di Romani e Cartaginesi. Parlandone da viva, però, è bene ricordare che fu, la borghesia, ovvero i ceti professionali delle città, la sola vera classe rivoluzionaria della modernità. Rivoluzione americana e rivoluzione francese furono rivoluzioni borghesi. (14 novembre 2018)
  • I nuovi grattacieli non sono tutti belli, ma sono il simbolo palpabile di un'energia che tocca la città [Milano] nel suo insieme, ed è stata il motore di un nuovo civismo. Sono le vie attorno ai grattacieli a essersi riempite, è rasoterra, non solo ai piani alti, che la città pulsa di nuova vita. [...] Là dove c'era l'erba verde, c'è una città: appunto, una città. E l'erba, dalle parti del Verziere (non lontano da via Cristoforo Gluck) non era per niente verde. Era color nafta. (18 dicembre 2018)
  • Mia bisnonna, italiana di Nizza, sposò un francese di Breglio (oggi Breil sur Roya). Fu una famiglia bilingue, cosmopolita, feconda e allegra. Morì per un attacco di cuore, su una panchina del porto di Nizza, pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra di Mussolini alla Francia, già invasa dai nazisti. (9 febbraio 2019)
  • Da tribù a tribù, visto che questa ormai è la dialettica nazionale: cari sindaci e assessori leghisti, se invece di andare al bowling (faccio per dire) foste entrati qualche volta in una libreria, ora potreste farvi un bel premietto o convegnuccio tutto vostro, senza essere costretti, per esistere, a passarvela da censori, spesso per giunta da censori somari. Gli inquisitori almeno parlavano bene il latino. (31 marzo 2019)
  • Salvini una discussione vera non la regge, è un uomo da tweet, da slogan, da proclamino spiccio e pettoruto. Per questo si circonderà di servi e di ossequienti, e questo lo renderà peggiore, non migliore. E spegnerà prima del dovuto la sua fortuna politica. (31 maggio 2019)
  • Tra i curdi e Trump, tribale è certamente il secondo, che giudica utili le guerre (sempre nei suoi orribili tweet) solo se "convenienti e vincenti" per la propria Nazione. Confermando che tra nazionalismo e provincialismo il passo è minimo: i nazionalisti hanno una testa da cortile. Mentre quel popolo povero, disperso e orgoglioso non si è mai chiesto, evidentemente, se fosse conveniente e vincente rischiare la pelle non solo per la propria indipendenza, ma per una tipica causa di interesse internazionale (la democrazia e la libertà, la resistenza al jihadismo), questo cafone miliardario, capo del Paese più ricco, potente e armato del mondo, come pretesto per riportare a casa i suoi cento soldati, ciascuno dei quali è da supporre armato e protetto più di cento curdi messi assieme, si permette di defalcare la guerra dei curdi all’Isis, con spregio, come trascurabile fenomeno locale. (8 ottobre 2019)
  • Ora che Kobe [Bryant] non c’è più sarebbe bello, ma soprattutto sarebbe giusto, dargli la cittadinanza italiana alla memoria, applicando nei fatti — perché è dai fatti che prende corpo — il famoso ius culturae : chi cresce e studia qui da noi, parla come noi, gioca insieme a noi, è uno di noi, e lo è per sempre. [...] Mi piacerebbe, anche, che grazie alla popolarità di Kobe, che non ha confini politici né geografici, si capisse che essere italiani, se si è cresciuti in Italia, non è una concessione, ed è addirittura qualcosa di più di un diritto: è identità. È essere ciò che si è. E Kobe Bryant aggiungerebbe che è anche una fortuna. (2 febbraio 2020)
  • Mi mancano i bar per la loro facilità di strada, sono aperti a chiunque passi. Lo sconosciuto entra nei bar della città sconosciuta senza incertezze, senza il dubbio dell’estraneità, la soglia di un bar non è mai un confine, è sempre un buongiorno o un buonasera. Nessun luogo pubblico è più pubblico. (3 maggio 2020)
  • L'insostenibile pesantezza del Male [ Pandemia di COVID-19] non può averla vinta sulla nostra sublime, vincente superficialità. Se siamo ancora vivi, cari ragazzi e care ragazze, è solo perché siamo superficiali. C'è chi ha reagito al dolore e alla costrizione cucinando, chi coltivando salvia e basilico, chi guardando su Sky Sport le vecchie partite di repertorio. Appartengo a tutte e tre le categorie. Embé? Voi invece siete tutti sopravvissuti leggendo Kierkegaard? (29 maggio 2020)
  • Chi non sa vincere non sa neanche perdere, è una vecchia legge dello sport e della vita, Trump ne è la perfetta conferma. Arrogante da vincitore, meschino da perdente, con la sua orchestrina di avvocati, come un qualunque riccone che crede di poter ribaltare ogni tavolo con il libretto degli assegni. Ogni giorno che passa ci si rende conto dell'importanza storica della sua sconfitta [nelle elezioni presidenziali del 2020]. Ma ci si rende conto, anche, di quale gigantesco lutto per la democrazia fu la sua elezione del 2016. (15 novembre 2020)
  • C’è del buono, in quanto è accaduto [assalto e occupazione di Capitol Hill]. Il buono è che la destra, non solo americana, sarà costretta a scegliere se stare con i nazisti dell’Illinois (il cui messia è Trump, il cui movente è Trump) e mettere gli scarponi sul tavolo del Congresso. Oppure, essere parte del Congresso. (8 gennaio 2021)
  • Si leggeva Augias con la sicurezza di ritrovare, sempre, quella misura, quella ostinata difesa della Repubblica (l'istituzione, ma anche il giornale, nomen omen...) come solo, vero territorio comune di tutte le persone di buona volontà. Leggendo Corrado si sentiva Parigi e si sentiva la Republique. (28 febbraio 2021)
  • [Dopo la vittoria italiana dei Campionati Europei di calcio del 11/7/2021] Se ci ricordiamo tutti di "un uomo solo è al comando, il suo nome è Fausto Coppi", è perché è una frase epica, secca, semplice, ingigantita dalla purezza della radio. L'alluvione di parole inutili di queste ore scomparirà, nel tempo, come vapore. Resteranno i gol, le parate, il gioco. (13 luglio 2021)
  • E' ricoverato per Covid uno dei No Vax che esultò per la morte di Sassoli, sostenendo (con zero informazioni, zero ragioni) che fosse morto di Covid. [...] Alla luce dei fatti si tratta di un fesso grave, forse incurabile, liquidabile con un sorrisetto di circostanza: non fosse che il fesso ha più di trentamila follower su Telegram, collettore fognario della comunicazione social. Perché, a differenza del fesso mite, il fesso odiatore, il fesso bullo, il fesso macho, ha ottime probabilità di avere successo. (20 gennaio 2022)
  • È uno spettacolo al quale siamo abituati, ma non per questo è meno incredibile: una fascista civilizzata e un incivile fascistizzato, con la benedizione di un miliardario in pensione che trent’anni fa fece finta, votatissimo, credutissimo, di essere un leader politico, si candidano al governo della Repubblica, nella quale, accidentalmente, abitiamo anche noi altri. Dentro la coalizione la postura è totalmente trumpista, tacitamente putinista, ma c’è l’amico Silvio e tanto basta per figurare abusivamente, in tutti i telegiornali, come “centrodestra” o addirittura come “moderati”. (23 luglio 2022)
  • Il ragazzetto americano che ha fondato un sito che perseguita i transessuali fino a stanarli nei loro nascondigli, fino a indurli al suicidio, e sventola sorridente la Bibbia come un mitra, quello è il fascismo dei nostri tempi; tanto quanto il Traini di Macerata che sparava agli africani per bonificare la Patria dalle razze impure; tanto quanto il Salvini che, da ministro degli Interni, andò a esprimere solidarietà in carcere a un imprenditore che aveva fatto inginocchiare un ladro di gasolio e gli aveva sparato nel petto. È successo due anni fa, non nel 1921. (9 settembre 2022)
  • Nel fondo ideologico del governo di destra, ben più della sinistra opacizzata, sarà la “deriva laica” il vero nemico da battere. L’intero pacchetto dei diritti (la buona morte e la libera gestione di maternità e paternità per primi) diventa sovversivo in quanto tale, perché rompe con la tradizione confessionale (religiosa mi sembra aggettivo inadatto, la religione è un’altra cosa) e non riconosce i presupposti “sacri” della vita e della Patria. Ai quali la società deve adeguarsi, chinando il capo ove necessario (quasi sempre il capo di una femmina). (22 ottobre 2022)
  • Il timore è che la destra al governo (compresi, sia detto per amor di cronaca, un po’ di fascisti) sdogani oggettivamente i modi bruschi. Che giovanotti di cultura semplice, solo perché indossano una divisa, credano che “adesso” è finalmente lecito alzare le mani. Compito primario della destra di governo sarebbe chiarire a tutti che il confine tra lecito e illecito, in uno Stato di diritto, non varia a seconda che al Viminale ci sia la destra o la sinistra o quant’altri. Sono i criminali, in genere, a ritenere che il corpo delle persone sia violabile. E a disporne con violenza. Gli uomini dello Stato non devono e non possono farlo, chiunque abbia vinto le elezioni. (26 maggio 2023)

Le cose che bruciano[modifica]

Incipit[modifica]

Dicono che mi sono rovinato con le mie mani.
Non che io le sappia per via diretta, le cose che dicono. Ormai sono voci di rimbalzo, voci remote riportate dai pochi con i quali sono ancora in contatto. Ma il senso è questo: Attilio Campi è uno che si è rovinato con le sue mani.

Citazioni[modifica]

  • Magari non si diventa migliori per convinzione, ma per la noia di essere sempre uguali a se stessi. (p. 21)
  • Faccio il verso del rigogolo. Scalzo, con le mani in tasca, sul prato davanti al bosco. È un fischio di tre-quattro note, l'ho imparato dall'orologio a muro che mi ha regalato mia moglie Maria. Allo scoccare di ogni ora emette il canto di un uccello. Dei dodici il rigogolo è il mio preferito. Il suo linguaggio è squillante, ma non assertivo. È una sequenza di soli punti interrogativi. Se vi capita di sentire, in mezzo a un bosco, una sequenza di punti interrogativi, sappiate che è il rigogolo. (p. 36)
  • Che qualcuno ci provi, a fare politica, è commovente. Nessun sarcasmo: "commovente" è la parola giusta. La politica è commovente, e commovente è chi fa politica, dal primo dei capipopolo all'ultimo dei traffichini. È il frettoloso malanimo degli sceneggiatori di fiction, o il moralismo strappapplausi dei giornalisti, a rappresentare il potere come un luogo sordido e guasto, ma non è più sordido e guasto di tutto il resto. È solo più esposto. (p. 39)
  • Nessuna eleganza è più elegante della trascurata indifferenza che l'asocialità consente [...] (p. 47)
  • La porta di casa, in campagna, è un confine vero e drammatico, non come le blande porte di città che separano appena scatola piccola da scatola più grande. La porta di campagna separa i protetti luoghi dell'abitare dall'immenso spazio e dall'immensa luce. Questo rende ben più definiti e apprezzabili tanto l'interno che ci custodisce quanto l'esterno che ci ammalia e travolge. (p. 48)
  • Sono sedie scadenti, con le gambe guaste, però "di famiglia". Formula che contiene, alla massima potenza, il micidiale ricatto della memoria: quello che, per onorare il passato, ostruisce il presente. (p. 57)
  • Il problema è che da ogni distruzione sprigiona, insieme al senso di liberazione, un'inquietudine: il timore di avere cancellato per sempre un segno che non potrà mai più essere replicato. Sono sicuro che anche il più feroce, il più perverso degli appiccafuoco (l'Inquisitore, il cacciatore di streghe), nell'attimo in cui vede le fiamme prevalere sulla sagoma conosciuta ha un attimo di sgomento. Vorrebbe tornare indietro. Ma non è più possibile, e per darsi un contegno finge di approvare un gesto di distruzione senza rimedio. (p. 60)
  • Poche cose riescono a testimoniare la fragilità della vita umana come le fotografie di famiglia. La determinazione con la quale le si accumula ha qualcosa di follemente feticista, come quelle cripte fatte di femori e costole che si visitano nei paesi cattolici dicendo "caspita, chissà quanti cadaveri sono serviti, per costruirla"; e osservi quei muri e quelle colonne calcinate con lo stesso sguardo allegramente morboso, da collezionista, con il quale valuti il ponte di Brooklyn fatto con i Lego, o Notre-Dame fatta con i fiammiferi. I corpi umani usati come laterizi sono laterizi, non più corpi umani. E i laterizi diventano macerie. E le macerie si buttano nelle apposite discariche. (p. 63)
  • Più tecnologico della simbiosi tra pollice opponibile e cervello, peraltro, esiste qualcosa? Dico, più in generale, esiste qualcosa di più avveniristico della natura così come si è sviluppata in due o tre miliardi di anni, dal protozoo fino a me? Si conosce un altro esperimento scientifico più solidamente verificato, contraddetto e incidentato milioni di volte, poi riavviato, perfezionato, ritoccato in ogni minuto dettaglio? (p. 66)
  • Tra gli odori della vita, quello di terra bagnata è uno dei più grati e rappresentativi. Schiude il naso e porta alla fronte, che è sede del nostro comprendonio, notizie del giubilo in corso al livello del suolo. (p. 87)
  • Annaffiare è magnifico. Sei il vicario del cielo, reggi tra le mani un temporale addomesticato, ti senti potente e provvido. (p. 88)
  • Gli epistolari, peraltro, ditemi se non sono noiosi: dei cento conservati in polverosi archivi, o addirittura pubblicati, al massimo un paio contengono notizie interessanti sull'andamento del mondo. Il resto è un cicaleccio senza fascino, una matassa di banalità dentro la quale, se ne avete il tempo e la voglia, potreste forse rinvenire qualche pagliuzza d'oro caduta dalla penna di uno scrittore o di un filosofo o di un capo di governo tra una disputa condominiale e un "salutami i tuoi cari". Leggere una tonnellata di parole per rintracciare una frase interessante. Ne vale la pena? (p. 125)
  • "Quando vivevo in città andavo a dormire all'alba. Adesso all'alba mi sveglio. E dunque posso dire di avere visto l'alba dai due versanti opposti. Prima da una parte e poi dall'altra".
    "E da che parte la preferisci?"
    "E me lo chiedi? Da questa! Prima, quando arrivava l'alba, tutto finiva. Adesso tutto comincia." (p. 158)

Explicit[modifica]

La Terza guerra mondiale non è ancora scoppiata. Ma se ne sente nell'aria l'odore. Certe sere Attilio, finito il lavoro, alla sommità del campo di zafferano, guarda in direzione della pianura chiedendosi per quanto tempo ancora, a Roccapane, si potrà lavorare in pace. Poi raccoglie i suoi attrezzi e torna a casa.

Ognuno potrebbe[modifica]

Incipit[modifica]

Nelle fotografie mi si riconosce perché sono l'unico che non fa niente. Non saluto, non rido, non faccio smorfie, non sventolo le braccia, non mostro pollici o indici secondo la mimica manuale in uso, non mi protendo verso l'obiettivo, non abbraccio il vicino, non ammicco. Niente. Non mi viene da fare proprio niente. Sono nient'altro che me stesso in tutta la mia inerte normalità, in un istante casuale tra i tanti che compongono la mia vita.

Citazioni[modifica]

  • Le rotonde sono milioni, da queste parti. Produciamo rotonde. Di tutto il resto è come se si fosse perduto l'originale, la madreforma dalla quale le cose scaturiscono in file ordinate, con l'energia di un esercito in marcia. L'esercito delle merci si è fermato. Forse è solo un lungo bivacco, forse qualcuno ha dato il definitivo "rompete le righe", ancora non è chiaro. Ma le rotonde no, loro continuano a nascere, in misteriosa autonomia. La loro corolla discoidale sboccia ovunque come se quell'unica specie avesse capito come moltiplicarsi mentre intorno disseccano, uno dopo l'altro, tutti gli altri fiori. (p. 28)
  • Non saprei dire quando sia cominciata esattamente, qui dalle nostre parti, questa faccenda dell'"a me non me la danno mica a bere". Forse covava già sottotraccia, come un batterio dormiente, incistato nei soggetti più sospettosi, più suscettibili, che poi si è insinuato in tutti gli altri. Sta di fatto che di colpo, come per un contagio improvviso, quasi tutti hanno cominciato a sentirsi uno al quale non la si dà mica a bere; e a scoprire verità occulte e trame sordide, qualcosa che qualcun altro aveva fin lì tenuto nascosto all'evidenza per trarne lucro o potere. (p. 37)
  • [...] Niente come una vita insoddisfacente è in grado di generare credenze ridicole e devozioni disperate: se c'è un buon termometro della tristezza collettiva è la credulità collettiva. Gli stessi, esattamente gli stessi che ogni cinque secondi tengono a precisare che "a me non la danno mica a bere", sono poi i primi a farsi turlupinare dalle panzane più assurde e a cadere nelle trappole più dolorose. Gli cito come esempio probante alcune delle più tipiche derive mentali dell'epoca e del luogo, i neotemplari, le inseminate dagli alieni, la gemmoterapia, una di Vercelli che un bel mattino si mette il burqa, il partito politico convinto che il web sia il viatico della liberazione umana. (p. 68)
  • [...] Non avete anche voi l'impressione che davvero l'ingombro delle persone stia aumentando, e da parecchi punti di vista? Siamo veramente sicuri che non esista una corrispondenza tra ingombro psichico e ingombro fisico di una persona? Una o uno che riproduce la propria immagine dieci o venti volte al giorno, da quando si lava i denti a quando mangia la pizza con suo cugino, e di ciascuna di queste dieci o venti immagini fa pubblicazione così da essere, ogni giorno, diecimila o ventimila volte percepito e magari altrettante volte ritrasmesso; una o uno che dice e scrive io a raffica, dapperdutto, sempre, praticamente usanto gli io come i punti del puntocroce che crivellano pian piano la tela; le due ragazze americane in jeans che nel forno crematorio di Auschwitz – le ho viste con i miei occhi – si fanno un selfie; il mio coetaneo che l'altro giorno, sul treno, litigando con l'avvocato della ex moglie, vociava nell'egòfono le condizioni del suo divorzio di fronte a cinquanta persone che fingevano indifferenza per coprire l'imbarazzo; be', non sarebbe verosimile, scusate, che tutte queste persone, giorno dopo giorno, centimetro dopo centimetro, occupassero uno spazio fisico maggiore? (pp. 87-88)
  • Forse [...] nessun dramma personale è tale da poter essere vomitato in faccia agli altri. Per quelli rimediabili, basta e avanza la commedia. Per quelli irrimediabili, in novecentonovantanove casi su mille è preferibile il silenzio. È più decente. (p. 89)
  • Accetto discussioni sul fatto che i Kings of Leon possano anche non essere il migliore gruppo rock del mondo. Posso anche ammettere che siano soltanto tra i primi tre. Ma è oggettivamente appurato che il loro leader Caleb Followill è il più grande cantante rock mai esistito. Fidatevi. In parecchi anni di musica in macchina, imbozzolato nei suoni per proteggermi dalla dolorosa insulsaggine dell'esterno, la voce di Caleb mi ha sollevato più di ogni altra. (pp. 93-94)
  • [...] L'Oklahoma, già dal nome, profuma di praterie e di spazio. Io ho sempre giudicato gli stati americani dal nome, l'Oklahoma non può essere un posto di merda. E nel caso lo fosse, per cortesia non fatemelo mai sapere. (p. 94)
  • Non so quante volte l'ho già sentito, in quante situazioni diverse, da quante persone differenti, che devo crederci. Che bisogna crederci. Si tende a trascurare il fatto che se la speranza è un dovere, prima o poi è destinata a diventare odiosa. (p. 99)
  • Quando li senti latrare come cani tu guardali bene, Giulio, dice spesso la vecchia Oriani. Se la tirano da padroni, ma hanno lo sguardo del servo. Se sono così arroganti, così furiosi, è perché sanno di essere servi per l'eternità, e più diventano ricchi più rimangono servi, e più rimangono servi più la loro ricchezza, invece di sollevarli, li fa sentire a terra. (p. 115)
  • Ognuno potrebbe salvare il posto dove vive. O perlomeno ha il diritto di vivere per un istante – anche un solo istante, come capita a me questa mattina – pensando che sarebbe capace di farlo. (p. 120)

Incipit di alcune opere[modifica]

Gli sdraiati[modifica]

Ma dove cazzo sei?
Ti ho telefonato almeno quattro volte, non rispondi mai. Il tuo cellulare suono a vuoto, come quello dei mariti adulteri e delle amanti offese. La sequela interminata degli squilli lascia intendere o la tua attiva renitenza o la tua soave distrazione: e non so quale sia, dei due "non rispondo", il più offensivo. Per non dire della mia ansia quando non ti trovo, cioè quasi sempre. Ho imparato a relegarla tra i miei vizi, non più tra le tue colpe. Non per questo è meno greve da sopportare. Ogni sirena di ambulanza, ogni riverbero luttuoso dei notiziari scoperchia la scatola delle mie paure. Vedo motorini schiantati, risse sanguinose, overdose fatali, forze dell'ordine impegnate a reprimere qualche baldoria illegale. Leggo con avidità masochista le cronache esiziali del tuo branco, quelli schiacciati tra la calca dei rave party, quelli fulminati dagli intrugli chimici, quelli sgozzati in una rissa notturna in qualche anonimo parcheggio di discoteca, quelli pestati a morte da gendarmi indegni della loro divisa.

Breviario comico[modifica]

2002
L'anno dell'euro, di quando,
stabilito che i terroristi venivano dall'Arabia Saudita,
gli americani decisero di attaccare l'Afghanistan,
dello scontro fra civiltà, del processo a Previti,
di quando anche in Italia si schiantò un aereo su un grattacielo,
dei primi ospiti di Guantanamo,
di quando l'arbitro Moreno arbitrò,
e la Moratti cominciò a pensare di riformare la scuola,
del dibattito nella destra, della Cirami, del gossip,
di quando in Val d'Aosta venne ucciso un bambino,
di quando rientrarono i Savoia,
di quando Padre Pio fu fatto alla svelta santo.
E di quando frate Indovino morì semplicemente frate.

Tutti i santi giorni[modifica]

Ottimismo
Quando la voce della radiosveglia è quella del ministro Calderoli, uno che neanche Nostradamus poté immaginare nelle sue più lugubri quartine. O quando la prima immagine del telegiornale è quella degli avvocati del premier che a dozzine, come le uova, presidiano la fortezza dei Porci comodi. O quando la prima impressione del mondo è che i mostri ne abbiano preso possesso, sotto forma di ganze con la bocca rifatta che invadono il video, o dei brutti di fondovalle che incredibilmente fanno il ministro. È allora che, da subito, si vorrebbe disconnettere la propria esistenza da quella degli altri. Girarsi dall'altra parte e rimettersi a dormire, come se quelle voci fossero state solo un brutto e mediocre sogno. E chiedersi come mai non si è ancora provveduto a farsi svegliare, al mattino, solo dallo schiamazzo degli uccellini, al riparo dalla cronaca e (magari!) dalla Storia. Poi, si sa, non è così che si decide di fare. Basta pochissimo – un pensiero decente, una faccia dignitosa, una parola allegra – a rassicurarci, o comunque a rabbonirci. Nel mare di pessime cose che ci ondeggia attorno, e minaccia di sopraffarci, anche un turacciolo apparso all'improvviso ci sembra l'isola sulla quale mettersi in salvo. Ci ho pensato parecchio, e ho concluso che quello che ci frega non è il pessimismo, non la depressione, non il malumore. Quello che ci frega, e ci fa alzare al mattino, e non ci fa disertare, è l'ottimismo. Se il nostro sguardo sul mondo fosse un poco più lucido avremmo già dato, da tempo, le dimissioni.

Il ragazzo mucca[modifica]

"Bentornato Antonio", disse il Grande Otorongo.
Stavo seduto nell'erba secca, con le spalle appoggiate al nume di pietra e lo sguardo rivolto al vallone. Nonostante fosse la fine di marzo faceva ancora molto freddo, e l'aria turbinante del crinale si infilava ovunque. Tirai fino al collo lo zip della giacca a vento. Adagiai la nuca tra le mani intrecciate e presi a seguire con gli occhi le nuvole filanti. Due poiane in caccia remigavano controvento, sospese nel celeste in attesa di tuffarsi sopra qualche sorcio incauto.
"Sei molto pallido", riprese Otorongo.
"Sono stato male. Parecchio male."
"E sei tornato per guarire?"
"Sì. Almeno in teoria. Ho bisogno di restarmene tranquillo per qualche giorno. E mi stavo proprio chiedendo, mentre salivo da te, se ne sono ancora capace."

Note[modifica]

  1. Da un monologo nel programma Che tempo che fa di Rai 3, 27 febbraio 2022; citato in un post sul profilo ufficiale @chetempochefa, twitter.com, 27 febbraio 2022.
  2. Citato in Le formiche in giro per il mondo, Corriere della Sera, 25 agosto 2002.
  3. Citato in Festival senza Berlinguer, La Stampa, 31 agosto 1986.
  4. Dall'introduzione a Mark Twain, Viaggio in paradiso, traduzione di Maria Celletti Marzano, Gruppo Editoriale L'Espresso, 2011, p. 7.
  5. Dal Corriere della Sera, 1º luglio 2006, p. 19.
  6. Citato in Cesare G. Romana, Smisurate preghiere. Sulla cattiva strada con Fabrizio De André, Roma, Arcana, 2005, p. 90. ISBN 88-7966-394-1.
  7. Audio disponibile su tv.repubblica.it, 6 novembre 2008.
  8. Da Che tempo fa, Feltrinelli Editore, 1999.
  9. a b Al sicuro dalla banalità; in Gaber, Giorgio, il Signor G. Raccontato da intellettuali, amici, artisti, a cura di Andrea Pedrinelli, Kowalski, Milano, 2008, p. 119. ISBN 978-88-7496-754-4
  10. a b Da "Fa più politica don Ciotti in un giorno che il Pd in un anno", ilfattoquotidiano.it, 19 settembre 2010.
  11. Da L'Espresso n. 25, 2004.
  12. Dall'intervista di Salvatore Merlo, "Le intercettazioni sono violenza mediatica. Quella del 'bavaglio' è una lagna ipocrita". Parla Michele Serra, ilfoglio.it, 27 gennaio 2023.
  13. Citato in Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, Palla lunga e pedalare, Dalai Editore, 1992, p. 48. ISBN 88-8598-826-2
  14. Da [1], L'Unità, p. 1, 24 settembre 1993.
  15. Da Il suo romanzo popolare, la Repubblica, 22 marzo 2020, p. 32.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]