Gustave Flaubert

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Gustave Flaubert

Gustave Flaubert (1821 – 1880), scrittore francese.

Citazioni di Gustave Flaubert[modifica]

Democrasserie.[1]
  • Il dono di creare esseri umani manca a questo genio. Se avesse questo dono, Hugo avrebbe sorpassato Shakespeare.[2]
  • L'orgoglio è una bestia feroce che vive nelle caverne e nei deserti; la vanità invece è un pappagallo che salta di ramo in ramo e chiacchiera in piena luce.[3]
  • La foglia caduta si agita e vola al vento; così io vorrei volare, andarmene, partire per non tornare più, non importa dove, ma lasciare il mio paese; la mia casa mi pesa sulle spalle, sono entrato e uscito tante volte dalla stessa porta! Tante volte ho alzato gli occhi verso lo stesso posto, verso il soffitto della mia camera, che dovrebbe esserne consumato.[4]
  • [Marie] Avrebbero avuto ragione, ella non era forse più bella né più ardente di un'altra; ho paura di amare soltanto una concezione del mio spirito e di desiderare in lei solo l'amore che mi aveva fatto sognare.[4]
  • [Le metamorfosi] Mi dà le vertigini, mi abbaglia: la natura in se stessa, il paesaggio, l'aspetto puramente pittoresco delle cose vi sono trattati alla maniera moderna e con un soffio antico e cristiano ad un tempo che li pervade. Vi si sente l'incenso e l'orina: la bestialità si congiunge al misticismo.[5]
  • Quando urla, come la voce, il cuore diventa rauco.[6]
  • Sono giunto alla ferma convinzione che la vanità è alla base di tutto e che anche ciò che chiamiamo coscienza non è altro che vanità interiore.[7]
  • Tre cose occorrono per essere felici: essere imbecilli, essere egoisti e avere una buona salute. Ma se vi manca la prima tutto è finito[8].[9]

Attribuite[modifica]

  • CANTANTE. [...] Il tenore ha sempre una voce piacevole e tenera, il baritono un organo simpatico e ben timbrato, il basso una possente emissione.[10]
  • Le persone sposate devono vivere eternamente insieme per essere punite della sciocchezza che hanno fatto sposandosi.[11][12]
  • PROPRIETÀ. Uno dei fondamenti della società. Più sacra della religione.[10]

Bouvard e Pécuchet[modifica]

Incipit[modifica]

Camillo Sbarbaro e Michele Rago[modifica]

Con quel caldo – trentatre gradi – in corso Bourdon non un'anima.
Lì sotto, come una riga diritta, il canale Saint-Martin, la sua acqua d'inchiostro, chiusa tra le due dighe. In mezzo al canale, un barcone carico di legname; e sulla sponda, una doppia fila di botti.
Al di là, tra le case, separate da cantieri, il grande cielo terso si ritagliava in rettangoli di azzurro oltremare; e, accesi dal riverbero del sole, il bianco delle facciate, l'ardesia dei tetti, il granito delle calate spiccavano da abbagliare la vista. Un indistinto brusio saliva laggiù nell'aria di piombo; e tutto pareva intorpidito dall'ozio domenicale e dalla tristezza del giorno estivo.

Bruno Schacherl[modifica]

Poiché la temperatura era di 33 gradi, il boulevard Bourdon era completamente deserto.
Più giù il canale San Martino, tra le due chiese, stendeva in linea retta la sua acqua colore dell'inchiostro. C'era nel mezzo un battello pieno di legna, e sull'argine due file di botti.
Oltre il canale, tra le case intercalate alle fabbriche, il grande cielo puro si sfaldava in lamine di colore oltremare, e sotto il reverbero del sole, le facciate bianche, i tetti d'ardesia, le rive di granito mandavano barbagli. Un rumore confuso saliva lontano nella calda atmosfera; e tutto sembrava intorpidito nell'ozio della domenica e la tristezza delle giornate estive.[13]

Citazioni[modifica]

  • L'arte, in certe circostanze, scuote gli animi mediocri e dei mondi possono esser loro rivelati dai suoi interpreti più grossolani.
  • La folla immancabilmente segue l'andazzo. Al contrario sono sempre i pochi che aprono la strada al progresso.
  • Lo spiritismo ha per dogma l'immancabile progressivo migliorarsi dell'umanità. Un giorno, la terra diverrà il cielo.
  • Se l'individuo non può saper niente, perché tutti insieme ne saprebbero di più?

Dizionario dei luoghi comuni[modifica]

  • ACADÉMIE FRANÇAISE. Denigrarla, ma far di tutto per diventarne membro. (p. 9)
  • AGENTI DI BORS. Tutti ladri.
  • ARCHITETTI. Tutti imbecilli.
    Fanno le case e si dimenticano sempre le scale.
  • BIONDE. Più calde delle brune (v. brune).
  • BRUNE. Più calde delle bionde (v. bionde).
  • CALVIZIE: Sempre precoce e provocata da eccessi giovanili, oppure dal concepire pensieri elevati.
  • CIGNO: Canta prima di morire.
    Con l'ala può spezzare la coscia a un uomo.
    Il cigno di Cambrai non era un uccello ma un vescovo.
    Il cigno di Mantova è Virgilio.
    Il cigno di Pesaro è Rossini.
  • CORANO. Libro di Maometto che parla solo di donne.
  • CROCEFISSO. Fa bella figura nell'alcova e sulla ghigliottina.
  • ECCEZIONE. Dite che «conferma la regola»; non azzardatevi a spiegare come.
  • EREZIONE. Si usa soltanto a proposito di monumenti.
  • ESTATE. Sempre eccezionale (v. inverno).
  • FIRMA. Più è complicata, più è bella.
  • FORTUNA. «Audaces fortuna juvat». «Beati i ricchi, ne hanno di fortuna!».
    Quando vi parlano di una fortuna considerevole è bene osservare: «Sì, ma è veramente solida?».
  • GENIO. Inutile ammirarlo, è una «nevrosi».
  • IMBECILLE. Chiunque la pensa diversamente da noi.
  • INVERNO. Sempre eccezionale (v. estate).
  • ITALIANI. Tutti traditori. Tutti musicisti.
  • MACELLAI. Terribili in tempo di rivoluzione.
  • MALATO. Per risollevare il morale di un malato, ridere della sua infermità.[14]
  • MARE. Non ha fondo.
    Immagine dell'infinito.
    Fa venire grandi pensieri.
    In riva al mare bisogna sempre avere un cannocchiale.
    Quando lo si guarda, dire sempre: «Quanta acqua!».
  • MASSONERIA. Un'altra causa della Rivoluzione!
    Le prove di iniziazione sono terribili, c'è chi ne è morto.
    Causa di litigi in famiglia.
    Guardata di traverso dagli ecclesiastici.
    «Quale mai sarà il loro segreto?».
  • MATERASSO. Più è duro, più è igienico.
  • PENSARE. Increscioso.
    Le cose che ci costringono a farlo vengono di solito accantonate.
  • RIMA. Non va mai d'accordo con la ragione.
  • RISPARMIO (al). Bell'insegna di bottega: ispira fiducia.
  • SERVIZIO. È per far loro un servizio che i bambini si sculacciano; gli animali si bastonano; i domestici si licenziano; i malfattori si puniscono.
  • STAMPA. Scoperta meravigliosa.
    Ha fatto più male che bene.
  • TEMPO. Eterno argomento di conversazione.
    Causa universale delle malattie.
    Lagnarsene sempre.
  • VOLTAIRE. Celebre per il suo spaventevole «rictus».
    Conoscenze scientifiche superficiali.

L'educazione sentimentale[modifica]

Incipit[modifica]

Beniamino Dal Fabbro[modifica]

La mattina del 15 settembre 1840, verso le sei, il Ville de Montereau, in procinto di partire, fumava a grandi spire vorticose davanti al Quai San Bernardo. I viaggiatori in ritardo sopraggiungevano col fiato corto; barili, canapi, cesti di biancheria ingombravano il passaggio; i marinai non rispondevano a nessuno, la gente si urtava, nel varco tra i due tamburi s'issavano a bordo i bagagli; e il frastuono era soverchiato dallo strepito del vapore emesso da lastre di lamiera, che tutto avvolgeva in una nuvola biancastra, mentre la campana rintoccava ininterrotta, sul davanti.

[Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, traduzione di Beniamino Dal Fabbro, Einaudi Editore, 1954.]

Marga Vidusso Feriani[modifica]

Il 15 settembre 1840, verso le sei del mattino, il Villede-Montereau, pronto a partire, lanciava grosse volute di fumo davanti al quai Saint-Bernard.
Arrivavano ritardatari affannati: barili, gomene, cesti di biancheria intralciavano il passaggio; i marinai non prestavano orecchio a nessuno; la gente si urtava, i bagagli si ammucchiavano fra i due tamburi delle ruote. Il frastuono era assorbito dal sibilo del vapore che sfuggiva dalle lastre di lamiera e avvolgeva ogni cosa in una nube biancastra, mentre la campana a prua squillava senza posa.
Finalmente il battello partì; e le due rive, fitte di magazzini, di cantieri e di officine, sfilarono come due nastri che si svolgano.

[Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, traduzione di Marga Vidusso Feriani, Gherardo Casini Editore, Roma 1966.]

Lalla Romano[modifica]

Il 15 settembre 1840, verso le sei del mattino il Villede-Montereau stava per partire e spandeva grosse volute di fumo davanti al quai Saint-Bernard.
Arrivavano persone trafelate; barili, gomene, cesti di biancheria ingombravano il passaggio; i marinai non rispondevano a nessuno; la gente si urtava, i bagagli venivano issati tra le due ruote, e il frastuono si confondeva col sibilo del vapore che sfuggiva tra le lamiere e avviluppava tutto con una nube biancastra, mentre la campana di prua rintoccava senza interruzione.
Finalmente il battello si mosse; e le due banchine, sulle quali erano allineati magazzini, cantieri e officine, sfilarono come due grandi nastri che si srotolano.

[Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, traduzione di Lalla Romano, Einaudi, 1985.]

Citazioni[modifica]

  • Le persone "con i piedi per terra" dicono che l'amore è una follia. In realtà ciò che accade è che la fantasia violentemente distorta da immagini piacevolissime, dove ogni passo ti avvicina alla felicità, viene crudamente riportata alla dura realtà. (1984)
  • Non c'è nulla di così umiliante come vedere gli sciocchi riuscire nelle imprese in cui noi siamo falliti. (I, V)
  • A poco a poco la serenità del lavoro lo placò. Immergendosi nella personalità degli altri, dimenticò la sua, il che è forse il solo modo di non soffrirne. (II, III; 1998, p. 172)
  • Benché quelle teorie, nuove come il giuoco dell'oca, fossero state abbastanza discusse da quarant'anni a questa parte, ce n'era da riempire intere biblioteche, tuttavia spaventavano i borghesi, come una gragnuola d'aeroliti; e la gente se ne indignò, in forza dell'odio che ogni idea nuova suscita sempre, e semplicemente perché è un'idea. (III, I; 1998, p. 274)
  • Vi è un momento nelle separazioni in cui la persona cara ha cessato di essere con noi. (1954)

Explicit[modifica]

Beniamino Dal Fabbro[modifica]

Ora, una domenica, mentre tutti erano ai vespri, Federico e Deslauriers, fattisi prima arricciare, colsero fiori nel giardino della signora Moreau, uscirono dalla porta dei campi, e dopo un gran giro per i vigneti tornarono alla Pescheria e s'infilarono dalla Turca, sempre tenendo in mano quei grandi mazzi. Federico aveva offerto il suo, come un innamorato alla sua promessa : ma il caldo che faceva, l'apprensione dell'ignoto, una specie di rimorso, e persino il gusto di vedere, con una sola occhiata, tante donne a sua disposizione, lo commossero talmente, che divenuto pallidissimo era rimasto fermo, senza dire una parola. Tutte ridevano, rallegrate del suo imbarazzo; e credendo che lo burlassero, Federico era fuggito. Siccome proprio lui aveva il denaro, anche Deslauriers fu costretto a seguirlo. Li videro uscire, e ne nacque una storia non ancora dimenticata, tre anni dopo. I due amici se la contarono prolissamente, ciascuno completando i ricordi dell'altro. E quand'ebbero finito :
«Il nostro meglio, forse, lo abbiamo avuto allora» disse Federico.
«Proprio allora lo abbiamo avuto, forse, il nostro meglio» disse Deslauriers.

[Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, traduzione di Beniamino Dal Fabbro, Einaudi Editore, 1954.]

Marga Vidusso Feriani[modifica]

Una domenica mentre tutti erano ai Vespri Federico e Deslauriers, dopo essersi fatti radere e arricciare i capelli, avevano raccolto dei fiori nel giardino della signora Moreau, erano usciti dalla parte dei campi e, fatto un lungo giro attraverso i vigneti, eran tornati per la Peschiera e si erano infilati dalla Turca, sempre coi loro mazzi di fiori in mano. Federico aveva offerto il suo come un pretendente a una fidanzata. Ma un po' per il caldo che faceva là dentro, un po' per lo sgomento dell'ignoto, per una specie di rimorso, fors'anche per il piacere di vedere con una sola occhiata tante donne tutte a sua disposizione, Federico s'emozionò a tal punto che si fece pallidissimo e restava lì senza muoversi, senza parlare. Le ragazze, rallegrate dal suo imbarazzo, s'erano messe a ridere; credendosi beffato, Federico era scappato via, e dato ch'era lui ad avere i soldi, Deslauriers era stato costretto a seguirlo. Li avevan visti uscire, e n'era nata una storia di cui si parlava ancora dopo tre anni. Se la raccontavano da capo con tutti i particolari; ciascuno completava i ricordi dell'altro. Quand'ebbero finito: "Non abbiamo mai avuto niente di meglio, dopo" disse Federico. "Già, forse hai proprio ragione: non abbiamo avuto di meglio" disse Deslauriers.

[Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, traduzione di Marga Vidusso Feriani, Gherardo Casini Editore, Roma, 1966.]

La signora Bovary[modifica]

Incipit[modifica]

Giuseppe Achille[modifica]

Stavamo nell'aula di studio quando entrò il preside seguito da un nuovo[15] vestito in borghese, e da un bidello che portava un grosso banco. Quelli che dormivano si svegliarono, e tutti si alzarono in piedi, come colti in pieno lavoro.

[Gustave Flaubert, Madame Bovary, traduzione di Giuseppe Achille, BUR, 2007. ISBN 9788817100731]

Fruttero & Lucentini[modifica]

Eravamo in aula di studio, dopo le lezioni, quando entrò il Preside seguito da un «nuovo» in abito borghese e da un bidello che trasportava un grosso banco. Quelli che dormivano si svegliarono, e ciascuno si alzò come chi è sorpreso nel suo lavoro.
[Gustave Flaubert, La signora Bovary, citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Natalia Ginzburg[modifica]

Eravamo nell'aula di studio, quando il Rettore entrò, seguito da un nuovo in abiti borghesi e da un inserviente che portava un grosso banco. Quelli che dormivano si svegliarono, e ognuno s'alzò, come sorpreso nel lavoro.

[Einaudi, traduzione di Natalia Ginzburg]

Gerolamo Lazzeri[modifica]

Quando entrò il Direttore, seguito da un nuovo in abito borghese e da un bidello, che portava un gran banco, eravamo nell'aula di studio. Quelli che dormivano si destarono, e ciascuno si alzò come sorpreso nel lavoro.

[Gustave Flaubert, Madame Bovary, traduzione di Gerolamo Lazzeri, Mursia, 1966.]

Bruno Oddera[modifica]

Stavamo studiando, quando entrò il preside seguito da un nuovo alunno vestito in borghese e dal bidello che trasportava un grosso banco. Quelli che dormivano si svegliarono e si alzarono in piedi come sorpresi in piena attività.

[Gustave Flaubert, Madame Bovary, traduzione di Bruno Oddera, Fratelli Fabbri editore, Milano, 1968]

Diego Valeri[modifica]

Eravamo allo studio, quando il Rettore entrò, seguito da un nuovo, vestito ancora dei suoi abiti borghesi, e da un bidello che portava un gran banco. Quelli che dormivano si destarono, e tutti si alzarono in piedi, come sorpresi in mezzo al lavoro.

[Gustave Flaubert, Madame Bovary, traduzione di Diego Valeri, Oscar Mondadori 1992.]

Citazioni[modifica]

  • L'amore, pensava, doveva manifestarsi di colpo, esplosione di lampi e fulmini, uragano dei cieli che si abbatte sulla vita, la sconvolge, strappa via ogni resistenza come uno sciame di foglie e risucchia nell'abisso l'intiero cuore.
  • (Rodolphe).."Eh, non sapete che ci sono anime in perenne tormento? Aspirano via via al sogno e all'azione, alle passioni più pure, ai godimenti più furibondi, e così sprofondano in ogni sorta di fantasie, di follie."
    Allora (Emma) lei lo guardò come si contempla un viaggiatore che abbia visto paesi straordinari. Riprese : "Non abbiamo nemmeno questa distrazione, noi, povere donne."
    "Triste distrazione se non vi si trova la felicità."
    "Ma è mai possibile trovarla?" lei domandò.
    "Sì, prima o poi è possibile."
    "Prima o poi è possibile- ripeté Rodolphe,- prima o poi, all'improvviso e quando ormai si disperava. Allora orizzonti si schiudono e pare che una voce gridi :"Eccola". Si è spinti a confidarle la nostra vita a quella certa persona, a darle tutto, a sacrificarle tutto. Non c'è bisogno di alcuna spiegazione, ci s'intende. Ci si era già confusamente visti nei sogni – e la guardava. – Eccolo insomma quel tesoro tanto a lungo cercato, eccolo a portata di mano, rifulgente, scintillante. Pure si dubita ancora, non si ha il coraggio di credere, si è abbagliati, al pari di chi esce dalle tenebre alla luce."
  • Desiderava morire e al tempo stesso vivere a Parigi.
  • "Non vi ripugna questa congiura del mondo? C'è un solo sentimento che esso non condanni? Gli istinti più nobili, le simpatie più pure sono perseguitati, calunniati, e se si trovano due povere anime, tutto è organizzato perché non possano incontrarsi. Eppure esse tenteranno, sbatteranno le ali, si lanceranno richiami. Facciano pure!
    Presto o tardi, fra sei mesi o dieci anni potranno riunirsi, amarsi, perché lo esige la fatalità, perché sono nate l'una per l'altra".
  • "Rapiscimi, portami via, partiamo! A te, a te, tutti i miei ardori e tutti i miei sogni!"
  • Quanto agli eccessi, se n'era sempre astenuto, un po' per pusillanimità, un po' per delicatezza.
  • Entrò nella cucina della locanda con la gola stretta, le gote pallide e quella determinazione dei codardi che nulla può fermare.
  • Il più mediocre libertino ha sognato sultane; ogni notaio si porta dentro le macerie di un poeta.
  • La domenica, a messa, quando alzava la testa, scorgeva, scorgeva, trai fumi azzurrastri dell'incenso, il viso dolce della Vergine. Allora si intenerì: si sentì molle ed abbandonata come una piuma volteggiante nella tempesta; e fu quasi senza rendersene conto che si incamminò verso la chiesa, disposta a qualsiasi devozione pur di assorbirvi l'animo intero.
  • Immerse il pollice destro nell'olio, e cominciò le unzioni: prima sugli occhi, che avevano tanto bramato tutte le magnificenze terrestri; poi sulle narici, ghiotte di brezze tiepide e di profumi d'amore; poi sulla bocca, che si era aperta per la menzogna, che aveva mandato gemiti d'orgoglio e gridato alla lussuria; poi sulle mani, che avevano goduto contatti soavi, e infine sulla pianta dei piedi, così rapidi un tempo, quando ella correva a soddisfare i suoi desideri, e che ora non avrebbero camminato più.
  • "Ma stia zitto, signor Homais! Queste sono empietà! Lei non ha religione!" "Io ho una religione" rispose il farmacista. "La mia religione, anzi ne ho più di loro, e senza tante commedie e tanta ciarlataneria! Io adoro Dio, invece! Credo in un Essere Supremo, in un Creatore, quale che sia, non ha importanza, il quale ci ha messi quaggiù per adempiere i nostri doveri di cittadini e di padri di famiglia; ma non ho bisogno di andare in una chiesa a baciare piatti d'argento e a ingrassare di tasca mia un branco di buffoni che mangiano meglio di me. Lo si può onorare benissimo in un bosco, in un campo, o addirittura contemplando la volta celeste come gli antichi. Il mio Dio è lo stesso di Socrate, di Franklin, di Voltaire e di Béranger. Sono d'accordo con la Professione di fede del vicario savoiardo e i principi immortali dell'89! Così io non ammetto un Dio alla buona, che passeggia in giardino con il bastone in mano, alloggia i suoi amici nel ventre delle balene, muore lanciando un grido e risuscita dopo tre giorni: cose assurde in se stesse e d'altra parte in contrasto con tutte le leggi della fisica; e questo dimostra, per inciso, che i preti si sono sempre crogiolati in una torpida ignoranza nella quale tentano di far sprofondare insieme con loro tutti i popoli.
  • "Ci risiamo sempre i doveri. Parole del genere mi escono dalle orecchie. È un'accozzaglia di vecchi cretini dal panciotto di flanella e di bigotte con scaldino e rosario in mano, tutti accaniti a rifischiarci: "Il dovere, il dovere!" Eh, perbacco! Il dovere è sentire ciò che è grande, privilegiare ciò che è bello e non inchinarsi a tutte le convenzioni della società con le ignomie che ci impone."
  • Ce ne sono di più belle, ma io so amare meglio.
  • [...] Come se la pienezza dell'anima talvolta non traboccasse attraverso le metafore più vuote perché nessuno, mai, riesce a dare l'esatta misura di ciò che pensa, di ciò che soffre, della necessità che lo incalza, e la parola umana è spesso come un paiolo fesso su cui andiamo battendo melodie da far ballare gli orsi mentre vorremmo intenerire le stelle.
La parola umana è come una caldaia incrinata su cui battiamo musica per far ballare gli orsi, quando vorremmo commuovere le stelle. (parte seconda, capitolo 12)
  • Ma un infinito di passioni può concentrarsi in un attimo come una folla in un piccolo spazio.
  • L'avvenire era un corridoio tutto nero, che aveva in fondo la sua porta ben chiusa.
  • Del resto, la parola è un laminatoio che affila sempre i sentimenti. (pp. 220, "Madame Bovary", traduzione e cura di Roberto Carifi)

Parte prima[modifica]

  • Ma l'ansietà d'una condizione nuova, e forse la tensione che le provocava la presenza di quell'uomo, erano bastate a indurla a credere di possedere finalmente quella passione meravigliosa, che fin allora era stata là ferma nell'alto, come un grande uccello dalle piume rosa, librando le ali nello splendore dei cieli poetici; – e adesso non riusciva a convincersi che quella calma in cui viveva fosse la felicità del suo sogno. (VI; 1983, p. 47)
  • Anche al suo cuore era accaduto qualcosa di simile: sfiorato dal lusso si era velato di un non so che d'impalpabile e d'indelebile. (VIII; 1968, p. 97)
  • Desiderava al contempo morire e andare ad abitare a Parigi. (IX; 1968, p. 104)

Parte seconda[modifica]

  • Difatti le sue convinzioni filosofiche non ostacolavano le sue ammirazioni artistiche; il pensatore, in lui, non soffocava per nulla l'uomo sensibile; egli sapeva stabilire le differenze, distinguere l'immaginazione dal fanatismo. Di quella tragedia, per esempio, biasimava le idee ma ammirava lo stile; ne malediceva il concetto, ma ne applaudiva ogni particolare; e i personaggi lo portavano all'esasperazione, ma i loro discorsi lo colmavano d'entusiasmo. Quando leggeva quei grandi passi, era colto da trasporto; ma quando pensava che i baciapile ne traevano un utile per la loro bottega, era desolato, e in questa confusione di sentimenti in cui si dibatteva, avrebbe voluto insieme incoronare Racine con le sue mani e discutere con lui per un buon quarto d'ora. (III; 1983, p. 103)
  • Il caminetto era spento, la pendola ticchettava senza interruzione ed Emma provava un senso di stupore per questa calma delle cose, mentre dentro di lei si agitava un tale tumulto. (VI, 1968, p. 195)
  • Il dovere è sentire ciò che è grande, prediligere ciò che è bello e non già accettare tutte le convenzioni della società, con le ignominie che essa ci impone. (Rodolphe: VIII; 1983, p. 163)
  • Eh, no! perché declamare contro le passioni? Non sono forse la sola cosa bella che ci sia sulla terra, la fonte dell'eroismo, dell'entusiasmo, della poesia, della musica, delle arti, di tutto infine? (Rodolphe: VIII; 1983, p. 163)
  • S'era sentito dire quelle cose tante volte, che non avevano per lui nulla d'originale. Emma rassomigliava a tutte le amanti; e il fascino della novità, cadendo via a poco a poco al modo d'un vestito, lasciava apparire a nudo l'eterna monotonia della passione, che ha sempre le stesse forme e lo stesso linguaggio. Non distingueva, quell'uomo cosí ricco di esperienze, la diversità dei sentimenti che si cela sotto l'uniformità delle espressioni. Poiché labbra libertine o venali gli avevano mormorato frasi simili, egli non credeva che debolmente al candore di quelle; tutto andava sminuito, pensava, nei discorsi infocati si nascondono gli affetti mediocri; come se la pienezza dell'anima non traboccasse qualche volta dalle metafore piú vuote, perché nessuno, mai, riesce a dare l'esatta misura delle proprie necessità, né dei propri concetti, né del proprio dolore, e la parola umana è come una paiolo incrinato su cui veniamo battendo melodie atte a far ballare gli orsi, quando vorremmo intenerire le stelle. (XII; 1983, pp. 213-214)
  • [...] la tolleranza è il modo piú sicuro per attirare le anime alla religione. (Homais: XIV; 1983, p. 244)

Parte terza[modifica]

  • La sfrontatezza dipende dagli ambienti dove si posa: non parliamo al mezzanino come al quarto piano, e la donna ricca sembra abbia intorno a sé, per conservare la propria virtú, tutti i suoi biglietti di banca, come una corazza, nella fodera del busto. (I; 1983, p. 260)
  • D'altronde, la parola è un laminatoio che sempre affina i sentimenti. (I; 1983, p. 262)
  • Ma la denigrazione degli esseri che amiamo, sempre ci distacca un poco da loro. Non bisogna toccare gl'idoli: la doratura ci rimane sulle dita. (VI; 1983, p. 315)
Ma il denigrare quelli che amiamo ci allontana sempre un poco da loro. Non bisogna toccare gli idoli: la polvere d'oro che li ricopre potrebbe restarci attaccata alle dita. (VI; 1968, p. 465)

Citazioni su La signora Bovary[modifica]

  • La ragazza Emma Bovary non è mai esistita: il libro Madame Bovary esisterà per tutti i secoli dei secoli. Un libro vive più a lungo di una ragazza. (Vladimir Nabokov)
  • Se Madame Bovary avesse letto Madame Bovary non avrebbe frenato le sue fantasticherie? I veri libri immorali sono dunque quelli che trattano la vita in rosa e non quelli che ne dipingono gli errori e gli eccessi. Ovvero, non c'è peggior pornografia di quella sentimentale. (Ennio Flaiano)
  • Secondo me, dal punto di vista narrativo, il libro più perfetto è Madame Bovary di Flaubert. (Giorgio De Chirico)

Lettere[modifica]

  • Ama l'arte. Fra tutte le menzogne è ancora la meno menzognera.[16]
  • Ci sono, infatti, due categorie di poeti. I più grandi, i rari, i veri maestri, compendiano in sé l'umanità; senza preoccuparsi di sé o delle proprie passioni, annullando la loro personalità per assorbirsi in quella degli altri, essi riproducono l'Universo, il quale si riflette nelle loro opere scintillante, vario, molteplice, come un cielo specchiantesi tutt'intero nel mare, con tutte le sue stelle e tutto il suo azzurro. Ce ne sono altri a cui basta gridare per essere armoniosi, piangere per commuovere, parlare di sé per durare eterni. Forse, facendo altrimenti, non si sarebbero potuti spingere più lontano, ma, in mancanza dell'ampiezza, hanno l'ardore e l'estro, tanto che se fossero nati con un altro temperamento, non avrebbero forse avuto nessun genio.[17]
  • Durante il mio viaggio ciò che ho visto di più bello è Genova. Ti consiglio di andarvi un giorno o l'altro, quando ne avrai il tempo. Dopo aver visitato i suoi palazzi si ha un tale disprezzo del lusso moderno che viene voglia di abitare in una scuderia e di uscire vestiti da operai.[18]
  • Essere bête, egoista, e avere una buona salute, ecco le tre condizioni richieste per essere felici. Ma se manca la prima, tutto è perduto.[19]
  • Ho lasciato un'altra volta questo povero Mediterraneo! Gli ho detto addio con uno strano stringimento al cuore. La mattina in cui dovevamo partire da Genova, sono uscito alle 6 dall'hotel come andassi a spasso. Ho preso una barca e sono andato fino all'entrata dalla rada per vedere ancora una volta quei flutti blu che amo tanto. Il mare era forte. Mi lasciavo cullare nella scialuppa pensando a te e rimpiangendoti. Poi quando ho sentito che poteva venirmi il mal di mare sono tornato a terra e ce ne siamo andati. Ne sono stato così triste per tre giorni che ho creduto più volte che ne sarei crepato. È letterale. Qualsiasi sforzo facessi non potevo dischiudere i denti. Comincio a credere davvero che la noia non uccide, perché vivo.[20]
  • Ho visto i campi di battaglia di Marengo, di Novi, di Vercelli, ma ero in una disposizione così penosa che tutto questo mi ha ben poco toccato. Pensavo sempre a quei soffitti dei palazzi di Genova sotto i quali si fotteva con tanto orgoglio.[20]
  • Ho visto un quadro di Bruegel che rappresenta la Tentazione di sant'Antonio che mi ha fatto pensare di arrangiare per il teatro La tentazione di sant'Antonio, ma questo richiederebbe uno ben più in gamba di me. Darei tutta la collezione del «Moniteur», se l'avessi, e 100 mila franchi, per comprare quel quadro, che la maggior parte di quelli che lo guardano giudicano cattivo.[20]
  • Ho visto una bellissima strada, la via Aurelia, ed ora sono in una bella città, una vera bella città, Genova. Cammino sul marmo, tutto è di marmo: scale, balconi, palazzi. I palazzi si toccano tanto sono vicini e, passando dalla strada, si vedono i soffitti patrizi tutti dipinti e dorati. Vado a visitare le chiese, sento cantare suonare l'organo, guardo i monaci, osservo i paramenti sacri, gli altari, le statue; in altri momenti (ma non so bene quali) forse avrei riflettuto di più e guardato di meno. Invece qui spalanco gli occhi su tutto, ingenuamente, semplicemente, e forse è molto meglio.[21]
  • L'artista deve fare in modo che la posterità creda ch'egli non abbia vissuto.[22][23]
  • L'autore nella sua opera deve essere come Dio nell'universo, presente ovunque e ovunque invisibile.[24]
  • L'idea di patria è quasi morta, grazie a Dio.[23]
  • L'uomo non è niente, l'opera è tutto![25]
  • Lasciami amarti a modo mio, al modo del mio essere, con quel che tu chiami la mia originalità. Non forzarmi a niente, e io farò tutto.[26]
  • Non bisogna chiedere arance ai meli, sole alla Francia, amore alle donne, felicità alla vita.[27]
  • [...] non è perché un imbecille ha due piedi come me, invece di averne quattro come un asino, che io mi credo obbligato ad amarlo, o, quanto meno, a dire che lo amo e che mi interessa.
[...] ce n'est pas parce qu'un imbécile a deux pieds comme moi, au lieu d'en avoir quatre comme un âne, que je me crois obligé de l'aimer ou, tout au moins, de dire que je l'aime et qu'il me interesse.[28]
  • Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere.[29][23]
  • Parliamo un po' di Graziella. È un libro mediocre, sebbene sia il migliore che Lamartine abbia scritto in prosa. Ci sono particolari graziosi [...] ed è tutto o quasi.[30]
  • Per stabilire qualcosa di durevole ci vuole una base fissa. Il futuro ci tormenta e il passato ci trattiene. Ecco perché ci sfugge il presente.[31]
  • Quando si è qualcuno perché voler essere qualcosa?[32]
  • Quello che è prodigioso nel Don Chisciotte è la totale assenza di artificio e la continua fusione di illusione e realtà, che ne fanno un libro così comico e così poetico.[33]
Ce qu'il y a de prodigieux dans Don Quichotte, c'est l'absence d'art et cette perpétuelle fusion de l'illusion et de la réalité qui en fait un livre si comique et si poétique.[34]
  • Se si è coinvolti nella vita, la si vede poco chiaramente; la vista è oscurata dalla sofferenza, o dal godimento. L'artista, secondo me, è una mostruosità, qualcosa al di fuori della natura.[35][23]
  • Se vuoi che ti parli di quanto ho visto, ti dirò che la via Aurelia è una strada lunga sessanta chilometri da fare a piedi, e che sono stato triste da morire per tre giorni, dopo aver lasciato Genova, una città tutta di marmo con dei giardini colmi di rose. Una bellezza che strazia l'anima.[36]
  • Si fa della critica quando non si può fare dell'arte, nello stesso modo come si diventa spia quando non si può fare il soldato.[37][23]
  • Sostengo che le idee sono eventi. È più difficile renderle interessanti, lo so, ma se non ci si riesce, la colpa è dello stile.[38][23]
  • Tutto quello che si inventa è vero, devi esserne certa. La poesia è una cosa tanto precisa quanto la geometria.[39]

Memorie di un pazzo[modifica]

Incipit[modifica]

Perché scrivere queste pagine? A cosa servono? Che cosa posso saperne io stesso? È alquanto sciocco, credo, andare a chiedere agli uomini il motivo delle loro azioni e dei loro scritti. Voi stessi, sapete perché avete aperto questi miseri fogli che la mano di un pazzo sta riempiendo di parole?
Un pazzo! è qualcosa che fa orrore, E tu cosa sei, tu, lettore? In quale categoria ti schieri? in quelle degli sciocchi o in quella dei pazzi? Se ti dessero la possibilità di scegliere, la tua vanità preferirebbe certo l'ultima condizione.

Citazioni[modifica]

  • Dal dubbio su Dio, arrivai al dubbio sulla virtù, fragile idea che ogni secolo ha fondato come ha potuto sull'impalcatura delle leggi, idea ancor più vacillante. (p. 30)
  • Ma era Roma che amavo, la Roma imperiale, questa bella regina che si rotola nell'orgia, sporcando la sua nobile veste con il vino della depravazione, fiera dei suoi vizi più che delle sue virtù. Nerone! Nerone, con i suoi carri di diamante che volano nell'arena, le sue mille vetture, i suoi amori di tigre e i suoi banchetti di gigante. (p. 34)
  • L'umanità si è messa a girare le sue macchine e, vedendo che ne sgorgava oro, ha esclamato: È Dio! E quel Dio, essa lo mangia! (p. 43)
  • Il mio dolore è amaro, la mia tristezza profonda, | E vi sono sepolto come un uomo nella tomba. (p. 64)
  • La vanità mi spinse verso l'amore; no, verso la voluttà; neppure, verso la carne. (p. 68)
  • Se ho provato momenti di entusiasmo, li devo all'arte; eppure, quanta vanità in essa! voler raffigurare l'uomo in un blocco di pietra o l'anima attraverso le parole, i sentimenti con dei suoni e la natura su una tela verniciata. (p. 71)
  • L'arte! l'arte! che bella cosa questa vanità (p. 72)
  • Se c'è sulla terra e fra tutti i nulla qualcosa da adorare, se esiste qualcosa di santo, di puro, di sublime, qualcosa che assecondi questo smisurato desiderio dell'infinito e del vago che chiamano anima, questa è l'arte. (p: 72)
  • Vorrei il bello nell'infinito, invece vi trovo soltanto il dubbio. (p. 72)

Citazioni sul libro[modifica]

  • Il racconto-confessione di Flaubert giovanissimo, Memorie di un pazzo, non è certo fra le sue opere più note. E non può reggere al paragone con i suoi celebri romanzi. Se viene citato, è spesso in rapporto con l' Educazione sentimentale (1869), di cui costituisce, per alcuni capitoli, un primo abbozzo, lasciato inedito, e pubblicato postumo soltanto nel 1901. Ma non è per questo da confondere e rigettare fra tanti altri scritti e progetti giovanili – non tutti, del resto, trascurabili –, fra tanti calchi e imparaticci di scuola, di cui è cosparso il primo cammino di questo scrittore. (Massimo Colesanti)

Notes de voyage[modifica]

  • Da Voltri a Genova si vedono sempre case, tutto annuncia una grande città. Presto il porto appare e si vede la bella città seduta ai piedi delle montagne. Il faro della Lanterna, come un minareto, dà all'insieme qualche cosa di orientale e si pensa a Costantinopoli.[40]
  • Il primo palazzo che ho visto è stato il palazzo Brignole; facciata rossa, scalone di marmo bianco. Le stanze non sono grandi come in altri palazzi, ma la manutenzione, i mosaici dei pavimenti e soprattutto i quadri lo rendono uno dei più ricchi di Genova.[40]
  • Palazzo Spinola:[41] il vestibolo del piano terreno è dipinto vecchio, le pitture cadono in brandelli. [...] Grande salone al primo piano, a volta, con gli angoli a piccole volte, filettati di nero, soffitto dorato, alto camino, è con quello del Palazzo Doria, il più grande che ci sia nei palazzi genovesi.[42]
  • [Su Palazzo Durazzo-Pallavicini] Salone, il più bello con quello dell'Università, con due leoni sui gradini; giardino in mezzo al quadrato e lo scalone. I portici, tra i quali sono degli alberi, fanno pensare ai palazzi moreschi.[43]
  • La tentazione di Sant'Antonio, di Brueghel. Nel fondo, dai due lati, su ogni collina, due teste mostruose di diavoli, per metà uomini, per metà montagna. In basso, a sinistra, Sant'Antonio fra le donne, distoglie gli occhi per evitare i loro baci; le donne sono nude, bianche, sorridono e stanno per avvolgerlo nelle loro braccia.
    In faccia allo spettatore, nel punto più basso del quadro, La Golosità nuda alla cintura, magra, la testa ornata di orpelli rossi e verdi, viso triste, collo smisuratamente lungo e teso come quello di una gru, clavicole in evidenza, presenta al santo un piatto colmo di vivande colorate.
    Un uomo a cavallo in una botte; teste che escono dal ventre degli animali; rane con braccia saltellanti sul terreno; un uomo col naso rosso su un cavallo deforme, circondato da diavoli; drago alato in volo, tutto sul medesimo piano. Insieme formicolante, ghignante in modo grottesco e impetuoso nella precisione di ogni particolare.
    Questo quadro sembra in un primo tempo confuso, poi a poco a poco diventa singolare per quasi tutti; divertente per alcuni, con qualche significato per altri; per me ha cancellato tutta la galleria, non ricordo più gli altri quadri.[44]
  • Doria Tursi, in riva al mare. Una volta le galere potevano entrare sotto la doppia terrazza di marmo dalla quale si scendeva sulla spiaggia lungo la scala sotterranea. La terrazza è lunga, fatta per le passeggiate lente al sole ma sotto l'ombra della tenda di seta, il braccio appoggiato sul negretto in giacca rossa, guardando l'orizzonte da cui arrivano le navi d'Oriente... Giardino di cattivo gusto, nonostante le rose ben coltivate. Bel salone al primo piano. Carlo IX e Napoleone hanno dormito in questo palazzo.[45]
  • Palazzo Pallavicini: superbo per le decorazioni, i mobili, l'eleganza, tutto l'insieme insomma.[46]
  • Ma ciò che vi è di più opulento, a Genova, ciò che fa pensare a una vita lussuosa è il grande salone del palazzo Ceba.[47] Tutto è dorature e specchi, fino ai più piccoli divani fra le colonne, soffitto a volta, quattro grandi colonne dorate che lo sostengono; enorme lampadario centrale e sei altri in cristallo; in tutto otto lampadari, mi sembra.[46]
  • La chiesa di San Lorenzo; bianca e nera, tre portali bizantini. È una chiesa italiana in cui fa piacere entrare perché si sta bene all'ombra dei bei marmi.[46]
  • [Su Genova] Le mura circondano le città, il camminamento corre proprio alla fine della città. Che mare! Si vede improvvisamente fra casa e casa camminando nelle strade nere e umide. Donne brutte e nello stesso tempo attiranti (per riflessione) in una di quelle stradine parallele al mare e che non ho potuto ritrovare.[48]
  • Grotta di Sestri: l'italiano volgare ci deve stare molto bene.[48]
  • Palazzo Durazzo: grande lago artificiale, marmo, cascata sull'erba, giardino all'inglese. A Nizza e nel mezzogiorno l'arte del giardinaggio è ancora in infanzia. Qui si ritrova il gusto aristocratico del patriziato. I tritoni di marmo e i grandi alberi degli antichi giardini fanno pensare ai giardini romani.[48]
  • Teatro all'aperto. L'acqua sola, passeggiata, verdi viali, siepi di rose, musica.[48]
  • Come ero triste lasciando Genova, soprattutto per avere valicato le montagne che la dominano e durante i due giorni passati in quello stupido paese che è la Lombardia![49]
  • L'insieme del lago è dolce, amoroso, italiano. Primi piani scoscesi, tinte calde delle abitazioni; orizzonte nevoso e tutto orlato da splendide abitazioni, fatte per lo studio e per l'amore. – Taglioni, Pasta, sulla riva sinistra del lago partendo da Como. – Villa Sommariva; scala di pietra che discende fin nell'acqua per imbarcarsi nella gondola, grandi alberi, rose che sbocciano su una fontana.
L'ensemble du lac est doux, amoureux, italien. Premiers plans escarpés, teintes chaudes des maisons; horizon neigeux et tout bordé d'habitations exquises faites pour l'étude et pour l'amour. — Taglioni, Pasta, sur la rive gauche du lac en partant de Côme. — Villa Sommariva; escalier de pierre descendant jusque dans l’eau pour s’embarquer dans la gondole, grands arbres, roses qui poussent sur une fontaine.[50]

Salambò[modifica]

Incipit[modifica]

Era a Megara, sobborgo di Cartagine, nei giardini di Amilcare.
i soldati ch'egli aveva comandato in Sicilia si concedevano un grande banchetto per celebrare l'anniversario della battaglia d'Erice(1): e siccome il padron di casa era assente ed essi si vedevano in tanti, mangiavano e bevevano in tutta libertà.
1.Erice, monte e città omonima nell'angolo N.O. della Sicilia; con un celebre tempio di Venere (Venere Ericina) ora, monte San Giuliano.

Citazioni[modifica]

  • Accorsero; era un leone infisso ad una croce per le quattro estremità, come un delinquente. [...] Cento passi più avanti ne videro altri due, e improvvisamente apparve una lunga fila di croci cariche di leoni: alcuni eran morti già da lungo tempo, sì che il legno non sopportava più che i resti degli altri scheletri; altri, mezzo ròsi, torcevano il muso in un'orrenda smorfia; ve n'eran di così enormi, da far piegare sotto di loro il fusto della croce, e oscillavano al vento, mentre sopra le loro teste stormi di corvi roteavano senza mai fermarsi. Quell'era la vendetta dei contadini cartaginesi allorché catturavano bestie feroci; speravano di atterrire con l'esempio le altre. I Barbari, cessando il riso, furon presi da profondo stupore: – Che popolo questo – pensavano – che si diverte a crocifigger leoni! (1962, pp. 60-61)
  • Uno dopo l'altro, consultò tutti gli indovini ell'esercito: udì quelli che osservano l'avanzare dei serpenti, che leggono negli astri, che soffiano sulla cenere dei morti; ingerì galbano e laserpizio, ingerì il veleno di vipera che agghiaccia il cuore; femmine negre, cantando parole barbare al chiaro di luna, lo punsero in fronre con aurei stiletti; si coprì d'amuleti e di collari, invocò volta a volta Baal-Hammon, Moloch, i sette Cabiri, Tanit e la Venere greca; incise un nome su una lastra di rame e la seppellì nella sabbia all'ingresso della sua tenda. (1962, p. 64)
  • – Qual che un tempo valeva un siclo d'argento, oggi vale tre šekel d'oro, e le colture abbandonate durante la guerra non fruttano nulla! [...] La Sicilia che ci dava tanti schiavi, ora è chiusa per noi! Proprio ieri, per un bagnino e quattro servi da cucina, ho dovuto sborsare più denaro di quel che un tempo mi sarebbe bastato per un paio d'elefanti! (1962, p. 71)
  • Laggiù gli Anziani deponevano i loro bastoni di corno di narvalo (poiché una legge, sempre rispettata, puniva con la morte chiunque entrasse alla seduta con un'arma qualsiasi). Molti all'orlo inferiore della veste, avevano lasciato uno strappo, fermandolo con un gallone di porpora, per mostrare chiaramente che piangendo la morte dei loro parenti non avevan risparmiato gli abiti; e quel segno di cordoglio impediva alla fenditura di allargarsi. Altri portavano la barba racchiusa in un sacchetto di pelle viola, appeso con due cordoncini alle orecchie. (1962, p. 160)
  • Sorse la luna: cetra e flauto si misero a un tempo a suonare.
    Salambò si tolse i ciondoli degli orecchi, la collana, i braccialetti, il lungo camice bianco; sciolse la benda che tratteneva i capelli e li agitò qualche minuto sulle spalle, dolcemente, per rinfrescarsene sparpagliandoli. Fuori la musica seguitava: erano tre note, sempre le stesse, concitate, frenetiche; le corde stridevano, il flauto rendeva un suono sordo; Taanach segnava la cadenza schioccando le mani; Salambò, con un ondeggiamento di tutto il corpo, salmodiava preghiere ed i vestiti uno ad uno le si afflosciavano intorno. (p. 214)
  • La bianca luce pareva circonfonderla d'una nebbia d'argento; l'ombra umida dei passi brillava sulle lastre; stelle palpitavano in fondo all'acqua. il serpente la stringeva contro di lei le nere spire tigrate di placche d'oro. Sotto quel peso eccessivo Salambò ansimava, le reni le si piegavano, si sentiva mancare, mentre lui con l'estremità della coda le batteva piano piano la coscia. Poi, al cessare della musica, ricadde giù. (p. 215)
  • D'un colpo, quell'uomo aprì il petto di Matho, ne strappò il cuore, lo porse sulla spatola; e Sciahabarim, alzato il braccio, lo offrì al sole.
    Il sole calava dietro i flutti; i suoi raggi arrivavano come lunghe frecce su quel cuore rosseggiante. Via via che i battiti scemavano l'astro s'immergeva; all'ultimo palpito sparì.
    Allora dal golfo alla laguna e dall'istmo al faro, per tutte le strade, su tutte le case e in cima a tutti i templi fu un grido solo; cessava, ripigliava; gli edifici ne tremavano; Cartagine pareva presa da un convulso: nello spasimo d'una gioia titanica, nel delirio d'una speranza senza limiti.
    Narr'Havas, ebbro di orgoglio, passò il braccio intorno alla vita di Salambò, in segno di possesso; e sollevando con la destra una patera d'oro bevve al Genio di Cartagine.
    Salambò s'alzò in piedi con lo sposo, una coppa in mano, per bere anche lei. Ricadde col capo indietro sulla spalliera del trono – livida, irrigidita, le labbra aperte. I capelli sciolti le pendevano a terra.
    Così morì la figlia di Amilcare per aver toccato il mantello di Tanit. (pp. 346-347)
  • Fin da quando egli aveva mosso il primo passo, ella s'era alzata; a mano a mano ch'egli si avvicinava, quasi incosciamente s'era spinta a poco a poco fino al limite della terrazza; e tosto, svanito tutto il resto intorno a lei, non avea più visto che Matho. Un silenzio s'era fatto nell'anima sua, – uno di quegli abissi in cui il mondo intero scompare sotto il peso d'un pensiero esclusivo, d'un ricordo, d'uno sguardo. Era attirata da quell'uomo che camminava alla sua volta. (1962, p. 386)

Citazioni su Gustave Flaubert[modifica]

  • Baudelaire e Flaubert discernono ogni bruttezza e miseria dell'uomo come l'ha creata il razionalismo diventato scientismo e macchinismo.
    Baudelaire analizza il male nel suo intimo recesso, mentre Flaubert lo situa nel suo decoro. (Pierre Drieu La Rochelle)
  • Il nome giusto aiuta molto e indica che il personaggio "vivrà". Queste affinità semantiche tra i personaggi e i loro nomi facevano la disperazione di Flaubert, che ci mise due anni a trovare il nome di Madame Bovary, Emma. (Ennio Flaiano)
  • Il mio timore era di essere un giorno nient'altro che un innocuo Flaubert da salotto. (Jules Renard)
  • Nessun uomo può scrivere versi veramente buoni se non conosce Stendhal o Flaubert. (Ezra Pound)
  • Signore, avete seppellito il vostro romanzo in un cumulo di dettagli che sono ben disegnati ma del tutto superflui. (lettera di un editore per Madame Bovary)[51]
  • Sulle orme dello Chateaubriand, egli fu si può dire il primo a considerare deliberatamente il romanzo come una sorta di poema in prosa, applicandovi quell'ostinato studio dello stile che prima d'allora si pensava riservato ai poeti, quella cura degli effetti ritmici, coloristici e plastici, che spinsero più di un critico letterario a considerarlo «un parnassiano che ha scritto in prosa». (Mario Bonfantini)

Note[modifica]

  1. Citato in Beniamino Placido, Lingue di pappagallo, in Nautilus, a cura di Franco Marcoaldi, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 164.
  2. Citato in Guida alla lettura a Nostra Signora di Parigi, traduzione di Valentina Valente, EDIPEM, 1973
  3. Da Pensées, 308; citato in Fernando Palazzi, Silvio Spaventa Filippi, Il libro dei mille savi, Hoepli, Milano, 2022. ISBN 978-88-203-3911-1
  4. a b Da Novembre, traduzione di Paola Angioletti, in Tutti i romanzi.
  5. Da Guida alla lettura, Interpretazioni critiche, in Lucio Apuleio, Le metamorfosi, traduzione e note di Giuseppe Metri, EDIPEM, Novara, 1971.
  6. Citato in L'amore è tutto di Dino Basili, p. 81, Tascabili economici newton, febbraio 1996.
  7. Da Pensées, 3; citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, 2013, n. 3526. ISBN 9788858654644
  8. Da una lettera a Louise Colet del 13 agosto 1846. (FR) Cfr. Christophe André, Et n’oublie pas d’être heureux: abécédaire de psychologie positive, Odile Jacob, Parigi, 2014, p. 165. ISBN 9782738173300
  9. Citato in John Gerassi, Parlando con Sartre: conversazioni al caffè, traduzione di Raoul Kirchmayr, Il Saggiatore, Milano, 2011, p. 298. ISBN 978-88-428-1697-3
  10. a b Frase dal Dizionario dei luoghi comuni di mano di Edmond Laporte, vicino di campagna di Flaubert (si veda Juan Rodolfo Wilcock, prefazione e avvertenza al Dizionario dei luoghi comuni, 2012).
  11. Da una lettera a Edma Roger des Genettes, 24 gennaio 1880, in L'opera e il suo doppio. Dalle lettere, 2013, n. 310. Nella lettera è citato, in realtà, un motto di un tale Robin, amico di Flaubert.
  12. Gustave Flaubert, Tutti i romanzi.
  13. Da Bouvard e Pécuchet, traduzione di Bruno Schacherl, Vallecchi editore, Firenze, 1970.
  14. «e negare le sue sofferenze» (aggiunta di Edmond Laporte).
  15. Corsivo nell'originale.
  16. Da Lettere a Louise Colet, p. 14.
  17. Da Lettere, p. 45.
  18. Da una lettera a Ernest Chevalier, 13 maggio 1845, in Giuseppe Marcenaro, Viaggio in Liguria, p. 137.
  19. Da una lettera a Louise Colet, Croisset, 13 agosto 1846, ne L'opera e il suo doppio, n. 33
  20. a b c Da una lettera ad Alfred Le Poittevin, 13 maggio 1845, in L'opera e il suo doppio.
  21. Da una lettera ad Alfred Le Poittevin, 1º maggio 1845, in Giuseppe Marcenaro, Viaggio in Liguria, p. 136
  22. Da Corrispondenza, febbraio 1842.
  23. a b c d e f Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  24. Da una lettera a Louise Colet, 9 dicembre 1852, ne L'opera e il suo doppio, n. 92
  25. Da una lettera a George Sand, fine dicembre 1875, in L'opera e il suo doppio, n. 273.
  26. 7 agosto 1846; da Lettere a Louise Colet, n. 2, p. 10.
  27. Da Lettere, p. 10.
  28. (FR) Dalla lettera a Louise Colet da [Croisset] del [26-27 maggio 1853], in Correspondance: nouvelle édition augmentée, Arvensa Editions, p. 621. ISBN 9782368412718
  29. Da una lettera a Mademoiselle Leroyer de Chantepie, giugno 1857.
  30. Da Lettere, p. 95.
  31. Da una lettera a Louis Bouilhet, Atene, Lazzaretto del Pireo, 19 dicembre 1850, in L'opera e il suo doppio, n. 60.
  32. Da una lettera a Edma Roger des Genettes, Croisset, 7 aprile 1879, in L'opera e il suo doppio, n. 304.
  33. Citato in Repubblica.it.
  34. Da una lettera a Louise Colet, 22 novembre 1852, in Gustave Flaubert, Oeuvres complètes, Arvensa, 2019.
  35. Da Lettera alla madre, 15 dicembre 1850.
  36. Da una lettera a Ernest Chevalier, 15 giugno 1845, in Giuseppe Marcenaro, Viaggio in Liguria, pp. 137-138.
  37. Da Lettera a Louise Colet, 22 ottobre 1846.
  38. Da Lettera a Louise Colet, 15 gennaio 1853.
  39. Da una lettera a Louise Colet, 14 agosto 1853, ne L'opera e il suo doppio, n. 109.
  40. a b Citato in Giuseppe Marcenaro, p. 138
  41. Cfr. Carlo Bo, Echi di Genova negli scritti di autori stranieri, Edizioni Rai Radiotelevisione Italiana, Torino, 1996, nota 97
  42. Citato in Giuseppe Marcenaro, p. 140
  43. Citato in Giuseppe Marcenaro, p. 141
  44. Citato in Giuseppe Marcenaro, p. 142
  45. Citato in Giuseppe Marcenaro, pp. 142-143
  46. a b c Citato in Giuseppe Marcenaro, p. 143
  47. Nel testo originale "palais Cera", ovvero "palazzo Serra", dal nome di uno dei proprietari dell'immobile, il marchese Domenico Serra. Cfr. Carlo Bo, Echi di Genova negli scritti di autori stranieri, Edizioni Rai Radiotelevisione Italiana, Torino, 1996, nota 100
  48. a b c d Citato in Giuseppe Marcenaro, p. 144
  49. Citato in Giuseppe Marcenaro, p. 145
  50. (FR) Da Notes de voyages, I, Œuvres completes de Gustave Flaubert, tome IV, Louis Conard, Parigi, 1910, p. 44.
  51. Citato in Storia della bruttezza, a cura di Umberto Eco, Bompiani, Milano, p. 393. ISBN 978-88-452-7389-6

Bibliografia[modifica]

  • Gustave Flaubert, Bouvard e Pécuchet, traduzioni di Camillo Sbarbaro e Michele Rago, Einaudi, Torino, 2015. ISBN 9788858419380
  • Gustave Flaubert, Dizionario dei luoghi comuni. Album della Marchesa. Catalogo delle idee chic, traduzione di Juan Rodolfo Wilcock, Adelphi, Milano, 2012. ISBN 9788845972997
  • Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, traduzione di Beniamino Dal Fabbro, Einaudi Editore, 1954.
  • Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, traduzione di Marga Vidusso Feriani, Gherardo Casini Editore, Roma, 1966.
  • Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, Mondadori, Milano, 1984.
  • Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, traduzione di Lalla Romano, Einaudi, Torino, 1985.
  • Gustave Flaubert, L'educazione sentimentale, traduzione di Piero Bianconi, BUR, 1998. ISBN 9788817122078
  • Gustave Flaubert, L'opera e il suo doppio. Dalle lettere, a cura di Franco Rella, Fazi Editore, Roma, 2013. ISBN 9788876252242
  • Gustave Flaubert, La signora Bovary (Madame Bovary, 1857), traduzione e nota di Natalia Ginzburg, con un saggio di Henry James, Einaudi, Torino, 1983. ISBN 9788806177737
  • Gustave Flaubert, Lettere, a cura di Paolo Serini, Giulio Einaudi editore, Torino, 1949.
  • Gustave Flaubert, Lettere a Louise Colet, a cura di Maria Teresa Giaveri, Feltrinelli Editore, Milano, 1984.
  • Gustave Flaubert, Madame Bovary, traduzione di Diego Valeri, Oscar Mondadori, 1992.
  • Gustave Flaubert, Madame Bovary, traduzione di Giuseppe Achille, BUR, 2007. ISBN 9788817100731
  • Gustave Flaubert, Memorie di un pazzo (Mémoires d'un fou), traduzione di Maurizio Grasso, introduzione di Massimo Colesanti, TEN, Roma 1996. ISBN 88-8183-324-7
  • Gustave Flaubert, Salambò, traduzione di Camillo Sbarbaro, Biblioteca Moderna Mondadori, 1959.
  • Gustave Flaubert, Salambó, traduzione di Emilio Castellani, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1962.
  • Gustave Flaubert, Tutti i romanzi, a cura di Massimo Colesanti, Newton Compton editori, Roma, 2012. ISBN 9788854141803
  • Giuseppe Marcenaro, Viaggio in Liguria, Sagep, Genova, 1983.

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