Charles Dickens

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Charles Dickens

Charles Dickens (1812 – 1870), scrittore e giornalista britannico.

Citazioni di Charles Dickens[modifica]

  • Bere gin è un grande vizio inglese, ma miseria e sporcizia sono peggiori.[fonte 1]
  • Il giorno venne; una furiosa giornata invernale che a volte scuoteva la vecchia casa come se questa avesse rabbrividito per il freddo. Una giornata che faceva della casa doppiamente una casa, che conferiva all'angolo del focolare una nuova delizia, che illuminava di una luce più forte le facce riunite attorno al focolare e faceva di ogni gruppo così raccolto una lega più stretta e più intima contro gli elementi scatenanti là fuori. Una di quelle dure giornate invernali che preparano meglio di qualunque altra cosa la strada verso una notte trascorsa tra quattro mura, verso una stanza dalle cortine pesanti, verso volti resi allegri dalla musica, dal riso, dal ballo, dalla luce, dal divertimento.[fonte 2]
  • In tale gruppo così numeroso e composto da elementi eterogenei, poteva apparire quasi assurdo cercare disciplina, ma la disciplina perfetta c'era, perché, qualunque fossero le sue caratteristiche, Crocco è stato senza dubbio un capo.[fonte 3]
  • La città si sveglia di nuovo coi Pulcinella, i borsaioli, i comici e i mendicanti; con gli stracci, le marionette, i fiori, la vivacità, la sporcizia e la universale degradazione; si risveglia sciorinando al sole il suo abito d'Arlecchino, l'indomani e tutti gli altri giorni, cantando e digiunando, danzando e giocando sulla riva del mare.[fonte 4]
  • Noi che pur siamo amanti e ricercatori del pittoresco, non dobbiamo fingere di ignorare la depravazione, la degradazione e la miseria a cui è irrimediabilmente legata l'allegra vita di Napoli![fonte 5]
  • [Da una lettera a Henry Fothergill Chorley che aveva detto male degli italiani nel suo romanzo Roccabella] Pensate, se voi e io fossimo italiani, e fossimo cresciuti dall'infanzia ad ora minacciati continuamente da confessionali, prigioni e sgherri infernali, potremmo voi ed io essere migliori di loro? Saremmo noi così buoni? Io, se ben mi conosco, no.[fonte 6]
  • Un'infarinatura di tutto, e di nulla un'esatta conoscenza.
A smattering of everything and a knowledge of nothing.[fonte 7]

Barnaby Rudge[modifica]

Incipit[modifica]

Nell'anno 1775, c'era ai margini della foresta di Epping, a circa dodici miglia da Londra – a partire dal Ceppo in Cornhill, o piuttosto dal luogo nel quale o accanto al quale il Ceppo era in passato – un albergo chiamato la Cuccagna; il che era mostrato a tutti quei viaggiatori che non sapessero né leggere né scrivere (e sessantasei anni fa molta gente, sia che viaggiasse, sia che non viaggiasse, si trovava in questa condizione) dall'emblema innalzato sul ciglio della strada di fronte alla casa, emblema che, se non di quelle ragguardevoli proporzioni che gli alberi della cuccagna solevano presentare nei tempi andati, era tuttavia un bel frassino giovane, alto trenta piedi e più dritto di saetta mai scoccata da arciere inglese.

Citazioni[modifica]

  • Ci sono delle corde, [...] nel cuore umano, che è meglio non toccare. (Mr Tappertit: cap. XXII)
  • Il lavoro [...] è l'anima degli affari e la chiave di volta della prosperità. (Mr Chester: cap. XXVII)

Cantico di Natale[modifica]

Incipit[modifica]

Maria Luisa Fehr[modifica]

Marley era morto, tanto per cominciare. Non c'era dubbio su ciò: il suo atto di morte era firmato dal pastore, dal coadiutore, dall'uomo delle pompe funebri e dal capo dei piagnoni. L'aveva firmato anche Scrooge, ed il nome di Scrooge alla Borsa degli scambi valeva per qualunque cosa a cui egli decidesse di metter mano. Il vecchio Marley era morto come un chiodo di un uscio.
[Charles Dickens, Canto di Natale, traduzione di Maria Luisa Fehr, RCS Libri, 1997]

Alessandra Osti[modifica]

Marley era morto, tanto per cominciare. Non c'era alcun dubbio. Il registro della sua sepoltura era stato firmato dal pastore, dal chierico, dall'impresario delle pompe funebri e dal responsabile della cerimonia funebre. L'aveva firmato anche Scrooge. E il nome di Scrooge alla Borsa era valido per qualsiasi cosa su cui lui decidesse di mettere mano. Il vecchio Marley era morto come il chiodo di una porta.
[Charles Dickens, Canto di Natale, traduzione di Alessandra Osti, La Repubblica-L'Espresso, 2012. ISBN 9788888240206]

Federigo Verdinois[modifica]

Marley, prima di tutto, era morto. Niente dubbio su questo. Il registro mortuario portava le firme del prete, del chierico, dell'appaltatore delle pompe funebri e della persona che aveva guidato il mortoro. Scrooge vi aveva apposto la sua: e il nome di Scrooge, su qualunque fogliaccio fosse scritto, valeva tant'oro. Il vecchio Marley era proprio morto per quanto è morto, come diciamo noi, un chiodo di porta.
[Charles Dickens, Cantico di Natale, traduzione di Federigo Verdinois, Hoepli, 1888]

Citazioni[modifica]

  • Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto "allegro Natale" in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio! (prima strofa)
  • – Chi siete e che cosa siete? – domandò Scrooge.
    – Sono lo Spirito di Natale passato.[1] (seconda strofa)
  • È un bel compenso, ed è anche giusto e consolante nell'ordine delle cose umane, che se il dolore e il malanno si attaccano, non ci sia al mondo cosa più contagiosa del buonumore e del riso. (terza strofa)
  • Le azioni umane adombrano sempre un certo fine, che può diventare inevitabile, se in quelle ci si ostina. Ma se vengono a mutare, muterà anche il fine. (quarta strofa)
  • Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente. (quinta strofa)

Casa desolata[modifica]

Incipit[modifica]

Originale[modifica]

London. Michaelmas Term lately over, and the Lord Chancellor sitting in Lincoln's Inn Hall.

[Charles Dickens, Bleak House, Bradbury and Evans, London, 1853.]

Angela Negro[modifica]

Londra. Sessione autunnale da poco conclusa e il Lord Cancelliere tiene udienza a Lincoln's Inn Hall.

Citazioni[modifica]

  • Nebbia ovunque. Nebbia su per il fiume, che fluisce tra isolette e prati verdi; nebbia giù per il fiume che scorre insudiciato tra le file di navi e le sozzure che giungono alla riva di una grande (e sporca) città. (cap. I, 2014)
  • [...] un mondo avvolto nella bambagia e nella lana fina non può sentire lo strepito di mondi più vasti, e non può vederli girare intorno al sole. È un mondo smorzato e talvolta il suo sviluppo, per mancanza d'aria, non è molto sano. (cap. II, 2014)
  • Una parola detta col cuore vale quanto un discorso. (John Jarndyce: cap. VI, 2014)
  • [...] Mr Jarndyce [...] aveva osservato che c'erano due classi di persone caritatevoli: chi faceva poco ma suscitava un grande scalpore e chi faceva molto ma non provocava nessuno scalpore. (cap. VI, 2014)
  • È il raggio dei raggi, dice Chadband, il sole dei soli, la luna delle lune, la stella delle stelle. È la luce della verità. (cap. XXV, 2014)
  • Infatti, per quanto il diavolo possa essere cattivo vestito di fustagno o in camiciotto (e può essere cattivo in ambedue), è più fine, più scaltro e più intollerabile, quando infila una spilla sulla camicia, si dice gentiluomo, contrassegna una carta o un colore, gioca una partita a bigliardo e si intende un po' di cambiali e pagherò. (cap. XXVI, 2014)
  • [...] la regola fondamentale [di Mr Bagnet] è non fare mai nulla al buio, non partecipare a nulla di segreto o misterioso e non posare mai il piede dove non si vede la terra. (cap. XXVII, 2014)
  • È mia moglie che dà consigli. È lei che è capace. Ma io non lo dico mai davanti a lei. Si deve mantenere la disciplina. (Mr Bagnet: cap. XXVII, 2014)
  • È una malinconica verità che anche i grandi hanno dei parenti poveri. (cap. XXVIII, 2014)
  • L'unico grande principio della legge inglese è di fare affari. Nessun principio, con tutti gli angusti rigiri, viene mantenuto con più distinzione, sicurezza e logicità. (cap. XXXIX, 2014)
  • Ma l'ingiustizia genera ingiustizia: la lotta contro le ombre e la disfatta riportata necessitano di qualcuno contro cui combattere. (cap. XXXIX, 2014)
  • – E di nuovo – ripeté la signorina, catalettica di ostinazione – e poi ancora. Ancora. E molte altre volte. Infatti, sempre. (cap. XLI; 1930, p. 39)
  • [A proposito di Jo] È morto, vostra Maestà. È morto, signori principi, duchi e marchesi. Morto, onorevoli reverendi e disonorevoli reverendi d'ogni ordine. Morto, uomini e donne, nati con celeste pietà nel cuore. E ne muoiono così intorno a noi ogni giorno. (cap. XLVII; 1930, p. 110)
  • Quando la luna risplende fulgidissima, sembra che da essa si riversi un senso di solitudine e di calma che ha anche un influsso sui luoghi affollati pieni di vita. (cap. XLVIII; 1930, p. 125)
  • [Rivolgendosi a Mademoiselle Hortense] Voi del sesso gentile avete reciprocamente tanta animosità quando non andate d'accordo. (Signor Bucket: cap. LIV; 1930, p. 218)
  • Ora, signorina Summerson, vi darò un consiglio che, quando sarete sposata e avrete intorno una famiglia, vostro marito troverà molto utile. Quando qualcuno vi dice che è indifferente come più non potrebbe essere in tutto ciò che riguarda il denaro, tenete bene d'occhio il vostro, perché è certissimo che, quando può, se lo aggranfierà. Quando una persona vi proclama: «Nelle faccende mondane io sono un bambino», considerate solo che essa grida che non vuol essere tenuta responsabile, e che voi sapete così il numero, di quella persona, il numero uno fra gli interessati. Ora io non sono di tendenze poetiche, tranne vocalmente, quando mi trovo in compagnia, ma son pratico, e questo me l'ha insegnato l'esperienza. Questa è la regola. Facilone in una cosa, facilone in tutto. Non so che questa regola sia mai fallita. E neppur voi la vedrete fallire. Né altri. (Signor Bucket: cap. LVII; 1930, pp. 256-257)
  • [...] tutte le partenze e le separazioni rappresentano in qualche modo la grande separazione finale [...]. (cap. LVIII; 1930, p. 272)
  • Il giorno appare come un fantasma. Freddo, scolorato e vago, manda foriera una striscia di tinta funerea, come se proclamasse : «Chi è là, guardate che vi porto! Chi glielo dirà?». (cap. LVIII; 1930, p. 284)

Citazioni su Casa desolata[modifica]

  • Quando si pubblica Bleak House è come l'impeto d'una furia demolitrice che s'abbatte sulle istituzioni giudiziarie inglesi. Par che il Dickens non sorrida più col sorriso paziente e tollerante che gli veniva dal suo istinto di carità cristiana, ma con quello corrosivo del canonico Swift, che non ne aveva, con quello smisurato e violento del curato di Meudon, che era pagano con gioia. Le parrucche della Corte di Cancelleria, che avevano resa ridicola la giustizia inglese e che videro di punto in bianco scoperte le loro soperchierie innanzi al mondo che rideva con dileggio, ebbero un bel da fare per salvarsi da quell'assalto, e si salvarono a patto di rinnegarsi e di ritornar sul campo della logica, abbandonato per insensibili e continue deviazioni e aberrazioni. (Silvio Spaventa Filippi)

David Copperfield[modifica]

Incipit[modifica]

Originale[modifica]

Whether I shall turn out to be the hero of my own life, or whether that station will be held by anybody else, these pages must show. To begin my life with the beginning of my life, I record that I was born (as I have been informed and believe) on a Friday, at twelve o'clock at night. It was remarked that the clock began to strike, and I began to cry, simultaneously.

[Charles Dickens, The personal history of David Copperfield, Bradbury and Evans, London, 1850.]

Cesare Pavese[modifica]

Se mi accadrà di essere io stesso l'eroe della mia vita o se questa parte verrà sostenuta da qualche altro, lo diranno queste pagine. Per iniziare la mia vita proprio dal principio, ricorderò che nacqui (così mi hanno informato e così credo) un venerdì, a mezzanotte. Si notò che il pendolo prese a battere e io a strillare, simultaneamente.

[Charles Dickens, David Copperfield, prefazione e traduzione di Cesare Pavese, Einaudi, 1993. ISBN 88-06-13239-3]

Oriana Previtali[modifica]

Se io stesso risulterò l'eroe della mia vita, o se questa posizione sarà occupata da qualcun altro, è cosa che sarà decisa da queste pagine. Intanto, per cominciare la storia della mia vita col principio di essa, registro il fatto di essere nato (a quanto mi si dice e credo) di venerdì a mezzanotte. Fu osservato che l'orologio cominciò a rintoccare e io a vagire, simultaneamente.

Silvio Spaventa Filippi[modifica]

Si vedrà da queste pagine se sarò io o un altro l'eroe della mia vita. Per principiarla dal principio, debbo ricordare che nacqui (come mi fu detto e credo) di venerdì, a mezzanotte in punto. Fu rilevato che nell'istante che l'orologio cominciava a battere le ore io cominciai a vagire.

Citazioni[modifica]

  • [...] credo che la facoltà d'osservazione sia in molti bambini, per esattezza ed acume, addirittura prodigiosa. Di parecchi adulti, anzi, notevoli per questo rispetto, credo si possa dire, con maggior proprietà, non che abbiano acquistato, ma che non abbiano mai perduto quella facoltà; tanto più che simili uomini, come m'è dato spesso d'osservare, conservano certa freschezza, certa gentilezza e certa capacità di simpatia, che son certo qualità infantili rimaste in essi intatte fino all'età matura. (David Copperfield: cap. II, 1929)
  • – Tu sei troppo giovane per saper come il mondo muti ogni giorno – disse la signora Creakle – e come la gente se ne vada. Ma dobbiamo tutti apprenderlo, Davide: alcuni quando si è giovani, altri quando si è vecchi, e altri a tutte le età. (cap. IX, 1929)
  • Ma le mode sono come gli esseri umani. Vengono, nessuno sa quando, perché, o come. Io credo che sotto questo aspetto tutto sia come la vita. (Mr Omer: cap. IX, 1929)
  • [...] un cuore affettuoso è migliore e più forte della saggezza [...]. (cap. IX, 2007)
  • La procrastinazione è un furto fatto alla vita. (Mr Micawber: cap. XII, 1929)
  • [...] se un uomo ha venti sterline di reddito l'anno e spende diciannove sterline, diciannove scellini e mezzo, quell'uomo è felice; ma, se ne spende ventuno, sarà infelice. (Mr Micawber: cap. XII, 2007)
    • [...] chi ha venti sterline all'anno di rendita, e spende diciannove sterline, diciannove scellini e sei pence, è felice; ma che, invece, è da compiangere, se ne spende ventuna. (1929)
  • – Non commettere mai bassezze – disse mia zia; – non mentire mai; non esser mai crudele. Sfuggi questi tre vizi, Trot, e tu mi darai sempre delle buone speranze. (cap. XV, 1929)
  • Vivere è imparare. Avevo i miei dubbi, confesso, ma ora sono risolti. Non lo sapevo, e ora lo so: ecco l'utilità del domandare... no? (Steerforth: cap. XX, 1929)
  • Vero – disse Barkis, agitando il berretto da notte, che era il solo mezzo di dar forza alla frase – come le tasse. Nulla di più vero. (cap. XXI, 1929)
  • È inutile, Trot, ricordare il passato, se non ha qualche effetto sul presente. (Betsey Trotwood: cap. XXIII, 1929)
  • Era bello la mattina, specialmente nelle belle mattine. Con la luce del giorno la vita mi pareva libera e fresca; con quella del sole anche più fresca e libera. (David Copperfield: cap. XXIV, 1929)
  • [Parlando di Traddles] È veramente un bravo giovane. Non ha altri nemici che se stesso. (Mr Waterbrook: cap. XXV, 1929)
  • Vi sono alcune menti volgari (non molte, voglio credere, ma ve ne sono) che preferirebbero di fare ciò che io direi prosternarsi innanzi a degli idoli. Positivamente idoli. Innanzi ai meriti, alla intelligenza, e così via. Ma queste sono idee astratte. Il Sangue invece, no. Noi vediamo il Sangue in un naso, e lo riconosciamo. Lo incontriamo in un mento, e diciamo: «Eccolo, questo è il Sangue». È positivo, è materia di fatto. Si tocca col dito. Non c'è dubbio di sorta. (cap. XXV, 1929)
  • [...] gli incidenti avvengono anche nelle famiglie meglio organizzate [...]. (Mr Micawbercap: cap. XXVIII, 2007)
  • – È triste – egli disse, quando ebbe finito – ma il sole tramonta ogni giorno, e la gente muore ogni minuto, e non dobbiamo aver paura d'una sorte comune a tutti. Se noi trascurassimo di seguir la nostra sorte particolare, perché quel piede che batte egualmente alle porte di tutti gli uomini è stato sentito battere in qualche parte, ogni oggetto a questo mondo ci si dileguerebbe in mano. No! Avanti! Col cavallo ferrato a ghiaccio, se è necessario, col cavallo senza ferri, se occorre, ma avanti! Scavalchiamo tutti gli ostacoli per vincere il palio. (Steerforth: cap. XXVIII, 1929)
  • Cercate di non scambiare i difetti corporali con quelli mentali, mio buon amico, se non avete delle solide ragioni per farlo. (Mowcher: cap. XXXII, 1929)
  • Noi abbiamo la sensazione, a volte, che ciò che diciamo e facciamo sia stato già detto e fatto prima, in un tempo remoto – di essere stati circondati, in oscuri secoli lontani, dagli stessi visi, dagli oggetti, dagli stessi avvenimenti – di saper già prima ciò che ci sarà detto dopo, come se immediatamente la ricordassimo. (David Copperfield: cap. XXXIX, 1929)
  • [...] i termini convenzionali sono una specie di razzi, i quali, facilmente accesi, assumono alla fine una gran varietà di forme e di colori che non s'immaginavano al primo scoppio. (David Copperfield: cap. XLI, 1929)
  • – L'affezione – disse la signorina Lavinia, dando un'occhiata alla sorella, quasi per chiedere la sua approvazione, e ottenendola in forma d'un piccolo cenno del capo a ogni frase – l'affezione solida, l'omaggio, la devozione, non si esprimono facilmente. La loro voce è fioca. Modesto e riservato, l'amore si nasconde, e attende pazientemente. È come il frutto che aspetta di maturare. A volte tutta una vita si dilegua, e rimane ancora a maturare nell'ombra. (cap. XLI, 1929)
  • Io non ho mai creduto possibile che un'abilità naturale o acquisita raggiunga il suo fine senza un lavoro costante, fermo, tenace. Non si può trionfare al mondo senza il lavoro. L'ingegno svegliato e qualche occasione fortunata possono formare i due lati della scala sulla quale alcuni salgono, ma i pioli della scala debbono esser fatti di materia resistente, e nulla potrebbe sostituire una completa, ardente, sincera volontà di riuscire. Non mai metter mano a nulla che non mi potesse occupare completamente, e non mai affettare di deprezzare il mio lavoro, quale che si fosse, per me sono state sempre norme di aurea saggezza. (David Copperfield: cap. XLII, 1929)
  • [...] vi è una sottigliezza di percezione nel vero affetto, che si lascia indietro, anche quando si tratti dell'affetto di qualche povero animale per l'uomo, perfino l'intelligenza più alta. (David Copperfield: cap. XLII, 1929)
  • Non v'è peggiore disparità, nel matrimonio, del disaccordo in fatto di carattere e di idee. (Mrs Markleham: cap. XLV, 1929)
  • Ho sempre osservato che chi ha qualche buona ragione per credere in se stesso, non si loda mai innanzi agli altri per farsi stimare. (David Copperfield: cap. XLVIII, 1929)
  • [A proposito di Daniel Peggotty] Egli era stato sempre un uomo attivo, e sapeva che chi aveva bisogno d'aiuto, doveva risolutamente far la propria parte e aiutarsi da sé. (cap. L, 1929)
  • [...] in questa vita si deve accettare il grasso e il magro. (Mr Omer: cap. LI, 1929)
  • Ahimè – disse Omer – quando si arriva a un'età in cui i due capi della vita s'incontrano; quando uno si trova, anche in buona salute, ad esser scarrozzato la seconda volta in una specie di carrettino, deve essergli dolce far del bene, se può. Ha bisogno di farne molto. E non parlo di me in particolare – disse Omer – perché, signore, il modo con cui considero le cose si è che noi precipitiamo sempre per i fianchi della collina, a qualunque età, ché il tempo non sta fermo un istante. Così cerchiamo di far sempre il bene, e d'esser felici. Proprio! (Mr Omer: cap. LI, 1929)
  • Noi parliamo della tirannia delle parole, ma anche noi siamo lieti di tirannizzarle; a noi piace di averne una ricca provvista che ci accompagni nelle grandi occasioni; ci pare che ci conferiscano importanza e suonino bene. E così, come non siamo molto difficili sulla qualità dei nostri valletti nelle grandi occasioni, purché portino bene la livrea e facciano numero, non diamo una grande importanza al significato o all'utilità delle parole che usiamo, purché sfilino in pompa magna. E così, come un individuo si caccia in un vespaio quando fa troppo sfoggio di servi in livrea, e così come gli schiavi quando sono troppo numerosi si ribellano contro i loro padroni, io potrei citare una nazione che s'è creata delle grandi difficoltà e se ne creerà altre maggiori col mantenere un corteggio troppo grande di parole. (David Copperfield: cap. LII, 1929)
  • [...] l'avidità e la scaltrezza non sanno mai fermarsi a tempo nel loro stesso interesse. (David Copperfield: cap. LII, 1929)
  • [...] son le inezie che fanno la somma della vita. (David Copperfield: cap. LIII, 1929)
  • Avevo compreso che le cose che non accadono hanno spesso su di noi, come quelle che accadono, degli effetti reali. (David Copperfield: cap. LVIII, 1929)
  • [Parlando del signore e della signorina Murdstone] – Mia moglie arriva perfino a dire – continuò il più mite degli uomini, imbaldanzito dalla mia approvazione – che ciò che simili tipi chiamano falsamente la loro religione, non sia che un pretesto per lo sfogo dei loro cattivi istinti e della loro arroganza. (Mr Chilip: cap. LIX, 1929)

Citazioni su David Copperfield[modifica]

  • David Copperfield è senza dubbio il romanzo di Dickens dov'è più estrosa la caratterizzazione e dov'è più gustosa la futilità dell'intreccio. Un mondo vastissimo ci viene qui evocato: borghesi, marinai, casalinghe, truffatori, semplici ragazze, avvocati, bottegai, fantesche, spostati, in un viluppo di quotidiane avventure che non escludono né l'eroismo né la morte, eppure tutti quanti stanno al reale nella proporzione di figurine vedute allo stereoscopio. (Cesare Pavese)
  • Il David Copperfield prova come la storia sia un materiale amorfo e il genio tutto, che la ravviva secondo il suo calore e la colora secondo la sua luce. In quel romanzo che, in un certo grado, rappresenta la massima espressione della letteratura vittoriana, meno l'ultima parte, melodrammatica, e perciò ostica al palato di lettori non volgari, si ritrae con finezza precisa l'impercettibile della sensazione, si pondera l'imponderabile del pensiero in uno sdoppiamento istantaneo, si misura l'immensurabile della coscienza umana nell'inestricabile viluppo dell'errore. E non perché il soggetto sia Carlo Dickens, con addosso, per comodità della finzione, le spoglie di David Copperfield, ma perché l'autore è quel medesimo scrittore che trascura la verità contingente e fissa i mille volti dell'eterna, ritraendone la linea essenziale, indistruttibile e immutabile. Egli era falso contro la testimonianza oculare, secondo i dati del piccolo documento quotidiano, ma irrefutabile nel quadro d'insieme dipinto con un sentimento che investiga con sicurezza ogni profondità e trae a sommo, come in una goccia d'essenza ultima, la qualità custodita dall'anima e non ancora espressa. (Silvio Spaventa Filippi)

Dombey e Figlio[modifica]

Incipit[modifica]

Originale[modifica]

Dombey sat in the corner of the darkened room in the great arm-chair by the bedside, and Son lay tucked up warm in a little basket bedstead, carefully disposed on a low settee immediately in front of the fire and close to it, as if his constitution were analogous to that of a muffin, and it was essential to toast him brown while he was very new.

[Charles Dickens, Dombey and Son, Bradbury & Evans, London, 1848.]

Gioia Angiolillo Zannino[modifica]

Dombey era seduto nell'angolo della camera in penombra, sulla grande poltrona accanto al letto, e il Figlio era avvolto al calduccio in una cesta posata con cura su un basso divano proprio davanti al fuoco e molto vicino ad esso come se, simile a un muffin per costituzione, appena fatto andasse abbrustolito.

Citazioni[modifica]

  • Che virtù piacevole dev'essere l'indulgenza quando abbiamo ragione, se è così piacevole anche quando abbiamo torto e non siamo assoluta­mente in grado di dimostrare in che modo siamo riusciti a farci conferire il privilegio di esercitarla. (cap.V)
  • Le sorprese, come le disgrazie, di rado vengono da sole.[2] (cap. VI)
  • [...] malinconia – il più a buon mercato e accessibile dei lussi [...]. (cap. VIII)
  • È proprio quando le nostre speranze in boccio sono irrimediabilmente danneggiate da qualche vento violento, che siamo più inclini a rappresentarci i fiori che avrebbero potuto produrre, se fossero sbocciate [...]. (cap. X)
  • Alle idee, come ai fantasmi (secondo quanto comunemente si crede dei fan­tasmi) bisogna parlare un poco perché si spieghino, e Toots aveva smesso da un pezzo di porre qualsiasi domanda alla propria mente. (cap. XII)
  • «Walter, ragazzo mio,» rispose il capitano «nei Proverbi di Salo­mone[3] troverai queste parole: "Possiamo non trovarci mai senza un amico nella necessità, e senza una bottiglia da offrirgli!". Quando le trovi, prendine nota.»[4] (cap. XV)
  • Che vecchia, vecchia usanza! Quella che viene di moda con i nostri primi vestiti, e durerà immutata finché la nostra razza avrà compiuto il suo cammino, e l'immenso firmamento si ritrarrà come una pergamena che si arrotola.[5] Che vecchia, vecchia usanza... la Morte![6]
    Oh, ringraziate Iddio, voi tutti che siete testimoni, dell'altra usanza, ancora più vecchia, l'immortalità. E voi, angioletti che foste dei bambini, abbassate su di noi sguardi non del tutto estraniati, quando il rapido fiume ci trascinerà verso l'oceano! (cap. XVI)
  • Ma per sua natura, nessun affetto puro può divampare a lungo in modo così violento e spietato. La fiamma che nei suoi elementi più vili puzza di terra, può consumare il cuore che le dà asilo; ma il sacro fuoco del cielo è dolce all'anima come quello che si posò sulla testa dei Dodici raccolti, mostrando a ognuno il proprio fratello, illuminato e illeso. (cap. XVIII)
  • Tira su come si deve un albero di fico, e quando sarai vecchio ti siederai alla sua ombra.[7] (Capitano Cuttle: cap. XIX)
  • «Dombey,» disse il maggiore battendogli un colpetto sul braccio con il bastone da passeggio «non sia così pensieroso. È una cattiva abitudine. Il vecchio Joe, sissignore, non sarebbe saldo come lei lo vede, se l'avesse coltivata. Lei è troppo un grand'uomo, Dombey, per starsene così pensieroso. Nella sua posizione, sissignore, lei è molto al di sopra di questo genere di cose.» (cap. XX)
  • [...] nessun orfano al mondo può essere derelitto quanto quello che è escluso dall'affetto di un genitore vivo. (Signora dai capelli grigi: cap. XXIV)
  • «Sono sicuro,» disse poi passandosi di nuovo la mano sulla fronte e picchiettando il tavolo «ho buone ragioni di credere che il trantran quotidiano, sempre identico, farebbe accettare alla gente qualsiasi cosa. Non si vede niente, non si sente niente, non si sa niente, questo è il fatto. Andiamo avanti prendendo tutto per scon­tato, e così proseguiamo finché qualsiasi cosa facciamo, buona, cat­tiva o indifferente, la facciamo per abitudine. L'abitudine è l'unica cosa a cui potrò appellarmi, quando sul letto di morte sarò chia­mato a giustificarmi davanti alla mia coscienza. "L'abitudine" dirò. "Per abitudine sono stato muto, sordo, cieco e paralitico davanti a un milione di cose." "Molto pratico, certo, signor comesichiama" dirà la coscienza "ma qui non va!"» (cap. XXXIII)
  • Quella madre miserabile e la sua miserabile figlia non erano forse solo la rappresentazione nel suo livello più abietto di certi vizi sociali talvolta predominanti nelle classi più alte? Nella sfera del mondo composto di circoli concentrici, non è forse vero che pas­siamo dal più alto al più basso solo per scoprire che i due estremi si toccano e che alla fine del nostro viaggio torniamo al punto di partenza? Con una grande differenza quanto a materia prima e a tessitura, il modello della trama non si trovava in ambienti ben più elevati? (cap. XXXIV)
  • «Polly, vecchia mia,» disse Toodle «non l'ho detto mica in parti­colare per Rob, davvero. Parto leggero con Rob, arrivo a una dira­mazione, prendo a bordo quello che ci trovo, e tutto un treno di idee ci si aggancia, prima che sappia dove mi trovo, o da dove vengono quelle idee. Guarda te che nodo ferroviario sono i pen­sieri di un uomo, davvero!» (cap. XXXVIII)
  • [...] i pensieri sono come il vento, e nessuno può risponderne, con cer­tezza, per una certa durata. (Solomon Gills: cap. XXXIX)
  • Non era nella natura delle cose che di fronte a uno stato d'animo ostile come quello da lui stesso suscitato, un uomo dell'umore del signor Dombey addolcisse l'imperiosa durezza del suo carattere; o che la rigida e fredda corazza d'orgoglio nella quale viveva rin­chiuso si ammorbidisse nello scontro continuo con un disprezzo altero e provocatorio. È la maledizione di una natura come quella – è la parte essenziale del pesante castigo che pesa su di lei e che le è intrinseco – che se la deferenza e l'arrendevolezza dilatano i suoi difetti, e sono l'alimento grazie al quale questi prosperano, la resi­stenza alle sue esigenti pretese, e il vedersele contestare li incorag­giano in ugual misura. Il male che essa contiene trova in questi fattori opposti uguali mezzi per crescere e diffondersi. Dai piaceri e dalle amarezze dell'esistenza trae appoggio e vita; che ci si prosterni davanti a lei o la si misconosca, essa fa ugualmente schiavo il cuore nel quale ha il suo trono; e, adorata o rifiutata, è un padrone crudele quanto il diavolo delle storie più cupe. [...] Inoltre, insieme a una simile corazza, chi la indossa si trascina appresso un altro grave castigo. Essa resiste a ogni comprensione, affetto e fiducia; a ogni dolce simpatia dall'esterno, a ogni tene­rezza, a qualsiasi delicata emozione; in compenso, alle stilettate profonde inflitte all'amor proprio è vulnerabile quanto il petto nudo all'acciaio. E tali piaghe tormentose bruciano quanto nessun'altra ferita, pure se inflitta dalla mano ferrata dell'orgoglio in persona a un orgoglio più debole, disarmato e abbattuto. (cap. XL)
  • «La speranza, vedi, Walter» disse il capitano con l'accento del saggio. «La speranza. È lei che ti anima. La speranza è un salva­gente, vallo a riguardare nel tuo Warbler,[8] nella parte sentimentale, ma santo cielo, ragazzo, come tutti i salvagente non può far altro che galleggiare; non puoi manovrarla. Insieme alla polena della speranza, c'è un'ancora. Ma a che mi serve avere un'ancora, se non ho un fondale dove lanciarla?» (Capitano Cuttle: cap. L)
  • È sempre l'abitudine che fa ostinare alcuni di noi, che pure sarebbero capaci di qualcosa di meglio, nell'orgoglio e nella capar­bietà luciferine, che fa ostinare e sprofondare altri nell'infamia, la maggior parte nell'indifferenza, che ci indurisce ogni giorno, se­condo il grado di elasticità della nostra argilla, come statue, e ci lascia sensibili come statue a nuove impressioni e convinzioni. (Signor Morfin: cap. LIII)
  • [...] gli individui falsi e scaltri segretamente disprez­zeranno e detesteranno sempre l'oggetto della loro adulazione, e si irriteranno sempre di rendere e di veder accettare un omaggio che sanno privo di valore [...]. (cap. LV)
  • [...] i difetti sono a volte solo virtù spinte all'eccesso! (Signor Morfin: cap. LVIII)

Citazioni su Dombey e Figlio[modifica]

  • Questa fredda tenebra, che è uno degli archetipi dell'universo di Dickens, ha nel Dombey una coloritura sociale: il libro è il monumento e la tomba dell'Inghilterra vittoriana; e Mr. Dombey è la più grande figura simbolica dell'uomo d'affari borghese, che appaia nel romanzo dell'Ottocento. Nemmeno gli eroi di Balzac posseggono tanta forza demoniaca ed emanano tanto strazio. In questo mondo, l'unico valore assoluto è la ditta, la Dombey e figlio, nella quale Mr. Dombey crede come in Dio, sino a immolargli la vita, la famiglia, e ogni qualità umana. Non esiste che la ragione, la volontà, lo sforzo, la previsione, il danaro, la gerarchia – e il libro dimostra, con atroce evidenza, che la ragione, la volontà e lo sforzo sono incapaci di ottenere qualsiasi cosa, che il danaro è vano, che la previsione non prevede, che la gerarchia non serve. Alla fine, non resta nulla. Solo il nero e il freddo. (Pietro Citati)

Grandi speranze[modifica]

Incipit[modifica]

Originale[modifica]

My father's family name being Pirrip, and my christian name Philip, my infant tongue could make of both names nothing longer or more explicit than Pip. So, I called myself Pip, and came to be called Pip.

[Charles Dickens, Great Expectations, 3 voll., Chapman and Hall, London, 18613.]

Fruttero & Lucentini[modifica]

Il cognome di mio padre essendo Pirrip, e il mio nome di battesimo Philip, la mia lingua infantile non riusciva a cavare da entrambi alcunché di più lungo o di più esplicito che Pip. Da me stesso quindi mi chiamai Pip, e anche gli altri finirono per chiamarmi così.[fonte 8]

Bruno Maffi[modifica]

Il cognome di mio padre essendo Pirrip e il mio nome di battesimo Philip, la mia lingua infantile non riuscì mai a cavare da entrambi nulla di più lungo o di più esplicito che Pip. Così mi chiamai Pip, e Pip finii per essere chiamato.

Caesara Mazzola[modifica]

Il mio cognome è Pirrip, e il mio nome di battesimo è Philip, ma dato che da bambino non riuscivo mai pronunciarli correttamente insieme, dai due nomi ne ricavai uno solo meno lungo e più semplice: Pip. Così mi chiamai Pip e finii con l'essere chiamato Pip da tutti e per sempre.

Felicita Melchiorri[modifica]

Poiché il cognome di mio padre era Pirrip, e il mio nome di battesimo Philip, la mia lingua infantile non riuscì mai a ricavare dai due nomi nulla di più lungo o di più esplicito di Pip. Così presi a chiamarmi Pip, e Pip finii per essere chiamato.

Citazioni[modifica]

  • Non fare domande, e non ti verranno dette bugie. (Miss Gargery: cap. II, 2011)
  • Mrs. Gargery era una casalinga molto pulita, ma possedeva un'arte squisita di rendere la sua pulizia più sgradevole e inaccettabile della sporcizia. La pulizia è vicina alla religiosità, e alcune persone si comportano allo stesso modo con la loro religione. (cap. IV, 2011)
  • – Be', Pip, – disse Joe, – sia come sia, prima di poter essere eccezionalmente colto dovrai essere mediocremente colto, spero bene! Lo stesso re, sul trono e con tanto di corona in testa, non può mettersi a scrivere in stampatello gli atti del parlamento senza aver cominciato, quando non era che un comune principe, con l'alfabeto... Oh! – aggiunse Joe, con una significativa scrollata di testa. – E cominciato anche lui dall'A e faticato a trovar la strada della Z. E io so cosa vuol dire, sebbene non possa dire che l'abbia fatto. (cap. VII, 2012)
  • [Epitaffio scritto da Joe per suo padre] Qualunque fossero i suoi difetti, ricorda, o lettore, che era buono di cuore. (cap. VII, 2011)
  • Nel piccolo mondo nel quale i bambini, chiunque li allevi, conducono la loro esistenza, nulla è avvertito e sentito con maggior acutezza dell'ingiustizia. (Pip: cap. VIII, 2012)
  • Quello che un vero amico ti dice è quanto segue: se non riesci ad uscire dal comune per la via diritta, non ci arriverai seguendo la via storta. (Joe Gargery: cap. IX, 2012)
  • Cercate col pensiero di eliminare un dato giorno speciale della vostra vita e pensate a come diverso potrebbe essere stato il suo corso! Fermati, tu che leggi, e medita per un momento sulla lunga catena di bronzo o d'oro, di spine o di fiori, che mai ti avrebbe soggiogato se in un solo memorabile giorno si fosse formato e chiuso il primo anello. (Pip: cap. IX, 2013)
  • – C'è una cosa di cui puoi esser certo, Pip, – disse Joe, dopo qualche ruminare, – e cioè che le bugie sono bugie. Comunque vengano, non dovrebbero venire; e vengono dal padre delle bugie e a lui ritornano. (cap. X, 2012)
  • Ho un'esperienza vastissima di ragazzi, e siete tutti manigoldi. (Mr Jaggers: cap. XI, 2012)
  • Tristissima cosa è vergognarsi della propria casa. (Pip: cap. XIV, 2012)
  • Non è possibile sapere fin dove arrivi, nel mondo, l'influenza di un uomo dolce, onesto, dedito al dovere; ma è possibile sapere come abbia influenzato ciascuno di noi lungo il cammino [...]. (Pip: cap. XIV, 2011)
  • Alzar la cresta, Pip, abbassar la testa, Pip... Così è la vita! (Joe Gargery: cap. XV, 2012)
  • Il cielo sa che non dovremmo mai vergognarci delle nostre lacrime, perché sono pioggia sulla polvere accecante della terra che ricopre i nostri cuori induriti. (Pip: cap. XIX, 2011)
  • [...] essendo uno dei suoi [di mio padre] princìpi che dalla creazione del mondo nessun uomo che non sia, in fondo all'anima, un autentico gentiluomo potrà mai essere un vero gentiluomo nei modi. Lui dice che nessuna vernice può nascondere la grana del legno, e che più vernice ci metti sopra, più la grana si rivela. (Haendel: cap. XXII, 2013)
  • Così, nella vita, accade che le nostre peggiori bassezze e viltà le commettiamo di solito a causa di coloro che più disprezziamo. (Pip: cap. XXVII, 2011)
  • Pip, vecchio mio, la vita è fatta di tanti distacchi appiccicati insieme, diciamo così; e uno batte il ferro, l'altro batte l'oro, un altro ancora il rame, ed è inevitabile che avvengano distacchi, fra di loro; e questi distacchi bisogna prenderli come vengono. (Joe Gargery: cap. XXVII, 2012)
  • Tutti gli imbroglioni della terra messi insieme sono nulla in confronto a coloro che ingannano se stessi [...]. (Pip: cap. XXVIII, 2011)
  • – Ti dirò, – riprese, nello stesso bisbiglio rapido e appassionato, – che cos'è vero amore. È cieca ammirazione, autoumiliazione illimitata, sottomissione totale, fede e credenza contro se stessi e contro il mondo, offerta di tutto il cuore e tutta l'anima a chi ce li trafigge... (Miss Havisham: cap. XXIX, 2012)
  • [...] chi occupa un posto di fiducia non è mai l'uomo più adatto. (Mr Jaggers: cap. XXX, 2012)
  • «Scelga il suo ponte, Mr. Pip», replicò Wemmick, «poi vada a fare una passeggiata su quel ponte, e butti i suoi soldi nel Tamigi dall'arco centrale di quel ponte, e saprà perfettamente che fine hanno fatto. Aiuti un amico con quel denaro, e potrà anche arrivare a conoscere la fine di quel denaro... ma è una fine meno piacevole e meno utile». (cap. XXXVI, 2011)
  • «Così,» continuò Estella «mi si deve prendere come sono stata fatta. Il successo non è mio, l'insuccesso neppure, ma le due cose insieme hanno prodotto me.» (cap. XXXVIII, 2013)
  • Non prenda mai nulla per quel che sembra esteriormente; prenda tutto per le prove che ne ha. Non c'è miglior regola. (Mr Jaggers: cap. XL, 2012)
  • Era una di quelle giornate di marzo in cui il sole brilla caldo e il vento soffia freddo, quando è estate alla luce e inverno all'ombra. (Pip: cap. XLIV, 2011)
  • [...] non possiamo scorgere il fondo delle prossime ore, più di quanto possiamo scorgere il fondo di questo fiume in cui metto la mano. E neppure possiamo fermare il loro fluire, più di quanto io possa fermare il fluire di questa corrente. Mi scorre tra le dita ed è già andata, vedi! (Abel Magwitch: cap. LIV, 2011)
  • Sono stata piegata e spezzata, ma... spero... in una forma migliore. (Estella: cap. LIX, 2013)

Citazioni su Grandi Speranze[modifica]

  • Io, personalmente, baratto volentieri tutta Guerra e Pace per tre pagine di Grandi Speranze. (Alessandro Baricco)

Il circolo Pickwick[modifica]

Incipit[modifica]

Alessandro Ceni[modifica]

Il primo raggio di luce che illumina la tenebra, e converte in abbagliante fulgore quell'oscurità in cui la primeva storia del pubblico affermarsi dell'immortale Pickwick parrebbe essere involta, discende dalla disamina della seguente rubricazione negli Atti del Circolo Pickwick, che il curatore di questi incartamenti ha il sommo piacere di presentare ai suoi lettori, come prova della diligente attenzione, indefessa assiduità, e fine perspicacia, con cui la sua ricerca in mezzo alla molteplicità dei documenti affidatigli è stata condotta.

[Charles Dickens, Il circolo Pickwick, traduzione di Alessandro Ceni, Feltrinelli, Milano, 2016. ISBN 9788858824115.]

Silvio Spaventa Filippi[modifica]

Il primo raggio di luce che rischiara la tenebra e muta in un fulgore abbagliante l'ombra che sembra avvolgere i primi passi nella vita pubblica dell'immortale Pickwick, sprizza dalla lettura della seguente relazione nei Rendiconti del Circolo Pickwick, che il raccoglitore di queste pagine sottomette col più gran piacere al lettore, in prova della diligentissima attenzione, dell'infaticabile attività e dello squisito discernimento, con cui è stata condotta la ricerca fra la gran massa dei documenti che gli vennero affidati.

Lodovico Terzi[modifica]

Il primo raggio di luce che rischiara le tenebre, e tramuta in abbagliante splendore l'oscurità che ai suoi inizi sembra avvolgere la vita pubblica dell'immortale Pickwick, scaturisce dalla lettura della seguente risoluzione, tolta dagli Atti del Circolo Pickwick, che il curatore di queste memorie ha il piacere di presentare ai suoi lettori, come prova della scrupolosa attenzione, dello studio indefesso e del sottile discernimento con cui ha condotto le sue ricerche nella molteplice varietà dei documenti affidatigli.

[Charles Dickens, Il circolo Pickwick, a cura di Lodovico Terzi, Adelphi, Milano, 2011. ISBN 978-88-459-7006-1.]

Federigo Verdinois[modifica]

Il primo raggio di luce che viene a rompere ed a fugare le tenebre nelle quali pareva involta l'apparizione dell'immortale Pickwick sull'orizzonte del mondo scientifico, la prima menzione officiale di quest'uomo prodigioso trovasi negli statuti inseriti fra i processi verbali del Circolo. L'editore dell'opera presente è lieto di poterli mettere sotto gli occhi dei suoi lettori, come una prova della scrupolosa attenzione, dello studio diuturno, dell'acume, che hanno sempre accompagnato le sue ricerche nella farraggine dei documenti affidati alle sue cure.

Citazioni[modifica]

  • Ben di rado i grandi uomini sono molto scrupolosi nella cura della persona. (cap. 2, 1879)
  • – Sto meditando, – disse il signor Pickwick, – sulla strana mutabilità dei casi umani.
    – Ah, capisco! Si entra per la porta, un giorno, e si esce per la finestra il giorno dopo. Filosofo, il signore?
    – Osservatore della natura umana, – disse il signor Pickwick.
    – Anch'io. In genere si è filosofi quando si ha poco da fare e meno da guadagnare. (cap. II; 1928, vol. I, p. 15)
  • Ah! la poesia è nella vita ciò che i lumi e la musica sono sulla scena.... Spogliate la scena dei suoi abbellimenti e la vita delle sue illusioni.... che rimane alla scena e alla vita che metta conto di vedere o di vivere? (Jemmy: cap. III; 1928, vol. I, p. 38)
  • Stenti e malattie sono così comuni al mondo da non meritare più attenzione di quanta di solito se ne accorda alle più ordinarie vicissitudini della natura umana. (Jemmy: cap. III; 1928, vol. I, p. 39)
  • L'uomo è mortale, e v'è un punto oltre il quale il coraggio umano non può giungere. (cap. IV; 1928, vol. I p. 52)
  • Pochi momenti vi sono nella vita di un uomo, nei quali sia così ridevole il suo imbarazzo e così scarsa in altri la commiserazione, come quando egli si trova ad inseguire il suo cappello. È indispensabile, in questa operazione del ricuperare un cappello volato via, una forte dose di freddezza e un grado speciale di giudizio. Non bisogna essere frettoloso, né precipitarvisi sopra; né d'altra parte si deve cadere nell'estremo contrario e rischiare di perderlo a dirittura. Il miglior mezzo è questo: di tener dietro dolcemente all'oggetto che si ha in mira, di essere vigile e cauto, di attendere il destro, avanzarlo di qualche passo, far poi una subita diversione, afferrarlo, e cacciarselo in capo solidamente: e tutto questo, sorridendo sempre con una certa grazia, come se la cosa vi paresse il giuoco più piacevole di questo mondo. (cap. 4, 1879)
  • Dietro la carrozza era strettamente legata una canestra di vaste dimensioni – una di quelle canestre che per una vaga associazione di idee non mancano mai di destare in una mente contemplativa visioni di polli rifreddi, lingue e bottiglie di vino – e a cassetta sedeva, in uno stato di profonda sonnolenza, un ragazzo grasso e rubicondo, che un arguto osservatore avrebbe subito riconosciuto pel dispensiere ufficiale del contenuto della canestra suddetta quando il tempo opportuno per la distribuzione di quello fosse arrivato.[9] (cap. 4, 1879)
  • – Maledetto ragazzo, s'è addormentato di nuovo!
    – Davvero, un ragazzo straordinario, – disse il signor Pickwick; – dorme sempre a questo modo?
    – Se dorme! – esclamò il vecchio signore. – Va per una commissione e dorme, serve a tavola e dorme.
    – Strano davvero!
    – Altro che strano! Io sono superbo di questo ragazzo; non lo darei per tutto l'oro del mondo. Perbacco, è una curiosità, capite! Joe, via questa roba, e dà qua un'altra bottiglia Joe!
    Il ragazzo grasso si scosse, aprì gli occhi, ingoiò il pezzo di pasticcio che teneva in bocca nel punto che s'era addormito, e lentamente eseguì gli ordini del padrone, contemplando con aria cupida e molle i rimasugli del banchetto nel levare i piatti e rimetterli nella canestra.[9] (cap. 4, 1879)
  • [...] i filosofi, dopo tutto, non sono che uomini con una corazza. (cap. X; 1928, vol. I, p. 135)
  • Lo spirito che arde dentro di noi somiglia la gerla del facchino sulla quale posa il gran fardello delle cure e dei dolori; e quando questo spirito ci vien meno, il peso troppo grave ci schiaccia. (Tracy Tupman: cap. 11, 1879)
  • – [...] la miglior cosa in queste occasioni e di fare quel che fa la massa.
    – Ma supposto che ve ne siano due delle masse? – suggerì il signor Snodgrass.
    – Bisogna gridare con la più numerosa, – rispose il signor Pickwick. (cap. 13, 1879)
  • – Le donne, dopo tutto, signori, – disse con entusiasmo Snodgrass, – sono il grande sostegno e il conforto della nostra vita. (cap. XIV; 1928, vol. I, p. 180)
  • Non c'è un mese in tutto l'anno in cui la natura si adorni di più bella veste come nel mese di Agosto. (cap. 16, 1879)
  • – Tu sei proprio un filosofo, Sam, – disse il signor Pickwick.
    – Credo, signore, che sia una malattia di famiglia, – rispose Weller. Mio padre ha la stessa infezione. Se la mia matrigna grida, lui fischia. Se s'arrabbia e gli rompe la pipa, lui se n'esce e va a comprarsene un'altra. Allora essa s'infuria, e si fa pigliare le convulsioni; lui continua a fumare tranquillamente finché essa non ritorna in sé. È filosofia questa, signore?
    – A ogni modo, ne fa le veci, – rispose il signor Pickwick, ridendo, – e deve averti giovato nel corso della tua vita errabonda, Sam. (cap. XVI; 1928, vol. I, p. 212)
  • Non c'è nulla di così rinfrescante come il sonno, come disse la fantesca prima di sorbirsi il guscio d'ovo pieno di laudano. (Sam Weller: cap. 16, 1879) [wellerismo]
  • Le lagrime non hanno fatto mai andare un orologio o messo in moto un congegno a vapore. (Sam Weller: cap. XVI; 1928, vol. I, p. 218)
  • Lingua; bravo, eccellente quando non è di donna. (Sam Weller: cap. 19, 1879)
  • È una bella cosa giocare al volante, quando però non siete voi il volante e le racchette non sono due avvocati. A questo modo, il giuoco diventa troppo eccitante. (Sam Weller: cap. 20, 1879)
  • – Ho trovato una cura numero uno per la gotta, Sam – rispose il signor Weller posando il bicchiere.
    – Una cura per la gotta! – esclamò il signor Pickwick cavando in fretta il suo portafogli; – e qual'è?
    – La gotta, signore, – rispose il signor Weller, – la gotta è un certo malanno che viene dalle troppe comodità e dall'averne troppi. Se mai vi piglia la gotta, signore, subito sposatevi una vedova che abbia una buona dose di voce e che se ne serva discretamente, e la gotta ve lo dico io che non torna più. È una ricetta miracolosa, signore. Io la prendo regolarmente tutti i giorni, e posso garentire che son sicuro da qualunque malattia prodotta dallo star troppo bene. (cap. 20, 1879)
  • [...] penso che il pover'uomo è vittima della connubiabilità, come disse il cappellano privato di Barba Blù con una lagrima pietosa quando andò a vederlo atterrare. (Sam Weller: cap. 20, 1879) [wellerismo]
  • [...] la disperazione di rado ci assale col primo grave colpo della sventura. L'uomo fida negli amici non ancora provati, ricordando le molte offerte di aiuto, quando non ne aveva bisogno, dei suoi allegri compagni; egli ha la speranza.... la speranza della felice inesperienza.... e per quanto possa incurvarsi sotto il primo urto, essa gli germoglia in seno, e fiorisce per un po' di tempo, finché non è abbattuta dalla delusione e dall'abbandono. (cap. XXI; 1928, vol. I, p. 286)
  • Un tacito sguardo di affezione e di sollecitudine, nell'ora che tutti gli altri occhi si volgono freddamente altrove.... la consapevolenza di godere la simpatia e l'affetto d'un altro, nel momento che tutti ci hanno abbandonato.... è un rifugio, una sosta, una consolazione nella più profonda angoscia, che nessuna ricchezza è capace di comprare, nessun potere capace di offrire. (cap. XXI; 1928, vol. I, p. 287)
  • È una cosa molto curiosa [...] che la miseria e le ostriche debbano andar sempre insieme. (cap. 22, 1879)
  • Oramai è passata e non c'è più che fare, e questa è una consolazione, come dicono sempre in Turchia, quando tagliano la testa ad uno per un altro. (Sam Weller: cap. 23, 1879) [wellerismo]
  • Prima gli affari, e i piaceri dopo, come disse il re Riccardo terzo quando ammazzò quell'altro re nella Torre, prima di strangolare i bambini. (Sam Weller: cap. 25, 1879) [wellerismo]
  • – Sam, zitto, – disse il signor Pickwick.
    – Muto come un tamburo bucato, – rispose Sam. (cap. XXV; 1928, vol. I, p. 343)
  • Addoloratissimo di recare un qualunque disturbo, signora, come disse il brigante alla vecchia signora quando la mise sul fuoco [...]. (Sam Weller: cap. 26, 1879) [wellerismo]
  • [...] che poi valga la pena di passar tanti guai per imparar così poco, come disse il ragazzo quando fu arrivato in fondo all'alfabeto [...]. (Tony Weller: cap. 27, 1879) [wellerismo]
  • E veramente numerosi sono i cuori ai quali il Natale arreca un breve periodo di gioia e di felicità. Quante famiglie, i cui componenti si sono dispersi qua e là lontano, nell'irrequieta lotta per la vita, si trovan riuniti di nuovo e s'incontrano di nuovo a Natale in quella felice compagnia e reciproca buona volontà, che è una così larga fonte di gioia pura e sincera, e così lontana dalle ansie e dalle tristezze del mondo, da essere annoverata, nella credenza religiosa delle nazioni più civili e insieme nelle rudi tradizioni dei più rudi selvaggi, fra le prime gioie della vita futura, largite ai beati e ai felici. Quante vecchie memorie e quante simpatie sopite ridesta il tempo di Natale! (cap. XXVIII; 1928, vol. I, p. 375)
  • Su un matrimonio si scherza volentieri, ma dopo tutto non v'è molto da scherzare – parliamo semplicemente della cerimonia, e vogliamo che si comprenda particolarmente che noi non ci lasciamo trascinare a nessun sarcasmo sulla vita coniugale. Insieme col piacere e la gioia del matrimonio ci son molti rimpianti per la casa che si abbandona, le lagrime della separazione fra il padre e la sposa, la consapevolezza del distacco dai cari e buoni amici della parte più felice della vita, per affrontare cure e affanni con altri non ancora provati e poco conosciuti [...]. (cap. XXVIII; 1928, vol. I, p. 384)
  • Nel limpido, azzurro cielo splendeva il sole, l'acqua scintillava sotto i suoi raggi, e gli alberi parevano più verdi e i fiori più gai, sotto il suo influsso benefico. L'acqua s'increspava con un piacevole mormorio; gli alberi stormivano allo zeffiro che bisbigliava fra le foglie; sui rami cantavano gli uccelli e l'allodola si levava in alto a dare il benvenuto al mattino. Sì, era mattina; la lucente, odorosa mattina d'estate: la più piccola foglia, il più esile filo d'erba era pieno di vita. La formica s'affrettava al suo lavoro quotidiano, la farfalla aleggiava e s'indorava ai caldi raggi del sole; miriadi d'insetti spiegavano le loro ali trasparenti, e godevano della loro breve, ma felice esistenza. La gente passava, contenta della stagione, e tutto era lucentezza e splendore. (cap. XXIX; 1928, vol. I, pp. 403-404)
  • Vide che le donne, le più tenere e le più fragili delle creature di Dio, erano più frequentemente superiori alle disgrazie, alle avversità e alle angustie; e ciò perché portavano in cuore un'inesauribile fonte di affezione e di devozione. (cap. XXIX; 1928, vol. I, p. 404)
  • – Benissimo, signore. C'è da basso un paio di Segaossi.
    – Un paio di che? – domandò il signor Pickwick, alzandosi a sedere nel mezzo del letto.
    – Un paio di Segaossi.
    – Che è un Segaossi? – domandò il signor Pickwick, non ben certo se si trattasse di un animale vivo o di qualche cosa
    – Come! non sapete che cosa è un Segaossi? – esclamò il signor Weller; – io mi figurava che tutti sapessero che un Segaossi è un chirurgo.
    – Ah, un chirurgo, eh? – disse sorridendo il signor Pickwick...
    – Per l'appunto, signore, – rispose Sam. – Questi di giù non sono però dei Segaossi patentati; si tirano su pel mestiere.
    – In altri termini, sono studenti di medicina, volete dire?
    Sam Weller accennò di sì col capo.
    – Ne godo davvero, – disse il signor Pickwick, gettando energicamente il berretto sul piumino. – Bravi ragazzi cotesti studenti; bravissimi giovani, il cui giudizio è maturato dall'osservazione e dalla riflessione, e il cui gusto viene educato dalla lettura e dallo studio. Ne godo davvero. (cap. 30, 1879)
  • Le separazioni sono allegre durante la vita scolastica; ma fuor della scuola sono abbastanza dolorose. La morte, il dovere e i mutamenti di fortuna sciolgono ogni giorno dei gruppi felici e li sparpagliano lontano, e i fanciulli e le fanciulle non ritornano più. (cap. XXX; 1928, vol. II, p. 15)
  • Quando uno sanguina entro di sé, è in una condizione pericolosa per lui; ma quando ride entro di sé è pericoloso per gli altri. (Mallard: cap. XXXI; 1928, vol. II, p. 27)
  • Un conto, sia detto per incidenza, è la più straordinaria locomotiva che il genio umano abbia mai inventata. Correrebbe tutta la vita, senza mai fermarsi spontaneamente. (cap. XXXII; 1928, vol. II, p. 34)
  • È un vento veramente cattivo quello che non soffia bene per nessuno. (cap. XXXII; 1928, vol. II, p. 41)
  • All'età mia, sarà un gran colpo, questo è certo; ma io son duro parecchio, questo è che mi consola, come disse il vecchio tacchino quando il pollaiolo gli disse che temeva di dovergli tirare il collo per portarlo al mercato. (Tony Weller: cap. 33, 1879) [wellerismo]
  • Sicché colgo l'occasione di questo giorno, Maria mia cara, come disse cuel tal debitore che usciva soltanto le domeniche [...]. (Sam Weller: cap. 33, 1879) [wellerismo]
  • [...] le verrà la voglia che ci sia dell'altro, e questa è la grande arte di scrivere le lettere. (Sam Weller: cap. 33, 1879)
  • Gli avvocati opinano che ci siano due specie di testimoni particolarmente nocivi: i riluttanti e i troppo volenterosi [...]. (Signor Winkle: cap. XXXIV; 1928, vol. II, p. 79)
  • – Lo scrivete col V o col doppio V?
    – Questo dipende dal gusto e dalla fantasia di chi lo scrive, eccellenza. (cap. 34, 1879)
  • A proposito, chi sa perché molti, che non leggono e non scrivono mai, hanno sempre qualche stanzetta che chiamano studio? (Sam Weller: cap. XXXV; 1928, vol. II, p. 97)
  • È vecchio privilegio dei re di governar tutto, ma non le loro passioni. (cap. XXXVI; 1928, vol. II, p. 108)
  • – Ma è sempre così, – disse Giovanni Smauker; – se il destino ti scaglia nella vita pubblica e in una funzione pubblica, devi aspettarti d'andar soggetto a tentazioni, dalle quali, Weller, gli altri sono esenti. (cap. XXXVII; 1928, vol. II, p. 116)
  • Certi vecchi sono come gli elefanti. Di tanto in tanto s'eccitano e diventano selvaggi. (Roker: cap. XLII; 1928, vol. II, p. 189)
  • [...] io non son troppo abituato a cantare senza lo strumento: ma tutto pel quieto vivere, come disse il marinaio quando fu nominato custode della lanterna del molo. (Sam Weller: cap. 43, 1879) [wellerismo]
[...] qualunque cosa per il quieto vivere, come disse quel tale accettando il posto del faro. (1928, vol. II, p. 205)
  • Abbasso la melanconia, come disse lo scolaro a cui era morto il maestro. (Sam Weller: cap. XLIV; 1928, vol. II, p. 217)
  • Le lagrime – disse Giobbe, con uno sguardo di momentanea astuzia, – non sono le sole prove della sofferenza, né le migliori. (cap. XLV; 1928, vol. II, pp. 233-234)
  • Dolente di dover interrompere il vostro piacevole trattenimento, come disse il re quando sciolse il parlamento [...]. (Sam Weller: cap. XLVIII; 1928, vol. II, p. 267)
  • [...] doveva esser così, e così è stato, come disse la vecchia signora dopo che si fu sposato il servitore. (Sam Weller: cap. 52, 1879) [wellerismo]
  • Non ci badate; tutto pel mio meglio, come disse lo scolare pentito quando gli dettero il cavallo. (Tony Weller: cap. 52, 1879) [wellerismo]
  • [...] più uno ingrassa, e più diventa saggio. Pancia e saggezza, Samuelino, crescono sempre insieme. (Tony Weller: cap. LV; 1928, vol. II, p. 362)
  • È il destino del vecchio solo, che quelli che gli stanno d'attorno debbano crearsi nuovi e diversi affetti e lasciarlo. (cap. LVI; 1928, vol. II, p. 373)
  • Lasciamo il nostro vecchio amico in uno di quei momenti di pura felicità, che si trovano, se li cerchiamo, ed allietano la nostra fuggevole esistenza quaggiù. Sulla terra vi son delle ombre buie, ma le luci, nel contrasto, son più vive. Alcuni, come i pipistrelli e i gufi, hanno occhi più adatti alla tenebra che alla luce. Noi, che non abbiamo simili facoltà ottiche, siam lieti di dare il nostro ultimo sguardo d'addio ai compagni immaginari di molte ore solitarie, nel momento che la breve felicità di questo mondo, come una fulgida luce di sole, raggia in pieno su di loro. (cap. LVII; 1928, vol. II, p. 389)
  • È destino di molti uomini, che vivono fra la gente e vanno innanzi con gli anni, di farsi molti veri amici e di perderli poi nel corso della vita. È destino di tutti gli autori o cronisti di crearsi degli amici immaginari, e di perderli nel corso dell'arte. Né qui si arresta la disgrazia loro; perché si richiede inoltre da loro che di quelli rendano un conto preciso. (cap. 57, 1879)

Citazioni su Il circolo Pickwick[modifica]

  • Il lettore che apre la prima volta Pickwick adesso prova la stessa gioia di chi lo leggeva a fascicoli nell'anno 1836. Gli allegri personaggi, che lo popolano, ridono con la stessa schietta giocondità d'allora; gli episodi comici, che occhieggiano con grazia birichina da tutte le pagine, vi mettono con lo strepito delle risate gioiose un rumore di cascatelle che vi dà la sensazione e la visione di acque gorgoglianti e schiumose, di poggetti fioriti e di boschetti ombrosi, di desinari sull'erba, di grida e di richiami di brigate chiassose, a spasso in giornate di sole e di felicità. Pickwick si può leggere non una, ma due, tre, dieci volte, ed è sempre nuovo. È come un inesauribile riso di giovinezza eterna. (Silvio Spaventa Filippi)

Il mistero di Edwin Drood[modifica]

Incipit[modifica]

Originale[modifica]

An ancient English Cathedral Tower? How can the ancient English Cathedral tower be here! The well-known massive grey square tower of its old Cathedral ? How can that be here! There is no spike of rusty iron in the air, between the eye and it, from any point of the real prospect.

[Charles Dickens, The mystery of Edwin Drood, Chapman & Hall, London, 1870.]

Pier Francesco Paolini[modifica]

Il campanile di un'antica Cattedrale inglese? Ma come può trovarsi qui, quest'antica torre? Eppure, è la massiccia, e a lui ben nota, mole squadrata e grigia della torre campanaria d'una vecchia Cattedrale. Come può trovarsi qui? Come si spiega la presenza, fra l'occhio di chi guarda e questa torre, qui, di un'asta di ferro, aguzza e arrugginita?

Citazioni[modifica]

  • Cosa c'è di più grazioso di una vecchia signora (a parte una signora giovane) allorché i suoi occhi sono lucenti, allorché la sua figura è snella e compatta, allorché il suo viso è allegro e tranquillo, allorché il suo vestito è simile a quello di una pastorella di porcellana: sì delicato nei suoi colori, così adatto alla persona, così ben modellato su di lei? (cap. VI)
  • «Forse, la miglior forma di civiltà e cortesia, in qualsiasi ambiente si sia stati allevati,» ribatte Edwin Drood «è badare ai propri affari.» (cap. VIII)
  • È stato bene spesso osservato che le donne hanno il curioso potere di indovinare il carattere degli uomini, un potere che sembrerebbe innato ed istintivo, dato che a esso non si attinge mediante un paziente ragionamento, dato che esso non è in grado di render sufficientemente conto di se stesso, e che si esprime e manifesta con la massima sicumera anche contro un cumulo di osservazioni in contrario da parte dell'altro sesso. Ma non è stato altrettanto spesso osservato che tale potere (fallibile, come qualsiasi altro attributo umano) è in linea di massima assolutamente incapace di auto-revisione; e che quando ha espresso un parere avverso che, ai lumi dell'umano intelletto, si sia susseguentemente dimostrato erroneo, esso parere non si distingue più dal pregiudizio, per quanto concerne la sua determinazione a non venir riveduto e corretto. Anzi, la possibilità stessa di una contraddizione o confutazione, per quanto remota, impartisce a codesto femminil giudizio, sin dall'inizio, in nove casi su dieci, quella debolezza ch'è insita nella testimonianza resa da un testimone interessato; sì personalmente e sì fortemente connette, la gentil indovina, se stessa alla propria divinazione. (cap. X)
  • I Sindaci vengono elevati alla loro carica affinché pronuncino discorsi e indirizzi: macchine belliche che, intrepidamente, sparano pallottole e granate contro la Grammatica Inglese. (cap. XII)
  • Non v'è nulla di piccolo, per chi è veramente grande in ispirito. (cap. XVII)
  • [...] mister Grewgious sollevò lo sguardo, dalle finestre alle stelle, come se egli volesse leggere, in esse, qualcosa che gli era celato. Molti di noi lo vorrebbero, se lo potessero; ma nessuno di noi conosce ancora l'alfabeto degli astri – né appare probabile che mai verrà a conoscerlo, in questo stadio dell'esistenza – e ben poche lingue posson leggersi finché non si sia ben padroni dei loro segni alfabetici. (cap. XVII)
  • [...] la confusione mentale non [è] sempre, necessariamente, goffa ma [può], talvolta, presentar un grazioso aspetto. (cap. XXII)

Il nostro comune amico[modifica]

Incipit[modifica]

Filippo Donini[modifica]

Ai nostri giorni (non è necessario indicare l'anno con maggiore esattezza) una barca d'aspetto sporco e poco rassicurante, con dentro due persone, andava sul Tamigi tra il ponte di Southwark, che è di ferro, e il ponte di Londra, che è di pietra, sul finire di una sera d'autunno.

Fruttero & Lucentini[modifica]

Ai nostri giorni (non importa precisare l'anno), una barca di sudicio e malandato aspetto, con due figure a bordo, s'aggirava sul Tamigi tra il Southwark Bridge, che è di ferro, e il London Bridge, che è di pietra, mentre il pomeriggio d'autunno andava già cedendo alla sera.[fonte 8]

Citazioni[modifica]

  • [...] c'è una maligna tendenza dell'umanità ad approfittare della minima occasione di guardare chiunque, piuttosto che la persona che le parla. (lib. I, cap. II)
  • Chi sa leggere non guarda un libro, nemmeno se chiuso in uno scaffale, allo stesso modo di chi non sa leggere. (lib. I, cap. III)
  • Ma dal modo come si mettono insieme vari elementi dipende se il risultato sarà una donna o un pesce, oppure una sirena. (lib. I, cap. III)
  • Perché questa è la legge eterna: il male spesso finisce e muore con chi lo fa, ma il bene continua. (lib. I, cap. IX)
  • Come è ben noto alla nostra saggia generazione la compra e vendita di azioni è l'unica cosa da fare in questo mondo. Non c'è bisogno di antenati né di una buona reputazione, né di cultura, né di idee, né di bei modi: basta avere azioni. Avere abbastanza azioni da far parte del Consiglio Generale col nome in lettere maiuscole, viaggiare su e giù tra Londra e Parigi per affari misteriosi, ed essere grandi. Da dove viene quel tale? Dalle azioni. Dove va? Alle azioni. Che gusti ha? Azioni. Ha dei princìpi? Ha azioni. Che cos'è che lo manda al Parlamento? Le azioni. Forse da solo non è mai riuscito a nulla, non ha mai fatto nulla, non ha mai prodotto nulla! Ma le azioni spiegano tutto. O potenti azioni! Voi fate risplendere in alto quelle lucenti immagini per cui noi pidocchi insignificanti gradiamo notte e giorno, come per effetto dell'oppio o della cicuta: «Liberateci dal nostro denaro, sparpagliatelo per nostro conto, comprateci e vendeteci, rovinateci, soltanto vi preghiamo di assidervi tra le potenze della terra e d'ingrassare a nostre spese!» (lib. I, cap. X)
  • [...] c'è nell'inglese una combinazione di qualità, una modestia, un'indipendenza, una responsabilità, un riposo, combinati con l'assenza di tutto ciò che possa fare arrossire una fanciulla, che si cercherebbero invano tra le nazioni della terra. (Signor Podsnap: lib. I, cap. XI)
  • L'istinto (parola che tutti capiscono bene) cammina generalmente a quattro zampe, ma la ragione sempre con due, e perciò un animale a quattro zampe non può mai raggiungere, nella bassezza, la perfezione di un uomo. (lib. II, cap. V)
  • [...] il servo incompetente, da chiunque sia impiegato, è sempre contro il padrone. Anche certi governatori nati, persone nobili e molto onorevoli, che hanno dato prova di assoluta incapacità in posti importanti, si sono mostrati senza eccezione avversi al loro padrone, ora affettando sfiducia, ora ostentando insolenza. E quello che è vero del padrone e del servo negli affari pubblici, è egualmente vero dei servi e padroni privati in tutto il mondo. (lib. II, cap. VII)
  • Quando la vostra famiglia vuol sbarazzarsi di voi, non c'è niente di più facile che mettervi in urto con la vostra famiglia. (lib. II, cap. V)
  • L'amore, benché si dica che sia cieco, sa far buona guardia [...]. (lib. II, cap. XI)
  • [...] c'è una moltitudine di caratteri deboli e incapaci d'iniziativa che sono sempre pronti a entusiasmarsi per la prima idea sballata che capita (e generalmente ai giorni nostri s'infiammano per qualcuno che ha fatto qualche cosa, e poi si scopre che non ha fatto proprio nulla) [...]. (lib. II, cap. XI)
  • La potenza (a meno che non sia la potenza dell'intelletto o della virtù) ha sempre la più grande attrattiva sulle nature più basse [...]. (lib. III, cap. VII))
  • [Parlando del figlio] Sarebbe più acuto del dente di un serpente, se non fosse più piatto dell'acqua stagnante. (Fanny Cleaver: lib. III, cap. X)
  • Se i grandi criminali dicessero la verità – ma essendo grandi criminali non la dicono – racconterebbero molto raramente di aver lottato contro il delitto. Lottano per compierlo. Essi tengono testa alle onde avverse, per raggiungere la riva sanguinosa, non per fuggirla. (lib. III,cap. XI)
  • E questa è un'altra delle disgrazie a cui va incontro un criminale. Ci sono cinquanta porte aperte alla scoperta del suo delitto. Egli si preoccupa con infinita cura di sbarrarne saldamente quarantanove, e non si accorge della cinquantesima che resta spalancata. (lib. IV, cap. VII)
  • [...] il criminale che riesce a tenere a bada il rimorso della sua coscienza che grida vendetta, non può sfuggire a una tortura più lenta che consiste nel ripetere incessantemente il delitto, nella sua immaginazione, mille e mille volte, e sempre in modo più perfetto. Nelle dichiarazioni che gli assassini fanno a loro difesa e nelle loro pretese confessioni, si può rintracciare attraverso tutte le loro bugie il filo di questa tortura che li perseguita. Se avessi fatto quello di cui mi si accusa, si può immaginare che avrei fatto questo sbaglio e quest'altro? Se avessi fatto quello di cui mi si accusa, avrei lasciato quello spiraglio per il quale ha deposto ignobilmente contro di me quel testimonio falso e malvagio? Lo stato del miserabile che continuamente trova i punti deboli del suo delitto quando non si può cambiar più niente, e cerca di rafforzarli, è uno stato che aggrava l'offesa perché ripete il delitto mille volte, ma è anche uno stato che infligge alla trista, spietata natura del colpevole la punizione di un tormento inimmaginabile. (lib. IV, cap. VII)
  • L'amore è in ogni cosa un maestro ammirevole [...]. (lib. IV, cap. XI)

Impressioni italiane[modifica]

  • Potemmo vedere Genova prima delle tre e l'osservare come gradualmente si sviluppava il suo splendido anfiteatro, fila di case che spuntavano sopra fila di case, giardino sopra giardino, palazzo sopra palazzo, altura su altura, fu ampio motivo di occupazione per noi finché non entrammo nel suo porto imponente. (pp. 28-29)
  • [Su Genova] Mai, in vita mia, fui così sbigottito! La meravigliosa novità di tutto, gli odori sconosciuti, l'inesplicabile sudiciume (malgrado sia considerata la più pulita delle città italiane), l'ammucchiarsi disordinato di case sporche, una sopra il tetto dell'altra; i vicoli, più squallidi e stretti che quelli di St. Giles o di Parigi vecchia; dentro e fuori i quali passavano e ripassavano non dei vagabondi ma delle signore eleganti, con veli bianchi e grandi ventagli; la totale assenza di rassomiglianza di qualsiasi casa d'abitazione o negozio o muro o sostegno o colonna con qualcosa che uno avesse visto prima; lo sporco scoraggiante, il disagio e lo sfacelo, mi stordirono completamente. (p. 29)
  • Non immaginavo, quel giorno, che sarei mai arrivato ad avere un legame persino con le pietre della strada di Genova e che avrei ripensato alla città con affetto, perché connessa con tante ore di felicità e di quiete! (p. 30)
  • Le prime impressioni che un posto del genere di Albaro, il sobborgo di Genova dove attualmente, come direbbero i miei amici americani, sono "situato", possono difficilmente non essere, devo supporre, lugubri e deludenti. Ci vuole un po' di tempo e di abitudine per superare la sensazione di depressione che, all'inizio, nasce da tanta rovina e tanta trascuratezza. (p. 31)
  • La Villa Bagnarello: o la Prigione Rosa, espressione molto più indicata per l'edificio, è in una delle più splendide posizioni immaginabili. [...] Una decrepita, tetra, spettrale, echeggiante e sinistra casa disadorna: questo è; come non ne ho mai né viste né immaginate. (pp. 32, 34)
  • [Su Genova] È un posto che "cresce dentro di voi" giorno per giorno. Sembra sempre che vi sia qualcosa da scoprirvi. Potete smarrire il vostro cammino (che cosa gradevole è, quando siete senza meta!) venti volte al giorno, se vi aggrada; e ritrovarlo tra le più sorprendenti ed inaspettate difficoltà. Abbonda dei più strani contrasti: cose pittoresche, brutte, meschine, magnifiche, deliziose e disgustose vi si parano davanti allo sguardo ad ogni angolo. (p. 45)
  • Chi vuole vedere quanto è bella la campagna negli immediati dintorni di Genova deve salire, in una giornata serena, in cime al monte Faccio o, almeno, fare una cavalcata intorno alle mura della città che è un'impresa molto più facile da compiere. Non c'è panorama più bello e più vario delle mutevoli vedute del porto e delle valli dei due fiumi, la Polcevera e il Bisagno, da quelle alture lungo le quali sono costruite le mura, poderosamente fortificate, come una piccola grande muraglia cinese. (pp. 45-46)
  • La grande maggioranza delle strade è tanto stretta quanto un passaggio pubblico è possibile che lo sia – in un luogo dove la gente (sia pure degli italiani), si suppone che viva e circoli; trattandosi di veri vicoli, con qua e là una specie di pozzo o di posto per respirare. (p. 47)
  • Quando potrò dimenticare le strade dei palazzi: la strada Nuova e la strada Balbi? O come l'una mi apparve un giorno d'estate quando la vidi la prima volta sotto il più smagliante dei cieli estivi blu intenso che la sua stretta prospettiva di immense dimore riduceva ad una affusolata e preziosissima striscia di lucentezza, in contrasto con l'ombra scura sottostante? (p. 48)
  • Lo splendore e la varietà delle chiese genovesi può difficilmente essere esagerato. Specialmente la chiesa dell'Annunciata: costruita, come molte altre, a spese di una nobile famiglia e che ora viene lentamente restaurata: dalla porta esterna sino alla sommità dell'alta cupola, è così finemente dipinta e dorata che sembra (come dice il Simond, nel suo piacevole libro sull'Italia) una grande tabacchiera smaltata. (p. 65)
  • Ci sono tre teatri in città, a parte uno vecchio che viene aperto raramente. Il più importante – il Carlo Felice: il teatro dell'opera di Genova – è uno splendido, comodo e bel teatro. (p. 68)
  • Il Teatro Diurno è un palcoscenico coperto, all'aria aperta, dove gli spettacoli hanno luogo con la luce del giorno, nel fresco del pomeriggio; con inizio verso le quattro o le cinque e della durata di tre ore. È curioso, seduti tra il pubblico, godere una bella vista delle colline e delle case circostanti, vedere i vicini guardare dalle loro finestre e sentire le campane delle chiese e dei conventi suonare completamente a sproposito con quello che avviene in scena. (p. 69)
  • Non c'è in Italia, dicono (e io ci credo), un'abitazione più piacevole di Palazzo Peschiere [...] Si trova su un'altura all'interno delle mura di Genova ma appartato dalla città: è circondato da bei giardini interni, abbelliti con statue, vasi, fontane, bacini marmorei, terrazze, viali di aranci e di limoni, boschetti di rose e di camelie. Tutti gli appartamenti sono belli per proporzioni e decorazioni; ma il grande vestibolo, alto una cinquantina di piedi, con tre grandi finestre sul fondo, che guardano sull'intera città di Genova, il porto e il mare che la circonda, offre uno dei più deliziosi ed affascinanti panorami del mondo. Sarebbe difficile immaginare una dimora più gradevole e comoda di quella che offrono le grandi stanze, all'interno; e certamente niente di più delizioso potrebbe essere immaginato dello scenario fuori, alla luce del sole o al chiaro di luna. Somiglia più ad un palazzo incantato in una novella orientale che ad una sobria e grave dimora. (p. 78)
  • [Su Villa delle Peschiere] Che si possa vagare di stanza in stanza senza mai stancarsi di osservare le decorazioni fantastiche sui muri e sui soffitti, così vivaci nella loro freschezza di colori come se fossero stati dipinti ieri; o come un piano, o anche il grande ingresso su cui si aprono altre otto stanze, sia una spaziosa passeggiata; o come ci siano corridoi e camere da letto che non usiamo e che raramente visitiamo e delle quali a malapena ritroviamo la strada; o che ci sia una veduta diversa per ognuna delle quattro facciate dell'edificio, poco importa. Ma quel panorama del vestibolo è come una visione per me. (pp. 78-79)
  • [Sul Monte Fasce] [...] la più splendente delle colline con il bel tempo, ma la più tetra quando si avvicina il temporale [...] (p. 79)
  • [Sull'Acquasola] [...] una passeggiata pubblica dove la banda militare suona gaiamente, dove i veli bianchi delle genovesi si radunano numerosi e dove le famiglie nobili della città cavalcano in tondo e in tondo e in tondo, almeno in abito e carrozza di gala, se non con perfetta padronanza. (p. 80)
  • Quando i suoi straordinari paesaggi sono finiti e si snoda tra una lunga linea di sobborghi, che si stendono sulla piatta riva del mare, verso Genova, allora le mutevoli brevi apparizioni di questa magnifica città e del suo porto destano nuove fonti di interesse; rinnovate da ogni vasta, ingombrante, semidisabitata vecchia casa di periferia: e arrivando all'apice quando si raggiunge la porta della città e tutta Genova, con la sua bellissima baia e le colline circostanti, esplode orgogliosamente alla vista. (p. 93)
  • Deliziosa Verona! Con i suoi bei palazzi antichi e l'incantevole campagna vista in distanza da sentieri praticabili e da solide gallerie con balaustra. Con i suoi tranquilli ponti romani che tracciano la retta via illuminando, nell'odierna luce solare, con tonalità antiche di secoli. Con le chiese marmoree, le alte torri, la ricca architettura che si affaccia sulle antiche e quiete strade nelle quali riecheggiavano le grida dei Montecchi e dei Capuleti...
Pleasant Verona! With its beautiful old palaces, and charming country in the distance, seen from terrace walks, and stately, balustraded galleries. With its Roman gates, still spanning the fair street, and casting, on the sunlight of to-day, the shade of fifteen hundred years ago. With its marble-fitted churches, lofty towers, rich architecture, and quaint old quiet thoroughfares, where shouts of Montagues and Capulets once resounded...[fonte 9]
  • Perugia, munita di grandi mezzi di difesa dalla natura e dalla mano dell'uomo, sorge improvvisamente su di un'altura.[fonte 10]

Explicit[modifica]

Sentiamo per l'ultima volta nel nostro viaggio risuonarci all'orecchio la lingua italiana, e lasciamo quest'Italia, oppressa dalle miserie e dagli oltraggi. La lasciamo coll'amore e l'ammirazione che suscitano le sue bellezze naturali e artistiche, di che è sì miracolosamente ricca, e con un sentimento di vivo affetto per un popolo buono, paziente e gentile. L'inerzia di tanti anni, l'oppressione e lo sgoverno, si son data la mano per deteriorare l'indole di esso e per scemarne la vigoria intellettuale; delle miserabili gelosie, fomentate da piccoli principi, che vedevano nell'unione degli Italiani la loro rovina, e nella disunione la loro forza, hanno guasto e offuscato in essi il sentimento della nazionalità, e financo imbarbarita la loro lingua; ma il buono che fu sempre in essi, esiste ancora, e da queste ceneri può un giorno sorgere una nobile nazione. Sia questa una speranza che serbiamo!

[L'Italia: impressioni e descrizioni di Carlo Dickens, traduzione con note del prof. Edoardo Bolchesi, Ulrico Hoepli, Napoli-Milano-Pisa, 1879.]

La bottega dell'antiquario[modifica]

Incipit[modifica]

Originale[modifica]

Night is generally my time for walking. In the summer I often leave home early in the morning, and roam about fields and lanes all day, or even escape for days or weeks together, but saving in the country I seldom go out until after dark, though, Heaven be thanked, I love its light and feel the cheerfulness it sheds upon the earth, as much as any creature living.

[Charles Dickens, The Old Curiosity Shop, Chapman and Hall, London, 1841.]

Silvio Spaventa Filippi[modifica]

È mio costume, vecchio qual sono, d'andare a passeggio quasi sempre di notte. L'estate, spesso, me n'esco di casa la mattina presto, e giro per i campi e i viottoli tutta la giornata, o anche me ne sto lontano per giorni o settimane di fila; ma, tranne che in campagna, di rado esco se non al buio, sebbene, e ne sia ringraziato il Cielo, io ami la luce del giorno e senta, al pari d'ogni creatura vivente, la gioia ch'essa riversa sul mondo.

Citazioni[modifica]

  • [Dialogo tra personaggi innominati, il secondo dei quali è il nonno di Nell] – Mi addolora sempre – osservai, mosso da ciò che prendevo per suo egoismo – m'addolora sempre vedere i fanciulli iniziati alle durezze della vita, quando sono appena usciti dall'infanzia. Questo scompiglia la loro fiducia e la loro semplicità... due delle migliori qualità di cui li adorna il Cielo... e fa sì ch'essi partecipino alle nostre tristezze prima che siano capaci di godere dei nostri piaceri.
    – Non scompiglierà mai le sue – disse il vecchio, guardandomi fisso – le sorgenti sono troppo profonde. D'altra parte, i figliuoli dei poveri conoscono pochi piaceri. Anche le più tenere gioie della fanciullezza si debbono comprare e pagare. (vol. I, cap. I)
  • Se l'ala dell'amicizia non dovrebbe mai mutare una piuma, l'ala della parentela non dovrebbe essere mai mozzata e arruffata. (Dick Swiveller: vol. I, cap. II)
  • – No – disse Riccardino, scotendo il capo – ma di questi vecchi... non c'è da fidarsi molto, Rico. Ho una vecchia zia laggiù nel Dorsetshire che doveva morire quando io avevo otto anni, e non ha mantenuto ancora la promessa. Sono così opprimenti, così incoerenti, così sprezzanti questi vecchi... Se in famiglia non c'è l'apoplessia, Rico, non si può fare alcun calcolo su di loro, e anche allora son capaci di fartela in barba. (vol. I, cap. VII)
  • – Vi dico, signora – disse il signor Witherden – ciò che penso di un galantuomo, che, come osserva il poeta, è l'opera più nobile della creazione. Io signora, son d'accordo col poeta in ogni particolare. Le Alpi vertiginose da una parte e l'uccello-mosca dall'altra, non son nulla, in fatto di esecuzione, di fronte a un onest'uomo... o a una donna... una donna. (vol. I, cap. XIV)
  • [...] è costume degli eroi, quando si trovano in tristi condizioni, assalire [il destino] con amarezza e ironia. (vol. I, cap. XXXIV)
  • Nessuno si butta in terra da sé; se il suo destino lo butta in terra, tocca al destino di raccoglierlo. (Dick Swiveller: vol. I, cap. XXXIV)
  • [...] come i dottori di rado pigliano le loro ricette, e i sacerdoti non sempre praticano ciò che predicano, così gli avvocati sono restii a ricorrere alla legge per conto proprio, sapendo bene che essa è un affilatissimo strumento d'incerta applicazione, dispendiosissimo a mettere in moto, e adatto più a tosare perfettamente, che a tosare la persona che bisogna tosare. (vol. I, cap. XXXVII)
  • Dall'amore della casa, origina l'amor della patria [...]. (vol. II, cap. I)
  • Ah, le vacanze! Perché ci lasciano dei rimpianti? Perché non possiamo ricacciarle indietro nella nostra memoria d'una settimana o due, tanto da riportarle a un tratto a quella giusta distanza donde possono essere guardate o con calma indifferenza o con un piacevole sforzo di rievocazione? Perché ci aleggiano intorno come la fragranza del vino di ieri, con un vago sentore di mal capo e di stanchezza, e come quelle buone intenzioni per l'avvenire, che formano giù negli abissi il lastricato permanente d'un vasto dominio, e quassù durano di solito fino all'ora del desinare, un po' più, un po' meno? (vol. II, cap. III)
  • [...] nella maggioranza dei casi, la coscienza è un indumento molto elastico e flessibile, che si allunga molto e si adatta a una gran varietà di circostanze. Certa gente, con un prudente governo e col toglierselo a poco a poco, come si fa con una sottoveste di flanella in estate, si sforza anche, a tempo debito, di farne interamente a meno; ma vi sono altri che possono indossarlo e spogliarsene a piacere; e questo, essendo cosa più conveniente e comoda, è molto più in voga. (vol. II, cap. VI)
  • [...] i cimenti più duri e più validamente sopportati sono quelli che non son mai registrati nelle memorie di questo mondo, e che pure si soffrono tutti i giorni. (Mr Marton: vol. II, cap. IX)
  • Qualunque cosa faccia del rumore è gradita alla folla. (vol. II, cap. X)
  • [...] la decantata voce di popolo, dissimile al sasso che rotola del proverbio,[10] raccoglie molto musco nei suoi continui andirivieni [...]. (vol. II, cap. XI)
  • Questo Kit appartiene a quella vostra simpatica gente virtuosa, alla simpaticissima categoria dei giusti, degl'ipocriti, dei vili, delle persone a due facce, dei traditori, delle spie, dei cagnolini che leccano chi dà loro un tozzo di pane e li vezzeggia, e che latrano e s'avventano contro tutti gli altri. (Quilp: vol. II, cap. XIV)
  • Ogni cosa nella vita, buona o cattiva, ha quasi sempre un effetto su di noi per via di contrasto. (vol. II, cap. XVI)
  • Così le gesta violente vivono ancora dopo che sono scomparsi gli uomini, e le tracce della guerra e degli spargimenti di sangue sopravviveranno in lugubri forme, molto tempo dopo che i distruttori non saran più che atomi di terra. (vol. II, cap. XVI)
  • Vi sono delle corde nel cuore umano – strane, variabili corde – che vibrano soltanto per caso: rimaste mute e insensibili agli appelli più fervidi e gravi, rispondono finalmente al tocco più lieve e impensato. Nelle menti torbide e deboli, v'è una serie di riflessioni che l'arte può di rado guidare o l'abilità assistere, ma che si rivelerà, come è avvenuto alle grandi verità, per caso e quando lo scopritore non ha che il più semplice oggetto in vista. (vol. II, cap. XVIII)
  • [...] se non vi fossero delle persone cattive, non ci sarebbero dei bravi avvocati. (Sansone Bronzi:[11] vol. II, cap. XIX)
  • La tranquillità di spirito, Riccardo, è la dolcezza dell'esistenza. (Sansone Bronzi: vol. II, cap. XIX)
  • Io non guardo alla sottoveste. Guardo al cuore. Le strisce della sottoveste non sono che le gretole della gabbia. Ma l'uccello è il cuore. Ah! Quanti poveri uccelli intristiscono continuamente e mettono i loro becchi a traverso le gretole per beccare con affetto tutta l'umanità. (Sansone Bronzi: vol. II, cap. XIX)
  • – Un uomo – dice Sansone – che perde quarantasette sterline e dieci scellini in una mattinata per la propria onestà, è un uomo da invidiare. Se fossero state ottanta sterline, il piacere di questo sentimento sarebbe aumentato. Ogni sterlina perduta sarebbe stata mezzo quintale di felicità guadagnata. La calma vocina, Cristoforo – esclama Bronzi, sorridendo e picchiandosi il seno – è una lieta canzone entro di me, ed è tutta felicità e gioia! (vol. II, cap. XX)
  • – Io vi do la mia parola, guardia... – disse Bronzi. Ma a questo punto la guardia s'interpose fondandosi sul principio costituzionale che le parole volano, e osservando che le chiacchiere fossero soltanto pappa per i bambini e i lattanti, e che invece il cibo dei forti fossero i giuramenti. (vol. II, cap. XXIII)
  • Il mondo, che commette continuamente immense ingiustizie, si consola troppo facilmente con l'idea che alla vittima delle falsità ch'esso trama e della malignità ch'esso trasuda, non possa mancare, avendo la coscienza pura, un conforto nelle proprie sofferenze, e che in un modo o nell'altro, finirà per trionfare; e «in questo caso» dicono quelli che hanno abbattuto la vittima, «benché noi non ce l'aspettiamo, nessun sarà più lieto di noi». E invece il mondo farebbe bene a riflettere, che l'ingiustizia è in se stessa, per ogni animo ben fatto e generoso, il male più insoffribile, il più atroce e difficile a sopportare; e che molte coscienze pure trovarono la loro giustificazione altrove, e che molti cuori saldi si infransero appunto perché la coscienza dei propri meriti non fece che aggravare le loro sofferenze e renderle più tormentose. (vol. II, cap. XXIV)
  • [...] la verità, in sé considerata, è una sublime e magnifica cosa, signori, benché non si sia sempre lieti di vederla, appunto come altre sublimi e magnifiche cose, gli uragani, per esempio... (Sansone Bronzi: vol. II, cap. XXIX)
  • [...] sebbene la necessità non abbia legge, ha i suoi cultori di legge. (Sansone Bronzi: vol. II, cap. XXIX)
  • Tu non hai dimenticato la massima di nostro padre... il nostro riverito padre, signori... «Sospettate sempre di tutti». (Sansone Bronzi: vol. II, cap. XXIX)
  • Così accade sempre che questi uomini di mondo lo traversino corazzati per difendersi tanto del male quanto del bene, non contando il fastidio e l'assurdità di montar sempre la guardia col microscopio e di andar vestiti di ferro anche nelle più innocenti occasioni. (vol. II, cap. XXIX)
  • La massima di Bronzi era che l'abitudine di far dei complimenti teneva la lingua oliata senza alcuna spesa; e siccome quell'organo utilissimo non deve mai arrugginire o stridere sui cardini nel caso specifico d'un uomo di legge, che ha bisogno d'averlo sempre facile e spedito, di rado egli perdeva l'occasione di far pompa di discorsetti lusinghieri e di espressioni laudative. (Sansone Bronzi: vol. II, cap. XXXV)
  • Quando la morte s'abbatte sugli innocenti e i giovani, per ogni fragile forma dalla quale scioglie lo spirito anelante, si levano centinaia di virtù in forma di grazia, di carità e d'amore, e vanno per il mondo, versando benedizioni. Dalle lagrime che i mortali addolorati versano sulle tombe precoci, nasce qualche bene, qualche più soave natura sorge. Sotto i passi della distruttrice balzano radiose creazioni che sfidano la sua potenza, e il suo triste cammino si muta in una via luminosa che conduce al cielo. (vol. II, cap. XXXV)
  • [...] la propaganda della bontà e della benevolenza non aggiunge virtù trascurabili alle buone qualità fondamentali della natura ed è un bell'argomento di soddisfazione per l'umanità tutta quanta. (vol. II, cap. XXXVI)

Explicit[modifica]

Son tanti i mutamenti che avvengono in pochi anni, e tutto passa come la narrazione d'una fiaba.

La piccola Dorrit[modifica]

Incipit[modifica]

Una trentina d'anni fa, Marsiglia bruciava un giorno ai raggi infocati del sole.
Nella Francia meridionale, un sole ardente in un giorno canicolare di agosto non era allora un fenomeno più strano di quanto in altri tempi sia stato o di quanto sia adesso. Ogni cosa dentro ed intorno a Marsiglia pareva che avesse sbarrato gli occhi, abbagliata ed abbagliante, al cielo infocato; fino al punto che questo fissarsi ed abbagliarsi a vicenda era ivi divenuto come una mania generale. I forestieri venivano abbagliati dalla accesa bianchezza delle case, dei muri, delle vie, dal bagliore delle strade aride e delle prossime colline il cui verde era stato arso. Tutto intorno in un moto spasmodico sbarrava gli occhi. Tutto, meno le vigne; le quali piegandosi sotto il fardello dei grappoli, occhieggiavano di tratto in tratto, quando l'aura calda e grave muoveva appena le loro languide foglie.

Citazioni[modifica]

  • [...] l'asserzione franca e sfacciata ha per mezzo mondo lo stesso valore di una prova irrecusabile. (lib. I, cap. I)
  • [...] s'incomincia a perdonare ad un luogo, non appena lo si è lasciato [...]. (Signor Meagles: lib. I, cap. II)
  • – Nel nostro viaggio attraverso la vita, – rispose freddamente la signora Wade, – noi c'incontreremo in tutti coloro che muovono verso di noi chi sa da quali parti e per quali vie; e quanto è stabilito che noi facciamo ad essi, e che essi facciano a noi, accadrà fatalmente. (lib. I, cap. II)
  • E così ella [la signora Clennam] andava sempre bilanciando le sue partite con la Maestà del cielo, registrando le entrate a credito, tenendo strettissimo calcolo dell'attivo, e reclamando ad alta voce il saldo del suo conto. Solo per questo era notevole, per l'energia e l'enfasi che vi metteva. Mille e mille non fanno altrimenti tutti i giorni della loro vita, e ciascuno a suo modo. (lib. I, cap. V)
  • – Zitto là, voi e la vostra filantropia! – esclamò l'ostessa, sorridendo e più che mai scrollando il capo. – Statemi a sentire. Io sono una donna, io. Non m'intendo punto di filantropia filosofica. So però quello che ho veduto e quello che ho guardato in questo mondo dove mi trovo. E vi so dir questo, amico mio, che vi son gente, – uomini e donne per disgrazia nostra, – che non hanno dentro di sé nulla di buono, proprio nulla. Che vi son gente che bisogna detestare con tutta l'anima. Che vi son gente che vanno trattati come nemici dichiarati della razza umana. Che vi son gente che non hanno cuore di uomo e che bisogna schiacciare come bestie selvagge, e toglierle dalla faccia della terra. Ce n'è pochi, spero; ma io ho veduto in questo mondo qui dove mi trovo ed anche nella piccola Aurora, che ce n'è di questa gente. (lib. I, cap. XI)
  • La maggior parte degli uomini sono abbastanza fedeli a sé stessi per serbarsi fedeli a un'antica illusione. Non è prova di leggerezza, ma anzi è una prova di costanza, quando l'illusione non regge al confronto della realtà e il contrasto le reca un colpo fatale. (lib. I, cap. XIII)
  • – Eccomi qua io, – disse Pancks, proseguendo la sua argomentazione col pigionale. – Per che altro credete voi che io sia fatto? Per niente altro. Tiratemi fuori dal letto di buon mattino, mettetemi al lavoro, datemi un ritaglio di tempo per ingoiare un po' di cibo, e tornate da capo e fatemi lavorar di schiena. Fatemi lavorar sempre; io farò lo stesso con voi, voi farete lo stesso con un altro, un altro con un altro e così via. Ed eccovi sommariamente tutti i doveri dell'uomo in un paese commerciale. (lib. I, cap. XIII)
  • L'insegna dell'onore e della vergogna, il grado di generale e di tamburino, una statua di Pari nell'Abbazia di Westminster e l’amaca del marinaio sospesa sulle profondità dell'Oceano, la mitra e l'officina, il seggio di presidente e la galera, il trono e la ghigliottina, – verso ciascuno di cotesti punti muovono i viaggiatori sulla strada maestra del mondo; ma cotesta strada ha mirabili divergenze, e solo il tempo ci può far vedere dove ciascun viaggiatore è diretto. (lib. I, cap. XV)
  • – Se un uomo ha la disgrazia di trovar per caso qualche cosa che torni utile al paese, bisogna bene che vi si dedichi tutto e ne veda la fine.
    – E non sarebbe miglior partito rinunziare a far conoscere il suo ritrovato?
    – Ah, no davvero! – rispose Doyce tentennando il capo con un sorriso pensieroso. – Il ritrovato non gli è stato messo nella testa per restarvi sepolto. Ci è stato messo perché dia qualche frutto. Voi tenete lo vostra vita a condizione che combatterete strenuamente per essa fino all'ultimo. Ogni inventore tiene la sua scoperta alle medesime condizioni. (lib. I, cap. XVI)
  • [Morale della barchetta] Vecchi o giovani, irosi o pacifici, scontenti o soddisfatti, voi tutti che mi guardate, la corrente non si arresta mai. Che si gonfino pure i vostri cuori al soffio della discordia, l'onda che s'increspa intorno alla prua di questa barchetta, canta sempre la stessa canzone. Un anno dopo l'altro, tenuto conto di quanto ne trattiene la barca, l'onda fa tante miglia all'ora. Qui dei rosai, là dei gigli, niente che sia incerto o mutabile sopra questa via che fugge sempre eguale, senza arrestarsi un momento; mentre voi, imbarcati sul rapido fiume del tempo, siete così capricciosi ed instabili. (lib. I, cap. XVI)
  • Io ho il merito di tenere aperto un esattissimo conto corrente a beneficio delle persone di mia conoscenza, portando a libro con una scrupolosa precisione tutto il bene ed il male che ne so. Questo lavoro lo fo così coscienziosamente, che son felice di farvi sapere che il più abbietto degli uomini può anche essere il più caro e degno amico del mondo; e sono in grado di darvi la consolante notizia che vi ha assai meno differenza di quanto possiate credere tra un uomo onesto e un birbante. (Signor Gowan: lib. I, cap. XVII)
  • [...] la vecchia signora viveva tuttavia deplorando la degenerazione dei tempi in compagnia di varie altre vecchie signore di ambo i sessi. (lib. I, cap. XVII)
  • – La società, – riprese la signora Merdle, curvando di nuovo il suo dito mignolo, – è così difficile a spiegarsi alla gioventù, e qualche volta alle persone di età matura, che io son contenta di quanto mi dite. Io vorrei che la società non fosse tanto arbitraria, non fosse così esigente... Zitto, pappagallo!
    Il pappagallo avea messo uno strido acutissimo, come se fosse il rappresentante della società in questione e volesse sostenere il suo diritto di essere esigente.
    – Ma, – riprese a dire la signora Merdle, – dobbiamo pigliarla come la troviamo. Sappiamo benissimo ch'ella è vuota, convenzionale, mondana, disgustevole, ma a meno che non fossimo dei selvaggi dei mari tropicali, – per me sarei stata felice di nascere in quelle parti; sento dire che vi si mena una vita deliziosa e che il clima è perfetto, – siamo obbligati a consultare cotesta società. È la sorte comune. Il signor Merdle, per esempio, è uno dei primi banchieri; affari sulla più vasta scala, ricchezza ed influenza grandissime, ma anch'egli come gli altri... Zitto, pappagallo!
    Il pappagallo avea messo un secondo strido, il quale completava in modo così espressivo la frase interrotta, che la signora, Merdle trovò inutile di aggiungere altro. (lib. I, cap. XX)
  • Uno che non può pagare trova un altro che nemmeno può pagare per farsi garantire che può pagare. È lo stesso caso che un uomo con le gambe di legno si faccia garantire da un altro uomo con le gambe di legno ch'egli ha due gambe di carne: né l'uno né l'altro cammineranno meglio per questo. E quattro gambe di legno vi danno più disturbo di due, quando non ne avete bisogno di nessuna. (Signor Panks: lib. I, cap. XXIII)
  • Pigliate tutto ciò che potete, e tenetevi tutto ciò che non siete obbligato a restituire. Questo si chiama far gli affari. (Signor Panks: lib. I, cap. XXIII)
  • [Dialogo tra Gowan e Clennam] – Non sono già un grande impostore, questo no. Compratevi un mio quadro, ed io vi dirò a quattr'occhi, ch'esso non vale la moneta che ci avete speso. Comprate un quadro di un altro pittore, – anche di uno di quei professoroni celebri che mi fanno stare a segno, – e c'è da scommettere cento contro uno che quanto più avrete pagato, tanto più il pittore vi avrà messo in mezzo. Fanno tutti così, sapete.
    – Tutti i pittori?
    – Pittori, scrittori, patriotti, tutti quelli che tengono bottega sul mercato sociale. Date venti sterline alla maggior parte delle persone di mia conoscenza, e sarete giusto ingannato fino a concorrenza della somma; datene ventimila, sarete ingannato per ventimila. (lib. I, cap. XXVI)
  • [...] le nostre più grandi speranze, chiuse e carezzate nel fondo del cuore, si allontanano da noi per andarsi a perdere nei vasti mari dell'eternità. (lib. I, cap. XXVIII)
  • Trovarsi ricacciato in una via senza uscita, come il signor Enrico Gowan; avere per dispetto abbandonato un certo campo senza possedere le qualità necessarie per avanzare in un altro ed andare a zonzo con le mani in mano sopra un terreno neutro, maledicendo all'uno ed all'altro, non è certo una situazione morale molto favorevole, né può il tempo arrecare alcuna sorta di rimedio. Il peggior calcolo che si possa fare in questo mondo è quello di certi matematici ammalati, i quali non conoscono che la sottrazione, quando invece trattasi di dare il totale dei meriti e dei successi altrui, senza che questa aggiunga una sola unità al totale della propria addizione, in fatto di meriti e di successi.
    D'altra parte, l'abitudine di cercare una specie di consolazione nel lamentarsi o nel vantarsi di essere disilluso, è veramente un'abitudine demoralizzatrice; la quale non tarda molto a produrre una infingarda noncuranza, una indifferenza completa per tutto ciò che richiede un lavoro costante. Deprezzare un capolavoro per far l'elogio di un lavoro mediocre, diventa una delle massime felicità di cotesti caratteri inaspriti, e non si può così prendersi giuoco della verità, senza che ne soffra profondamente l'onestà dei proprii sentimenti. (lib. II, cap. VI)
  • Quando si ha un po' di buon senso e una certa coltura generale, non si può dire di essere completamente ignaro di checchessia. (Doyce: lib. II, cap. VIII)
  • Ma il signor Tenace Mollusco, bisogna sapere, era un uomo abbottonato fino alla gola, e per conseguenza un uomo di un certo peso. Tutti gli uomini così abbottonati sono uomini profondi e di peso. Sia che la facoltà riservatasi di sbottonarsi o di rimanere abbottonato imponga al genere umano, sia che si creda generalmente che la saggezza si condensi e si accresca sotto un abito abbottonato, e si svapori quando l'abito si sbottona; certo è che l'uomo che più di tutti ha importanza, è l'uomo che va abbottonato fino alla gola. (lib. II, cap. XII)
  • È tanto difficile arrestare una epidemia morale, quanto una epidemia fisica; essa si dilata con la rapidità medesima della peste; il contagio, fatti i primi progressi, non risparmia né gradi, né professioni; coglie le persone più robuste, i temperamenti che meno sembrano soggetti ad essere attaccati. Son fatti questi dimostrati dall'esperienza, com'è dimostrato che l'aria è necessaria alla vita dell'uomo. Il massimo dei benefizii che si potesse rendere al genere umano sarebbe di arrestare ed isolare (strangolarli no, che sarebbe troppo), prima che l'infezione si propagasse, gli animi incancreniti, la cui debolezza e perversità diffonde questi terribili flagelli. (lib. II, cap. XIII)
  • E un mezzo granello di realtà, non altrimenti che una scarsa dose d'altri prodotti naturali egualmente rari, è capace di dar sapore e profumo ad una enorme quantità di diluente. (lib. II, cap. XXV)
  • Nessuno di noi può sapere con chiarezza a quali persone, a quali eventi si vada debitori per questo rispetto, fino a che la ruota della vita, arrestata di botto nel suo rapido giro, non venga a rivelarcelo. Basta per questo una malattia, un dispiacere, la perdita di coloro che amiamo, e questo dimostra che la sventura è pur buona a qualche cosa. (lib. II, cap. XXVII)
  • Il signor Plornish grugnì sentimentalmente nel suo stile filosofico ma poco chiaro, che c'erano degli alti, vedete, e c'erano dei bassi. Inutile il domandargli il come e il perché di questi alti e bassi; c'erano, sapete, e non c'era rimedio. Egli avea sentito dire, sissignore, che via via il mondo girava; poiché non c'era dubbio che girasse, anche i signori più sopraffini devono naturalmente trovarsi una volta a capo in giù con tutti i capelli arruffati in quello che si sarebbe potuto chiamare lo spazio. Benissimo. Questa era l'opinione del signor Plornish: benissimo. Prima o dopo, chi si trovava a capo in giù doveva tornare per forza a capo in su e i capelli tornerebbero lisci e al posto loro che sarebbe stata una vera grazia. Benissimo dunque! (lib. II, cap. XXVII)
  • Gentiluomo una volta, gentiluomo sempre, gentiluomo fino all'ultimo. (Rigaud: lib. II, cap. XXVIII)
  • – Li vendete tutti i vostri amici?
    Rigaud si tolse la cigarette dalle labbra e guardò Arturo con un certo stupore. Ma si rimise subito a fumare, e riprese freddamente:
    – Vendo tutto ciò che ha un prezzo. Come vivono, di grazia, i vostri signori avvocati, i vostri uomini di Stato, i vostri speculatori di borsa? Come vivete voi stesso? Com'è che vi trovate qui dentro? Non avete venduto nessun amico voi? Per Diana, ho motivo di credere di sì?
    Clennam gli volse le spalle e guardò dalla finestra al muro di faccia.
    – Il fatto è, mio caro signore, – proseguì Rigaud, – che la società si vende essa stessa; ha venduto me, ed io vendo lei. (lib. II, cap. XXVIII)
  • In verità io vi dico, che molti viaggiatori si sono imbattuti andando pel mondo in idoli mostruosi; ma nessuno ha mai veduto più temerarie e grossolane e disgustevoli immagini della divinità di quelle che noi, creature nate nella polvere, facciamo ad immagine nostra, la merce delle nostre più perverse passioni. (Signora Clennam: lib. II, cap. XXX)
  • Una bella giornata d'autunno, quando i campi spogli della messe dorata sono stati dissodati di nuovo, quando i frutti dell'estate sono maturati e scomparsi, quando i paesaggi verdeggianti sono stati devastati da un esercito di solleciti vendemmiatori, quando i pomi si colorano ai baci del sole, quando le bacche del sorbo rosseggiano in mezzo al fogliame ingiallito. Già, nei boschi, sentivasi l'avvicinarsi di quel rigido vecchio che si chiama inverno, scernendo attraverso alle insolite aperture del fogliame una prospettiva chiara e spiccata, sgombra del vapore della state sonnolenta, velo leggiero e sottile come la lanuggine che copre la prugna violetta. L'oceano anch'esso, visto dalla spiaggia, non pareva più che dormisse al sole; apriva anzi i suoi mille occhi sfolgoranti, ed allegramente si agitava in tutta l'ampiezza sua, dalla fresca sabbia del lido fin laggiù, alle piccole vele che si sprofondavano nell'orizzonte, portate via da quella brezza medesima che portava via le foglie degli alberi. (lib. II, cap. XXXIV)

Citazioni su La piccola Dorrit[modifica]

  • E poi il romanziere, già all'apice della sua carriera, scrisse Little Dorrit. Alla miglior parte dei dickensiani questo romanzo è indigeribile. Non si capisce come l'autore del Pickwick abbia potuto scendere così facilmente al grado dello scrittore d'appendice. Forse ve lo avevano tratto l'esempio, la compagnia e la collaborazione per qualche libro, di Wilkie Collins. Ma Little Dorrit è salvato e portato in alto, come un lavoro che soltanto il genio poteva concepire, dall'idea del Ministero delle Circonlocuzioni, vasta satira della burocrazia d'ogni paese, frapposta, come un Imalaia d'inerzia, fra l'iniziativa e il bene, la malizia severa dei più animosi e la conquista, l'impeto bellicoso dei novatori e la vittoria. Il Ministero delle Circonlocuzioni è la vasta palude che specchia in immagini rugginose e tristi ciò che le sta di sopra e d'intorno; e ogni speranza che la sfiori al margine vi annega per l'eternità, e appena un brivido a fior dell'acqua, tra la vegetazione marcita, segna il punto della caduta. Gli ultimi umoristi francesi, che hanno studiato con acume malizioso e felice freschezza di rilievo, le miserie e le piccinerie dell'anima burocratica, non si son mai levati a una concezione così larga e completa, che, senza trascurare l'atto del singolo segnato dal crisma del decreto ufficiale, sa mettere in moto tutto il mastodontico, mostruoso organismo ministeriale, e seguirlo nelle più remote vibrazioni, nel lento ritmo della sua immane irresponsabilità. È una creazione gigantesca, come una di quelle opere che raccolsero lo sforzo di più generazioni, e si rappresero in mirabili armonie di marmo. (Silvio Spaventa Filippi)

Le campane[modifica]

Incipit[modifica]

Non sono molto numerosi – e giacché è desiderabile che tra chi narra una storia e chi la legge si stabilisca al più presto possibile una comprensione reciproca, prego di prender nota che io non limito questa osservazione né ai giovani né ai piccoli, ma la applico a ogni sorta di gente piccola e grande, giovane e vecchia, ancora nel periodo della crescita oppure già sul declinare – non sono, dico, molto numerosi coloro a cui piacerebbe dormire in una chiesa. Non intendo parlare con questo di dormirvi durante la predica di una giornata calda (cosa che è stata realmente fatta un paio di volte), ma di dormirvi di notte e soli. Una grande moltitudine di persone sarà violentemente sorpresa, lo so, da una tale asserzione nella piena luce del giorno; ma essa si applica alla notte e deve essere discussa di notte. E io mi impegno a sostenerla con successo, in qualsiasi notte piovosa che si scelga a questo scopo contro qualsiasi contraddittore scelto nella folla, che sia disposto a incontrarmi solo in un vecchio cimitero dinanzi alla porta di una vecchia chiesa e mi dia la preventiva autorizzazione a chiuderlo dentro, se questo è necessario per convincerlo, fino all'indomani mattina.

Citazioni[modifica]

  • Non c'è niente che si ripresenti più regolarmente dell'ora di pranzo e niente che sia meno regolare, nel presentarsi, del pranzo. (Toby Veck: p. 331)
  • «Ma chi mangia la trippa?» disse il signor Filer dando un'occhiata in giro. «La trippa è senza eccezione l'articolo di consumo meno economico e più dispendioso che i mercati di questo paese abbiano la possibilità di produrre. È stato calcolato che la perdita che subisce nella cottura una libbra di trippa è superiore di sette ottavi di un quinto alla perdita che subisce una libbra di qualsiasi altra sostanza animale.
    «Per dire le cose come stanno, la trippa è più costosa dell'ananasso di serra. Tenendo conto del numero di animali macellati regolarmente ogni anno e facendo un calcolo minimo delle quantità di trippa che le carcasse di questi animali se macellati razionalmente possono produrre, ho scoperto che la perdita su quella quantità di trippa quando viene cotta potrebbe nutrire una guarnigione di cinquecento soldati per cinque mesi di trentun giorni e un mese di febbraio in più. Che spreco, che spreco!» (p. 342)
  • «Voi state per prendere marito, avete detto» proseguì l'assessore. «Una cosa molto sconvienente e indelicata per una donna, ma lasciamo andare. Quando vi sarete sposata, litigherete col marito e diverrete una moglie disgraziata. Ora potete credere che non sarà così; ma sarà così perché io ve lo dico. Desidero avvertirvi chiaramente fin d'ora che io sono deciso a farla finita con le mogli infelici. Così non venite a presentarvi davanti a me. Avrete dei figlioli, dei ragazzi. Questi ragazzi cresceranno cattivi, naturalmente, e andranno vagabondando per le strade senza né scarpe né calze. Badate bene, mia giovane amica, io li condannerò sommariamente, ciascuno di loro, perché sono deciso a farla finita coi ragazzi senza scarpe e senza calze. Forse vostro marito morirà giovane, ciò che è molto probabile, e vi lascerà con un bambino. In questo caso vi metteranno fuori di casa e anche voi andrete errando su e giù per le strade. Badate bene di non venire a errare vicino a me, mia cara, perché io sono deciso a farla finita con tutte le madri vagabonde. Anzi la mia decisione è di farla finita con tutte le madri di qualunque tipo. Non vi mettete in mente di poter addurre come scusa la malattia o i bambini, perché con tutti gli ammalati e con tutti i bambini (io spero che voi conosciate il servizio religioso, per quanto tema di no) sono deciso a farla finita. E se voi tenterete disperatamente, con ingratitudine, con empietà e con frode di affogarvi o impiccarvi, io non avrò nessuna pietà di voi, perché sono venuto nella determinazione di farla finita con tutti i suicidi. Se c'è una cosa» disse l'assessore con un sorriso soddisfatto di se stesso «della quale si può dire che io mi sia più deciso che a proposito di qualunque altra, è di farla finita coi suicidi. Perciò non ci provate. È questa la frase giusta, non è vero? Ah, ah, ora ci siamo capiti.» (pp. 347-348)
  • «Mia signora,» rispose Sir Joseph con solennità «io sono nondimeno l'amico e il padre del povero, e questi riceverà nondimeno ogni incoraggiamento possibile dalle mie mani. Ogni quindici giorni verrà messo in comunicazione col signor Fish; ogni giorno di Capodanno io e i miei amici berremo alla sua salute; una volta all'anno io stesso e i miei amici gli rivolgeremo un discorso col più profondo dei sentimenti; una volta in vita sua forse può perfino accadere che riceva in pubblico, alla presenza della gente come si deve, una piccolezza qualsiasi da un amico; e quando, non più sorretto da questi stimolanti e dalla dignità del lavoro, scenderà nella sua comoda tomba, allora, mia signora» e qui Sir Joseph si soffiò il naso «io sarò l'amico e il padre dei suoi figli alle stesse condizioni.» (p. 357)
  • Nere sono le nuvole che si accumulano e agitate le acque profonde allorché il Mare del Pensiero, destandosi da una bonaccia, restituisce i suoi morti. Sorgono strani e terribili mostri, in una resurrezione prematura e imperfetta; le varie parti e le varie linee di cose differenti sono congiunte e commiste a caso, e quando e come e attraverso quali gradi meravigliosi ciascuna di esse si separa dall'altra e ciascun senso e ciascun obiettivo della mente riprende la sua forma abituale e torna alla vita, questo nessun uomo può dirlo, benché ciascun uomo sia ogni giorno il depositario di questo aspetto del Grande Mistero. (p. 376)
  • «La voce del tempo» disse il fantasma «grida all'uomo: va' avanti! Il tempo esiste perché egli possa avanzare e migliorare, perché il suo valore sia più grande, più grande la sua felicità, migliore la sua vita, perché progredisca innanzi, verso quella meta che è nota a lui e che egli può vedere e che è stata fissata nel periodo nel quale il tempo e lui cominciarono a esistere. Epoche di oscurità, di malvagità e di violenza, sono venute e scomparse: milioni di persone hanno sofferto, hanno vissuto e sono morte per additare a lui la via che gli sta dinanzi. Chi cerca di farlo volgere indietro o di arrestarlo nel suo corso, ferma una macchina potente che stenderà morto l'intruso e che l'arresto momentaneo renderà più feroce e più violenta.» (p. 380)

Explicit[modifica]

Trotty aveva sognato? Oppure le sue gioie e i suoi dolori e i personaggi di essi sono soltanto un sogno? Lui stesso è un sogno e colui che racconta questa storia un sognatore che si sveglia soltanto adesso? Se è così, ascoltatore, sempre caro a lui in tutte le sue visioni, cerca di tenere in mente le severe realtà dalle quali queste ombre sono nate; e nella tua sfera, giacché nessuna è troppo ampia e nessuna troppo limitata per questo scopo, cerca di correggerle, di migliorarle e di addolcirle. Possa l'anno nuovo essere un anno felice per te, e felice per tutti gli altri la cui felicità dipende da te. Possa ciascun anno essere più felice del precedente, e possa anche il più umile dei nostri fratelli e sorelle non esser privato della sua legittima parte di quel che il nostro Creatore ha creato per il suo godimento.

Le due città[modifica]

Incipit[modifica]

Originale[modifica]

It was the best of times, it was the worst of times, it was the age of wisdom, it was the age of foolishness, it was the epoch of belief, it was the epoch of incredulity, it was the season of Light, it was the season of Darkness, it was the spring of hope, it was the winter of despair, we had everything before us, we had nothing before us, we were all going direct to Heaven, we were all going direct the other way–in short, the period was so far like the present period, that some of its noisiest authorities insisted on its being received, for good or for evil, in the superlative degree of comparison only.

[Charles Dickens, A tale of two cities, Chapman and Hall, London, 1859.]

Beatrice Boffito Serra[modifica]

Era il migliore di tutti i tempi, era il peggiore di tutti i tempi, era il secolo della saggezza, era il secolo della stoltizia, era l'epoca della fede, era l'epoca dell'incredulità, era la stagione della Luce, era la stagione delle Tenebre, era la primavera della speranza, era l'inverno della disperazione, avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi, andavamo dritti dritti al Cielo, andavamo dritti dritti dalla parte opposta: in breve, il periodo era tanto simile al presente che alcune delle sue più clamorose autorità insistevano affinché se ne parlasse soltanto al superlativo sia nel bene sia nel male.

Silvio Spaventa Filippi[modifica]

Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l'epoca della fede e l'epoca dell'incredulità, il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l'inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi; eravamo tutti diretti al cielo, eravamo tutti diretti a quell'altra parte – a farla breve, gli anni erano così simili ai nostri, che alcuni i quali li conoscevano profondamente sostenevano che, in bene o in male, se ne potesse parlare soltanto al superlativo. Un re dalla grossa mandibola e una regina dall'aspetto volgare sedevano sul trono d'Inghilterra; un re dalla grossa mandibola e una regina dal leggiadro volto, sul trono di Francia. In entrambi i Paesi ai signori dalle riserve di Stato del pane e del pesce era chiaro più del cristallo che tutto in generale andava nel miglior ordine possibile e nel più duraturo assetto del mondo.

Citazioni[modifica]

  • Strana circostanza, degna di meditazione, il fatto che ogni creatura umana è composta in modo da esser per tutte le altre un profondo segreto e un profondo mistero. Una solenne considerazione, quando entro in una grande città di notte, quella che ciascuna di quelle case, oscuramente raggruppate, chiude un suo particolare segreto; che ogni stanza in ciascuna di esse chiude un suo particolare segreto; che ogni cuore pulsante nelle centinaia di migliaia di petti che respirano nella stessa città, è, in alcuni dei suoi pensieri, un segreto per il cuore che gli è più vicino. C'è in questo un senso di spavento pari a quello della stessa morte. (lib. I, cap. III; 1936)
  • Noi uomini d'affari, che serviamo una casa, non siamo padroni di noi stessi. Più che a noi stessi, dobbiamo pensare alla casa. (Jarvis Lorry: lib. I, cap. IV; 1936)
  • Tristemente, tristemente, sorse il sole: sorse sullo spettacolo di cui nulla è più triste, quello d'un uomo dotato d'ingegno e di sentimento ma incapace di dirigere le sue qualità in un esercizio durevole, incapace di lavorare a proprio vantaggio e per la propria felicità, sensibile alla piaga che lo rodeva e rassegnato a lasciarsene divorare così. (lib. I, cap. V; 2012)
  • L'odio per i grandi è l'omaggio involontario dei piccoli. (Marchese: lib. II, cap. IX; 1936)
  • – La repressione è l'unica filosofia durevole. La torva deferenza della paura e della schiavitù, caro, – osservò il marchese, – terrà i cani obbedienti alla frusta [...]. (lib. II, cap. IX; 1936)
  • [...] il primo dovere d'una madre è d'ingrassare il figlio. (Cruncher: lib. II, cap. XIV; 1936)
  • – Giacomo, – disse Defarge; – a un gatto bisogna far vedere il latte, se si vuole che lo lambisca. A un cane bisogna mostrare la sua preda naturale, se si vuole che un giorno le dia la caccia. (lib. II, cap. XV; 1936)
  • Castello e capanne, facce di marmo e cadavere penzolante, la macchia rossa sul pavimento di marmo, e l'acqua pura della fontana del villaggio – migliaia di ettari di terra – tutta una provincia di Francia – tutta quanta la Francia – giacevano sotto il cielo notturno concentrati in una sottile linea capillare. Così un mondo intero, con tutte le sue grandezze e le sue minuzie, giace in una stella scintillante. E come la semplice conoscenza umana può dividere un raggio di luce e analizzarne la composizione, così intelligenze più alte possono penetrare nel fioco barlume di questa nostra terra, in ogni pensiero e in ogni azione, in ogni vizio e in ogni virtù d'ogni creatura responsabile che vi respira. (lib. II, cap. XVI; 1936)
  • – Bene! – disse Defarge, con una scrollatina di spalle ch'era un po' di scusa, un po' di deplorazione, – non vedremo il trionfo.
    – Lo avremo aiutato, – rispose madama [...]. (lib. II, cap. XVI; 1936)
  • [Il] chiarore della luna [...] è sempre malinconico, come la luce del sole – come la luce che si chiama la vita umana – all'alba e al tramonto. (lib. II, cap. XVII; 1936)
  • In tempi di pestilenza, alcuni hanno una segreta attrazione per il morbo... un terribile impulso a morire. E tutti chiudiamo in seno simili meraviglie, alle quali manca soltanto l'occasione per mostrarsi. (lib. III, cap. VI; 1936)
  • Io ammetto d'essere una spia, professione che non ha una buona reputazione, sebbene sia necessario che qualcuno la eserciti; ma questo signore non è spia, e non veggo la ragione perché debba abbassarsi a far la spia. (John Barsad: lib. III, cap. VIII; 1936)
  • Vi è una forza prodigiosa, – gli risposi, – nella tristezza e nella disperazione. (Dottor Manette: lib. III, cap. X; 1936)
  • I contagi fisici, generati dai vizi e dalle colpose negligenze degli uomini, attaccano vittime di tutte le classi; e lo spaventoso disordine morale, nato da indicibili sofferenze, da una intollerabile oppressione e dalla spietata indifferenza, colpisce egualmente senza alcuna distinzione. (lib. III, cap. XIII; 1936)

Explicit[modifica]

«Veggo il bambino che le stava in grembo e che porterà il mio nome, diventar uomo, e farsi strada nel mondo nella stessa professione che una volta fu mia. Lo veggo arrivare vittorioso alla meta, e il mio nome, irradiato della luce del suo, mondarsi delle macchie di cui io l'aveva bruttato. Lo veggo ancora, o capo dei giudici giusti e degli uomini onorati, condurre in questo luogo un ragazzo dello stesso mio nome, con una fronte che io conosco e i capelli d'oro – questo luogo sarà allora bello da guardare, senza più le orribili tracce di oggi – e lo veggo narrare al bambino la mia storia, con tenera e tremola voce.
«Quel che faccio è il meglio, di gran lunga il meglio che io abbia mai fatto; e il riposo che m'attende è il più dolce, di gran lunga il più dolce che io abbia mai conosciuto».[12]

[Traduzione di Silvio Spaventa Filippi]

Lettere dall'Italia[modifica]

  • [Su Villa Bagnarello] Mi trovo in una vecchia tenuta sconquassata, la più completamente solitaria, arrugginita, stagnante che tu possa immaginare. Che cosa non darei perché tu potessi solo dare un'occhiata al cortile! Lo contemplo ogni volta che passo vicino a una finestra che guarda da quel lato della casa, perché la stalla è così piena di «insetti e sciami» [...] che mi aspetto sempre di vedere la carrozza uscirsene trainata di peso da legioni di laboriose pulci perfettamente bardate, per proprio conto. (lettera a John Forster, 20 (?) luglio 1844; p. 21)
  • [Sui modi genovesi] [...] sono estremamente vivaci e pantomimici, tanto che due amici popolani in placida conversazione nella strada sembrano sempre sul punto di accoltellarsi da un istante all'altro. E uno straniero resta profondamente sconcertato dal fatto che poi questo non succeda. (lettera a John Forster, 20 (?) luglio 1844; p. 21)
  • Ma non so come te la caveresti sui lastricati, che mettono a dura prova. È come camminare su delle biglie roventi e fumanti, con ogni tanto uno spuntone che fa inciampare. (lettera al fratello Frederick, 22 luglio 1844; p. 22)
  • Vi è una Chiesa, qui, la Chiesa dell'Annunciazione, che stanno adesso restaurando (certe famiglie nobili) con gran dispendio, come opera pia. È un'ampia Chiesa, con un gran numero di cappellette all'interno, e una cupola davvero alta. Ogni Pollice di questo edificio è dipinto, e ogni Disegno è circondato da una gran cornice o bordatura dorata, di complicata lavorazione. Non puoi immaginare nulla di altrettanto splendido. Merita un intero viaggio solo il venirla a vedere. (lettera a Daniel Maclise, 22 luglio 1844; p. 24)
  • [Su Tour in Italy di Louis Simond] È un libro proprio incantevole e lo si apprezza soprattutto per l'eccellente proposito e determinazione di non riprodurre gli stereotipi convenzionali. (lettera a John Forster, 3 agosto 1844; p. 27)
  • [...] a un certo punto della sera e del mattino l'azzurro del Mediterraneo supera ogni immaginazione o descrizione. È il colore più intenso e meraviglioso, credo, di tutta la natura. (lettera a John Forster, 3 agosto 1844; p. 27)
  • La Villa [Bagnarello] è piuttosto disadorna in fatto di mobili, ma è estremamente pulita. La Sala è molto ampia e le camere da letto ottime. (lettera al Conte D'Orsay, 7 agosto 1844; p. 29)
  • [...] mi sono guardato attorno e credo d'aver concluso un accordo per una sistemazione alle Peschiere: spero di prendere possesso di quel Palazzo il primo d'ottobre. Ho a disposizione l'intero edificio, tranne il Piano Terra. Non so se abbiate mai visto le stanze. Sono davvero splendide, e ogni millimetro delle pareti è affrescato. I Giardini sono anch'essi bellissimi. (lettera al Conte D'Orsay, 7 agosto 1844; p. 29)
  • Che luogo triste è l'Italia! Un paese piombato nel sonno, e senza alcuna prospettiva di risvegliarsi. (lettera al Conte D'Orsay, 7 agosto 1844; pp. 30-31)
  • Non dimenticherò mai, finché vivrò, le mie prime impressioni mentre avanzavo per le vie di Genova, dopo aver contemplato la splendida Vista della città, per un'ora intera, con un telescopio, dal ponte del vapore. Pensavo che fra tutte le più ammuffite, desolate, sonnolente, luride, abbandonate, immobili città del mondo intero, dimenticate da Dio, nessuna la potesse eguagliare. Mi pareva di essere giunto dove tutto finisce, dove non vi è più progresso, movimento, sviluppo, o possibilità di migliorare oltre. Tutto sembrava essersi fermato da secoli, per non riscuotersi mai più, restando immobile sotto il sole in attesa del giorno del Giudizio.
    Adesso, invece, mi attira molto andarvi a camminare o girovagare, quando mi ci reco, in una specie di stato sognante, che è anche estremamente distensivo. Mi sembra di pensare, ma non so a che cosa, non ne ho la minima coscienza. Posso sedermi in una chiesa, o fermarmi alla fine di uno stretto Vico, zigzagando come una lurida biscia verso la parte alta, senza sentire il minimo desiderio per alcun altro tipo di divertimento. Non diversamente mi stendo sugli scogli la sera, fissando l'acqua azzurra senza ritegno, o giro per gli stretti vicoli e guardo le lucertole inseguirsi per i muri (così leggere e rapide che mi sembrano sempre ombre di qualcos'altro che passi sulle pietre) e sparire nei loro buchi così all'improvviso da lasciare pezzetti di coda di fuori, senza che se ne rendano conto. (lettera al Conte D'Orsay, 7 agosto 1844; p. 31)
  • Siete mai stato a Lione? Quello è il posto. È un grande Incubo, una cattiva coscienza, un colpo di indigestione, il ricordare di aver commesso un delitto. Un posto terribile! (lettera al Conte D'Orsay, 7 agosto 1844; p. 31)
  • Il Peschiere è tenuto in gran considerazione per la sua salubrità: è situato nel mezzo del più splendido panorama, entro le mura di Genova, nel cuore di tutte le passeggiate della Collina, circondato dai più deliziosi giardini (pieni di fontane, alberi di arancio, e ogni sorta di piacevolezza) che tu possa immaginare [...]. All'interno, è tutto dipinto, muri e soffitti, in ogni centimetro, nel più sfarzoso dei modi. Vi sono dieci stanze per piano: solo poche sono più piccole delle più grandi stanze d'abitazione del palazzo di Hampton Court, e una è sicuramente altrettanto larga e lunga del Saloon del Teatro di Drury Lane, con una gran copertura a volta più alta di quella della Galleria Waterloo nel Castello di Windsor, anzi, a pensarci bene, molto più alta. (lettera a Thomas Mitton, 12 agosto 1844; pp. 35-36)
  • Sono stato a cena dal console generale francese. Era presente, fra gli altri genovesi, il Marchese di Negro, un grassone molto più vecchio di Jerdan, [William Jerdan] con la stessa chiacchiera e misura di lingua. È stato amico di Byron: la sua casa, qui, è aperta a tutti, scrive poesie, improvvisa, ed è una sorta di ottimo vecchio Blunderbore, proprio lo strumento giusto per scavare un pozzo artesiano da qualsiasi parte. (lettera a John Forster, 20 (?) agosto 1844; p. 39)
  • [Sui Promessi sposi] È proprio un bel libro! Non mi sono ancora addentrato molto nella storia, ma ne sono del tutto incantato. I dialoghi fra lo Sposo e il Prete, la Mattina del mancato matrimonio, fra lo Sposo e la Sposa e la Madre di lei, e la descrizione del tragitto del povero Renzo alla casa del dotto avvocato, con i capponi, la scena fra loro due e l'idea complessiva del personaggio e della vicenda di Padre Cristoforo sono delineati a tocchi estremamente delicati e suggestivi. Ho appena lasciato il buon padre nella chiassosa Sala da Pranzo di Don Rodrigo e ti assicuro che sono ansiosissimo di andare avanti. (lettera a Samuel Rogers, 1 settembre 1844; pp. 42-43)
  • Ricordi la Chiesa dei Cappuccini, l'Annunciata? Stanno ridipingendola e rinnovando completamente le dorature. E stanno costruendo un portico di marmo sopra l'entrata principale. La parte dell'interno, circa due terzi, che hanno già finito di ridecorare, è quanto di più sfarzoso si possa immaginare. Se si guarda verso le tre Cupole in alto in un giorno luminoso, stando davanti al Grande Altare, si resta storditi dallo scintillìo e dalla gloria del luogo. Ma il contrasto tra questo Tempio e i suoi ministri è sicuramente il più singolare e netto che esista al Mondo. (lettera a Samuel Rogers, 1 settembre 1844; p. 43)
  • [...] mio caro amico, qualunque cosa al mondo tu abbia udito su Venezia, nessuna uguaglia la magnificenza e lo splendore della realtà. Le più sfrenate visioni delle Mille e Una Notte non sono nulla in confronto a Piazza San Marco e della prima impressione dell'interno della chiesa. La realtà sontuosa e stupefacente di Venezia è al di là delle fantasie del più audace sognatore. Nemmeno l'oppio potrebbe far sorgere un luogo simile, e un incantesimo sfumarlo poi in visione. Tutto quello che ho sentito dire, o letto in descrizioni realistiche o romanzate, o immaginato su di essa viene scavalcato di migliaia di miglia. E tu sai che, quando mi aspetto troppo da un luogo, è facile che ne resti poi deluso: ma Venezia è al di sopra, al di là, al di fuori della portata di ogni immaginazione umana. Non la si è mai decantata abbastanza. A vederla, ti commuoveresti fino alle lacrime. [...] Da oggi, Venezia è parte della mia mente. (lettera a John Forster, 12 novembre 1844; pp. 61-62)
  • Non mi è mai successo prima di aver paura di descrivere quanto mi è capitato di vedere. Ma nel dirti che cos'è Venezia, ebbene, sento che mi è impossibile. (lettera a John Forster, 12 novembre 1844; p. 62)
  • [...] giuro (con assoluta convinzione) che Venezia è il prodigio, la nuova meraviglia del mondo. Se tu potessi esservi trasportato, senza averne mai sentito parlare, sarebbe la stessa cosa. Calpestarne le pietre, averne davanti gli scorci e nella mente la storia è qualcosa che supera tutto ciò che di essa si scrive, si dice, si pensa. Non potresti parlarmi in questa stanza, né io a te, senza stringermi le mani e dire: «Buon Dio, mio caro amico, abbiamo vissuto per vedere tutto questo!» (lettera a John Forster, 12 novembre 1844; p. 62)
  • Sono rimasto alquanto scosso ieri (non sono molto forte in minuzie geografiche) nello scoprire che Romeo venne bandito a sole venticinque miglia. Tale è la distanza fra Mantova e Verona. Quest'ultimo è uno strano vecchio posto, con grandi case ormai solitarie e chiuse, esattamente come ci si aspetta che sia. La prima ha una gran quantità di farmacisti, tutt'oggi, che potrebbero interpretare la parte shakespeariana al naturale. Di tutti i piccoli stagni immobili visti finora, è il più verde e il più coperto d'erbacce. (lettera a Douglas Jerrold, 16 novembre 1844; pp. 63-64)
  • Non vi è nulla che mi abbia colpito in vita mia come Venezia. È la meraviglia del mondo. Un dannato antico posto da sogno, stupendo, immateriale, impossibile, perverso, irreale. Vi sono arrivato di sera, e la sensazione di quella sera e della luminosa mattina successiva è ormai parte di me per il resto della mia esistenza. (lettera a Douglas Jerrold, 16 novembre 1844; p. 64)
  • Quanto al vecchio Di Negro è ancora un po' più brutto di quando siamo arrivati all'inizio. Dà periodici ricevimenti alla Villetta in cui v'è una gran quantità di vasi di fiori e qualche gelato, senza altro rinfresco. Lui si aggira declamando costantemente versi estemporanei a ogni minimo spunto. Nella sua camera da letto ha un'Arpa Gigantesca e tiene sempre pronte carta e penna per fissare le idee man mano che gli vengono, una sorta di Re David profano, ma molto innocuo. (lettera alla Contessa di Blessington, 20 novembre 1844; p. 73)
  • [Sulla lingua napoletana] [...] è assai particolare ed estremamente difficile: per capirla ci vorrebbe almeno un anno di pratica costante. Non somiglia all'italiano più di quanto l'inglese non somigli al gallese. E poiché non dicono nemmeno la metà delle cose che intendono, sostituendo intere frasi con strizzate d'occhio o calci, mi meraviglio che riescano a comprendersi. (lettera a Thomas Mitton, 17 e 22 febbraio 1845; p. 90)
  • Il posto [Napoli] è bello, ma molto meno di quanto la gente non dica. Il famoso golfo, secondo me, come veduta, è incomparabilmente inferiore a quello di Genova, che è quanto di più bello abbia mai visto. Nemmeno la città, dal canto suo, è paragonabile a Genova, con cui in Italia nessuna regge il confronto, salvo Venezia. Quanto ai palazzi, nessuno uguaglia le Peschiere per architetture, collocazione, giardini o stanze. (lettera a Thomas Mitton, 17 e 22 febbraio 1845; p. 90)
  • Napoli in sé, invece, almeno un po' mi ha deluso. Il golfo non mi pare bello come quello di Genova, non è facile scorgerne o coglierne la linea, e l'effetto delle montagne è sciupato dalle sue dimensioni. La vita per le strade non è pittoresca e insolita neanche la metà di quanto i nostri sapientoni giramondo amino farci credere. (lettera a Emile De La Rue, 23 e 25 febbraio 1845; p. 90)
  • [...] In linea di massima, la gente comune, qui in Italia, mi piace moltissimo, ma i Napoletani meno di tutti e i Romani poco più, perché sono focosi e brutali. (lettera a Miss Burdett Coutts, 18 marzo 1845; p. 99)
  • Il fascino che ha il golfo di Genova ai miei occhi manca completamente a quello di Napoli. La città di Genova è proprio bella e pittoresca e la casa in cui abitiamo [Villa delle Peschiere] non ha nulla da invidiare a un Palazzo delle fiabe. (lettera a Miss Burdett Coutts, 18 marzo 1845; p. 99)
  • [...] Venezia è stata un tale splendido sogno che non riesco mai a parlarne, sentendomi del tutto incapace di descriverne l'impatto sulla mia mente. (lettera a Miss Burdett Coutts, 18 marzo 1845; p. 99)
  • Il Colosseo di giorno, al chiaro di luna, a lume di torcia e con ogni sorta di luce è quanto di più stupendo e terribile. (lettera a Miss Burdett Coutts, 18 marzo 1845; p. 99)
  • Il Mediterraneo si stende a perdita d'occhio oltre la città, ed è così azzurro, in questo momento, che nemmeno il più puro e vivido blu di Prussia che Mac abbia mai preparato sulla sua tavolozza potrebbe sostenerne il confronto. (lettera a John Forster, (?) aprile 1845; p. 104)
  • Napoli mi ha ampiamente deluso. È pur vero che il tempo è stato brutto per gran parte della mia permanenza là, ma se non vi fosse stato il fango, vi sarebbe stata la polvere. E se anche avessi avuto il Sole, avrei comunque avuto anche i Lazzaroni, che sono così cenciosi, così luridi, abietti, degradati, immersi e imbevuti nella più totale impossibilità di riscatto, che renderebbero scomodo anche il Paradiso, semmai dovessero arrivarci. Non mi aspettavo di vedere una bella Città, ma qualcosa di più piacevole della lunga monotona filza di squallide case che si stendono da Chiaia al Quartiere di Porta Capuana, sì; e mentre ero piuttosto preparato all'idea di una popolazione miserabile, mi aspettavo comunque di vedere qualche straccio pulito ogni tanto, qualche gamba che ballasse, qualche viso sorridente, abbronzato dal sole. La realtà, invece, è che, se penso a Napoli in sé per sé, non mi resta un solo ricordo piacevole. (lettera alla Contessa di Blessington, 9 maggio 1845; p. 107)
  • [Su Lord Holland e la sua cuoca] Se anche dovessero aprire un ristorante pulito a Genova, cosa poco credibile, data la naturale predilezione per la sporcizia, l'aglio e l'olio dei genovesi, sarebbe lo stesso un grosso rischio, perché i preti farebbero di tutto per danneggiare un uomo che ha sposato una Protestante. (lettera a John Forster, 12 maggio 1845; p. 115)

Martin Chuzzlewit[modifica]

Incipit[modifica]

Siccome nessuna signora e nessun signore che pretende di appartenere alla migliore società può provare qualsiasi simpatia per la famiglia Chuzzlewit senza aver ricevuto prove sicure della estrema antichità della sua stirpe, è una soddisfazione sapere con certezza che discende in linea diretta da Adamo ed Eva.[fonte 11]

Citazioni[modifica]

  • Chiunque è capace di essere allegro e di buonumore quando è ben vestito.[fonte 12] (Mark Tapley: cap. V)
  • Questa è la regola negli affari: "Fatela agli altri, perché loro la farebbero a voi."[fonte 13] (Mr Jonas: cap. XI)

Nicholas Nickleby[modifica]

Incipit[modifica]

Abitava una volta, in un luogo appartato del Devonshire, certo Goffredo Nickleby, un onesto uomo, che, in età piuttosto avanzata, messosi in capo di ammogliarsi, e non essendo abbastanza giovane o abbastanza ricco da aspirare alla mano di una ereditiera, aveva per pura affezione sposato una vecchia fiamma, la quale a sua volta se l'era preso per la stessa ragione. Così due persone, che non possono permettersi di giocare a carte per denaro, si seggono tranquillamente a tavolino, e giocano una partita per mero piacere.

Citazioni[modifica]

  • [...] l'oro solleva intorno all'uomo un fumo più nocivo per i sensi e più distruttore per i sentimenti che non la esalazione del carbone [...]. (cap. I)
  • Il dolore della partenza è nulla in confronto della gioia del ritorno. (Nicholas Nickleby: cap. III)
  • [...] ciò che si chiama mondo – frase convenzionale che, interpretata, significa tutti i bricconi che esso contiene [...]. (cap. III)
  • L'aspetto del signor Squeers non era attraente. Egli aveva soltanto un occhio, e il pregiudizio popolare ne vuole due. (cap. IV)
  • Dominate i vostri appetiti, figliuoli miei, e avrete soggiogato la natura umana. (Wackford Squeers: cap. V)
  • [...] vi sono soltanto due stili nella dipintura dei ritratti, il serio e il sorridente [...]. (Signorina La Creevy: cap. V)
  • Se tutti avessimo il cuore come quello che pulsa così leggero nel seno della giovinezza e della bellezza, che paradiso sarebbe in terra! Se, mentre il nostro corpo invecchia e s'indebolisce, il cuore potesse conservare la primitiva sua giovinezza e la primitiva sua freschezza, di quanto giovamento non ci sarebbero le nostre afflizioni e le nostre sofferenze! Ma la tenue immagine dell'Eden ch'è stampata in noi nell'infanzia felice si logora e si consuma nelle rudi lotte della vita, e presto si cancella, assai spesso per non lasciarvi altro che il vuoto più triste.[13] (Signore dalla testa grigia: cap. VI)
  • – Sempre a sciupare un tempo prezioso – disse infine il monaco, volgendosi alla sorella maggiore, – sempre a sciupare un tempo prezioso con codeste inezie. Ahimè, ahimè! Che si debbano così leggermente dissipare le poche bolle sulla superficie dell'eternità... le sole che il Cielo ci concede di vedere di quell'oscuro e profondo fiume! (cap. VI)
  • – Se mai qualche cosa può alleviare il primo acuto dolore d'una grave perdita, è la riflessione, a mio parere, che quelli che io piango, con l'essersi mantenuti innocentemente allegri e innamorati di tutto ciò che li circondava, si son preparati per un mondo più puro e felice. Il sole, siatene certo, non risplende su questa bella terra per incontrare degli occhi accigliati.
    – Credo che abbiate ragione, – disse il signore che aveva raccontato.
    – Credete! – rispose l'altro, – chi può dubitarne? Prendete qualunque argomento di triste rimpianto, e vedete con quanto piacere si accompagna. Il ricordo del tempo felice può diventar dolore...
    – Diventa! – interruppe l'altro.
    – Bene, diventa. Ricordare la felicità che s'è perduta è dolore, ma di una specie attenuata. I nostri ricordi sono disgraziatamente misti con molte cose che deploriamo e con molte azioni di cui siamo amaramente pentiti; pure nella vita più travagliata vi sono, io credo fermamente, tanti piccoli raggi di sole da rammentare, che io penso che nessun mortale (tranne che non si sia messo oltre il recinto della speranza) berrebbe se potesse e di proposito deliberato, un bicchiere delle acque del Lete.
    – Forse avete ragione di pensarla a codesto modo, – disse, dopo una breve riflessione, il signore dai capelli grigi. – Credo proprio di sì.
    – Bene, allora – rispose l'altro, – il bene in questa fase di esistenza preponderà sul male, checché ne dicano i sedicenti filosofi. Se i nostri affetti sono soggetti a tribolazioni, i nostri affetti sono la nostra consolazione e il nostro conforto; e la memoria, per quanto triste, è il legame più bello e più puro fra questo mondo e l'altro. (cap. VI)
  • Che disdetta per i grandi uomini del passato l'esser venuti al mondo così presto, poiché non si può ragionevolmente pretendere che un uomo nato tre o quattrocento anni fa avesse dinanzi a lui i parenti di un uomo nato adesso. L'ultimo uomo, chiunque sarà... e potrà essere un ciabattino o, per quel che se ne sa, il più volgare miserabile... avrà un albero genealogico più lungo del più gran nobile ora vivente; e io sostengo che questo non è giusto. (Signore dal viso gioviale: cap. VI)
  • Non so dire con quali mezzi e con quale gradazione certe mogli cercano d'abbassar la cresta di certi mariti, benché su questo argomento possa avere anch'io la mia opinione, e possa ritenere che nessun membro del Parlamento dovrebbe essere ammogliato, giacché tre deputati ammogliati su quattro debbono votare secondo la coscienza delle mogli (se una cosa simile esiste), e non secondo la loro. (Barone di Grogzwig: cap. VI)
  • E il mio consiglio a tutti è questo, che se si diventa tristi e malinconici per cause simili [problemi coniugali e finanziari] (come avviene a molti) si debbano osservare i due lati della questione, applicando una lente d'ingrandimento a quello buono; e che se uno si sente tentato di dare un brusco addio al mondo, è meglio si prenda prima una grossa pipa e una buona bottiglia [...]. (Signore dal viso gioviale: cap. VI)
  • Di tutte le cose infruttuose, la più infruttuosa è quella di versare una lagrima su un giorno già trascorso. (Ralph Nickleby: cap. X)
  • Si può fare la satira d'un funzionario pubblico... la colpa non è sua, ma della sua posizione elevata. (Signor Kenwigs: cap. XIV)
  • I leoni quadrupedi si dice siano feroci soltanto sotto lo stimolo della fame; quelli bipedi sono tristi soltanto nel pericolo che la loro bramosia degli onori rimanga insoddisfatta. (cap. XV)
  • – Che simpatico viso, e che simpatico portamento, in realtà! – disse la signora Kenwigs.
    – Sì, certo – aggiunse la signorina Petowker. – Nel suo aspetto v'è qualcosa proprio... Dio, Dio, com'è quella parola?
    – Quale parola? – chiese il signor Lillywick.
    – Ebbene... Dio mio, come sono stupida – rispose la signorina Petowker, esitante. – Come si dice di quei signori che rompono i campanelli delle porte, picchiano le guardie, prendono delle vetture per conto di quelli che neppure lo sospettano, e fanno tante altre cose simili?
    Aristocratici? – suggerì il riscossore.
    – Già! Aristocratici – rispose la signorina Petowker; – v'è in lui qualcosa di molto aristocratico, non è vero? (cap. XV)
  • Benché un uomo possa perdere il sentimento della propria importanza quando si considera una semplice unità in una folla affaccendata, la quale non bada assolutamente a lui, non ne segue ch'egli possa liberarsi, con eguale facilità, dal vivissimo sentimento dell'importanza e della grandezza dei propri affanni.[14] (cap. XVI)
  • La deplorazione che la gente bassa spesso si eleva al di sopra della sua condizione non deriva dal fatto che le persone così dette per bene si mettono al di sotto della propria? (cap. XVII)
  • Dava soddisfazione udire che il vecchio s'accingeva a cominciare una vita nuova, perché era evidente che la vecchia non gli sarebbe durata a lungo. (cap. XVII)
  • Non basta una vita dura, penosa e triste, per ispirar pietà. È molto per quelli che la soffrono, ma non per quelli, che pur non essendo insensibili, hanno bisogno di forti stimolanti per sentirsi impietositi e inteneriti.
    Non son pochi i discepoli della carità che richiedono, nell'esercizio della loro vocazione, quasi gli stessi eccitamenti dei seguaci del piacere. Accade ogni giorno che una simpatia morbosa, una compassione male ispirata vada a cercare degli oggetti troppo lontani, mentre tante richieste per il legittimo esercizio delle stesse virtù, in condizione normale, sono continuamente nell'ambito della vista e dell'udito di molti che hanno il difetto di non avere una troppo sviluppata facoltà di osservazione. Insomma la carità si compiace d'essere romanzesca, come il novelliere e il drammaturgo. Un ladro in camiciotto è persona comune, appena degna del pensiero delle persone raffinate; ma si presenti vestito di velluto verde, e col cappello a pan di zucchero, e si muti il teatro della sua attività, portandolo da una città popolosa a una strada di montagna, e si troverà in lui persino l'anima della poesia e dell'avventura. Avvien così con quella grande virtù cardinale, la quale, bene alimentata ed esercitata, conduce a tutte le altre, se necessariamente non le include. Vuole del colore romanzesco; e meglio ancora se nel romanzesco non c'è troppo vita quotidiana dura, reale e penosa. (cap. XVIII)
  • Così fatta è la speranza, dono particolare del Cielo ai doloranti mortali, che penetra, come una sottile essenza l'aria, tutte le cose buone e cattive, universale come la morte, e più contagiosa della peste. (cap. XIX)
  • Questo era uno dei vantaggi di aver vissuto così a lungo sola. La piccola, attiva, affaccendata, allegra creatura esisteva interamente entro se stessa, parlava a se stessa, si pigliava a confidente di se stessa, era il più che possibile sarcastica contro le persone che la offendevano, sempre in se stessa, piaceva a se stessa, e non commetteva alcun male. Se essa si lasciava andare a mormorare, non ne soffriva la reputazione di alcuno; e se essa si divertiva a vendicarsi un pochettino, non un'anima vivente ne soffriva. Una delle tante persone alle quali, per disgraziate vicende, per la conseguente inabilità a formarsi le relazioni che desidererebbero e la ritrosia a mischiarsi con le conoscenze che potrebbero fare, Londra è assolutamente un deserto come le pianure della Siria, l'umile artista aveva continuato a vivere sola ma contenta da molti anni, e finché le particolari disgrazie della famiglia Nickleby non avevano attirata la sua attenzione, s'era mantenuta senza amici, benché traboccante di sentimenti amichevoli per tutta l'umanità. Vi sono molti fervidi cuori solitari come quello della povera signorina La Creevy. (cap. XX)
  • Non ho tanti amici che io possa confondermi nel loro numero, e dimenticare il migliore. (Nicholas Nickleby: cap. XXII)
  • [...] la natura dà a ogni stagione una bellezza particolare; e da mattina a sera, come dalla culla alla tomba, non c'è che una serie di graduali mutamenti appena percettibili. (cap. XXII)
  • – Come squisita incarnazione delle visioni del poeta, e realizzazione dell'intellettualità umana, che indora con fulgida luce i nostri istanti di sogno, aprendo un nuovo, magico mondo innanzi all'occhio della nostra mente, il dramma è finito, assolutamente finito – disse il signor Curdle. (cap. XXIV)
  • – La vita da scapolo è penosa, caro, – disse il signor Lillywick.
    – Sì? – chiese Nicola.
    – Sì – soggiunse il riscossore. – Ho circa sessant'anni, e dovrei saperlo.
    – Certo che dovreste saperlo, – pensò Nicola – ma se lo sapete o no, è un altro paio di maniche.
    – Se mai uno scapolo ha risparmiato un po' di denaro – disse il signor Lillywick, – le sue sorelle e i suoi fratelli, i nipoti e le nipoti, mirano al denaro, e non a lui; anche se con l'essere un funzionario pubblico è il capo d'una famiglia, come per dire il condotto principale da cui si alimentano tutte le altre piccole diramazioni, in tutto il tempo non fanno che desiderarlo morto, e si sentono scoraggiati quando lo veggono in buona salute, perché ardono di venire in possesso dei suoi beni. (cap. XXV)
  • Così casi d'ingiustizia e d'oppressione e di tirannia, della più strana ipocrisia, sono cose fra noi di tutti i giorni. È costume di fare le più alte meraviglie e di stupirsi di quelli che sfidano con tanta improntitudine l'opinione pubblica; ma non v'è illusione maggiore; accadono simili cose appunto perché i dissoluti consultano l'opinione del loro piccolo mondo per sbalordire il grande. (cap. XXVIII)
  • [...] sebbene un abile adulatore sia un compagno delizioso se si dedica tutto a noi, diventa di gusto alquanto dubbio, se comincia a far dei complimenti ad altre persone. (cap. XXVIII)
  • [...] è un fatto notevole nella storia del teatro, e già da lungo tempo acquisito senza alcuna contestazione, che è molto difficile attrarvi gente se prima non le si fa credere che non ci sarà modo di entrare. (cap. XXX)
  • «Io non son uomo da farmi commuovere da un bel viso», mormorò austeramente Rodolfo. «Sotto di esso v'è un brutto teschio, e gli uomini come me, che lavorano e guardano sotto la superficie, veggono il teschio e non il suo delicato involucro». (cap. XXXI)
  • [...] i giorni di solitudine trascorrono abbastanza tranquillamente e felicemente [...]. (Signorina La Creevy: cap. XXXI)
  • Quando parlo di casa, parlo del luogo dove, in mancanza d'altro, sono raccolte le persone alle quali voglio bene; e se quel luogo fosse una tenda di zingaro o una soffitta, continuerei a chiamarla con lo stesso nome. (Nicholas Nickleby: cap. XXXV)
  • Tra quelli che hanno delle qualità solide e salde, non v'è nulla di più contagioso della pura sincerità di cuore. (cap. XXXV)
  • A rifletterci è una cosa molto piacevole, e fornisce una risposta completa a quelli che discutono sulla graduale degenerazione della specie, che ogni neonato a questo mondo sia sempre più bello del precedente. (cap. XXXVI)
  • Il mistero e la delusione non sono assolutamente indispensabili allo sviluppo dell'amore, ma ne sono, spessissimo, potenti ausiliari. «Lontan dagli occhi, lontan dal cuore», calza abbastanza bene come proverbio applicabile ai casi dell'amicizia, benché l'assenza non sia sempre necessaria per la freddezza del cuore, anche fra amici; e la sincerità e l'onestà, come pietre preziose, siano forse più facilmente imitate a distanza e scambiate per vere. Ma l'amore è efficacemente aiutato da una immaginazione calda e attiva con memoria tenace, e prospera per un bel pezzo mercé un leggerissimo e scarsissimo alimento. Accade così sovente che esso raggiunga il suo più lussureggiante sviluppo nella separazione e in circostanza della maggior difficoltà [...]. (cap. XL)
  • Se l'egoismo è un ingrediente necessario nella composizione di quella passione che si chiama amore, merita questo tutte le belle frasi con cui i poeti lo esaltano nell'esercizio della loro professione? Vi sono, certo, casi autentici di uomini e di donne, che in magnanime circostanze, hanno ceduto rispettivamente la loro donna o il loro uomo a rivali di gran merito; ma è assolutamente accertato che la maggioranza di tali uomini e di tali donne non hanno fatto di necessità virtù, e non hanno nobilmente rassegnato ciò che non potevano ottenere, presso a poco come un soldato semplice potrebbe proporsi di non accettare l'ordine della giarrettiera, e un povero pio e dotto pastore, senz'altra famiglia che quella di una grossa figliuolanza, potrebbe proporsi di rinunciare a un vescovato? (cap. XLIII)
  • È una bella e squisita prerogativa nella nostra natura, che quando il cuore è commosso e intenerito da qualche calma felicità o da un sentimento di affezione, ci torni potentemente e irresistibilmente il ricordo dei morti. Par che i nostri buoni pensieri e le nostre simpatie siano una specie di incantesimo che mette l'anima in grado di mettersi in un vago e misterioso rapporto con gli spiriti di quelli che ci furono cari in vita. Ahimè! quante volte e come a lungo quegli angeli pazienti si librano intorno a noi, attendendo invano la parola che è così di rado pronunciata, e così presto dimenticata! (cap. XLIII)
  • L'orgoglio è uno dei sette peccati capitali, ma non l'orgoglio d'una madre per i figliuoli, poiché esso è un composto di due virtù cardinali: la fede e la speranza. (cap. XLIII)
  • Vi sono degli uomini che vivendo con l'unico fine di arricchirsi, non importa con quali mezzi, ed essendo perfettamente consapevoli della bassezza e della bricconeria di quelli che impiegheranno ogni giorno per il loro scopo, affetteranno pur non di meno – anche per se stessi – un alto tono di rettitudine morale, e scuoteranno la testa, sospirando sulla depravazione di questo mondo. Alcuni dei più astuti furfanti che mai camminarono su questo globo, o piuttosto – poiché il camminare suppone almeno la posizione eretta e il portamento umano – che mai s'arrampicarono e strisciarono per i più angusti e sudici sentieri della vita, gravemente annotarono nei loro diari gli eventi giornalieri e tennero aperto un conto del dare e dell'avere col Cielo, facendo oscillare il bilancio in loro favore. È questa una gratuita offesa al Cielo (la sola cosa gratuita) da parte della falsità e della furfanteria di simil gente, o essi sperano realmente d'ingannare perfino il Cielo, e ammassar meriti nell'altro mondo nella stessa maniera come hanno ammassato ricchezze in questo? Comunque sia è così; e senza dubbio, simili registrazioni (come certe autobiografie che hanno illuminato il globo) finiranno col dimostrarsi utili, se non altro col risparmiar fastidio e tempo all'angelo incaricato delle registrazioni lassù. (cap. XLIV)
  • [...] si vede in generale che quelli che si compiacciono di sogghignare della natura umana e affettano di disprezzarla, ne sono i peggiori e più tristi campioni. (cap. XLIV)
  • – Mio caro amico – rispose il fratello Carlo, – voi cadete nello stesso errore in cui cadono tanti, di accusar la natura di cose che non la riguardano affatto e delle quali non è minimamente responsabile. Gli uomini parlano della natura come di una cosa astratta, e intanto perdon di vista ciò che è naturale. Ecco un povero ragazzo che non ha mai sentito intorno a sé la sollecitudine d'un parente, e che difficilmente ha conosciuto altro nella sua vita che non fosse dolore e sofferenza, eccolo presentato a un uomo che si dice suo padre, e di cui il primo atto è di partecipargli l'intenzione di metter fine al breve periodo di benessere ch'egli abbia mai goduto, consegnandolo al suo antico aguzzino e strappandolo dalle mani dell'unico amico che egli abbia mai incontrato... cioè da voi. Se la natura, in un caso simile, mettesse nel petto del ragazzo soltanto un unico segreto impulso che lo spingesse verso il padre e lo staccasse da voi, essa sarebbe una sciocca menzognera. (cap. XLIV)
  • Vi sono molte amene fantasie della legge in continuo svolgimento, ma non ve n'è una più amena o più volgarmente faceta di quella che suppone che tutti gli uomini siano dello stesso valore innanzi al suo occhio parziale, e che i benefici di tutte le leggi siano egualmente raggiungibili da tutti, senza tenere il minimo conto del contenuto del borsellino di ciascuno. (cap. XLIV)
  • Quando gli uomini s'accingono a fare, o a sanzionare un'ingiustizia, non è raro sentirli esprimere qualche pietà per l'oggetto della loro o di qualche simile cattiveria, pur ritenendosi intanto assolutamente virtuosi e morali, e immensamente superiori a quelli che non esprimono alcuna virtù. È un modo, il loro, di sollevar la fede sulle opere, ed è un atto di consolazione. (cap. XLIV)
  • – Strana cosa, la natura.
    – È una cosa sacra, caro – osservò Snawley.
    – Ne son persuaso – aggiunse il signor Squeers, con un sospiro morale. – Mi piacerebbe sapere che cosa potremmo fare senza di essa. La natura, – disse il signor Squeers, con solennità, – è più facile concepirla che descriverla. Che beatitudine, caro, essere in uno stato di natura! (cap. XLV)
  • Le affezioni naturali e gl'istinti, mio caro amico, sono le opere più belle dell'Onnipotente, ma come tutte le altre sue belle opere debbono essere coltivate e amate: altrimenti è più che naturale che si oscurino interamente, e che nuovi sentimenti usurpino il loro posto, come accade per le più belle produzioni della terra, quando sono trascurate, che finiscono con l'esser soffocate dalle erbacce e dai rovi. (Charles Cheeryble: cap. XLVI)
  • Benché la mattina possa essere, per gli spiriti irrequieti e ardenti, l'ora dell'attività e dell'energia, non è sempre il tempo in cui la speranza è più forte o lo spirito più animoso e allegro. Nei casi dubbi e difficili la giovinezza, l'attitudine, la contemplazione continua delle difficoltà che ci circondano e la loro familiarità diminuiscono impercettibilmente i nostri timori e ci danno una relativa indifferenza, se non una vaga, avventurosa fiducia in qualche soccorso prodigioso, del quale non ci curiamo d'indagare i mezzi e la natura. Ma quando la mattina ci ritroviamo di nuovo innanzi alle difficoltà, con quel buio e silenzioso abisso fra noi e la vigilia, con ogni anello della fragile catena della speranza da ribadire di nuovo, col nostro caloroso entusiasmo intepidito e la fredda calma ragione accanto, i dubbi e le diffidenze si riaffacciano. Come il viaggiatore che ripiglia il cammino il giorno, e scorge le aspre balze e le pianure deserte che la tenebra gli aveva sottratte alla vista e allo spirito, così il pellegrino nei difficoltosi sentieri della vita umana, vede, col ritorno del sole, qualche nuovo ostacolo da superare, qualche nuova altezza da raggiungere. Lontananze si stendono davanti alle quali la sera prima aveva appena dato un pensiero, e la luce che indora tutta la natura coi suoi lieti raggi sembra che non splenda che sui tristi ostacoli che giacciono disseminati fra lui e la tomba. (cap. LIII)
  • – Rosolia, reumi, tosse asinina, febbri, geloni e lombaggine – disse il signor Squeers, – non sono che della filosofia, niente altro che della filosofia. I corpi celesti sono filosofia, e i corpi terrestri sono filosofia. Se in un corpo celeste si scioglie una vite, si tratta di filosofia, e se si scioglie una vite in un corpo terrestre si tratta anche di filosofia; o può darsi il caso qualche volta che vi sia un po' di metafisica, ma di rado. La filosofia è proprio quella che ci vuole per me. Se il genitore d'un alunno mi fa una domanda nel ramo classico, commerciale o matematico, gravemente gli domando: «Ebbene, signore, prima di tutto siete filosofo?» «No, signor Squeers»: egli mi dice, «no», «Allora, signore», dico io «mi dispiace, perchè non sono in grado di spiegarlo». Naturalmente, il genitore va via col desiderio d'essere filosofo, e parimenti naturalmente, crede che filosofo sia io. (cap. LVII)

Oliver Twist[modifica]

Incipit[modifica]

Originale[modifica]

Among other public buildings in a certain town which for many reasons it will be prudent to refrain from mentioning, and to which I will assign no fictitious name, it boasts of one which is common to most towns, great or small, to wit, a workhouse; and in this workhouse was born, on a day and date which I need not take upon myself to repeat, inasmuch as it can be of no possible consequence to the reader, in this stage of the business at all events, the item of mortality whose name is prefixed to the head of this chapter.

[Boz, Oliver Twist, 3 voll., Richard Bentley, London, 1838.]

Ugo Dettore[modifica]

Tra i vari edifici pubblici di una certa città che per molte ragioni evito di nominare e a cui non voglio dare alcun nome fittizio, ve n'è uno comune da tempo a molte città grandi e piccole, voglio dire l'ospizio di mendicità. E in questo ospizio nacque, un giorno che non merita specificare perché non ha alcuna importanza per il lettore, almeno per ora, l'esemplare umano il cui nome appare in testa a questo capitolo.

[Charles Dickens, Le avventure di Oliver Twist, traduzione di Ugo Dettore, Rizzoli, 199911. ISBN 88-17-12319-6]

Mario Martino[modifica]

Tra gli altri edifici pubblici di una certa cittadina, che per diverse ragioni sarà per me prudente astenermi dal menzionare e alla quale neanche assegnerò un nome fittizio, ve n'è uno familiare un tempo alla maggior parte delle città, grandi o piccole che fossero, e cioè un ospizio di mendicità. E in questo ospizio, in un certo giorno, mese e anno che non devo darmi pena di precisare, giacché il conoscerli non potrà riuscire di alcuna utilità al lettore – per lo meno allo stato attuale delle cose – nacque l'articolo di mortalità il cui nome compare nel titolo di questo capitolo.

Bruno Oddera[modifica]

Tra gli altri edifici pubblici di una certa cittadina che, per svariati motivi, sarà prudente astenersi dal nominare e alla quale non attribuirò alcun nome immaginario, ve n'è uno che si trova in quasi tutti i centri abitati, grandi o piccoli, vale a dire l'ospizio per i poveri; e in questo ospizio nacque,, un giorno di un anno che non starò a precisare in quanto, almeno per il momento, la cosa non può rivestire la benché minima importanza per il lettore, quell'appartenente al genere umano il cui nome figura nell'intestazione di questo capitolo.

Silvio Spaventa Filippi[modifica]

Fra gli edifici pubblici di una certa città, che per molte ragioni giova non menzionare e alla quale non darò neppure un nome immaginario, ve n'è uno da gran tempo comune a moltissime città grandi e piccole: l'ospizio di mendicità, e nell'ospizio di mendicità, in un giorno e in un anno che non serve rammentare – anche perché non ha alcuna conseguenza pratica per chi legge, almeno per ora – nacque il campione di umanità, del cui nome si adorna l'intestazione di questo capitolo.[15]

[Charles Dickens, Oliver Twist, traduzione di Silvio Spaventa-Filippi, Einaudi, 2014. ISBN 8858417445.]

Citazioni[modifica]

  • E che stupendo esempio della potenza dell'abito era il piccolo Oliver Twist! Avvolto nella coperta che fino ad allora aveva costituito il suo unico indumento, sarebbe potuto essere tanto il figlio di signori altolocati quanto di pezzenti, e anche il più arrogante, vedendolo per la prima volta, avrebbe avuto difficoltà ad attribuirgli un posto nella società. Ma ora, avvolto in una tela di cotone leggero, diventata gialla per quell'uso ripetuto, egli era etichettato e marchiato, ed era immediatamente collocato al suo posto: un poverello in carico alla parrocchia, un orfano per l'ospizio – l'umile e denutrito essere da fatica – spinto nel mondo a suon di ceffoni e sberle, da tutti disprezzato e da nessuno compatito. (cap. I, 2011)
  • C'è uno stato di torpore, tra il sonno e la veglia, durante il quale si sogna di più in cinque minuti a occhi semi-aperti, consapevoli di tutto ciò che avviene intorno, di quanto non si sognerebbe in cinque notti con gli occhi completamente chiusi e i sensi nella più totale incoscienza. In tali momenti, l'essere mortale comprende abbastanza del lavorio della sua mente per formarsi una idea, seppur vaga, del suo eccezionale potere: com'essa sia in grado di staccarsi da terra per superare spazio e tempo, libera dai legami con la sua controparte corporea. (cap. IX, 2011)
  • Nel profondo del cuore umano si cela la passione di dare la caccia a qualcosa. (cap. X; 2004, p. 84)
  • A gradi, scivolò in quel sonno tranquillo che solo il sollievo da un recente patire può infondere; quel calmo, beato riposo, a confronto del quale lo svegliarsi è una sofferenza. E chi, se quello fosse la morte, vorrebbe svegliarsi di nuovo alle lotte e al travaglio della vita; a tutte le sue preoccupazioni per il presente, a tutte le sue ansie per il futuro e a tutte le penose memorie del passato! (cap. XII, 2011)
  • E sebbene io non intenda affermare che è pratica consueta di famosi e dotti saggi l'abbreviare la via a ogni grande conclusione, giacché il loro programma è invero piuttosto quello di allungarla con ogni sorta di divagazione e di deviazione del discorso, come quelle in cui incorrono gli ubriachi pressati da una copiosa sovrabbondanza di idee, intendo però affermare, e anzi lo affermo decisamente, che, nell'applicazione delle loro teorie, è pratica inderogabile di molti arditi filosofi dar prova di grande saggezza e acume nel pararsi da ogni circostanza che abbia una qualche probabilità di contraddirle. Allo stesso modo, è legittimo fare un piccolo torto se serve a qualcosa di grande e giusto, ed è lecito ogni mezzo se è giustificato dal suo scopo, e la quantità di giusto o ingiusto, e perfino se esista tra loro una differenza, è lasciata interamente ai filosofi interessati, affinché essi la stabiliscano in base alla loro chiara, completa e imparziale considerazione dei casi particolari. (cap. XII, 2011)
  • [...] di certi libri la parte migliore è di gran lunga il dorso e la copertina. (Signor Brownlow: cap. XIV, 2011)
  • È consuetudine del teatro, in tutti i buoni melodrammi con tanto di assassini, presentare scene tragiche e comiche in regolare alternanza, come gli strati bianchi e rossi in un pezzo di pancetta magra ben stagionata. In una scena vediamo l'eroe steso su un pagliericcio, schiacciato dalle sventure e incatenato; nella seguente, il suo ignaro e fedele paggio regala al pubblico una canzonetta comica. Col cuore che ci martella in petto, vediamo l'eroina nelle grinfie d'un barone spietato e superbo, la sua virtù e la sua vita ugualmente in pericolo; lei sfodera il pugnale per preservare l'una a spese dell'altra, e proprio quando la nostra tensione raggiunge il massimo si sente un fischio, e siamo immediatamente trasportati nel salone di un castello, dove un canuto siniscalco canta strofette comiche accompagnato in coro da un ancor più comico gruppo di vassalli, fuori da ogni contesto, dalle volte delle chiese ai palazzi signorili, perpetuamente in giro a gorgheggiar canzoni.
    Questi bruschi cambiamenti paiono assurdi, eppure non sono così innaturali come sembrerebbero a prima vista. Nella vita reale, la transizione da ambienti profumati e pavimenti cosparsi di erbe ai letti di morte, dagli abiti del lutto a quelli della festa, non è affatto meno sorprendente; soltanto che in quella noi siamo attori partecipi e non passivi spettatori, e questo fa parecchia differenza. Nel teatro, che è una imitazione della vita, gli attori sono ciechi alle transizioni subitanee e ai repentini impulsi della passione o del sentimento, ma quando noi li abbiamo invece innanzi ai nostri occhi, da semplici spettatori, allora li condanniamo immediatamente in quanto bizzarri e grotteschi. (cap. XVII, 2011)
  • «Ci ha del sale in zucca, quel cane. Forse che non guarda storto certi giovinotti che ridono o cantano se è in compagnia?», continuò Dodger. «O non ringhia se sente suonare un violino? O non odia i cani di razza diversa dalla sua? Ah, no! Mica!».
    «È un vero cristiano», fece Charley.
    Ciò fu detto come semplice tributo alle qualità del cane, ma la frase era appropriata anche in un altro senso, pur rimanendone mastro Bates inconsapevole, poiché ci sono parecchie gentildonne e gentiluomini, cristiani professi, che hanno marcati e singolari punti di somiglianza col cane del signor Sikes. (cap. XVIII, 2011)
  • Il peggio delle donne è che basta un'inezia a risvegliare qualche sentimento sepolto, e il meglio è che non dura mai a lungo. (Fagin: cap. XIX, 2011)
  • Le donne sanno dire le cose col minor numero di parole possibile. Tranne quando danno di testa, e allora sproloquiano parecchio. (Sikes: cap. XX, 2011)
  • Ma anche una quisquilia è sufficiente a turbare la serenità dei nostri fragili stati d'animo! (cap. XXIII; 2004, p. 195)
  • – Signora Corney – rispose il messo parrocchiale, sorridendo come sorridono gli uomini consapevoli della loro sconfinata sapienza – l'elemosina ai vagabondi, se fatta oculatamente, dico oculatamente, signora, è la salvaguardia della parrocchia. Il grande principio dell'elemosina ai vagabondi è il seguente: dare ai poveri esattamente ciò di cui non hanno bisogno; dopodiché si stancano di mendicare. (cap. XXIII; 2004, p. 197)
  • Ahimè! Quanti pochi volti la natura lascia, dopo un po', a dar gioia con la loro bellezza! I dolori, gli affanni e i patimenti del mondo li mutano, così come mutano il cuore, ed è soltanto quando le passioni si spengono e non tormentano più che le oscure nubi che prima li offuscavano si dissolvono e lasciano affiorare il volto celeste. Accade sovente che il volto dei morti, perfino in quella condizione di fissa rigidità, si distenda e riprenda l'espressione di un bimbo addormentato e della sua prima età; riprenda di nuovo una tale placidità e una tale pace che chi lo conobbe nella sua felice infanzia s'inginocchia accanto alla bara con un sentimento di reverenza, ritrovando quasi il volto di un angelo in terra. (cap. XXIV, 2011)
  • Ma la morte, gli incendi e i furti rendono tutti gli uomini uguali [...].(cap. XXVIII; 2004, p. 241)
  • [...] una dolce melodia, il mormorio di acque in un luogo silenzioso, il profumo di un fiore, o persino il suono di una parola familiare risvegliano a volte vaghi ricordi di scene non appartenenti a questa vita, le quali, labili come il respiro, paiono giungere da un'esistenza più felice da tempo trascorsa, pur se nessuna operazione volontaria della mente è in grado di richiamarle in vita. (cap. XXX, 2011)
  • [...] così come la morte, il crimine non è appannaggio esclusivo dei vecchi decrepiti. Alligna anche tra i più giovani e leggiadri. (dottor Losberne: cap. XXX, 2011)
  • Oh! Se opprimendo e corrompendo i nostri simili ponessimo mente appena ai neri effetti dell'errore umano già provati, che si addensano in alto come pesante nuvolaglia – lentamente, è vero, ma non per questo meno inesorabilmente – per piombarci poi sul capo a darci la loro ricompensa; se, nella nostra immaginazione, dessimo soltanto un istante ascolto alle testimonianze di uomini defunti, che nessun potere può tacitare e nessun orgoglio può scacciare, cosa accadrebbe delle offese e delle ingiustizie, delle sofferenze e dell'infelicità, delle crudeltà e dei torti che ciascun giorno della nostra vita reca con sé! (cap. XXX, 2011)
  • Chi può descrivere la gioia e il piacere, la pace dell'animo e la dolce tranquillità che il ragazzo sentì in quell'aria salubre, tra le verdi colline e i meravigliosi boschi d'un villaggio di campagna! Chi può dire come scene di pace e tranquillità possano penetrare nell'animo dei tormentati abitanti di luoghi angusti e rumorosi, e come la loro freschezza possa trasfondersi nei loro cuori affranti! Uomini che hanno vissuto tutta una vita d'affanni in strade chiuse e affollate senza desiderio di mutar condizione; uomini per i quali l'abitudine è divenuta come una seconda natura e che son giunti quasi ad amare ciascun singolo mattone e pietra con cui è delimitato lo stretto confine dei loro passi giornalieri, persino coloro sui quali incombeva l'artiglio della morte, si dice abbiano agognato un ultimo sguardo allo spettacolo della Natura e, portati lontano dalle scene delle loro sofferenze e dei loro piaceri, pare siano entrati all'istante in una nuova condizione, e giorno dopo giorno, trascinandosi a stento per raggiungere qualche luogo ameno, verde e soleggiato, alla semplice contemplazione del cielo, delle colline, dei prati, dell'acqua luccicante, si sono ridestate in loro tali memorie che quella sorta di anticipazione del cielo ha lenito il loro rapido declino, ed essi sono scesi nella tomba placidamente, come il sole, il cui tramonto avevano contemplato dalla finestra della loro stanza solitaria appena qualche ora prima, quasi sfocasse alla loro debole vista! Le memorie richiamate a noi dalle tranquille scene della campagna non sono di questo mondo, come non lo sono le speranze e i pensieri che vi si associano. La loro benigna influenza può insegnarci a intrecciare fresche ghirlande per la tomba di coloro che abbiamo amato; può render più puri i nostri pensieri, cancellando al loro cospetto vecchi odi e rancori. Ma al di là di tutto questo, persino nella mente meno consapevole, rimane il senso, pur vago e indistinto, di aver albergato questi pensieri da tempi immemori; e questo evoca solenni pensieri d'un lontano tempo a venire, e vince ogni orgoglio e attaccamento al mondo. (cap. XXXII, 2011)
  • Rapida passò la primavera e subito venne l'estate e se il villaggio era stato bello già prima, era adesso nel pieno splendore della sua lussureggiante ricchezza. I grandi alberi, che erano parsi così nudi e spogli nei mesi precedenti, erano ora nel pieno della vita e del vigore e allargando le loro verdi braccia sulla terra assetata trasformavano aride chiazze in invitanti angoletti d'ombra fitta e piacevole, dai quali godere la vista di ampie prospettive immerse nella luce del sole, a perdita d'occhio. La terra vestiva il suo mantello del verde più luminoso e spandeva intorno i suoi ricchi profumi. Era la vigorosa giovinezza dell'anno, e ogni cosa aveva un aspetto lieto e fiorente. (cap. XXXIII, 2011)
  • L'attesa, la terribile attesa di quando non si può nulla mentre la vita di chi amiamo è sempre più sospesa; la tortura dei pensieri che si affollano in mente e comprimono violentemente il cuore, rendendo il respiro affannoso per le immagini funeree che essi evocano; l'ansia disperata di voler fare qualcosa, e non potere in alcun modo alleviare il dolore o diminuire il pericolo; la prostrazione dell'animo e dello spirito alla rinnovata consapevolezza della nostra impotenza: quali torture possono mai eguagliare queste, e quali pensieri, quali azioni, nel pieno di quell'onda febbrile, possono alleviarle! (cap. XXXIII, 2011)
  • Non esiste rimorso più profondo di quello senza rimedio; se vogliamo evitarne i tormenti, ricordiamocene in tempo. (cap. XXXIII; 2004, p. 286)
  • «Caro figlio mio», replicò la signora Maylie posandogli una mano sulla spalla, «io credo che i giovani abbiano molti impulsi di generosità che non durano, e che tra questi ve ne siano alcuni che, una volta soddisfatti, diventano ancora più fugaci. Credo, soprattutto», disse la signora fissando in viso il figlio, «che se un uomo dotato di entusiasmo, appassionato e ambizioso, prende una moglie con una macchia sul nome, anche se lei non ne ha colpa alcuna, persone ciniche e spregiudicate se ne approfitterebbero sia contro di lei sia contro i suoi figli, e tanto egli avrà fortuna nel mondo tanto egli diverrà oggetto di sorrisi di scherno. Forse, per quanto generosa e buona la sua natura, un giorno egli potrebbe pentirsi del legame contratto in gioventù e lei, sapendolo, soffrirebbe ancor più tormentosamente». (cap. XXXIV, 2011)
  • Gli uomini che guardano la natura o i propri simili lamentandosi che tutto è buio e triste hanno ragione, ma quei colori spenti altro non sono che il riflesso dell'amarezza che hanno nel cuore e negli occhi. I veri colori sono delicati e si mostrano a sguardi più limpidi. (cap. XXXIV, 2011)
  • A volte ci coglie un tipo particolare di sonno che, mentre sembra impadronirsi del corpo, non libera però la mente dal senso di ciò che le accade intorno e la lascia libera di vagare a proprio piacere. Se definiamo sonno ciò che arreca con sé una pesantezza invincibile, ci priva di forze e determina la totale incapacità di controllo dei nostri pensieri e del movimento, quello di Oliver era sonno. In esso tuttavia noi conserviamo la consapevolezza di ciò che accade intorno a noi e, se in quel mentre noi sogniamo, le parole effettivamente pronunciate, i suoni realmente percepibili si adeguano con sorprendente prontezza alle nostre visioni, finché realtà e immaginazione si fondono in modo così strano che poi è quasi impossibile discernerle di nuovo. Né questa è la cosa più strana di quella condizione. È un fatto indubbio che, sebbene i sensi del tatto e della vista siano allora spenti, i nostri pensieri addormentati e le scene che immaginiamo saranno influenzati, parecchio influenzati, dalla presenza pur silenziosa di qualche oggetto esterno che magari non era lì quando abbiamo chiuso gli occhi e della cui vicinanza non avevamo precisa coscienza. (cap. XXXIV, 2011)
  • Nella vita ci sono promozioni che, indipendentemente dalle concrete soddisfazioni che offrono, acquistano particolare valore e dignità dai soprabiti e dai panciotti a loro peculiari. Un maresciallo ha la sua uniforme; un vescovo la sua sottana di seta; un consigliere la sua toga di seta; e un custode ha il suo tricorno. Togliete al vescovo la sua sottana, al custode il cappello e i galloni, e cosa sono mai? Uomini, semplici uomini. La dignità, e perfino la santità, a volte, sono questioni più di soprabito e panciotto di quanto qualche persona possa immaginare. (cap. XXXVII, 2011)
  • Con espressione soddisfatta guardò la sua buona signora e la pregò, condiscendente, di piangere più che poteva, poiché la scienza medica riteneva quell'esercizio estremamente favorevole alla buona salute.
    «Dilata i polmoni, idrata l'incarnato, spurga gli occhi, e molcisce il carattere», disse il signor Bumble. «Perciò, piangete pure». (cap. XXXVII, 2011)
  • [...] l'orgoglio, vizio delle creature più basse e degenerate non meno di quelle più in alto e tutte d'un pezzo. (cap. XL, 2011)
  • [...] le sorprese, come le disgrazie, di rado arrivano sole. (cap. XLI,[16] 2011)
  • «E così eri tu quel famoso amico, eh?», chiese Claypole, alias Bolter, quando il giorno seguente, in virtù del patto stabilito, si trovò in casa dell'ebreo.
    «Ciascuno è il miglior amico di se stesso, mio caro», replicò Fagin col suo ghigno più insinuante. «Non se ne trova l'uguale, da nessuna parte».
    «Tranne qualche volta», replicò Morris Bolter assumendo l'aria d'un uomo vissuto, «quando certi sono i peggiori nemici di se stessi, sai».
    «Non crederci!», disse l'ebreo. «Quando uno è il suo peggior nemico, è solo perché è troppo il suo migliore amico, non perché si preoccupi di qualcun altro. Via, via! Una cosa del genere è contro natura».
    «E se non fosse contro, ci dovrebbe essere», replicò il signor Bolter.
    «Questo è ragionare», disse l'ebreo. «Qualche negromante dice che il tre è il numero magico, e qualcun altro dice il sette; ma non è né il primo né il secondo, amico mio, né il primo né il secondo. È l'uno». (cap. XLIII, 2011)
  • Il sole, il vivido sole che ridona all'uomo non soltanto la luce, ma anche una vita nuova e nuove speranze e nuove energie, salì nel cielo splendendo vivido e radioso sulla città gremita. Ovunque, attraverso costosi vetri colorati, o finestre rotte riparate con fogli di carta, diffuse equamente il suo splendore. (cap. XLVIII; 2004, p. 415)
  • Il nostro è un mondo di disillusioni, e spesso son deluse proprio le nostre speranze più vive e che più fanno onore alla nostra natura. (cap. LI, 2011)

Explicit[modifica]

Vicino all'altare della vecchia chiesetta del villaggio c'è una lapide di marmo con su inscritta una sola parola: "Agnes"! Non c'è bara in quella tomba, e che passino molti, moltissimi anni prima che vi sia iscritto sopra un altro nome! Ma se mai le anime dei morti tornano sulla terra a visitare i luoghi benedetti dall'amore di coloro che conobbero in vita – un amore che vince la morte – allora lo spirito di Agnes certamente s'aggira, di tanto in tanto, per quel luogo solenne; e a maggior ragione lo credo perché esso si trova in una chiesa, e perché lei peccò, perdendosi.

[Traduzione di Mario Martino]

Tempi difficili[modifica]

Incipit[modifica]

Originale[modifica]

Now, what I want is, Facts. Teach these boys and girls nothing but Facts. Facts alone are wanted in life. Plant nothing else, and root out everything else. You can only form the minds of reasoning animals upon Facts: nothing else will ever be of any service to them. This is the principle on which I bring up my own children, and this is the principle on which I bring up these children. Stick to Facts, sir!

[Charles Dickens, Hard times, Bradbury & Evans, London, 1854.]

Maria Rita Cifarelli e Cristina Scagliotti[modifica]

– Ora, quel che voglio sono Fatti. Solo Fatti dovete insegnare a questi ragazzi. Nella vita non c'è bisogno che di Fatti. Piantate Fatti e sradicate tutto il resto. La mente d'un animale che ragiona si può plasmare solo coi Fatti; null'altro gli sarà mai di alcuna utilità. Con questo principio educo i miei figli e con lo stesso principio educo questi ragazzi. Attenetevi ai Fatti, signore!

Gianna Lonza[modifica]

«Ora quello che voglio sono Fatti. A questi ragazzi e ragazze insegnate soltanto Fatti. Solo i Fatti servono nella vita. Non piantate altro e sradicate tutto il resto. Solo con i Fatti si plasma la mente di un animale dotato di ragione; nient'altro gli tornerà mai utile. Con questo principio educo i miei figli, con questo principio educo questi ragazzi. Attenetevi ai Fatti, signore!».

Mario Martino[modifica]

«Dunque voglio solo i Fatti. Insegnate a questi ragazzi e ragazze soltanto Fatti. Solo di Fatti c'è bisogno nella vita. Piantate nient'altro, estirpate tutto il resto. Solo con i Fatti si educano le menti di animali razionali e nient'altro riuscirà mai loro di alcuna utilità. Questi sono i princìpi in base ai quali educo i miei propri figli, e questi sono princìpi in base ai quali educo questi ragazzi. Perciò, signore, attenetevi ai Fatti!»

Bruno Tasso[modifica]

Ora, quello che voglio sono Fatti. Insegnate a questi ragazzi e a queste ragazze Fatti e niente altro. Solo di Fatti abbiamo bisogno nella vita. Non piantate altro e sradicate tutto il resto. Solo coi Fatti si può plasmare la mente degli animali che ragionano: il resto non servirà mai loro assolutamente nulla. Questo è il principio su cui ho allevato i miei figli, e questo è il principio su cui ho allevato questi fanciulli. Tenetevi ai Fatti, signore!

Libro primo[modifica]

  • Strano contrasto quello fra gli uomini immersi nella foresta di telai e le macchine su cui ciascuno di loro faticava, che stridevano, laceravano, stritolavano. Tutti voi, che siete brava gente tanto ansiosa, non abbiate timore: l'Arte non riuscirà a sopraffare la Natura. Mettete, l'una accanto all'altra, l'opera di Dio e l'opera dell'uomo: dal confronto sarà sempre la prima a uscirne con onore, si tratti pure di un esercito di "manodopera" insignificante.
    Centinaia e centinaia di "mani" al lavoro in questa fabbrica; centinaia e centinaia di cavalli vapore. Conosciamo fino all'ultima unità quello che può fare una macchina, ma neppure tutti i contabili della tesoreria nazionale, messi assieme, riusciranno mai a calcolare quale sia la capacità di agire nel bene o di operare nel male, di amore o di odio, di patriottismo o di scontento, la capacità di corrompere la virtù in vizio o di esaltare il vizio in virtù, che si annida nell'animo di ciascuno di questi schiavi mansueti, con i loro volti composti e i gesti regolarmente scanditi. Nessun mistero nella macchina; un insondabile mistero perfino nel più umile di loro – per sempre. E se sovvertissimo i sistemi dell'aritmetica che usiamo per stimare gli oggetti materiali e valutassimo con altre misure queste oscure entità ignote! (cap. XI, 2000)
  • Meglio, mille volte meglio non avere neppure un tetto sulla testa che una casa nella quale si ha il timore di tornare! (cap. XII; 1999, p. 99)
  • [...] agli altri suoi pensieri Stephen aggiunse la dolorosa riflessione che, di tutte le disgrazie dell'esistenza terrena, nessuno è distribuito con mano più ineguale della morte. La disparità della nascita è nulla al confronto. Se, per esempio, fossero nati quella notte, nello stesso istante, il figlio di un re e il figlio di un tessitore, che cosa sarebbe stata quella differenza a paragone della morte di una qualsiasi creatura umana utile, utile a un'altra, o da questa amata, mentre quella donna spregevole continuava a vivere! (cap. XIII, 2000)
  • Come un astronomo che, in un osservatorio privo di finestre, volesse organizzare l'universo stellato col solo ausilio di carta, penna e inchiostro, così il signor Gradgrind nel suo privato osservatorio (e come il suo ve ne sono parecchi) non aveva alcun bisogno di gettare lo sguardo sugli esseri umani che gli brulicavano attorno, ma si compiaceva di tracciare i loro destini su una semplice lavagna, cancellando via le loro lacrime con un unico pezzetto di spugna sudicia. (cap. XV; 1999, p. 116)
  • [...] gli indefinibili moti dell'animo umano [...] continueranno a eludere tutte le astuzie dell'algebra, anche le più sottili, fino al giorno in cui le trombe del giudizio non abbatteranno l'algebra stessa. (cap. XV, 2000)

Libro secondo[modifica]

  • E così l'occhio stesso del cielo diventa un occhio malefico quando mani incapaci o sordide si interpongono fra lui e le cose cui egli vorrebbe recare una benedizione. (cap. I, 2012)
  • Questa era un'altra delle trovate di Coketown. Non c'era capitalista che, partito con sei pence in tasca e ritrovandosi con sessantamila sterline, non si stupisse che i primi sessantamila lavoratori che gli capitavano sott'occhio non facessero anche loro sessantamila sterline partendo da sei pence. Ed eccolo a rimproverarli di non essere riusciti a ottenere un risultato tanto modesto. Quello che ho fatto io, puoi farlo anche tu, no? Perché non ti ci metti e lo fai? (cap. I, 2000)
  • È sempre un fatto curioso osservare come, in molte assemblee, gli ascoltatori soccombano passivamente all'insipienza di qualche presuntuoso, sia esso nobile o comune cittadino, di qualche uomo che essi – o almeno i tre quarti di essi – non riuscirebbero in alcun modo a sollevare dal suo abisso di stupidità e a portare al loro livello intellettuale. (cap. IV; 1999, p. 168)
  • Chi, trovandosi in terra straniera, invano cerca, senza mai riuscirci, di leggere uno sguardo di intesa in diecimila volti, si trova in allegra compagnia a paragone di colui che, quotidianamente, passa accanto a dieci volti che, un tempo amici, ora sfuggono il suo sguardo. (cap. IV, 2000)
  • Ben più difficile di quanto avesse mai potuto immaginare era separare, dentro di sé, la sensazione di abbandono da quella, ingiustificata, di vergogna e disonore. (cap. IV; 1999, p. 174)
  • [Al signor Bounderby] Non serve il pugno di ferro. Non servono le vittorie e i trionfi. E non serve proprio a niente mettersi d'accordo per fare in modo che una parte ci ha sempre e comunque ragione e l'altra sempre e comunque torto. E non serve neppure lavarsene le mani. Lasciate pure migliaia e migliaia di persone a vivere la stessa vita, dentro ai guai fino al collo, ed ecco che diventeranno come un sol uomo, e voi tutti vi metterete di fronte come un altro uomo, e in mezzo ci sarà un abisso nero che non si potrà attraversare, per il poco o il tanto tempo che durerà questa miseria. A non voler stare vicino agli altri con gentilezza, pazienza e buonumore, perché è così che si sta vicini quando si hanno tanti guai, così ci si tira su quando si soffre nel bisogno (credo umilmente che in tutti i suoi viaggi questo signore [James Harthouse] non ha mai incontrato gente così generosa come qui), non ci si ricaverà niente finché il sole non si sarà cambiato in ghiaccio. E soprattutto non servirà a niente considerarli solo per la forza che hanno, trattarli come macchine o come numeri da sommare, senza sentimenti e senza simpatie, senza ricordi e senza preferenze, senza un animo che soffre e che spera, trattarli, quando tutto va bene, come se non hanno niente dentro e, quando va male, dicendo che non hanno sentimenti umani quando parlano con voi. Ma tutto questo non servirà a niente, signore, finché non si disferà l'opera di Dio. (Stephen Blackpool: cap. V; 1999, p. 182)
  • I vecchi, soprattutto quando si sforzano di essere fiduciosi e allegri, incontrano molto rispetto fra i poveri. (cap. VI, 2000)
  • È così naturale che tutti abbiano uno scopo o qualcosa da fare che chiunque se ne sta in ozio a bighellonare è, e si sente, sempre osservato. (cap. VI; 1999, p. 196)
  • Quando il Diavolo gironzola come un leone ruggente, il suo aspetto attira ben pochi seguaci, a parte selvaggi e cacciatori. Ma quando se ne va agghindato, lisciato e dipinto secondo la moda, quando è stanco sia del vizio sia della virtù, satollo di zolfo infernale e di beatitudine celeste, allora è davvero il Diavolo incarnato, tanto se si dedica all'amministrazione della cosa pubblica quanto se si occupa di bollire la pece. (cap. VIII, 2011)
  • Neppure in quel momento, mentre si avvicinava alla sua vecchia casa, [Louisa Bounderby] avvertì su di sé alcun benefico influsso. Che cosa aveva più da spartire ormai con i sogni dell'infanzia, con le sue fiabe leggiadre, con la grazia, la bellezza, l'umanità, le illusioni di cui si adorna il futuro? Tutte cose tanto belle in cui credere da piccoli, da ricordare con tenerezza una volta adulti perché, allora, anche la più insignificante di esse si eleva alla dignità di una grande e benevola disposizione del cuore che consente ai piccini che soffrono di avventurarsi per le vie irte di sassi di questo mondo, conservando quel piccolo angolo fiorito con le loro mani pure. Un giardino nel quale i figli di Adamo farebbero meglio a entrare più spesso per scaldarsi al sole con fiducia e semplicità, liberi da vanità mondane.
    Già, cos'aveva ormai da spartire con i ricordi dell'infanzia? Il ricordo di come, al primo incontro, attraverso la luce delicata dell'immaginazione, la Ragione, le fosse apparsa come una divinità benefica che additava a divinità altrettanto magnanime e non già come un idolo arcigno, gelido e crudele, con vittime legate mani e piedi; grossa figura ottusa dallo sguardo fisso che solo un sistema di leve, azionato da un preciso numero di tonnellate, sarebbe stato in grado di smuovere. La casa paterna e la fanciullezza le rimandavano immagini di fonti e sorgenti inaridite nell'istante stesso in cui sgorgavano dal suo giovane cuore. Niente acque dorate per lei: esse fluivano invece a fecondare la terra in cui si coglie l'uva dai rovi e il fico dal pruno. (cap. IX; 1999, p. 236)
  • [Al signor Gradgrind] Come avete potuto darmi la vita e insieme privarmi di tutte quelle piccole cose che la distinguono da uno stato di morte cosciente? Dove sono le virtù della mia anima? E i moti del cuore? Che ne avete fatto, padre, del giardino che avrebbe dovuto fiorire in mezzo a questo deserto?
    [...]
    Se quel giardino fosse mai esistito, sarebbero bastate le sue ceneri a salvarmi dal vuoto in cui sprofonda la mia vita. Non volevo dire questo; ma, padre, rammentate l'ultima conversazione che avemmo in questa stanza?
    [...]
    Quel che m'è salito alle labbra adesso, l'avrei detto anche allora, se solo per un attimo mi aveste aiutata. Non vi rimprovero, padre. Quel che non avete coltivato in me, non l'avete coltivato neppure in voi stesso. Oh, se solo l'aveste fatto tanto tempo fa, oppure mi aveste trascurata, oggi sarei di certo una creatura migliore, e più felice! (Louisa Bounderby: cap. XII; 1999, p. 258)

Libro terzo[modifica]

  • – C'è chi sostiene,[17] – proseguì egli, ancora esitante, – che esiste una saggezza della testa e una saggezza del cuore. (Gradgrind: cap. I, 2012)
  • Tutte le forze troppo a lungo imprigionate, quando esplodono, portano distruzione. Anche l'aria così vitale per la terra, l'acqua portatrice di ricchezza, il calore che conduce a maturazione, si trasformano, se ingabbiate, in forze devastanti. Così avveniva anche allora nel suo cuore: le sue migliori qualità, troppo a lungo accanite contro se stesse, si erano trasformate in un cumulo di ostinazione, pronto a sollevarsi contro un'amica. (cap. I; 1999, pp. 269-270)
  • Principio basilare della filosofia di Gradgrind era che tutto avesse un prezzo e che il prezzo andasse pagato. Nessuno doveva mai dare niente a nessuno, né offrire aiuto ad alcuno, senza corrispettivo. La gratitudine andava abolita, e le virtù che da essa scaturivano non dovevano esistere. Ogni frammento dell'esistenza umana, dalla nascita alla morte, era da considerarsi alla stregua di un contratto che andava stipulato da due parti contrapposte. E se a quel modo non si finiva in Paradiso voleva dire che il Paradiso non era un luogo dotato di caratteristiche politico-economiche, e non conveniva andarci. (cap. VIII; 1999, p. 345)
  • [Al signor Gradgrind] Fembra proprio che i cafi fono due, vero, fignoria? Uno, che al mondo c'è una fpecie d'amore che dopo tutto non è foltanto intereffe, ma qualcofa di molto diverfo; e due, che quefto amore ha una fua maniera di calcolare o di non calcolare, e in un modo o nell'altro è difficile da fpiegarfi, come il modo di comportarfi dei cani! (Sleary: cap. VIII; 1999, p. 349)
  • La gente deve divertirfi. Non poffono ftar fempre a ftudiare e neanche a lavorare; non fono fatti per quefte cofe![18] (Sleary: cap. VIII, 2000)
  • È sempre pericoloso scoprire qualcosa del mondo di un borioso fanfarone prima che sia lui stesso a scoprirlo. (cap. IX; 1999, p. 351)
  • [Al signor Bounderby, riferendosi al suo comportamento] Niente di quel che fa un imbecille può destare sorpresa o indignazione: il comportamento di un imbecille può solo suscitare disprezzo. (Signora Sparsit: cap. IX; 1999, p. 354)

Incipit de Il segnalatore[modifica]

«Ehi, laggiu!»
Quando udì una voce che lo chiamava, si trovava accanto alla porta del suo gabbiotto, con una bandiera in mano, arrotolata attorno al corto bastone. Considerata la natura del terreno, si sarebbe potuto pensare che non avesse dubbi sulla direzione da cui proveniva la voce; ma invece di sollevare lo sguardo verso il punto in cui mi trovavo, in cima alla trincea scoscesa quasi sopra la sua testa, si voltò e guardò la Linea. C'era qualcosa di particolare nel modo in cui lo fece, anche se non avrei saputo dire cosa.

Citazioni su Charles Dickens[modifica]

  • Aprite un libro e cercate di leggere, ma scoprite che Shakespeare è trito e banale, Dickens insipido e pedestre, Thackeray nioso e Carlyle eccessivamente sentimentale. (Jerome K. Jerome)
  • Ci sono [...] scrittori che mostrano deficienze assolute di capacità costruttive e che quindi, nonostante la più fertile delle invenzioni, naufragano miseramente nella trama. A questa categoria appartiene Dickens. (Edgar Allan Poe)
  • Dickens era un puro innovatore – un progressista per eccellenza – e non aveva alcun rimpianto delle epoche passate, ad eccezione forse di una sorta di sentimentalismo per le torri delle cattedrali. Era all'oscuro del terribile potere della superstizione – era essenzialmente un direttore di scena, la metteva in scena per provocare reazioni nel pubblico. Il suo Natale significava vischio e pudding – non la resurrezione dai morti, né la nascita di nuove stelle, né l'insegnamento di saggi o di pastori. (John Ruskin)
  • Dickens è uno scrittore delizioso e irritante. Quanto è difficile da maneggiare questo cordiale, unghiuto, un po' pingue, o forse pletorico, animale letterario, la cui gola poderosa sa articolare ogni sorta di voci: rugghi, rantoli, stronfi, e anche delicatissime fusa, tiepidi sgnaulii. Domestico o feroce? Quell'equivoco pelame, tra giaguaro e gatto domestico, ci fa cauti e perplessi. (Giorgio Manganelli)
  • Dickens narra con tale precisione, con tale minuziosità, da costringerci a seguire il suo sguardo ipnotizzante. Non aveva lo sguardo magico di Balzac [...], ma uno sguardo tutto terreno, uno sguardo da marinaio, da cacciatore, uno sguardo di falco per le piccole cose umane. – Ma sono le piccole cose – disse egli una volta – che formano il senso della vita. (Stefan Zweig)
  • Di tutti i romanzieri dell'età vittoriana è stato probabilmente il più critico verso la stessa età vittoriana. (Edmund Wilson)
  • Egli aveva uno spirito grande e pieno d'amore e la più forte simpatia per le classi povere. Provò sicuramente i migliori sentimenti e sentì la necessità di un'unione tra le classi, sperando che questa avesse luogo. E io prego perché ciò accada al più presto. (Regina Vittoria)
  • Il nome di Carlo Dickens non ebbe mai gran voga in Italia. Non se ne saprebbe dire esattamente il perché. Altri scrittori stranieri, meno importanti, riuscirono a divulgarsi fra noi rapidamente e a godere, inoltre, di una incontrastata popolarità: Carlo Dickens, vivo, fu noto soltanto a quelli che si tenevano in contatto con la cultura europea; morto, soffrì l'infamia di traduzioni raffazzonate o monche, che certo non valsero ad allargargli la cerchia dei suoi già scarsi ammiratori. (Silvio Spaventa Filippi)
  • Io nei confronti di Dickens ho il seguente, curioso rapporto: adoro lui e non amo particolarmente i suoi libri. Non voglio dire che adoro il personaggio e non lo scrittore, non è questo: io adoro come scrive, non c'è nessuno con quella luce nella scrittura, e quella salvezza. Ma non c'è un suo solo libro che potrei definire un capolavoro, e forse neanche uno che sia riuscito a leggere senza una certa fatica. In realtà li confondo un po' tutti, e forse quando penso a Dickens, al suo modo di scrivere, penso a un unico splendido, smisurato testo che mi è accaduto di leggere qua e là, senza neanche troppa urgenza di orientarmi in modo più preciso. (Alessandro Baricco)
  • L'arte di Dickens era la più raffinata delle arti: era l'arte di godere di tutto. Dickens ha goduto di ogni personaggio dei suoi libri, e tutti hanno apprezzato i suoi personaggi. I suoi romanzi sono pieni di delinquenti e furfanti, ma i cattivi e vigliacchi sono persone talmente deliziose che il lettore si augura sempre il truffatore metta la testa attraverso una finestra laterale per fare un altro commento, o che il prepotente dica qualcosa d'altro dal fondo delle scale. Il lettore si augura davvero questo, ed egli non può sbarazzarsi della fantasia che l'autore speri proprio che lui pensi questo. (Gilbert Keith Chesterton)
  • La cosa bella di Charles Dickens è che ogni riga del suo romanzo è carica di ironia. (Roman Polanski)
  • La sentimentalità del Dickens è ingenua e melodrammatica, non morbosa e insidiosa; e anche se spesso caricaturali, le sue robuste e pittoresche figure, moltissime delle quali son passate in proverbio, quasi maschere d'una nuova commedia dell'arte, formano una galleria quale non si era più data nella letteratura inglese dopo Chaucer e Shakespeare. (Mario Praz)
  • Nel caso di Dickens i valori sono nuovi. Gli autori moderni si ubriacano ancora del suo vino. Con lui [...] non occorre corteggiamento, non c'è esitazione. Ci arrendiamo alla voce di Dickens: tutto qui. Se fosse possibile, mi piacerebbe dedicare cinquanta minuti di ogni lezione a meditare, concentrandoci in silenziosa ammirazione, su Dickens. (Vladimir Nabokov)
  • Non c'è nessun autore inglese contemporaneo le cui opere sono lette in tutte le case e che possono dare piacere alla servitù quanto ai padroni, ai bambini come agli insegnanti. (Walter Bagehot)
  • Preferisco Dickens a Dostoevskij. (Wisława Szymborska)
  • Quando la gente dice Dickens esagera, mi sembra che non abbia occhi né orecchie. Probabilmente essi hanno solo nozioni di ciò che le cose e le persone sono. (George Santayana)
  • Se mi venisse chiesto di indicare nell'arte moderna dei [...] modelli dell'arte superiore, religiosa, proveniente dall'amore di Dio e del prossimo, indicherei nella sfera della letteratura [...] le novelle, i racconti, i romanzi di Dickens: Tale of two cities, Chimes e altri. (Lev Tolstoj)
  • Un delizioso narratore inglese, che dipinge gli interni di famiglia con la verità di Teniers-le-Vieux e il tocco fine e delicato di Charles Nodier. Oh, che mirabili medaglioni questi ritratti di Scrooge, di Bob Cratchit e di Mrs Peerybingle! Come si avverte sotto il romanziere l'uomo onesto! E come nell'uomo onesto si sente il poeta, quando un folle, in punto di morte, grida (le Tocsin[19], cap. XVI)
    Presto sapremo cosa rende così fulgide le stelle! (Eugène Vermersch)
  • Vi è una fondamentale spietatezza dietro il suo stile traboccante di sentimentalismo. (Franz Kafka)

Pietro Citati[modifica]

  • Non amare Dickens è un peccato mortale: chi non lo ama, non ama nemmeno il romanzo.
  • Dostoevskij e Tolstoj, Conrad e Joyce, Kafka e Dylan Thomas lessero Dickens con la passione, l'entusiasmo e l'"incoerente gratitudine", che egli richiede da ciascuno di noi. Vissero dentro di lui: abitarono dentro di lui, come nella propria casa; e appresero da quel "rozzo romanziere popolare" i più sottili e arditi artifici letterari. Chi imparò da lui la tecnica del romanzo criminale, chi la presentazione dei personaggi, chi il gioco delle voci narrative: chi amò i "divini idioti", i grandi simboli, o il calore analogico delle immagini. Tutti scorsero in Dickens uno specchio – uno di quegli specchi incrinati e velati, che talvolta si trovano nelle soffitte – dove scoprire la propria arte e se stessi.
  • Ci chiediamo da dove venisse a Dickens, lui che conosceva come nessuno l'orrore e la tenebra, tanta allegria alcoolica. Era il suo genio. Non credeva affatto che, in questa terra che obbedisce al Tempo e al Luogo, le cose avessero un lieto fine. Ma nel suo mondo, il "migliore dei mondi impossibili", che apparteneva allo spazio di Non-Dove, le cose andavano immutabilmente così. Questa era la sua grande utopia letteraria.
  • Ogni romanzo di Dickens è folto, sterminato: un oceano, un bosco, una prateria, un esercito, una collezione di oggetti disparati e assurdi, legati fra loro da un misterioso legame. Ogni romanzo è uno sforzo di dare fondo all'universo, secondo un gioco molteplice di punti di vista. Noi leggiamo: incontriamo decine di personaggi, centinaia di scene, migliaia di pagine; e per molte settimane dimentichiamo che abbiamo una famiglia, che fuori il sole si leva e tramonta, che amici ci attendono per conversare.

George Orwell[modifica]

  • Dickens attaccò le istituzioni inglesi con una ferocia senza precedenti all'epoca. Eppure, riuscì a farlo senza farsi odiare, e, soprattutto, a farsi apprezzare e lodare dalle stesse persone che aveva criticato, in modo da divenire egli stesso una istituzione nazionale.
  • Dickens è uno di quegli autori in cui la parte è migliore del tutto.
  • Il genio umoristico di Dickens è legato al suo senso morale. La sua comicità si esprime al massimo della forza quando scopre nuovi peccati.

Note[modifica]

  1. Citato in V per Vendetta.
  2. Cfr. infra, Oliver Twist, cap. XLI.
  3. Questa citazione, l'unica di cui il capitano dia la fonte, è in realtà assolutamente falsa, perché un proverbio del genere non esiste tra quelli di Salomone né tra gli altri biblici [N.d.T.].
  4. Il testo: «When found, make a note of», poi divenuto motto della rivista Notes and Queries, cfr. Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, Milano, 1921, p. 520.
  5. Apo. 6,14 [N.d.T.].
  6. Cfr. Giacomo Leopardi, Operette morali: «Primieramente io [Moda] che annullo o stravolgo per lo continuo tutte le altre usanze, non ho mai lasciato smettere in nessun luogo la pratica di morire, e per questo vedi che ella dura universalmente insino a oggi dal principio del mondo.»
  7. Probabile sintesi di alcuni tra i numerosi versetti biblici in cui è citato il fico [N.d.T.].
  8. Raccolta di canzoni del 1760 [N.d.T.].
  9. a b Dalla descrizione del personaggio di Joe, il "ragazzo grasso" "letargico" è derivata la "sindrome di Picwick", altro nome con cui è nota la "sindrome obesità-ipoventilazione". Cfr. voce su Wikipedia.
  10. Cfr. A rolling stone gathers no moss.
  11. Nel testo in lingua: Sampson Brass (=ottone).
  12. Citato nel film Il cavaliere oscuro - Il ritorno (2012). James Gordon cita infatti il passo durante l'elegia funebre per Bruce Wayne: «Quel che faccio è certo il meglio, di gran lunga, di quanto abbia mai fatto e quel che mi attende è di gran lunga il riposo più dolce che abbia mai conosciuto.»
  13. Cfr. Giacomo Leopardi, Operette morali: «In vero, io direi che l'uso del mondo, e l'esercizio de' patimenti, sogliono come profondare e sopire dentro a ciascuno di noi quel primo uomo che egli era: il quale di tratto in tratto si desta per poco spazio, ma tanto più di rado quanto è il progresso degli anni; sempre più poi si ritira verso il nostro intimo, e ricade in maggior sonno di prima; finché durando ancora la nostra vita, esso muore.»
  14. Cfr. Giacomo Leopardi: «[...] rido della felicità delle masse, perché il mio piccolo cervello non concepisce una massa felice composta d'individui non felici.»
  15. Cioè: Che tratta del luogo ove nacque Oliver Twist e delle circostanze che accompagnarono la sua nascita.
  16. Che in extenso s'intitola: «Contiene nuove scoperte e mostra che le sorprese, come le disgrazie, di rado arrivano sole».
  17. Cfr. Blaise Pascal: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce.»
  18. Cfr. Miguel de Cervantes: «[...] non essendo possibile che l'arco stia sempre teso né che la debole natura umana possa sostenersi senz'alcun lecito spasso.»
  19. Barnaby Rudge. La parte storica di questo romanzo è il racconto delle sommosse e degli incendi di Londra nel 1790. La Revue Britannique ne pubblicò un estratto intitolato La Cloche du tocsin. Cfr. Revue britannique, vol. III, p. 298.

Fonti[modifica]

  1. Da Sketches by Boz, cap. XII, Gin-shops. Citato in Luca Ragagnin, Enrico Remmert, Elogio della sbronza consapevole, Marsilio, 2020. ISBN 978-88-317-3392-2.
  2. Da La battaglia della vita, parte seconda, in Racconti di Natale, traduzione di Emanuele Grazzi, Newton Compton, 2014. ISBN 978-88-541-7375-0
  3. Da All the year round, vol. 15.  traduttore? traduttore?
  4. Da una corrispondenza di viaggio inviata al Daily News; citato in Le Guide Mondadori. Napoli e dintorni, Mondadori, Milano, p. 35. ISBN 88-04-4244-34
  5. Citato in Caterina Arcidiacono, Napoli, diagnosi di una città: i giovani e il lavoro, Magma, 1999.
  6. Citato in Silvio Spaventa Filippi, Carlo Dickens, Bietti, Milano, 1941.
  7. Da Sketches by Boz, Tales, 3.
  8. a b Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.
  9. Da Pictures from Italy, Guntenberg.org.
  10. Citato in Perugia, Guide Electa Umbria, 1993
  11. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, Rizzoli, 1992. ISBN 88-17-14603-X.
  12. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, Rizzoli, 2013, § 5. ISBN 978-88-58-65464-4.
  13. Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894

Bibliografia[modifica]

  • Charles Dickens, Barnaby Rudge, traduzione di Fernanda Pivano, Einaudi, Torino, 2014.
  • Charles Dickens, Cantico di Natale, traduzione di Federigo Verdinois, Hoepli, 1888.
  • Charles Dickens, Casa desolata, 3 voll., traduzione di Silvio Spaventa Filippi, Sonzogno, Milano, 1930, vol. III.
  • Charles Dickens, Casa desolata, traduzione di Angela Negro, Einaudi, Torino, 2014. ISBN 9788858417430
  • Charles Dickens, David Copperfield, traduzione di Silvio Spaventa Filippi, Casa Editrice Sonzogno, Milano, 1949.
  • Charles Dickens, David Copperfield, traduzione di Oriana Previtali, Rizzoli, 2007. ISBN 978-88-58-60331-4.
  • Charles Dickens, Dombey e Figlio, traduzione di Gioia Angiolillo Zannino, Rizzoli, Milano, 1994.
  • Charles Dickens, Grandi speranze, traduzione di Maria Felicita Melchiorri, Newton Compton, Roma, 2011. ISBN 978-88-541-3357-0.
  • Charles Dickens, Grandi speranze, traduzione di Bruno Maffi, Rizzoli, 2012. ISBN 9788858627679.
  • Charles Dickens, Grandi speranze, traduzione di Caesara Mazzola, Mondadori, 2013. ISBN 9788852038662.
  • Charles Dickens, Il circolo Pickwick, traduzione di Federigo Verdinois, F.lli Treves, 1930.
  • Charles Dickens, Il mistero di Edwin Drood, traduzione di Pier Francesco Paolini, Bompiani, Milano, 2001. ISBN 88-452-9119-7.
  • Charles Dickens, Il nostro comune amico, traduzione di Filippo Donini, in I grandi classici della letteratura straniera, 7 CD-Rom, Garzanti-Gruppo editoriale L'Espresso, Milano, 2000.
  • Charles Dickens, Il segnalatore, traduzione di Grazia Alineri, in Il colore del male. I capolavori dei maestri dell'horror, a cura di David G. Hartwell, Armenia Editore, 1989. ISBN 8834404068
  • Charles Dickens, Impressioni italiane, traduzione di Claudio Maria Messina, Robin Edizioni, Roma, 2005. ISBN 88-7371-178-2
  • Carlo Dickens, La bottega dell'antiquario, 2 voll., traduzione di Silvio Spaventa Filippi, Sonzogno, Milano, 1931.
  • Carlo Dickens, La piccola Dorrit, traduzione di Federigo Verdinois, F.lli Treves, Milano, 1879.
  • Carlo Dickens, Le avventure di Nicola Nickleby, traduzione di Silvio Spaventa Filippi, Sonzogno, Milano, 1937.
  • Charles Dickens, Le avventure di Pickwick, traduzione di Silvio Spaventa Filippi, 2 voll., La nuova Italia, Venezia, 1928.
  • Charles Dickens, Le avventure di Oliver Twist, traduzione di Bruno Oddera, Mondadori, Milano, 2004. ISBN 88-04-53682-9.
  • Charles Dickens, Le campane, in Racconti di Natale, traduzione di Emanuele Grazzi, Mondadori, Milano, 1990. ISBN 88-04-34018-5
  • Carlo Dickens, Le due città, traduzione di Silvio Spaventa Filippi, Sonzogno, Milano, 1936.
  • Charles Dickens, Le due città, traduzione di Beatrice Boffito Serra, Rizzoli, 2012. ISBN 978-88-58-63899-6.
  • Charles Dickens, Lettere dall'Italia, traduzione di Lucio Angelini, Rosellina Archinto Editore, Milano, 1987.
  • Charles Dickens, Oliver Twist, Introduzione e traduzione di Mario Martino, Newton Compton, Roma, 2011. ISBN 978-88-541-3358-7.
  • Charles Dickens, Tempi difficili. Per questi tempi, a cura di Maria Rita Cifarelli, traduzione di Maria Rita Cifarelli e Cristina Scagliotti, con un saggio di George Orwell, Einaudi, Torino, 1999. ISBN 8806151355
  • Charles Dickens, Tempi difficili, traduzione di Gianna Lonza, in I grandi classici della letteratura straniera, 7 CD-Rom, Garzanti-Gruppo editoriale L'Espresso, Milano, 2000.
  • Charles Dickens, Tempi difficili, cura e traduzione di Mario Martino, Newton Compton, Roma, 2011. ISBN 978-88-541-3087-6.
  • Charles Dickens, Tempi difficili, traduzione di Bruno Tasso, Rizzoli, Milano, 2012. ISBN 8858627695.
  • Felix Gregory de Fontaine, A cyclopedia of the best thoughts of Charles Dickens, E.J. Hale & Son, New York, 1872.

Filmografia[modifica]

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