Italo Calvino

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Italo Calvino

Italo Calvino (1923 – 1985), scrittore e partigiano italiano.

Citazioni di Italo Calvino[modifica]

  • A un certo punto era solo questo rapporto a interessarmi, la mia storia diventava soltanto la storia della penna d'oca della monaca che correva sul foglio bianco.[1]
  • [Lettera a Graziana Pentich del 18 marzo 1985] Cara Graziana, la tua lettera dell'Epifania mi ha portato una ventata di ricordi. I miei ricordi di Alfonso [Gatto] sono soprattutto del 1946-47, Milano, Genova, forse Venezia ma soprattutto i mesi che avete passato a Torino, in quella camera d'affitto di via Garibaldi, ricordi di Alfonso e te insieme, noi tre che camminiamo ore e ore per quelle tristi vie discutendo, Alfonso a sopracciglio alzato gridando le sue invettive... Poi anche Roma, 1948, 1949... [...] Le amicizie sono sempre legate soprattutto a una stagione della vita e la nostra a quei nostri anni di miseria del dopoguerra, i cui ricordi restano folti e vivi sebbene sospesi in una nuvola quasi intemporale, come ricordi d'infanzia. [2]
  • Caro Pasolini, alla lettera editoriale ufficiale ne allego una personale, perché da tempo volevo scriverti quanto il Canzoniere italiano mi sia piaciuto, quanto lo stimi un libro bello e importante. [...] (Però, porcamiseria, perché scrivi così difficile? State mettendo in voga un gusto dello scrivere difficile che non è quello sfuggente degli ermetici perché è invece sforzo di precisione, ma che ha dietro il divertimento universitario continiano di origine tedesca; però con l'allusività ermetica ci ha quel tanto di parentela da dargli un'aria demodée. Siete una squadra lì a Roma, tu, Citati, Garboli, che dopo il fatto che avete cominciato a pubblicare qualche anno dopo il '45, tac! vi è venuto in mente di riattaccarvi alle Giubbe Rosse, cosa che a nessun altro verrebbe più in mente.)[3]
  • [Su Cristo si è fermato a Eboli] C'è nel libro un alto livello intellettuale, vi si respira la cultura europea in cui Carlo Levi ha affondato le sue radici, diciamo la cultura europea fino a quell'epoca, fino alla seconda guerra mondiale; c'è la passione di sistemarne tutti i dati di un discorso coerente, e non ancora il timore di spezzare l'armonia d'una sistemazione con nuove acquisizioni, con nuove messe in questione; non ancora insomma l'olimpicità culturalmente paga di se stessa che Carlo Levi si forgiò in seguito come una corazza contro tanta parte del problematismo contemporaneo. Con Paura della libertà la passione dell'intelligenza in un momento di scacco generale muove a inglobare e classificare istituzioni, miti, personaggi storici, movimenti profondi dell'animo umano.[4]
  • Cecchi era considerato poco meno che un nemico. [...] l'immagine di Cecchi era legata ai comportamenti negli anni della censura e del conformismo di Stato, soprattutto per essersi prestato a far da pompiere nella battaglia di Vittorini sulla barricata della letteratura americana, cioè quella che era stata a quei tempi la bandiera rivoluzionaria dei giovani. Ma ogni generazione ha la sua ottica, e una volta dato per scontato che Cecchi era sempre stato un conservatore per temperamento e per convinzione, si trattava per me di vedere in positivo cosa poteva trasmettermi la sua esperienza.[5]
  • Certe cose sulla vita partigiana nessuno le ha mai dette, nessuno ha mai scritto un racconto che sia anche la storia del sangue nelle vene, delle sostanze nell'organismo.[6]
  • Certo nella sua opera [di Henry James], tutta sotto il segno dell'elusività, del non detto, della ritrosia, questo [Daisy Miller] si presenta come uno dei racconti più chiari, con un personaggio di ragazza pieno di vita, eppure è un racconto non meno misterioso degli altri di questo introverso autore, tutto intessuto com'è dei temi che s'affacciano, sempre tra luce e ombra, lungo l'intera sua opera.[7]
  • [Su George Orwell] Che si sia tardato ad ascoltarlo e comprenderlo non fa che provare quant'era in avanti rispetto alla coscienza dei tempi.[8]
  • [Sull'ispirazione] Ci metto molto a iniziare se ho l'idea per un romanzo, trovo ogni scusa possibile per non lavorarci. Una volta iniziato, so essere molto veloce.[9]
  • Dati biografici: io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore contano solo le opere. (Quando contano, naturalmente.) Perciò dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli da una volta all'altra. Mi chieda pure quel che vuol sapere, e Glielo dirò. Ma non Le dirò mai la verità, di questo può star sicura.[10]
  • Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c'erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l'Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c'era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, chè di queste non ce ne sono.[11]
  • È difficile associare l'idea della morte – e fino a ieri quella della malattia – alla figura di Vittorini. Le immagini della negatività esistenziale, fondamentali per tanta parte della letteratura contemporanea, non erano le sue: Elio era sempre alla ricerca di nuove immagini di vita. E sapeva suscitarle negli altri.[12]
  • Era ora. Da vent'anni la letteratura italiana ha uno scrittore che non assomiglia a nessun altro, inconfondibile in ogni sua frase, un inventore inesauribile e irresistibile nel gioco del linguaggio e delle idee... Manganelli è il più italiano degli scrittori e nello stesso tempo il più isolato nella letteratura italiana.[13]
  • Hemingway è figlio delle contraddizioni di un'epoca: ribelle e denunciatore per un verso, ma per un altro senza fiducia in un avvenire, e invece disperatamente in cerca di un mito oscuro di antichità: l'Europa, il Cattolicesimo, l'Italia, la Spagna.[14]
  • Il fantastico, contrariamente a quel che si può credere, richiede mente lucida, controllo della ragione sull'ispirazione istintiva o inconscia, disciplina stilistica; richiede di saper nello stesso tempo distinguere e mescolare finzione e verità, gioco e spavento, fascinazione e distacco, cioè leggere il mondo su molteplici livelli e in molteplici linguaggi simultaneamente.[15]
  • Il genere umano è una zona del vivente che va definita circoscrivendone i confini.[16]
  • Il luogo ideale per me è quello in cui è più naturale vivere da straniero.[17]
  • Io credo alla pedagogia repressiva. Mi rendo conto di essere molto antiquato in questo, ma continuo ad essere convinto che resti il miglior metodo d'educazione alla cultura.[18]
  • Io sono la pecora nera, l'unico letterato della famiglia.[19]
  • La prima parte dell'Isola del Tesoro, quando ancora il meccanismo dell'avventura non è scattato, e regna ancora il senso dell'attesa, si può dire sia la più bella [...], in tutte queste pagine l'atto di raccontare raggiunge, coi mezzi più semplici, una delle sue più alte vette mondiali; e il fatto che s'usino ingredienti narrativi logori [...] non fa mai perdere il sapore genuino d'Inghilterra tra mare e campagna che circola per ogni pagina. Poi, man mano che l'avventura si sviluppa [...] e man mano che Hawkins, il ragazzo, diventò, come tutti i protagonisti di romanzi per l'infanzia, un troppo facile collezionista d'imprese eroiche quanto fortunate, il libro, privo di quel fondo d'esperienza vera, che lo sosteneva al principio, rischia spesso la caduta nel romanzo d'appendice vero e proprio, e sempre si salva per la sua meravigliosa leggerezza, per la grazia con cui i colori della scena, lo scorrer via delle frasi, lo scattare dei sentimenti riempiono l'attenzione del lettore di qualcosa che va al di là del prevedibile interesse per l'intreccio.[20]
  • [Su Dormire al sole] La rappresentazione della vita quotidiana [...] è d'una continua comicità e spontaneità caricaturale [...]. È un mondo che può ricordare lo sgangherato mondo popolare di Queneau, anche come registrazione di discorsi casalinghi o al caffè, e anche un po' la regressione dei personaggi di Gianni Celati e le loro gags verbali, ma senza lo spessore del sottolinguaggio, tutto più sulla commedia [...] L'intrigo «metafisico» del romanzo, con le anime scambiate, gli esperimenti coi cani ecc. è quanto mai rudimentale e sgangherato. Il romanzo vive per il grottesco della commedia popolare d'un mondo di tonti e per la vitalità dei personaggi e delle macchiette. Sarei favorevole a pubblicarlo perché si legge con grande facilità e divertimento [...].[21]
  • Le notizie di nuovi lanci spaziali sono episodi d'una lotta di supremazia terrestre e come tali interessano solo la storia dei modi sbagliati con cui ancora i governi e gli stati maggiori pretendono di decidere le sorti del mondo passando sopra la testa dei popoli.
    Quel che mi interessa invece è tutto ciò che è appropriazione vera dello spazio e degli oggetti celesti, cioè conoscenza: uscita dal nostro quadro limitato e certamente ingannevole, definizione d'un rapporto tra noi e l'universo extraumano. La luna, fin dall' antichità, ha significato per gli uomini questo desiderio, e la devozione lunare dei poeti così si spiega. Ma la luna dei poeti ha qualcosa a che vedere con le immagini lattiginose e bucherellate che i razzi trasmettono? Forse non ancora; ma il fatto che siamo obbligati a ripensare la luna in un modo nuovo ci porterà a ripensare in un modo nuovo tante cose. [...] Chi ama la luna davvero non si accontenta di contemplarla come un'immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più. Il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare della luna innalza la sua prosa ad un grado di precisione e di evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiose. E la lingua di Galileo fu uno dei modelli della lingua di Leopardi, gran poeta lunare...[22]
  • [Su George Orwell] [...] libellista di second'ordine.[23]
  • Lord Jim è un giovane che abbraccia la carriera di capitano marittimo con un ideale di eroismo e abnegazione... Egli punta tutto sul grande momento della prova suprema in cui dimostrerà tutto il suo valore.[24]
  • [Thomas Mann] Lui capì tutto o quasi del nostro mondo, ma sporgendosi da un'estrema ringhiera dell'Ottocento. Noi vediamo il mondo precipitando nella tromba delle scale.[25]
  • [Italo Calvino, tre chiavi, tre talismani per il 2000] Mah! imparare delle poesie a memoria, molte poesie a memoria; da bambini, da giovani, da vecchi. Le poesie fanno compagnia, uno se le ripete mentalmente; e poi lo sviluppo della memoria è molto importante.
    Secondo: puntare solo sulle cose difficili, eseguite alla perfezione, le cose che richiedono sforzo; diffidare della facilità, della faciloneria, del fare tanto per fare. E combattere l'astrattezza del linguaggio che ci viene imposta ormai da tutte le parti. Puntare sulla precisione, tanto nel linguaggio quanto nelle cose che si fanno. Terzo: sapere che tutto quello che abbiamo può esserci tolto da un momento all'altro. Con questo non dico mica di rinunciare a niente; anzi, godiamocelo più che mai, però sapendo che da un momento all'altro tutto quello che abbiamo può sparire in una nuvola di fumo.[26]
  • [Parlando del padre Mario] Mi proponevo di fargli raccontare dettagliatamente la sua vita avventurosa (che poteva darmi materia per più d'un romanzo!) ma tardai troppo a mettere in atto questo proposito anche perché non abitavo più a San Remo e lo vedevo di rado. A settantacinque anni fu colpito da trombosi ed era ormai troppo tardi. M'è rimasto il rimorso di non aver raccolto le sue memorie.[27]
  • Nell'eros come nella ghiottoneria, il piacere è fatto di precisione.[28]
  • Nella mia vita ho incontrato donne di grande forza. Non potrei vivere senza una donna al mio fianco. Sono solo un pezzo d'un essere bicefalo e bisessuato, che è il vero organismo biologico e pensante.[29]
  • Noi le parole di Matteo Salvatore le dobbiamo ancora inventare.[30]
  • Oggi il linguaggio politico italiano si è molto complicato, tecnicizzato, intellettualizzato, e credo che tenda a saldarsi in un arco che comprende cattolici e marxisti [...] più a non dire che a dire [...] il linguaggio "obiettivo" del telegiornale, quando riassume i discorsi dei leaders politici: tutti ridotti a minime variazioni della stessa combinazione di termini anodini, incolori e insapori. Insomma, il vocabolo semanticamente più povero viene sempre preferito a quello semanticamente più pregnante.[31]*Per il giovane, la donna è quel che sicuramente c'è.[32]
  • Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso e possibilmente anche gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell'uomo tagliato in due, dell'uomo dimezzato fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l'altra.[33]
  • Questa dell'amore per le cose di cui parla è una caratteristica che bisogna tener presente se si vuole riuscire a definire la singolarità dell'operazione letteraria di Levi. Perché quest'uomo che si dice sempre che mette se stesso al centro d'ogni narrazione, che fa scaturire sempre attorno alla sua presenza incontri straordinari, è poi lo scrittore piú dedito alle cose, al mondo oggettivo, alle persone. Il suo metodo è di descrivere con rispetto e devozione ciò che vede, con uno scrupolo di fedeltà che gli fa moltiplicare particolari e aggettivi. La sua scrittura è un puro strumento di questo suo rapporto amoroso col mondo, di questa fedeltà agli oggetti della sua rappresentazione.[34]
  • Stevenson si trovava, rispetto alla narrativa storico-avventurosa del romanticismo, in una posizione simile a quella di Ariosto e di Cervantes, uomini colti e moderni, rispetto alla tradizione esausta della letteratura cavalleresca. Ma Ariosto e Cervantes operarono, ognuno a suo modo, un capovolgimento, entrarono in polemica con quel mondo; mentre Stevenson, con tutta la sua raffinata educazione letteraria, dice di preferire a ogni altro libro Il visconte di Bragelonne, e si volta a quelle rappresentazioni di virtù esatte e risolute, a quella limpidezza di contorni nelle vicende umane, a quella salute che sprizza fuori da tutti i pori degli eroi romanzeschi tradizionali, in implicita opposizione a un mondo che gli appare carico d'ipocrisie e di disperazione, carico di quel greve senso di malattia e di disgregazione che egli si trascina dietro nel suo corpo di tubercolotico, da un sanatorio all'altro, per tutta Europa, tra letto e chaise-longue e scrivania.[20]
  • Tutta la sua opera mira all'enciclopedia [...]. Si parla sempre dell'impareggiabile fantasia di Verne nel prevedere le invenzioni scientifiche. In realtà era un grande lettore di riviste scientifiche, che arricchiva di quello che via via veniva a sapere sulle ricerche in corso.[35]
  • Tutto può cambiare, ma non la lingua che ci portiamo dentro, anzi che ci contiene dentro di sé come un mondo più esclusivo e definitivo del ventre materno.[17]
  • Un episodio[36] talmente privo di qualsiasi verità e sensibilità (tale da restare un punto nero per il regista e gli sceneggiatori che ne sono responsabili) ci prova a quali risultati di non-verità può portare una costruzione a freddo di film a ossatura ideologica.[37]
  • Un libro straordinario, Centuria, la cui ricchezza di motivi non posso propormi d'esplorare in questa nota, intesa solo a offrire un inquadramento generale dell'opera di Manganelli e a invitare a valicarne la soglia.[13]
  • Un libro (io credo) è qualcosa con un principio e una fine (anche se non è un romanzo in senso stretto), è uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi, ma a un certo punto trovare un'uscita, o magari parecchie uscite, la possibilità di aprirsi una strada per venirne fuori.[38]
  • Zig zag tracciato dai cavalli al galoppo e dalle intermittenze del cuore umano.[39]

Attribuite[modifica]

  • Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano, o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere.
[Citazioni errate] La citazione è di Gabriella Giudici, apparso sul suo blog, sul "declino della scuola pubblica e sul particolare accanimento mostrato dai governi degli ultimi vent'anni nel portare a compimento l'opera di decostituzionalizzazione della pubblica istruzione", nel quale veniva richiamato l'articolo di Calvino Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, apparso su "La Repubblica" del 15 marzo 1980.[40]

I racconti[modifica]

  • La vita, pensò il nudo, era un inferno, con rari richiami d'antichi felici paradisi. (da Uno dei tre è ancora vivo; p. 82)
  • «Ogni paese, – pensò, – anche quello che pare più ostile e disumano, ha due volti; a un certo punto finisci per scoprire quello buono, che c'era sempre stato, solo che tu non lo vedevi e non sapevi sperare.» (da Paese infido; p. 98)
  • Così la macchina dell'oppressione sempre si volta contro chi la serve. (da La gallina di reparto)
  • Ma tale inesauribile cosa è la libertà dell'uomo, che pure in queste condizioni il pensiero di Pietro riusciva a tessere la sua ragnatela da una macchina all'altra, a fluire continuo come il filo di bocca al ragno, e in mezzo a quella geometria di passi gesti sguardi e riflessi egli a tratti si ritrovava padrone di sé e tranquillo come un nonno campagnolo che esce di mattino tardo sotto la pergola, e mira il sole, e fischia al cane, e sorveglia i nipoti che si dondolano ai rami, e guarda giorno per giorno maturare i fichi. (da La gallina di reparto; p. 205)
  • Mentone non mi attraeva più: perché io avevo ancora quel bisogno d'amici che è proprio dei giovani, cioè il bisogno di dare un senso a quel che vivono parlandone con altri; ossia ero lontano dall'autosufficienza virile, che s'acquista con l'amore, fatto insieme d'integrazione e solitudine. (da Gli avanguardisti a Mentone; p. 280)
  • C'era la guerra, e tutti ne eravamo presi, e ormai sapevo che avrebbe deciso delle nostre vite. Della mia vita; e non sapevo come. (da Gli avanguardisti a Mentone; p. 298)
  • La presenza di estranei addormentati suscita negli animi onesti un naturale rispetto, e noi nostro malgrado ne eravamo intimiditi. (da Le notti dell'UNPA; p. 310)
  • Amedeo si sentiva in una condizione perfetta: la pagina scritta gli apriva la vera vita, profonda e appassionante, e alzando gli occhi ritrovava un casuale ma gradevole accostarsi di colori e sensazioni, un mondo accessorio e decorativo, che non poteva impegnarlo in nulla. (da L'avventura di un lettore; p. 365)
  • Di fatto, ogni silenzio consiste nella rete di rumori minuti che l'avvolge: il silenzio dell'isola si staccava da quello del calmo mare circostante perché era percorso da fruscii vegetali, da versi d'uccelli o da un improvviso frullo d'ali. (da L'avventura di un poeta; p. 398)
  • Quinto reagiva sempre buttandosi dall'altra parte, abbracciando tutto quello che era nuovo, in contrasto, tutto quel che faceva violenza, e anche adesso, lì, a scoprire l'avvento d'una classe nuova del dopoguerra, d'imprenditori improvvisati e senza scrupoli, egli si sentiva preso da qualcosa che somigliava ora a un interesse scientifico («assistiamo a un importante fenomeno sociologico, mio caro...») ora a un contraddittorio compiacimento estetico. La squallida invasione del cemento aveva il volto camuso e informe dell'uomo nuovo Caisotti. (da La speculazione edilizia; p. 453)
  • «Un tempo solo chi godeva d'una rendita agricola poteva fare l'intellettuale, – pensò Quinto. – La cultura paga ben caro l'essersi liberata da una base economica. Prima viveva sul privilegio, però aveva radici solide. Ora gli intellettuali non sono borghesi e non sono proletari.» (da La speculazione edilizia; p. 462)
  • E io restavo senza parola, perché capivo che la cucina era il solo luogo di tutta la casa in cui quella donna veramente vivesse, e il resto, le stanze adorne e continuamente spazzolate e incerate erano una specie di opera d'arte in cui lei riversava tutti i suoi sogni di bellezza, e per coltivare la perfezione di quelle stanze si condannava a non viverci, a non entrarci mai come padrona ma solo come donna di fatica, e il resto della giornata a passarlo nell'unto e nella polvere. (da La nuvola di smog; p. 531)
  • Ci sono quelli che si condannano al grigiore della vita più mediocre perché hanno avuto un dolore, una sfortuna; ma ci sono anche quelli che lo fanno perché hanno avuto più fortuna di quella che si sentivano di reggere. (da La nuvola di smog; p. 541)

Il barone rampante[modifica]

Dalla prefazione firmata con lo pseudonimo di Tonio Cavilla a un'edizione del 1965 per le scuole medie

Presente in Italo Calvino, Il barone rampante, Mondadori, Milano, 2002, pp. V-XI. ISBN 978-88-04-37085-7

  • Il vero modo d'accostarci a questo libro è quindi quello di considerarlo una specie di Alice nel paese delle meraviglie o di Peter Pan o di Barone di Münchhausen, cioè di riconoscerne la filiazione da quei classici dell'umorismo poetico e fantastico, da quei libri scritti per gioco, che sono tradizionalmente destinati allo scaffale dei ragazzi. (p. VI)
  • La prima lezione che potremmo trarre dal libro è che la disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più rigorosa e ardua di quella a cui si ribella. (p. X)

Incipit[modifica]

Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l'ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d'Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell'ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera Corte di Francia, d'andare a desinare a metà del pomeriggio. Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: – Ho detto che non voglio e non voglio! – e respinse il piatto di lumache. Mai s'era vista disubbidienza più grave. (p. 3)

Citazioni[modifica]

  • Le imprese che si basano su di una tenacia interiore devono essere mute e oscure; per poco uno le dichiari o se ne glori, tutto appare fatuo, senza senso o addirittura meschino. (p. 47)
  • Un gentiluomo [...] è tale stando in terra come stando in cima agli alberi [...] se si comporta rettamente. (p. 67)
  • Anche quando pare di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno. (p. 67)
  • Il bassotto alzò il muso verso di lui, con lo sguardo dei cani quando non capiscono e non sanno che possono aver ragione a non capire. (p. 84)
  • L'Abate passò il resto dei suoi giorni tra carcere e convento in continui atti d'abiura, finché non morì, senza aver capito, dopo una vita intera dedicata alla fede, in che cosa mai credesse, ma cercando di credervi fermamente fino all'ultimo. (p. 113)
  • Capì questo: che le associazioni rendono l'uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone, e dànno la gioia che raramente s'ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c'è onesta e brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone (mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l'altra faccia della gente, quella per cui bisogna tener sempre la mano alla guardia della spada). (p. 119)
  • Quando ho più idee degli altri, do agli altri queste idee, se le accettano; e questo è comandare. (p. 121)
  • Insomma, gli era presa quella smania di chi racconta storie e non sa mai se sono più belle quelle che gli sono veramente accadute e che a rievocarle riportano con sé tutto un mare d'ore passate, di sentimenti minuti, tedii, felicità, incertezze, vanaglorie, nausee di sé, oppure quelle che ci s'inventa, in cui si taglia giù di grosso, e tutto appare facile, ma poi più si svaria più ci s'accorge che si torna a parlare delle cose che s'è avuto o capito in realtà vivendo. (p. 138)
  • Ma in tutta quella smania c'era un'insoddisfazione più profonda, una mancanza, in quel cercare gente che l'ascoltasse c'era una ricerca diversa. Cosimo non conosceva ancora l'amore, e ogni esperienza, senza quella, che è? Che vale aver rischiato la vita, quando ancora della vita non conosci il sapore? (p. 139)
  • Chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria. (p. 163)
  • Ai lutti succedono presto o tardi eventi lieti, è legge della vita. (p. 165)
  • Cosimo tutti i giorni era sul frassino a guardare il prato come se in esso potesse leggere qualcosa che da tempo lo struggeva dentro: l'idea stessa della lontananza, dell'incolmabilità, dell'attesa che può prolungarsi oltre la vita. (p. 170)
  • Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s'era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s'era potuta riconoscere così. (p. 179)
  • – Perché mi fai soffrire?
    – Perché ti amo.
    Ora era lui ad arrabbiarsi: – No, non mi ami! Chi ama vuole la felicità, non il dolore.
    – Chi ama vuole solo l'amore, anche a costo del dolore.
    – Mi fai soffrire apposta, allora.
    – Sì, per vedere se mi ami.
    La filosofia del Barone si rifiutava d'andar oltre. – Il dolore è uno stato negativo dell'anima.
    – L'amore è tutto.
    – Il dolore va sempre combattuto.
    – L'amore non si rifiuta a nulla.
    – Certe cose non le ammetterò mai.
    – Sì che le ammetti, perché mi ami e soffri. (pp. 184-185)
  • – Tu ragioni troppo. Perché mai l'amore va ragionato?
    – Per amarti di più. Ogni cosa, a farla ragionando, aumenta il suo potere. (p. 192)
  • Le imprese più ardite vanno vissute con l'animo più semplice. (p. 192)
  • E lei: – Tu non credi che l'amore sia dedizione assoluta, rinuncia di sé...
    Era lì sul prato, bella come mai, e la freddezza che induriva appena i suoi lineamenti e l'altero portamento della persona sarebbe bastato un niente a scioglierli, e riaverla tra le braccia... Poteva dire qualcosa, Cosimo, una qualsiasi cosa per venirle incontro, poteva dirle: – Dimmi che cosa vuoi che faccia, sono pronto... – e sarebbe stata di nuovo la felicità per lui, la felicità insieme senza ombre. Invece disse: – Non ci può essere amore se non si è se stessi con tutte le proprie forze. (pp. 199-200)
  • Tutte belle cose, però io avevo l'impressione che in quel tempo mio fratello non solo fosse del tutto ammattito, ma andasse anche un poco imbecillendosi, cosa questa più grave e dolorosa, perché la pazzia è una forza della natura, nel male o nel bene, mentre la minchioneria è una debolezza della natura, senza contropartita. (p. 205)
  • Chi sta in alto è ben in vista da ogni parte, [...] mentre c'è chi striscia per nascondere il viso. (p. 211)
  • – So che per certe sorta di persone è un punto d'onore tenere la faccia in ombra.
    – Quali, di grazia?
    – Le spie, a dirne una! (p. 211)
  • Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori! (p. 214)
  • Viviamo in un paese dove si verificano sempre le cause e non gli effetti. (p. 219)
  • Si sa che i rivoluzionari sono più formalisti dei conservatori. (pp. 231-232)
  • La gioventù va via presto sulla terra, figuratevi sugli alberi, donde tutto è destinato a cadere: foglie, frutti. (p. 236)
  • Ora io non so che cosa ci porterà questo secolo decimonono, cominciato male e che continua sempre peggio. Grava sull'Europa l'ombra della Restaurazione; tutti i novatori – giacobini o bonapartisti che fossero – sconfitti; l'assolutismo e i gesuiti rianno il campo; gli ideali della giovinezza, i lumi, le speranze del nostro secolo decimottavo, tutto è cenere. (p. 242)
  • «Cosimo Piovasco di Rondò – Visse sugli alberi – Amò sempre la terra – Salì in cielo» [epitaffio] (p. 244)

Explicit[modifica]

Ombrosa non c'è più. Guardando il cielo sgombro, mi domando se davvero è esistita. Quel frastaglio di rami e foglie, biforcazioni, lobi, spiumii, minuto e senza fine, e il cielo solo a sprazzi irregolari e ritagli, forse c'era solo perché ci passasse mio fratello col suo leggero passo di codibugnolo, era un ricamo fatto sul nulla che assomiglia a questo filo d'inchiostro, come l'ho lasciato correre per pagine e pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di macchie, di lacune, che a momenti si sgrana in grossi acini chiari, a momenti si infittisce in segni minuscoli come semi puntiformi, ora si ritorce su se stesso, ora si biforca, ora collega grumi di frasi con contorni di foglie o di nuvole, e poi s'intoppa, e poi ripiglia a attorcigliarsi, e corre e corre e si sdipana e avvolge un ultimo grappolo insensato di parole idee sogni ed è finito. (p. 246)

Citazioni su Il barone rampante[modifica]

  • Come figura letteraria aveva un grande equilibrio e si apparentava agli scrittori di sinistra. Il libro suo più bello, Il barone rampante, è però un libro di destra perché esalta gli istinti, la natura vista in chiave antropologica. (Geno Pampaloni)
  • Ma se Il barone non è un Entwicklungsroman ["romanzo di evoluzione"], è dubbio anche che si tratti puramente e semplicemente di un romanzo, poiché non c'è un nodo fondamentale, un avvenimento o una serie di avvenimenti decisivi che mettano alla prova il carattere dei personaggi. (Cesare Cases)

Il castello dei destini incrociati[modifica]

Incipit[modifica]

In mezzo a un fitto bosco, un castello dava rifugio a quanti la notte aveva sorpreso in viaggio: cavalieri e dame, cortei reali e semplici viandanti. Passai per un ponte levatoio sconnesso...

Citazioni[modifica]

  • La forza dell'eremita si misura non da quanto lontano è andato a stare, ma dalla poca distanza che gli basta per staccarsi dalla città, senza mai perderla di vista.
  • C'è un modo colpevole di abitare la città: accettare le condizioni della bestia feroce dandogli in pasto i nostri figli. C'è un modo colpevole di abitare la solitudine: credersi tranquillo perché la bestia feroce è resa inoffensiva da una spina nella zampa. L'eroe della storia è colui che nella città punta la lancia nella gola del drago, e nella solitudine tiene con sé il leone nel pieno delle sue forze, accettandolo come custode e genio domestico, ma senza nascondersi la sua natura di belva.

Il cavaliere inesistente[modifica]

Incipit[modifica]

Sotto le rosse mura di Parigi era schierato l'esercito di Francia. Carlomagno doveva passare in rivista i paladini. Già da più di tre ore erano li; faceva caldo; era un pomeriggio di prima estate, un po' coperto, nuvoloso; nelle armature si bolliva come in pentole tenute a fuoco lento. Non è detto che qualcuno in quell'immobile fila di cavalieri già non avesse perso i sensi o non si fosse assopito, ma l'armatura li reggeva impettiti in sella tutti a un modo. D'un tratto, tre squilli di tromba: le piume dei cimieri sussultarono nell'aria ferma come a uno sbuffo di vento, e tacque subito quella specie di mugghio marino che s'era sentito fin qui, ed era, si vede, un russare di guerrieri incupito dalle gole metalliche degli elmi. Finalmente ecco, lo scorsero che avanzava laggiù in fondo, Carlomagno, su un cavallo che pareva più grande del naturale, con la barba sul petto, le mani sul pomo della sella. Regna e guerreggia, guerreggia e regna, dài e dài, pareva un po' invecchiato, dall'ultima volta che l'avevano visto quei guerrieri.

Citazioni[modifica]

  • Sullo scudo c'era disegnato uno stemma tra due lembi d'un ampio manto drappeggiato, e dentro lo stemma s'aprivano altri due lembi di manto con in mezzo uno stemma più piccolo, [...] e in mezzo ci doveva essere chissà che cosa, ma non si riusciva a scorgere, tanto il disegno diventava minuto. (I; p. 5)
  • Cosa può sapere del mondo una povera suora? (IV; p. 29)
  • Tu butti fuori certi peti più puzzolenti dei miei, cadavere. Non so perché tutti ti compiangano. Cosa ti manca? Prima ti muovevi, ora il tuo movimento passa ai vermi che tu nutri. Crescevi unghie e capelli: ora colerai liquame che farà crescere più alte nel sole le erbe del prato. Diventerai erba, poi latte delle mucche che mangeranno l'erba, sangue di bambino che ha bevuto il latte, e così via. Vedi che sei più bravo a vivere tu di me, o cadavere? (Gurdulù: V; pp. 48-49)
  • Questa storia che ho intrapreso a scrivere è ancora più difficile di quanto io non pensassi. Ecco che mi tocca rappresentare la più gran follia dei mortali, la passione amorosa, dalla quale il voto, il chiostro e il naturale pudore m'hanno fin qui scampata. [...] Dunque anche dell'amore come della guerra dirò alla buona quel che riesco a immaginarne: l'arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s'accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla. (VI; p. 52)
  • Bradamante non era diversa da loro, in fondo: forse questi suoi vagheggiamenti di severità e rigore se li era messi in testa per contrastare la sua vera natura. Per esempio, se c'era una sciattona in tutto l'esercito di Francia, era lei. (VI; p. 53)
  • Così sempre corre il giovane verso la donna: ma è davvero amore per lei a spingerlo? o non è amore soprattutto di sé, ricerca d'una certezza d'esserci che solo la donna gli può dare? Corre e s'innamora il giovane, insicuro di sé, felice e disperato, e per lui la donna è quella che certamente c'è, e lei sola può dargli quella prova. Ma la donna anche lei c'è e non c'è: eccola di fronte a lui, trepidante anch'essa, insicura, come fa il giovane a non capirlo? Cosa importa chi tra i due è il forte e chi il debole? Sono pari. Ma il giovane non lo sa perché non vuole saperlo: quella di cui ha fame è la donna che c'è, la donna certa. Lei invece sa più cose; o meno; comunque sa cose diverse; ora è un diverso modo d'essere che cerca; fanno insieme una gara di arcieri; lei lo sgrida e non l'apprezza; lui non sa che è per gioco. (VI; pp. 54-55)
  • Non c'è difesa né offesa, non c'è senso di nulla. La guerra durerà fino alla fine dei secoli e nessuno vincerà o perderà, resteremo fermi gli uni di fronte agli altri per sempre. E senza gli uni gli altri non sarebbero nulla e ormai sia noi che loro abbiamo dimenticato perché combattiamo... (Torrismondo: VI; p. 58)
  • A ognuna è data la sua penitenza, qui in convento, il suo modo di guadagnarsi la salvezza eterna. A me è toccata questa di scriver storie: è dura, è dura. [...] Ma la nostra santa vocazione vuole che si anteponga alle caduche gioie del mondo qualcosa che poi resta. Che resta... se poi anche questo libro, e tutti i nostri atti di pietà, compiuti con cuori di cenere, non sono già cenere anch'essi... più cenere degli atti sensuali là nel fiume, che trepidano di vita e si propagano come cerchi nell'acqua... Ci si mette a scrivere di lena, ma c'è un'ora in cui la penna non gratta che polveroso inchiostro, e non vi scorre più una goccia di vita, e la vita è tutta fuori, fuori dalla finestra, fuori di te, e ti sembra che mai più potrai rifugiarti nella pagina che scrivi, aprire un altro mondo, fare il salto. Forse è meglio così: forse quando scrivevi con gioia non era miracolo né grazia: era peccato, idolatria, superbia. Ne sono fuori, allora? No, scrivendo non mi sono cambiata in bene: ho solo consumato un po' d'ansiosa incosciente giovinezza. Che mi varranno queste pagine scontente? Il libro, il voto, non varrà più di quanto tu vali. Che ci si salvi l'anima scrivendo non è detto. Scrivi, scrivi, e già la tua anima è persa. (VII; pp. 60-61)
  • Contro a tutte le regole imperiali d'etichetta, Carlomagno s'andava a mettere a tavola prima dell'ora, quando ancora non c'erano altri commensali. Si siede e comincia a spilluzzicare pane o formaggio o olive o peperoncini, insomma tutto quel che è già in tavola. Non solo, ma si serve con le mani. Spesso il potere assoluto fa perdere ogni freno anche ai sovrani più temperanti e genera l'arbitrio. (VII; p. 61)
  • [...] e così [Rambaldo] imperversa e non si dà ragione e a un certo punto l'innamoramento di lei è pure innamoramento di sé, di sé innamorato di lei, è innamoramento di quel che potrebbero essere loro due insieme, e non sono. (VII; p. 72)
  • Forse non è stata scelta male questa mia penitenza, dalla madre badessa: ogni tanto mi accorgo che la penna ha preso a correre sul foglio come da sola, e io a correrle dietro. È verso la verità che corriamo, la penna e io, la verità che aspetto sempre che mi venga incontro, dal fondo d'una pagina bianca, e che potrò raggiungere soltanto quando a colpi di penna sarò riuscita a seppellire tutte le accidie, le insoddisfazioni, l'astio che sono qui chiusa a scontare. (VIII; p. 74)
  • E lentamente, senza gualcire le lenzuola, entrò armato di tutto punto e si stese composto come in un sepolcro. (VIII; p. 86)
  • Io che scrivo questo libro seguendo su carte quasi illeggibili una antica cronaca, mi rendo conto solo adesso che ho riempito pagine e pagine e sono ancora al principio della mia storia, ora comincia il vero svolgimento della vicenda, cioè gli avventurosi viaggi di Agilulfo e del suo scudiero [...]. Ecco come questa disciplina di scrivania da convento e l'assidua penitenza del cercare parole e il meditare la sostanza ultima delle cose m'hanno mutata: quello che il volgo – ed io stessa fin qui – tiene per massimo diletto, cioè l'intreccio d'avventure in cui consiste ogni romanzo cavalleresco, ora mi pare una guarnizione superflua, un freddo fregio, la parte più ingrata del mio penso. (IX; p. 89)
  • Rambaldo esce dalla battaglia vittorioso e incolume; ma l'armatura, la candida intatta impeccabile armatura di Agilulfo adesso è tutta incrostata di terra, spruzzata di sangue nemico, costellata d'ammaccature, bugni, sgraffi, slabbri, il cimiero mezzo spennato, l'elmo storto, lo scudo scrostato proprio in mezzo al misterioso stemma. (XI; p. 113)
  • Se infelice è l'innamorato che invoca baci di cui non sa il sapore, mille volte più infelice è chi questo sapore gustò appena e poi gli fu negato. (XI; p. 155)
  • Anche ad essere si impara... (abitanti di Curvaldia: XI; p. 117)
  • La pagina ha il suo bene solo quando la volti e c'è la vita dietro che spinge e scompiglia tutti i fogli del libro. La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre le strade. Il capitolo che attacchi e non sai ancora quale storia racconterà è come l'angolo che svolterai uscendo dal convento e non sai se ti metterà a faccia con un drago, uno stuolo barbaresco, un'isola incantata, un nuovo amore. (XII; p. 119)

Explicit[modifica]

Dal raccontare al passato, e dal presente che mi prendeva la mano nei tratti concitati, ecco, o futuro, sono salita in sella al tuo cavallo. Quali nuovi stendardi mi levi incontro dai pennoni delle torri di città non ancora fondate? quali fumi di devastazioni dai castelli e dai giardini che amavo? quali impreviste età dell'oro prepari, tu malpadroneggiato, tu foriero di tesori pagati a caro prezzo, tu mio regno da conquistare, futuro...

Citazioni su Il cavaliere inesistente[modifica]

  • [Agilulfo è] il simbolo dell'uomo "robotizzato", che compie gesti burocratici con incoscienza quasi assoluta. (Giuseppe Bonura, da Invito alla lettura di Calvino, Mursia, 1972)

Il sentiero dei nidi di ragno[modifica]

Dalla prefazione all'edizione del 1964

Inserita in tutte le successive edizioni; pp. V-XV dell'edizione del 1993

  • Questo romanzo è il primo che ho scritto; quasi posso dire la prima cosa che ho scritto, se si eccettuano pochi racconti. Che impressione mi fa, a riprenderlo in mano adesso? Più che come un'opera mia lo leggo come un libro nato anonimamente dal clima generale d'un'epoca, da una tensione morale, da un gusto letterario che era quello in cui la nostra generazione si riconosceva, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
  • Personaggi, paesaggi, spari, didascalie politiche, voci gergali, parolacce, lirismi, armi ed amplessi non erano che colori della tavolozza, note del pentagramma, sapevamo fin troppo bene che quel che contava era la musica e non il libretto.
  • Il «neorealismo» non fu una scuola. [...] Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche – o specialmente – delle Italie fino allora più inedite per la letteratura. Senza la varietà di Italie sconosciute l'una all'altra – o che si supponevano sconosciute –, senza la varietà dei dialetti e dei gerghi da far lievitare e impastare nella lingua letteraria, non ci sarebbe stato «neorealismo».
  • Avevo un paesaggio. Ma per poterlo rappresentare occorreva che esso diventasse secondario rispetto a qualcos'altro: a delle persone, a delle storie. La Resistenza rappresentò la fusione tra paesaggio e persone.
  • A poco più d'un anno dalla Liberazione già la «rispettabilità ben pensante» era in piena riscossa, e approfittava d'ogni aspetto contingente di quell'epoca – gli sbandamenti della gioventù postbellica, la recrudescenza della delinquenza, la difficoltà di stabilire una nuova legalità – per esclamare: «Ecco, noi l'avevamo sempre detto, questi partigiani, tutti così, non ci vengano a parlare di Resistenza, sappiamo bene che razza d'ideali...» Fu in questo clima che io scrissi il mio libro, con cui intendevo paradossalmente rispondere ai ben pensanti: «D'accordo, farò come se aveste ragione voi, non rappresenterò i migliori partigiani, ma i peggiori possibili, metterò al centro del mio romanzo un reparto tutto composto di tipi un po' storti. Ebbene: cosa cambia? Anche in chi si è gettato nella lotta senza un chiaro perché, ha agito un'elementare spinta di riscatto umano, una spinta che li ha resi centomila volte migliori di voi, che li ha fatti diventare forze storiche attive quali voi non potrete mai sognarvi di essere!»
  • Le letture e l'esperienza di vita non sono due universi ma uno. Ogni esperienza di vita per essere interpretata chiama certe letture e si fonde con esse. Che i libri nascano sempre da altri libri è una verità solo apparentemente in contraddizione con l'altra: che i libri nascano dalla vita pratica e dai rapporti tra gli uomini.
  • In gioventù ogni libro nuovo che si legge è come un nuovo occhio che si apre e modifica la vista degli altri occhi o libri-occhi che si avevano prima.
  • Forse, in fondo, il primo libro è il solo che conta, forse bisognerebbe scrivere quello e basta, il grande strappo lo dài solo in quel momento, l'occasione di esprimerti si presenta solo una volta, il nodo che porti dentro o lo sciogli quella volta o mai più. Forse la poesia è possibile solo in un momento della vita che per i più coincide con l'estrema giovinezza. Passato quel momento, che tu ti sia espresso o no (e non lo saprai se non dopo cento, centocinquant'anni; i contemporanei non possono essere buoni giudici), di lì in poi i giochi son fatti, non tornerai che a fare il verso agli altri o a te stesso, non riuscirai più a dire una parola vera, insostituibile...
  • Una questione privata [...] è costruito con la geometrica tensione d'un romanzo di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti come l'Orlando furioso, e nello stesso tempo c'è la Resistenza proprio com'era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione, e la furia. Ed è un libro di paesaggi, ed è un libro di figure rapide e tutte vive, ed è un libro di parole precise e vere. Ed è un libro assurdo, misterioso, in cui ciò che si insegue, si insegue per inseguire altro, e quest'altro per inseguire altro ancora e non si arriva al vero perché.
  • Il primo libro sarebbe meglio non averlo mai scritto. Finché il primo libro non è scritto, si possiede quella libertà di cominciare che si può usare una sola volta nella vita, il primo libro già ti definisce mentre tu in realtà sei ancora lontano dall'esser definito; e questa definizione poi dovrai portartela dietro per la vita, cercando di darne conferma o approfondimento o correzione o smentita, ma mai più riuscendo a prescinderne.
  • L'esperienza [...] è la memoria più la ferita che ti ha lasciato, più il cambiamento che ha portato in te e che ti ha fatto diverso.

Incipit[modifica]

Per arrivare fino in fondo al vicolo, i raggi del sole devono scendere diritti rasente le pareti fredde, tenute discoste a forza d'arcate che traversano la striscia di cielo azzurro carico. Scendono diritti, i raggi del sole, giù per le finestre messe qua e là in disordine sui muri, e cespi di basilico e di origano piantati dentro pentole ai davanzali, e sottovesti stese appese a corde; fin giù al selciato, fatto a gradini e a ciottoli, con una cunetta in mezzo per l'orina dei muli. Basta un grido di Pin, un grido per incominciare una canzone, a naso all'aria sulla soglia della bottega, o un grido cacciato prima che la mano di Pietromagro il ciabattino gli sia scesa tra capo e collo per picchiarlo, perché dai davanzali nasca un'eco di richiami e d'insulti.

Citazioni[modifica]

  • Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo.
  • I grandi sono una razza ambigua e traditrice, non hanno quella serietà terribile nei giochi propria dei ragazzi, pure hanno anch'essi i loro giochi, sempre più seri, un gioco dentro l'altro che non si riesce mai a capire qual è il gioco vero.
  • Pin, il codice penale è sbagliato. C'è scritto tutto quello che uno non può fare nella vita: furto, omicidio, ricettazione, appropriazione indebita, ma non c'è scritto cosa uno può fare, invece di fare tutte quelle cose, quando si trova in certe condizioni.
  • Al principio di tutte le storie che finiscono male c'è una donna, non si sbaglia. Tu sei giovane, impara quello che ti dico: la guerra è tutta colpa delle donne...
  • A un partigiano non si domanda mai: chi sei? Sono figlio del proletariato, rispondigli, la mia patria è l'Internazionale, mia sorella è la rivoluzione.
  • I sogni dei partigiani sono rari e corti, sogni nati dalle notti di fame, legati alla storia del cibo sempre poco e da dividere in tanti: sogni di pezzi di pane morsicati e poi chiusi in un cassetto. I cani randagi devono fare sogni simili, d'ossa rosicchiate e nascoste sottoterra. Solo quando lo stomaco è pieno, il fuoco è acceso, e non s'è camminato troppo durante il giorno, ci si può permettere di sognare una donna nuda e ci si sveglia al mattino sgombri e spumanti, con una letizia come d'ancore salpate.
  • Il comunismo è che se entri in una casa e mangiano della minestra, ti diano della minestra, anche se sei stagnino, e se mangiano del panettone, a Natale, ti diano del panettone. Ecco cos'è il comunismo.
  • Arrivare e non aver paura, questa è la meta ultima dell'uomo.
  • È triste essere come lui, un bambino nel mondo dei grandi, sempre un bambino, trattato dai grandi come qualcosa di divertente e di noioso; e non poter usare quelle loro cose misteriose ed eccitanti, armi e donne, non poter mai far parte dei loro giochi. Ma Pin un giorno diventerà grande, e potrà essere cattivo con tutti, vendicarsi di tutti quelli che non sono stati buoni con lui: Pin vorrebbe essere grande già adesso, o meglio, non grande, ma ammirato o temuto pur restando com'è, essere bambino e insieme capo dei grandi, per qualche impresa meravigliosa. Ecco, Pin ora andrà via, lontano da questi posti ventosi e sconosciuti, nel suo regno, il fossato, nel suo posto magico dove fanno il nido i ragni.

Citazioni su Il sentiero dei nidi di ragno[modifica]

  • Già: perché esiste anche un Sentiero dei nidi di ragno, giovane e paffuto romanzo dato alla luce dopo quindici giorni di indefesso travaglio e una più lunga gravidanza cerebrale. [...] Pesa centocinquanta pagine e da grande ha deciso che farà il premio Mondadori, o il premio Viareggio o il premio Vendemmia. La puerpera — io — sta bene e allatta.[41] (Italo Calvino)
  • [Il libro] è ancora d'ambiente partigiano: ma visto da un punto di vista nuovo, al massimo antiretorico, anzi politicamente piuttosto scabroso. Si svolge in massima parte in un distaccamento cui vengono assegnati gli elementi indesiderabili: è il fenomeno della resistenza studiato nel sottoproletariato, nel proletariato senza coscienza di classe, dove non esistono ancora ragioni patriottiche o sociali, ma solo una confusa spinta e un riscatto umano.[41] (Italo Calvino)

Il visconte dimezzato[modifica]

Incipit[modifica]

C'era una guerra contro i turchi. Il visconte Medardo di Terralba, mio zio, cavalcava per la pianura di Boemia diretto all'accampamento dei cristiani. Lo seguiva uno scudiero a nome Curzio.
Le cicogne volavano basse, in bianchi stormi, traversando l'aria opaca e ferma.
– Perché tante cicogne? – chiese Medardo a Curzio, – dove volano?
Mio zio era nuovo arrivato, essendosi arruolato appena allora, per compiacere certi duchi nostri vicini impegnati in quella guerra. S'era munito d'un cavallo e d'uno scudiero all'ultimo castello in mano cristiana, e andava a presentarsi al quartiere imperiale.
– Volano ai campi di battaglia, – disse lo scudiero, tetro. – Ci accompagneranno per tutta la strada.

Citazioni[modifica]

  • Nulla piace agli uomini quanto avere dei nemici e vedere se sono proprio come ci s'immagina. (II; p. 10)
  • S'era messo a capo d'una banda di ragazzi cattolici che saccheggiavano le campagne attorno; e non solo spogliavano gli alberi da frutta, ma entravano anche nelle case e nei pollai. E bestemmiavano più forte e più sovente perfino di Mastro Pietrochiodo: sapevano tutte le bestemmie cattoliche e ugonotte, e se le scambiavano tra loro.
    – Ma faccio anche tanti altri peccati, – mi spiegò, – dico falsa testimonianza, mi dimentico di dar acqua ai fagioli, non rispetto il padre e la madre, torno a casa la sera tardi. Adesso voglio fare tutti i peccati che ci sono; anche quelli che dicono che non sono abbastanza grande per capire.
    – Tutti i peccati? – io gli dissi. – Anche ammazzare?
    Si strinse nelle spalle: – Ammazzare adesso non mi conviene e non mi serve.
    – Mio zio ammazza e fa ammazzare per gusto, dicono, – feci io, per aver qualcosa da parte mia da contrapporre a Esaù.
    Esaù sputò.
    – Un gusto da scemi, – disse. (V; p. 38)
  • Così si potesse dimezzare ogni cosa intera, così ognuno potesse uscire dalla sua ottusa e ignorante interezza. Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l'aria; credevo di veder tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai metà di te stesso, e te l'auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine, perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani. (Medardo: V; pp. 43-44)
  • – Pamela, – sospirò il visconte, – nessun altro linguaggio abbiamo per parlarci se non questo. Ogni incontro di due esseri al mondo è uno sbranarsi. Vieni con me, io ho la conoscenza di questo male e sarai più sicura che con chiunque altro; perché io faccio del male come tutti lo fanno; ma, a differenza degli altri, io ho la mano sicura.
    – E strazierete anche me come le margherite o le meduse?
    – Io non lo so quel che farò con te. Certo l'averti mi renderà possibili cose che neppure immagino. Ti porterò nel castello e ti terrò lì e nessun altro ti vedrà e avremo giorni e mesi per capire quel che dovremo fare e inventar sempre nuovi modi per stare insieme. (VI; pp. 47-48)
  • O Pamela, questo è il bene dell'essere dimezzato: il capire d'ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo. Se verrai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro. (Medardo: VII; p. 65)
  • È dell'uomo attendere, – rispose Ezechiele, – e dell'uomo giusto, attendere con fiducia; dell'ingiusto con paura. (VIII; p. 66)
  • [...] i nostri sentimenti si facevano incolori e ottusi, poiché ci sentivamo come perduti tra malvagità e virtù ugualmente disumane. (IX; p. 81)
  • Forse ci s'aspettava che, tornato intero il visconte, s'aprisse un'epoca di felicità meravigliosa; ma è chiaro che non basta un visconte completo perché diventi completo tutto il mondo. (X; pp. 89-90)
  • Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane. (X; p. 90)

Explicit[modifica]

Io non avevo visto nulla. Ero nascosto nel bosco a raccontarmi storie. Lo seppi troppo tardi e presi a correre verso la marina, gridando: – Dottore! Dottor Trelawney! Mi prenda con sé! Non può lasciarmi qui, dottore!
Ma già le navi stavano scomparendo all'orizzonte e io rimasi qui, in questo nostro mondo pieno di responsabilità e fuochi fatui.

La giornata di uno scrutatore[modifica]

Incipit[modifica]

Amerigo Ormea uscì di casa alle cinque e mezzo del mattino. La giornata si annunciava piovosa. Per raggiungere il seggio elettorale dov'era scrutatore, Amerigo seguiva un percorso di vie strette e arcuate, ricoperte ancora di vecchi selciati, lungo muri di case povere, certo fittamente abitate ma prive, in quell'alba domenicale, di qualsiasi segno di vita. Amerigo, non pratico del quartiere, decifrava i nomi delle vie sulle piastre annerite – nomi forse di dimenticati benefattori – inclinando di lato l'ombrello e alzando il viso allo sgrondare della pioggia.

[Italo Calvino, La giornata d'uno scrutatore, Einaudi]

Citazioni[modifica]

  • E come chi, tuffandosi nell'acqua fredda, s'è sforzato di convincersi che il piacere di tuffarsi sia tutto in quell'impressione di gelo, e poi nuotando ritrova dentro di sé il calore e insieme il senso di quanto fredda e ostile è l'acqua, così Amerigo dopo tutte le operazioni mentali per trasformare dentro di sé lo squallore della sezione elettorale in un valore prezioso, era tornato a riconoscere che la prima impressione -di estraneità e freddezza di quell'ambiente- era la giusta.
  • E che cos'era se non il caso ad aver fatto di lui Amerigo Ormea un cittadino responsabile, un elettore cosciente, partecipe del potere democratico, di qua del tavolo del seggio, e non – di là del tavolo –, per esempio, quell'idiota che veniva avanti ridendo come se giocasse?
  • Non sapeva cosa avrebbe voluto: capiva solo quant'era distante, lui come tutti, dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere.
  • Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d'essere è l'amore. E poi: l'umano arriva dove arriva l'amore; non ha confini se non quelli che gli diamo.

Le città invisibili[modifica]

Incipit[modifica]

Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l’imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo o esploratore.

Citazioni[modifica]

  • «Forse mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro i confini del tuo impero; puoi rintracciarla, ma a quel modo che t'ho detto. Già il Gran Kan stava sfogliando nel suo atlante le carte della città che minacciano negli incubi e nelle maledizioni: Enoch, Babilonia, Yahoo, Butua, Brave New World. Dice:— Tutto è inutile, se l'ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.»
  • Kublai domanda a Marco: — Quando ritornerai a Ponente, ripeterai alla tua gente gli stessi racconti che fai a me?
    — Io parlo, parlo, — dice Marco, — ma chi m'ascolta ritiene solo le parole che aspetta. Altra è la descrizione del mondo cui tu presti benigno orecchio, altra quella che farà il giro dei capannelli di scaricatori e gondolieri sulle fondamenta di casa mia il giorno del mio ritorno, altra ancora quella che potrei dettare in tarda età, se venissi fatto prigioniero da pirati genovesi e messo in ceppi nella stessa cella di uno scrivano di romanzi d'avventura. Chi comanda al racconto non è la voce: è l'orecchio.
  • Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano... Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse parlando d'altre città, l'ho già perduta a poco a poco.
  • L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
  • L'occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose.
  • L'ordine degli dei è proprio quello che si rispecchia nella città dei mostri.
  • Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
    – Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan.
    – Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell'arco che esse formano.
    Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo.
    Poi soggiunge: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell'arco che mi importa.
    Polo risponde: – Senza pietre non c'è arco.
  • Non c'è linguaggio senza inganno.
  • Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone.
  • Ogni volta che si entra nella piazza ci si trova in mezzo ad un dialogo.
  • È delle città come dei sogni: tutto l'immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure.
  • D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.
  • Gli antichi costruirono Valdrada sulle rive di un lago con case, tutte verande una sopra l'altra e vie alte che affacciano sull'acqua i parapetti a balaustra. Così il viaggiatore vede arrivando due città: una diritta sopra il lago e una riflessa capovolta. Non esiste o avviene cosa nell'una Valdrada che l'altra Valdrada non ripeta, perché la città fu costruita in modo che ogni suo punto fosse riflesso dal suo specchio, e la Valdrada giù nell'acqua contiene non solo tutte le scanalature e gli sbalzi delle facciate che s'elevano sopra il lago ma anche l'interno delle stanze con i soffitti e i pavimenti, la prospettiva dei corridoi, gli specchi degli armadi.
  • La menzogna non è nel discorso, è nelle cose.
  • Viaggiando ci s'accorge che le differenze si perdono: ogni città va somigliando a tutte le città, i luoghi si scambiano forma ordine distanze, un pulviscolo informe invade i continenti.
  • Per tutti presto o tardi viene il giorno in cui abbassiamo lo sguardo lungo i tubi delle grondaie e non riusciamo più a staccarlo dal selciato.
  • Chi comanda al racconto non è la voce: è l'orecchio.
  • Chiese a Marco Kublai: – Tu che esplori intorno e vedi i segni, saprai dirmi verso quale futuro ci spingono i venti propizi.
    – Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data dell'approdo. Alle volte mi basta uno scorcio che s'apre nel bel mezzo d'un paesaggio incongruo un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s'incontrano nel viavai, per pensare che da lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d'istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie. Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla. Forse mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro i confini del tuo impero; puoi rintracciarla, ma a quel modo che t'ho detto.

Le cosmicomiche[modifica]

Incipit[modifica]

La distanza della Luna

Una volta, secondo Sir George H. Darwin, la Luna era molto vicina alla Terra. Furono le maree che a poco a poco la spinsero lontano: le maree che lei Luna provoca nelle acque terrestri e in cui la Terra perde lentamente energia.

Lo so bene! – esclamò il vecchio Qfwfq, – voi non ve ne potete ricordare ma io sì. L'avevamo sempre addosso, la Luna, smisurata: quand'era il plenilunio – notti chiare come di giorno, ma d'una luce color burro –, pareva che ci schiacciasse; quand'era lunanuova rotolava per il cielo come un nero ombrello portato dal vento; e a lunacrescente veniva avanti a corna così basse che pareva lì lì per infilzare la cresta d'un promontorio e restarci ancorata. Ma tutto il meccanismo delle fasi andava diversamente che oggigiorno: per via che le distanze dal Sole erano diverse, e le orbite, e l'inclinazione non ricordo di che cosa; eclissi poi, con Terra e Luna così appiccicate, ce n'erano tutti i momenti: figuriamoci se quelle due bestione non trovavano modo di farsi continuamente ombra a vicenda.

Citazioni[modifica]

  • Adesso, di segni miei nello spazio non ce n'era neanche uno. Potevo mettermi a tracciarne un altro, ma ormai sapevo che i segni servono anche a giudicare chi li traccia, e che in un anno galattico i gusti e le idee hanno tempo di cambiare, e il modo di considerare quelli di prima dipende da quel che viene dopo, insomma avevo paura che quello che ora mi poteva apparire un segno perfetto, tra duecento o seicento milioni d'anni mi avrebbe fatto fare brutta figura. Invece, nel mio rimpianto, il primo segno, vandalicamente cancellato da Kgwgk, restava inattaccabile dal mutare dei tempi, come quello che era nato prima d'ogni inizio delle forme e che doveva contenere qualcosa che a tutte le forme sarebbe sopravvissuto, cioè il fatto di essere segno e basta. (da Un segno nello spazio; pp. 40-41)
  • Nella mia mente le loro storie di terrore inflitte da noi si confondevano coi miei ricordi di terrore subìto: più apprendevo quanto avevamo fatto tremare, più tremavo. (da I Dinosauri; p. 101)

Lezioni americane[modifica]

Incipit[modifica]

Dedicherò la prima conferenza all'opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d'aver più cose da dire.
Dopo quarant'anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l'ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio.

Citazioni[modifica]

  • Così, a cavallo del nostro secchio, ci affacceremo al nuovo millennio, senza sperare di trovarvi nulla di più di quello che saremo capaci di portarvi. (da Leggerezza)
  • Credo che la mia prima spinta venga da una mia ipersensibilità o allergia: mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un'intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. (da Esattezza)
  • Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo [...] il mondo dato in blocco, senza né un prima né un poi, il mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita [...]. Ogni volta l'inizio è quel momento di distacco dalla molteplicità dei possibili: per il narratore è l'allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in modo da isolare e rendere raccontabile la singola storia che ha deciso di raccontare. (da Appendice, v. 1, pp. sgg.)
  • In ogni caso il racconto è un'operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo. (da Rapidità)
  • La fantasia è un posto dove ci piove dentro. (da Visibilità)
  • L'eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverabile in molti campi d'attività, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d'ogni possibilità di realizzazione: solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. Da quando la scienza diffida delle spiegazioni generali e delle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo.
  • Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia; in entrambi i casi è ricerca d'un'espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile. (da Rapidità)
  • Come nelle poesie e nelle canzoni le rime scandiscono il ritmo, così nelle narrazioni in prosa ci sono avvenimenti che rimano tra loro. La leggenda di Carlomagno ha un'efficacia narrativa perché è una successione d'avvenimenti che si rispondono come rime in una poesia. [42]
  • La novella è un cavallo: un mezzo di trasporto, con una sua andata, trotto o galoppo, secondo il percorso che deve compiere, ma le velocità di cui si parla è una velocità mentale. (p. 47)
  • Romanzo contemporaneo come enciclopedia [...] [Gadda] cercò per tutta la vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l'inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento. (pp. 103-104)
  • L'Insostenibile Leggerezza dell'Essere è in realtà un'amara constatazione dell'Ineluttabile Pesantezza del Vivere [...] Il peso del vivere per Kundera sta in ogni forma di costrizione: la fitta rete di costrizioni pubbliche e private che finisce per avvolgere ogni esistenza con nodi sempre più stretti. Il suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacità e la mobilità dell'intelligenza sfuggono a questa condanna: le qualità con cui è scritto il romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere. (da Leggerezza)
  • Dato che in ognuna di queste conferenze mi sono proposto di raccomandare al prossimo millennio un valore che mi sta a cuore, oggi il valore che voglio raccomandare è proprio questo: in un'epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano d'appiattire ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea, la funzione della letteratura è la comunicazione tra ciò che è diverso in quanto è diverso, non ottundendone bensì esaltandone la differenza, secondo la vocazione propria del linguaggio scritto. (da Rapidità)
  • Poi, l'informatica. È vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d'elaborare programmi sempre più complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d'acciaio, ma come i bits d'un flusso d'informazione che corre sui circuiti sotto forma d'impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso. (da Leggerezza)

Marcovaldo[modifica]

Incipit[modifica]

Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s'accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d'altre terre.
Un giorno, sulla striscia d'aiola d'un corso cittadino, capitò chissà donde una ventata di spore, e ci germinarono dei funghi. Nessuno se ne accorse tranne il manovale Marcovaldo che proprio lì prendeva ogni mattina il tram.
Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l'attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva scorrere sulle sabbie del deserto. (p. 9)

[Italo Calvino, Marcovaldo, Einaudi]

Citazioni[modifica]

  • Chi ha l'occhio, trova quel che cerca anche a occhi chiusi. (p. 19)
  • Accadde che la moglie Domitilla, per ragioni sue, comprò una grande quantità di salciccia. E per tre sere di seguito a cena Marcovaldo trovò salciccia e rape. Ora, quella salciccia doveva essere di cane; solo l'odore bastava a fargli scappare l'appetito. Quanto alle rape, quest'ortaggio pallido e sfuggente era il solo vegetale che Marcovaldo non avesse mai potuto soffrire. (p. 43)
  • "Papà" dissero i bambini, "le mucche sono come i tram? Fanno le fermate? Dov'è il capolinea delle mucche?"
    "Niente a che fare coi tram" spiegò Marcovaldo, "vanno in montagna."
    "Si mettono gli sci?" chiese Pietruccio.
    "Vanno al pascolo a mangiare l'erba."
    "E non gli fanno la multa se sciupano i prati?" (p. 57)
  • A un certo punto dell’anno, cominciava il mese d’agosto. Ed ecco: s’assisteva a un cambiamento di sentimenti generale. Alla città non voleva bene più nessuno: gli stessi grattacieli e sottopassaggi pedonali e autoparcheggi fino a ieri tanto amati erano diventati antipatici e irritanti. La popolazione non desiderava altro che andarsene al più presto: e così a furia di riempire treni e ingorgare autostrade, al 15 del mese se ne erano andati proprio tutti.[43]Tranne uno. Marcovaldo era l’unico abitante a non lasciare la città. (p. 113)

Palomar[modifica]

  • La giraffa sembra un meccanismo costruito mettendo insieme pezzi provenienti da macchine eterrogenee, ma che pur tuttavia funziona perfettamente. [...] Il signor Palomar [...] si domanda il perché del suo interesse per le giraffe. Forse perché il mondo intorno a lui si muove in modo disarmonico ed egli spera sempre di scoprirvi un disegno, una costante. (da La corsa delle giraffe, 1975)
  • Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose, – conclude – ci si può spingere a cercare quel che c'è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile. (1983)
  • Non possiamo conoscere nulla d'esterno a noi scavalcando noi stessi – egli pensa ora – l'universo è lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere in noi. (1983)
  • Il fischio dei merli ha questo di speciale: è identico ad un fischio umano [...]. Dopo un po' il fischio è ripetuto – dallo stesso merlo o dal suo coniuge – ma sempre come se fosse la prima volta che gli viene in mente di fischiare; se è un dialogo, ogni battuta arriva dopo una lunga riflessione [...]. E se fosse nella pausa e non nel fischio il significato del messaggio? se fosse nel silenzio che i merli si parlano? Un silenzio, in apparenza uguale ad un altro silenzio, potrebbe esprimere cento intenzioni diverse; anche un fischio, d'altronde; parlarsi tacendo, o fischiando, è sempre possibile; il problema è capirsi. Oppure nessuno può capire nessuno: ogni merlo crede d'aver messo nel fischio un significato fondamentale per lui, ma che solo lui intende [...]. (1983)
  • Nell'enorme vuoto delle sue ore, Copito de Nieve non abbandona mai il suo copertone. Cosa sarà questo oggetto per lui? Un giocattolo? Un feticcio? Un talismano? a Palomar sembra di capire perfettamente il gorilla, il suo bisogno di una cosa da tener stretta mentre tutto gli sfugge, una cosa in cui placare l'angoscia dell'isolamento, della diversità, della condanna a essere sempre considerato un fenomeno vivente, dalle sue femmine e da suoi figli come dai visitatori dello zoo. (1983)
  • La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso.
  • La vita d'una persona consiste in un insieme d'avvenimenti di cui l'ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l'insieme, non perché conti di più dei precedenti ma perché inclusi in una vita gli avvenimenti si dispongono in un ordine che non è cronologico, ma risponde a un'architettura interna.

Perché leggere i classici[modifica]

  • Amo Stevenson perché pare che voli. (Presentazione, 2010)
  • Amo Chesterton perché voleva essere il Voltaire cattolico e io volevo essere il Chesterton comunista. (Presentazione, 2010)
  • I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: «Sto rileggendo...» e mai «Sto leggendo...». (1995)
  • Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli. (1995)
  • I classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando s'impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale. (1995)
  • D'un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima. (1995)
  • D'un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura. (1995)
  • Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. (1995)
  • I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume). (1995)
  • Un classico è un'opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso. (1995)
  • I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti. (1995)
  • Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell'universo, al pari degli antichi talismani. (1995)
  • Il «tuo» classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui. (1995)
  • Un classico è un libro che viene prima di altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia. (1995)
  • È classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno. (1995)
  • È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l'attualità più incompatibile fa da padrona. (1995)
  • [...] The Pavilion on the Links è un grande gioco a nascondersi giocato da adulti: si nascondono e si spiano tra loro i due amici, e il loro gioco ha per posta la donna; e si nascondono e si spiano i due amici e la donna da una parte e i misteriosi nemici dall'altra, in un gioco che ha per posta la vita d'un quarto personaggio che non ha altro ruolo che quello di nascondersi, in un paesaggio che pare fatto apposta per nascondersi e spiarsi. (Il padiglione sulle dune, 2010)

Saggi[modifica]

  • È un'energia volta verso l'avvenire, ne sono sicuro, non verso il passato, quella che muove Orlando, Angelica, Ruggiero, Bradamante, Astolfo... (da Tre correnti del romanzo italiano d'oggi, p. 75)
  • Beati quelli il cui atteggiamento verso la realtà è dettato da immutabili ragioni interiori! (da Un'amara serenità, p. 124)
  • L'inconscio è il mare del non dicibile, dell'espulso fuori dai confini del linguaggio, del rimosso in seguito ad antiche proibizioni. (da Cibernetica e fantasmi, p. 218)
  • L'opera letteraria potrebbe essere definita come un'operazione nel linguaggio scritto che coinvolge contemporaneamente più livelli di realtà. [...] la letteratura non conosce la realtà ma solo livelli. Se esista la realtà di cui i vari livelli non sono che aspetti parziali, o se esistano solo i livelli, questo la letteratura non può deciderlo. La letteratura conosce la realtà dei livelli e questa è una realtà che conosce forse meglio di quanto non s'arrivi a conoscerla attraverso altri procedimenti conoscitivi. È già molto. (da I livelli della realtà in letteratura, pp. 381, 398)
  • C'è una persona che fa collezione di sabbia. Viaggia per il mondo, e quando arriva a una spiaggia marina, alle rive d'un fiume o d'un lago, a un deserto, a una landa, raccoglie una manciata d'arena e se la porta con sé. Al ritorno, l'attendono allineati in lunghi scaffali centinaia di flaconi di vetro entro i quali la fine sabbia grigia del Balaton, quella bianchissima del Golfo del Siam, quella rossa che il corso del Gambia deposita giù per il Senegal, dispiegano la loro non vasta gamma di colori sfumati, rivelano un'uniformità da superficie lunare, pur attraverso le differenze di granulosità e consistenza, dal ghiaino bianco e nero del Caspio che sembra ancora inzuppato d'acqua salata, ai minutissimi sassolini di Maratea, bianchi e neri anch'essi, alla sottile farina bianca punteggiata di chiocciole viola di Turtle Bay, vicino a Malindi nel Kenia. (da Collezione di sabbia, p. 411)
  • Così decifrando il diario della melanconica (o felice?) collezionista di sabbia, sono arrivato a interrogarmi su cosa c'è scritto in quella sabbia di parole scritte che ho messo in fila nella mia vita, quella sabbia che adesso mi appare tanto lontana dalle spiagge e dai deserti del vivere. Forse fissando la sabbia come sabbia, le parole come parole, potremo avvicinarci a capire come e in che misura il mondo triturato ed eroso possa ancora trovarvi fondamento e modello. (da Collezione di sabbia, p. 416)
  • Fedele al carattere genovese, la piazza [Caricamento] si direbbe faccia di tutto per non ostentare la monumentalità delle sue vestigia storiche, e voglia apparire poco più d'uno slargo di quella che ora si chiama Via Gramsci e prima della guerra si chiamava Via Carlo Alberto. Né il nome vecchio né il nuovo (con l'idea di disciplina piemontese che entrambi, ognuno a suo modo, evocano) s'intonano minimamente al carattere di questa lunga e larga strada fiancheggiante i cancelli del porto, percorsa dal passo dondolante dei marinai di tutto il mondo, dallo strisciare degli alti tacchi di procaci sirene, dal brulichio di traffici d'ogni sorta. Qui agli sguardi degli equipaggi appena sbarcati la terraferma si presenta come il mondo del provvisorio: piccoli bar, scale di locande, odore di frittura delle trattorie, agenzie di navigazione, gracchiare di radioline e di juke-box. Mentre il mondo galleggiante che dall'altra parte della via affaccia le sue ciminiere da sopra le tettoie delle installazioni portuali appare come il regno della stabilità, della permanenza.
    Tutto qui significa passaggio, traversata, partenza, addio. Quante attese angosciate d'emigranti sono state vissute in questi paraggi, quanti avventurosi cambiamenti di fortuna hanno preso le mosse da qui. (da Il terzo lato è il mare (Genova, Piazza Caricamento), pp. 2404-2405)
  • Da Piazza Caricamento come da Via Gramsci, attraverso vicoli («carrugi»), anditi a volta, rampe di scale, si sale nel labirinto della vecchia Genova. Nel dopoguerra questo fitto mondo era il quartier generale dei contrabbandi piccoli e grossi; il colore dell'epoca, fortemente «neorealistico», non s'è ancora del tutto stinto, quasi fosse connaturato a queste mura e a questi selciati. «Sciangai» è il soprannome che è rimasto da allora a questo quartiere; ma più che l'Estremo Oriente è l'eterno Mediterraneo che qui si riconosce, negli scorci delle strade strette e in salita, nel crogiolo d'umanità e di merci che soprattutto nei portici di Sottoripa assume aspetti da bazar levantino. (da Il terzo lato è il mare (Genova, Piazza Caricamento), pp. 2405-2406)

Liguria[modifica]

  • Genova è una metropoli che si è tanto allargata da tendere a diventare una città-regione di per se stessa, quasi una megalopoli all'americana, pur senza quel processo di sovrappopolazione che ha congestionato le altre grandi città italiane, e senza allontanarsi di molto dalle sue caratteristiche ambientali. Come ai tempi gloriosi della Repubblica marinara, Genova è molto di più e qualcosa di meno d'una capitale regionale. Molto di più perché come allora guardava soprattutto oltremare così ora guarda soprattutto al grande contesto economico generale di cui è parte. Qualcosa di meno perché — come già abbiamo accennato — durante tutta la sua storia di Repubblica la sua vocazione di capitale fu continuamente contrastata dalle spinta centrifuga che ha sempre animato il suo territorio, e oggi ancora lo spirito ligure è ostile a ogni predominio accentratore. (p. 2385)
  • Nulla di più diverso delle due grandi città marinare rivali che si divisero il dominio del Mediterraneo e i traffici con l'Oriente: Venezia e Genova. Eppure esse hanno in comune un dato negativo nella loro situazione topografica che già determina il loro destino. Entrambe le metropoli sono sorte senza terra sotto i piedi: Venezia come città di palafitte e isolotti lagunari, Genova come città verticale addossata alle alture che non lasciano spazio tra le loro pareti e il mare, di modo che le case devono appiattirsi l'una sull'altra, espandersi a ventaglio sopra un porto sempre più ramificato e affollato. (pp. 2385-2386)
  • Genova digerisce e supera tutte le sue crisi, attaccandosi tenacemente al presente. [...] Città che sembra chiusa, incapace di slanci, e poi reagisce sempre nel modo più diretto alle occasioni decisive: supera il declino della Repubblica marinara mettendosi alla testa del movimento risorgimentale per l'unità italiana; supera la crisi della sua industria pesante protezionistica ritrovando l'efficienza con l'industria a partecipazione statale; al termine della guerra disastrosa salva il suo porto con una delle più riuscite insurrezioni partigiane d'Europa, costringendo — fatto unico nella storia — un'armata tedesca di 30 mila uomini ad arrendersi a un comitato di cittadini; questa città che oggi è un campo di lotte sociali in cui le forze opposte si fronteggiano con meno mediazioni e sfumature che altrove; questa città che è difficile da capire, perché parla poco, ma certo non gira a vuoto. (pp. 2386-2387)
  • Se è decadentismo volgersi al passato per assaporarne l'agonia, Genova è una città così poco decadente da tenersi stretto il proprio passato fin quasi a non vederlo, portandolo con sé nel presente che è la sua vera dimensione. Se è narcisismo non sapersi staccare dalla contemplazione della propria immagine, Genova è così poco narcisista che della propria immagine non sa né se ne cura, tutta presa com'è da quello che fa e mette insieme e moltiplica. (p. 2387)

Una pietra sopra[modifica]

  • Il diavolo oggi è l’approssimativo. Per diavolo intendo la negatività senza riscatto, da cui non può venire nessun bene. Nei discorsi approssimativi, nelle genericità, nell’imprecisione di pensiero e di linguaggio, specie se accompagnati da sicumera e petulanza, possiamo riconoscere il diavolo come nemico della chiarezza, sia interiore sia nei rapporti con gli altri, il diavolo come personificazione della mistificazione e dell’automistificazione. Dico l’approssimativo, non il complicato; quando le cose non sono semplici, non sono chiare, pretendere la chiarezza, la semplificazione a tutti i costi, è faciloneria, e proprio questa pretesa obbliga i discorsi a diventare generici, cioè menzogneri. Invece lo sforzo di cercare di pensare e d’esprimersi con la massima precisione possibile proprio di fronte alle cose più complesse è l’unico atteggiamento onesto e utile. (L'Antilingua)
  • Stiamo vivendo al tempo delle invasioni barbariche. I barbari questa volta non sono persone, sono cose. Sono gli oggetti che abbiamo creduto di possedere e che ci possiedono; sono lo sviluppo produttivo che doveva essere al nostro servizio e di cui stiamo diventando schiavi; sono i mezzi di diffusione del nostro pensiero che cercano di impedirci di continuare a pensare; sono l’abbondanza dei beni che non ci dà l’agio del benessere ma l’ansia del consumo forzato; sono la febbre edilizia che sta imponendo un volto mostruoso a tutti i luoghi che ci erano cari; sono la finta pienezza delle nostre giornate in cui amicizie affetti amori appassiscono come piante senz’aria e in cui si spegne sul nascere ogni colloquio, con gli altri e con noi stessi. (I beatniks e il «sistema»)

Se una notte d'inverno un viaggiatore[modifica]

Incipit[modifica]

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell'indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c'è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace.

Citazioni[modifica]

  • A me – dice – piacciono i libri in cui tutti i misteri e le angosce passano attraverso una mente esatta e fredda e senza ombre come quella d'un giocatore di scacchi.
  • Anche ricordare il male può essere un piacere quando il male è mescolato non dico al bene ma al vario, al mutevole, al movimentato, insomma a quello che posso pure chiamare il bene e che è il piacere di vedere le cose a distanza e di raccontarle come ciò che è passato.
  • Ascoltare qualcuno che legge ad alta voce è molto diverso che leggere in silenzio. Quando leggi, puoi fermarti o sorvolare sulle frasi: il tempo sei tu che lo decidi. Quando è un altro che legge è difficile far coincidere la tua attenzione col tempo della sua lettura: la voce va o troppo svelta o troppo piano. (cap. IV)
  • Ci sono giorni in cui ogni cosa che vedo mi sembra carica di significati: messaggi che mi sarebbe difficile comunicare ad altri, definire, tradurre in parole, ma che appunto perciò mi si presentano come decisivi. Sono annunci o presagi che riguardano me e il mondo insieme: e di me non gli avvenimenti esteriori dell'esistenza ma ciò che accade dentro, nel fondo; e del mondo non qualche fatto particolare ma il modo d'essere generale di tutto. Comprenderete dunque la mia difficoltà a parlarne, se non per accenni.
  • Come stabilire il momento esatto in cui comincia una storia? Tutto è sempre cominciato già prima. La prima riga della prima pagina di ogni romanzo rimanda a qualcosa che è già successo fuori del libro. Oppure la vera storia è quella che comincia dieci pagine più avanti e tutto ciò che precede è solo un prologo.
  • I lettori sono i miei vampiri.
  • I piaceri che riserva l'uso del tagliacarte sono tattili, auditivi, visivi e soprattutto mentali. L'avanzata nella lettura è preceduta da un gesto che attraversa la solidità materiale del libro per permetterti l'accesso alla sua sostanza incorporea. Penetrando dal basso tra le pagine, la lama risale d'impeto aprendo il taglio verticale in una scorrevole successione di fendenti che investono una a una le fibre e le falciano, – con un crepitio ilare e amico la buona carta accoglie quel primo visitatore, che preannuncia innumerevoli voltar di pagine mosse dal vento o dallo sguardo –; maggiore resistenza oppone la piega orizzontale, specie se doppia, perché esige una non agile azione di rovescio, – là il suono è quello d'una lacerazione soffocata, con note più cupe. II margine dei fogli si frastaglia rivelandone il tessuto filamentoso; un truciolo sottile, – detto «riccio», – se ne distacca, gentile alla vista come schiuma d'onda sulla bàttima. L'aprirti un varco a fil di spada nella barriera dei fogli s'associa al pensiero di quanto la parola racchiude e nasconde: ti fai largo nella lettura come in un fitto bosco.[44]
  • Il meglio che ci si può aspettare è di evitare il peggio.
  • Lei crede che ogni storia debba avere un principio e una fine? Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire: passate tutte le prove, l'eroe e l'eroina si sposavano oppure morivano. Il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce: la continuità della vita, l'inevitabilità della morte.[45]
  • L'aspetto in cui l'amplesso e la lettura s'assomigliano di più è che al loro interno s'aprono tempi e spazi diversi dal tempo e dallo spazio misurabili.
  • La lettura è solitudine. Si legge da soli anche quando si è in due.
  • La lettura è un atto necessariamente individuale, molto più dello scrivere.
  • Le cose che il romanzo non dice sono necessariamente più di quelle che dice, e solo un particolare riverbero di ciò che è scritto può dare l'illusione di stare leggendo anche il non scritto.
  • Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto.
  • Se una notte d'inverno un viaggiatore, fuori dell'abitato di Malbork, sporgendosi dalla costa scoscesa senza temere il vento e la vertigine, guarda in basso dove l'ombra s'addensa in una rete di linee che s'allacciano, in una rete di linee che s'intersecano sul tappeto di foglie illuminate dalla luna intorno a una fossa vuota – Quale storia laggiù attende la fine? – chiede, ansioso d'ascoltare il racconto.
  • Questo intendo quando dico che vorrei risalire il corso del tempo: vorrei cancellare le conseguenze di certi avvenimenti e restaurare una condizione iniziale. Ma ogni momento della mia vita porta con sé un'accumulazione di fatti nuovi e ognuno di questi fatti nuovi porta con sé le sue conseguenze, cosicché più cerco di tornare al momento zero da cui sono partito più me ne allontano: pur essendo tutti i miei atti intesi a cancellare conseguenze d'atti precedenti e riuscendo anche a ottenere risultati apprezzabili in questa cancellazione, devo però tener conto che ogni mia mossa per cancellare avvenimenti precedenti provoca una pioggia di nuovi avvenimenti che complicano la situazione peggio di prima e che dovrò cercare di cancellare a loro volta.

[Italo Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore, Einaudi]

Ti con zero[modifica]

Incipit[modifica]

La molle Luna
Secondo i calcoli di H. Gerstenkorn, sviluppati da H. Alfven, i continenti terrestri non sarebbero che frammenti della Luna caduti sul nostro pianeta. La Luna in origine sarebbe stata anch'essa un pianeta attorno al Sole, fino al momento in cui la vicinanza dalla Terra non la fece deragliare dalla sua orbita. Catturata dalla gravitazione terrestre, la Luna s'accostò sempre di più, stringendo la sua orbita attorno a noi. A un certo momento la reciproca attrazione prese a deformare la superficie dei due corpi celesti, sollevando onde altissime da cui si staccavano frammenti che vorticando nello spazio tra Terra e Luna, soprattutto frammenti di materia lunare che finivano per cadere sulla Terra. In seguito, per influsso delle nostre maree, la Luna fu spinta a riallontanarsi, fino a raggiungere la sua orbita attuale. Ma una parte della massa lunare, forse la metà, era rimasta sulla Terra, formando i continenti.

S'avvicinava, – ricordò Qfwfq, me ne accorsi mentre rincasavo, alzando gli occhi tra le mura di vetro e di acciaio, e la vidi, non più una luce come tante che brillano la sera: quelle che s'accendono sulla Terra quando a una data ora alla centrale abbassano una leva, e quelle del cielo, lontane ma non dissimili, o che comunque non stonano con lo stile di tutto il resto, – parlo al presente, ma mi riferisco sempre a quei tempi remoti, – la vidi che si staccava da tutte le altre luci celesti e stradali, e acquistava rilievo sulla mappa concava del buio, occupando non più un punto, magari anche grosso, tipo Marte o Venere, come una sforacchiatura da cui la luce s'irradia, ma una vera e propria porzione di spazio, e prendeva forma, una forma non ben definibile perché gli occhi non c'erano ancora abituati a definirla ma anche perché i contorni non erano abbastanza precisi da delimitare una figura regolare, insomma vidi che diventava una cosa.

Citazioni[modifica]

  • Ciò che i genitori m'hanno detto d'essere in principio. questo io sono: e nient'altro. E nelle istruzioni dei genitori sono contenute le istruzioni dei genitori dei genitori alla loro volta tramandate di genitore in genitore in un'interminabile catena d'obbedienza. (p. 93)
  • Quello che veramente ognuno di noi è ed ha, è il passato; quello che siamo e abbiamo è il catalogo delle possibilità non fallite, delle prove pronte a ripetersi. Non esiste un presente, procediamo ciechi verso il fuori e il dopo, sviluppando un programma stabilito con materiali che ci fabbrichiamo sempre uguali. Non tendiamo a nessun futuro, non c'è niente che ci aspetta, siamo chiusi tra gli ingranaggi d'una memoria che non prevede altro lavoro che il ricordare se stessa. (p. 93)
  • Il rischio che abbiamo corso è stato vivere: vivere sempre. (p. 99)

Incipit di alcune opere[modifica]

L'entrata in guerra[modifica]

Era il novembre del '40 e io avevo quasi diciassette anni. Dopo cena non vedevo l'ora di uscire a passeggio, benché quasi non facessi altro durante il giorno.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Senza colori[modifica]

Come potevamo intenderci? Nessuna cosa del mondo come si presentava al nostro sguardo bastava a esprimere quel che sentivamo l'uno per l'altra, ma mentre io smaniavo di strappare dalle cose vibrazioni sconosciute, lei voleva ridurre ogni cosa all'al di là incolore della loro ultima sostanza.

La spirale[modifica]

E in questo esprimermi ci mettevo tutti i pensieri che avevo per quella là, lo sfogo della rabbia che mi faceva, il modo amoroso di pensarla, la volontà di essere per lei, d'essere io che fossi io, e per lei che fosse lei, e l'amore per me stesso che mettevo nell'amore per lei, tutte le cose che potevano essere dette soltanto in quel guscio di conchiglia avvitato a spirale.

[Italo Calvino, Le cosmicomiche, Mondadori]

Citazioni su Italo Calvino[modifica]

  • A ben vedere, Ariosto e i poemi cavallereschi diventano volta per volta, lungo l'intero itinerario di Calvino, espressione e motivazione di questa e di quella poetica. (Gian Carlo Ferretti)
  • Cinico bimbo va Calvino incolume. (Franco Fortini)
  • Come figura letteraria aveva un grande equilibrio e si apparentava agli scrittori di sinistra. Il libro suo più bello, Il barone rampante, è però un libro di destra perché esalta gli istinti, la natura vista in chiave antropologica. D'altronde lo stesso amore di Italo Calvino per l'Ariosto lo conferma. Poeta grandissimo, Ariosto non fu certo un precursore della sinistra. (Geno Pampaloni)
  • Galileo Galilei è stato il più grande scrittore della letteratura italiana: non lo dico io, ma Italo Calvino. (Piergiorgio Odifreddi)
  • Italo Calvino è uno degli scrittori italiani più sopravvalutati. Con nomi come Cesare Pavese, Gabriele D'Annunzio o Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Calvino è sicuramente un minore ed è la prova della smemoratezza culturale italiana. (Vittorio Sgarbi)
  • L'Italia, come dice Calvino, ricorda il lampione della storiella: l'ubriaco sta cercando la chiave sotto la lampada, un passante gli chiede se è sicuro di averla perduta proprio lì; no, risponde l'ubriaco, ma qui ci vedo. (Luca Goldoni)
  • Leggerezza calviniana. Un pesante equivoco del nostro tempo. Italo Calvino non era affatto leggero. Era molto serio, laborioso, parsimonioso, industrioso, assorto, concentrato, moderato, indaffarato, calcolatore, misuratore, come tutti i migliori liguri. (Alberto Arbasino)
  • Mentre lo scrittore di romanzi accetta sempre come dato certo problematico, ma ineliminabile, la disarmonia tra individuo e società, tra uomo e mondo, Calvino, poeta epico sperdutosi in tempi avversi all'epos, non vi si rassegna, e aspira a priori (e non, caso mai, come risultato di un lungo processo) a un'integrazione totale. (Cesare Cases)
  • Parlando, Calvino si inceppava, si interrompeva, emetteva frammenti e rottami aforistici: anche a me riesce quasi impossibile infilare un condizionale e un congiuntivo, o tanto peggio un congiuntivo dietro un altro congiuntivo; ma Manganelli parlava superbamente. Non ho mai ascoltato nessuno parlare così. (Pietro Citati)
  • Quando Italo Calvino pubblicò, nel 1947, Il sentiero dei nidi di ragno, in pieno trionfo neorealista, aprì il primo caso (che a pochi, per la cecità complessiva dell'ora, apparve tale) di crisi della concezione realista della realtà: nella direzione della richiesta disperata di rendere ragione dell'angoscia della morte, dell'orrore dell'uccidere, della violenza che colpisce dentro, a fondo, e nella decisione di conoscere, del reale, anche il "negativo" come non volontà, rifiuto di scegliere l'azione, il gesto, il vivere stesso. (Giorgio Barberi Squarotti)
  • Quando leggi un suo libro sembra tutto molto naturale, ma in realtà esercitava un controllo ferreo. Quando le cose vengono così, tanto di cappello, complimenti. (Stefano Bollani)
  • Tra le letture di questi giorni (pochine e sbandate) ci sono stati i tre libri di Italo Calvino; interessante scrittore che scrive nervosamente bene senza far prosa d'arte, comunista ma non arido e senza lo stupido ottimismo dei comunisti. (Marino Moretti)
  • Una narrazione volontaristica e tutta ammicchi, tutta fregatine di mani. (Franco Fortini)

Note[modifica]

  1. Da I nostri antenati, prefazione, p. XIX
  2. Da Mi chiamo Italo e questa è la mia storia, Repubblica.it, 16 marzo 2023.
  3. Da A Pier Paolo Pasolini - Roma. Torino, 1 marzo 1956; in Lettere. 1940-1985, a cura di Luca Baranelli, Mondadori, Milano, 2000, pp. 449-450. ISBN 88-04-47901-9
  4. Da «Galleria», 3-6 (1967), pp. 237-40, a cura di Aldo Marcovecchio; citato in Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, 1990, p. IX
  5. Da Cecchi e i Pesci-Drago, la Repubblica, 14 luglio 1984.
  6. Da un colloquio con Ferdinando Camon, citato in Corriere della sera, 29 agosto 2007.
  7. Dall'introduzione a Henry James, Daisy Miller, Baldini Castoldi, 2012.
  8. Citato nell'introduzione di Silvio Perrella a George Orwell, Nel ventre della balena, Giunti, p. 16. ISBN 8858759273
  9. Citato in Corriere della sera, 30 marzo 2010.
  10. Da una lettera a Germana Pescio Bottino, 9 giugno 1964; citato in La strada di San Giovanni, Mondadori, Milano, 2010, p. 8.
  11. Citato in A LEZIONE DA CALVINO, ricerca.repubblica.it.
  12. Da Il Confronto, II, 10, luglio-settembre 1966
  13. a b Dall'introduzione a Giorgio Manganelli, Centuria, Adelphi, Milano, 1995. ISBN 88-459-1152-7
  14. Citato in Giuseppe Trevisani, Hemingway, CEI, Milano 1966.
  15. Da Mondo scritto e mondo non scritto, Mondadori, 2011, p. 204. ISBN 978-88-04-50533-4
  16. Dall'introduzione a Plinio il Vecchio, Storia naturale, Einaudi.
  17. a b Da Eremita a Parigi. Pagine autobiografiche, Palomar-Mondadori, Milano 1994
  18. Citato in Luca Clerici, Bruno Falcetto, Calvino & l'editoria, Marcos y Marcos, 1993.
  19. Da AA. VV., Ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di Elio Filippo Accrocca, Sodalizio del Libro, Venezia, 1960; ora Ritratto su misura, in Eremita a Parigi, Mondadori, 2010.
  20. a b Da Il segreto dell'Isola del Tesoro, in L'Unità, 1 aprile 1955, p. 3.
  21. Da È comico si fa leggere, la Repubblica, 6 agosto 2005.
  22. Da una lettera ad Anna Maria Ortese, citato in Pietro Greco, Calvino, dalla Terra alla Luna, unipd.it, 21 gennaio 2019.
  23. Da I libri degli altri; a cura di Carlo Fruttero, Einaudi, Torino, 1991, p. 46.
  24. Citato in Federica Almagioni, prefazione a Joseph Conrad, Lord Jim, traduzione di Alessandro Gallone, Alberto Peruzzo Editore, 1989.
  25. Da La giornata d'uno scrutatore
  26. Dall'intervista in Alberto Sinigaglia (a cura di), Vent'anni al duemila, Introduzione di Giorgio Manganelli, ERI, Torino, 1982, pp. 27-28.
  27. Citato in Paolo Di Stefano, Calvino, i misteri russi del padre, Corriere.it, 16 luglio 2017.
  28. Dall'introduzione a Charles Fourier, Teoria dei quattro movimenti, Einaudi, 1971.
  29. Dall'intervista di Ludovica Ripa di Meana, Se una sera d'autunno uno scrittore, L'Europeo, 17 novembre 1980.
  30. Citato in Dario Falcini, Ricordando Matteo Salvatore. Calvino disse: "Le sue parole dobbiamo ancora inventarle", ilfattoquotidiano.it, 27 agosto 2015.
  31. Da Contemporaneo, V; citato in Franco Fochi, Lingua in rivoluzione, Feltrinelli, Milano, 1966, p. 264.
  32. Dall'introduzione a I nostri antenati.
  33. Da un'intervista con gli studenti di Pesaro, 11 maggio 1983, in Il gusto dei contemporanei. Quaderno numero tre, Pesaro, 1987, p. 9.
  34. Da «Galleria», 3-6 (1967), pp. 237-40, a cura di Aldo Marcovecchio; citato in Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, 1990, p. XII.
  35. Da Viaggio al centro di Jules Verne, in la Repubblica, 29 gennaio 1978
  36. Riferito a un episodio del film La dolce vita (1960), in cui il libero pensatore Steiner uccide i figli e poi si suicida.
  37. Da un'intervista per Cinema Nuovo; citato in La dolce vita? Un film cattolico, LaStampa.it, 30 dicembre 2009.
  38. Da una conferenza tenuta il 29 marzo 1983 agli studenti della Columbia University di New York, citato nell'introduzione a Le città invisibili, Mondadori, 2012, p. VI.
  39. Da Ariosto geometrico, in Italianistica, settembre-ottobre, 1974.
  40. Citato in Stefano Lorenzetto, Chi (non) l'ha detto, Marsilio Editori, 2019. ISBN 9788829703241
  41. a b Da una lettera datata 23 dicembre 1946 a Silvio Micheli; citato in Paolo Di Stefano, I «Nidi di ragno» erano un bebè Così Calvino festeggiò il «parto», Corriere della Sera, 11 marzo 2018, p. 35.
  42. Da Garzanti, 1988, p. 37.
  43. Da La città tutta per lui (Estate). Citato in «Alla città non voleva più bene nessuno», su ilpost.it.
  44. Mondadori, Milano, 2012, p. 80. ISBN 9788852027352
  45. Passaggio citato dal prof. Hilbert ad Harold Crick in Vero come la finzione.

Bibliografia[modifica]

  • Italo Calvino, I nostri antenati, Einaudi, Torino, 1960.
  • Italo Calvino, I racconti, Einaudi, Torino, 1959.
  • Italo Calvino, Marcovaldo, Nuovi Coralli 44, Einaudi, Torino, 1973.
  • Italo Calvino, Il barone rampante, Mondadori, Milano, 2002. ISBN 978-88-04-37085-7
  • Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati, Mondadori, Milano, 1994.
  • Italo Calvino, Il cavaliere inesistente, Mondadori, Milano, 2011. ISBN 978-88-04-48202-4
  • Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Mondadori, Milano, 1993.
  • Italo Calvino, Il visconte dimezzato, Mondadori, Milano, 1994. ISBN 88-04-37087-4
  • Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino, 1972.
  • Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano, 1994.
  • Italo Calvino, Le Cosmicomiche (1965), presentazione dell'autore, Mondadori, Milano, 2005. ISBN 88-04-48810-7
  • Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano, 1988.
  • Italo Calvino, Lezioni americane, Mondadori, Milano, 2000.
  • Italo Calvino, Palomar, Einaudi, Torino, 1983. ISBN 88-06-05679-4
  • Italo Calvino, Palomar, Mondadori, Milano, 1994.
  • Italo Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano, 1995, 2010.
  • Italo Calvino, Saggi. 1945–1985, Mondadori, Milano, 1995. ISBN 88-04-40404-3
  • Italo Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore, Einaudi, Torino, 1979.
  • Italo Calvino, Ti con zero, Mondadori-De Agostini, Novara, 1989.

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