Gabriele D'Annunzio

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Gabriele D'Annunzio

Gabriele D'Annunzio (1863 – 1938), poeta, scrittore, drammaturgo italiano.

Citazioni di Gabriele D'Annunzio[modifica]

  • A Fabio Tombari, al fresco ingegno, che già con alcuna pagina mi sedusse, offro i talismani del Vittoriale, ricordandomi che fui l'animaliere, amico del Firenzuola.[1]
  • A Lina Cavalieri, alla massima testimonianza di Venere in terra, questo libro ove si esalta il suo potere.[2]
  • Ardisco non ordisco.[3]
  • Arma la prora e salpa verso il Mondo.[4]
  • Ave dico. Per quante volte il mite | lume de li occhi suoi misericordi | ne' miei torbidi spiriti discordi | ridusse in pace ogni più trista lite.[5]
  • Credo nell'esperienza di un fato che ci genera e ci costringe a sporcare la faccia del mondo per vedere come ce la caveremo. Per difendermi ho imparato a maneggiare il fango. In fondo solo con il fango una mano sapiente può costruire qualche cosa che resista al fuoco. Anche se i più lo maneggiano non per costruire, ma per insozzare e per distruggere.[6]
  • Compagni, non è più tempo di parlare ma di fare; non è più tempo di concioni ma di azioni, e di azioni romane.
    Se considerato è come crimine l'incitare alla violenza i cittadini, io mi vanterò di questo crimine, io lo prenderò sopra me solo.
    Se invece di allarmi io potessi armi gettare ai risoluti, non esiterei; né mi parrebbe di averne rimordimento.
    Ogni eccesso della forza è lecito, se vale a impedire che la Patria si perda. Voi dovete impedire che un pugno di ruffiani e di frodatori riesca a imbrattare e a perdere l'Italia.
    Tutte le azioni necessarie assolve la legge di Roma.[7]
  • [Sulla beffa di Buccari] Credo che di rado uomini furono così compiutamente pronti a un'azione disegnata. Nulla manca; tutto è previsto. L'indugio non ci giova più; ci logora [...]. Ed ecco il meglio della beffa. Ripassiamo davanti a Prestenizze, ci ricacciamo nella strozza del nemico! Le sentinelle non tirano più. Non possono credere a tanta impertinenza. Certo la nostra sfacciata manovra le mette nel dubbio che si tratti di naviglio austriaco.[8]
  • Era un ritorno. Il sole spandea per i boschi ducali, | precipitando, un fuoco torbido. Ma su l'acque, || chiuse da quel gran cerchio di tronchi infiammati, | un pallore | cupo regnava. Raggio non le feriva alcuno. || Chi nel divino grembo del lago adunava tant'ira? | Livide, mute, l'acque minacciavano; || come d'un lungo sguardo nemico seguivano il nostro | passo; vincean d'un freddo fascino i nostri cuori. || Una paura ignota ci strinse. Pensiero di morte | illuminò d'un lampo l'anima sbigottita. || Parvemi andar lungh'esso un lido letale, uno Stige; | e de l'amata donna l'ombra condurre meco. || Tutte di nostra vita lontana le imagini vaghe | si dissolveano; ed ecco, tutto era morte in noi, || tutto; ed il nostro amore, il nostro dolore, la nostra | felicità non altro eran che morte cose.[9]
  • [...] Francavilla dal gentile profilo moresco, candida, in una gloria di sole, intarsiata sul fondo azzurro del cielo.[10]
  • Heu! Heu! Heu! Alalà![11]
  • Ho vinto. La convalescenza comincia. Vive, vivrà. In quella sera d'afa e di lampi muti, il commiato era in fondo agli occhi dei medici. Essi esitavano di guardarmi. Uno, il più illustre, uscendo dalla stanza dove l'odore della dissoluzione si faceva intollerabile, mormorò: "soltanto il miracolo potrebbe...".
    Credo nel miracolo.[12][13]
  • Il corpo del maggiore mantovano Pilade Bronzetti campeggia, occupa il terreno, non come un vinto, ma come un vincitore… Tutte le figure impallidiscono davanti a lui. Soltanto la grandezza della campagna è uguale alla grandezza dell'eroe. Guardando, si vede lo spazio, l'aria libera, quasi la fragranza terrestre …una nobiltà severa di linee che si succedono gridanti sino all'orizzonte chiarissimo. Le colline sono immerse in leggeri vapori e lontanano con un gusto di prospettiva veramente bello e giusto.[14][15]
  • Il mondo è la rappresentazione della sensibilità e del pensiero di pochi uomini superiori.[16]
  • Il piacere è il più certo mezzo di conoscimento offertoci dalla Natura e [...] colui il quale molto ha sofferto è men sapiente di colui il quale ha molto gioito.[17]
  • Il romanzo naturalista è all'agonia. [...] Quelli stessi scrittori che già furono la speranza della scuola naturalista, i collaboratori delle Soirées de Médan, sembrano omai stanchi e disgustati d'una forma che un tempo difendevano con tanto accanimento. La perplessità loro è miserevole. Essi dalle abitudini d'una volta sono ancor tenuti alla osservazione esteriore, alla descrizione esatta; e, insieme, dalla vigente moda letteraria son trascinati alla ricerca dell'analisi psicologica, in cui si smarriscono. Il Naturalismo dava loro una estetica ristretta, ma sicura e precisa. Essi l'hanno abbandonata senza prendere un indirizzo più netto; e nei loro libri ora non è né la viva analisi delle sensazioni esterne né, dirò così, la creazione logica di stati interiori. I loro romanzi sono, in una parola, incoerenti. La descrizione naturalista e l'analisi psicologica non vi s'uniscon mai così pienamente e perfettamente da produrre un vero e vivente organismo d'opera d'arte. La descrizione de' luoghi e delli avvenimenti, in somma, non è quasi mai messa d'accordo con le speciali condizioni intellettuali del «personaggio». Questo fondamentale error letterario de' romanzieri naturalisti trasformati proviene da un errore scientifico. Essi credono che le cose esteriori esistano fuori di noi, indipendentemente, e che quindi debbano avere per tutti gli spiriti umani una medesima apparenza.[18]
  • Il socialismo in Italia è un'assurdità. Fra quella gente e me esiste una barriera insormontabile. Sono e rimango individualista ad oltranza. Un individualista feroce. Mi piacque di entrare un istante nella fossa dei leoni; ma vi fui spinto dal disgusto per gli altri partiti.[19]
  • Io ho quel che ho donato[20] perché nella vita ho sempre amato.[21]
  • Io sono un animale di lusso; e il superfluo m'è necessario come il respiro.[22]
  • Isabella forse in quell'ora viaggiava per Volterra, a traverso le crete della Valdera, a traverso le biancane sterili; vedeva di là dalla collina gessosa riapparire all'improvviso su la sommità del monte come su l'orlo d'un girone dantesco il lungo lineamento murato e turrito, la città di vento e di macigno.[23]
  • L'Associazione del Fante Italiano aveva chiesto al Comandante un motto per la sua bandiera. Il Comandante rispose con questo scritto breve e vigoroso: Non vogliamo encomi! Il fante simbolico avrà il suo trofeo su la groppa brulla dell'Ermada o sul calvario maledetto del San Michele, mentre il fante contadino seguiterà a curvarsi sulla terra non sua e a rosicchiare il non suo tozzo, dopo aver tenuto nel fango marcio della trincea per tre anni le gambe gonfie e dopo aver per tre anni ingoiato il rancio freddo tra un servizio e un assalto. — Già nel tavolato di una baracca un veterano con le tasche piene di petardi e di sipe, dopo la discorsa di un generale sedentario scrisse col gesso la sentenza in suo latino: "Non voglamo ingomii". È il più fiero motto del fante italiano. Ecco orgogliosamente tradotto nel latino di Roma: Per se fulget.[24]
  • L'automobile è femmina.[25]
  • L'uomo è, sopra tutto, un animale accomodativo. Non c'è turpitudine o dolore a cui non s'adatti.[26]
  • La fiaccola sotto il moggio.[27]
  • La mia ruota in ogni raggio, è temprata dal coraggio, e sul cerchio in piedi splende, la fortuna senza bende.[28]
  • Lo stile è potenza isolatrice.[29]
  • [Volterra] Le moli di San Giusto e della Badia, l'una ferrigna l'altra ferrugigna, pareva fossero per precipitare nella fauce; e con esse le restanti mura, e il Borgo, e la città sospesa, e tutte le sedi degli uomini piccole e fragili come i nidi delle rondini in sommo dell'immenso e inesorabile orrore.[30]
  • Me ne frego è scritto nel centro del gagliardetto azzurro che l'altra notte consegnai ai serventi delle mie mitragliatrici blindate, tra i pinastri selvaggi della collina, al lume delle torce e delle stelle, mentre la piccola schiera dei volontari dalmati cantava il vecchio canto del Quarantotto, grande come il tuono dell'organo nelle navate di Sebenico o di Spalato. Il motto è crudo. Ma a Fiume la mia gente non ha paura di nulla, neppure delle parole.[31]
  • «Nella mia vita errante vidi allora per la prima volta un gran fiume. M'apparve a un tratto, gonfio e veloce fra due ripe selvagge, in una pianura infiammata, quasi fosse stoppia, ai raggi orizzontali del sole che ne rasentava il limite come una ruota rossa. Sentii allora quel che v'è di divino in un gran fiume a traverso la Terra. Era l'Adige, scendeva a Verona, dalla città di Giulietta».[32]
  • [Filippo Palizzi] [...] non è come noi sovreccitato dall'eccesso della vita cerebrale. È più puro, più ingenuo, più sano, più sincero di noi.[33]
  • Non ritroverete mai la vostra donna -amata, amante- così com'era quando da lei vi separaste..[34]
  • Non temere! Accogli l'ignoto e l'impreveduto e quanto altro ti recherà l'evento; abolisci ogni divieto; procedi sicuro e libero. Non avere omai sollecitudine se non di vivere. Il tuo fato non potrà compiersi se non nella profusione della vita.[35]
  • O beati quelli che più hanno, perché più potranno dare, più potranno ardere.[36]
  • Osare l'inosabile.[37]
  • Per noi era tutto un'ala di guerra, cuore e motore, tendini e tiranti, ossa e centine, sangue ed essenza, animo e fuoco, tutto una volontà di battaglia, uomo e congegno. L'ala si è rotta e arsa, il corpo s'è rotto e arso. Ma chi oggi è più alato di lui? Ditemelo. Chi oggi è più alto e più alato di lui? Ditemelo. [...] L'altra sera, la sera del solstizio che è per noi italiani una sorta di festa solare e segna questa volta il culmine della luce di Roma quando ci fu annunziata la trasfigurazione e l'ascensione di Francesco Baracca il Vittorioso, là, in un campo litoraneo, mentre i nostri uomini caricavano di bombe i nostri apparecchi, io dissi ai miei compagni che bene gli antichi nostri celebravano i funerali degli eroi con giochi funebri. E, per celebrare l'eroe nostro col solo rito degno di lui, io li condussi a un funebre gioco di guerra. Ritornammo e partimmo di nuovo, e ancora ritornammo e partimmo, finché la notte non fu consunta. [38]
  • Perché siete fuggita? Nike, non volete essere il mio grande amore? Il solo coraggio vi manca perché non avete mai sentito tutto il mondo dentro di voi, non avete mai appartenuto a voi stessa.
    Così la vostra fanciullezza se ne è andata come una inutile folata di petali in un soffio di malinconia: e la giovinezza vi ha trovata col forziere intatto. Esiste nella vostra anima tutta un'immensa zona di sensibilità inesplorata ed ignota a voi stessa. Chi vi sente la intuisce e talvolta riesce persino a percepirla come un ritmo istintivamente musicale emergente da una cacofonia. Io ho l'orecchio fine, Nike, miracolo biondo: ed ho tanta sete di lasciar cullare la mia anima da quel ritmo. Vi amo. Vi amo. E di questo amore e in questo amore sono folle e smarrito.
    Gabriele.[6][13]
  • Piero di Cosimo [...] giocondo e facile pittore, forte ed armonioso colorista, che risuscitava liberamente col suo pennello le favole pagane.[39]
  • Possedeva una scienza mirabile (ch'era forse un raro senso) di tutte le minime particolarità di tempo e di grado le quali concorrono a infinitamente variare sul rame l'efficacia dell'acqua forte... Quel natio senso quasi infallibile l'avvertiva del momento giusto, dell'attimo puntuale, in cui la corrosione giungeva a dare tal preciso valor d'ombra che nell'intenzion dell'artefice doveva avere la stampa.[40]
  • Ricordati di osare sempre.[41]
Memento audere semper.[42]
  • Roma nostra vedrai. La vedrai da' suoi colli: | dal Quirinale fulgido al Gianicolo, | da l'Aventino al Pincio più fulgida ancor ne l'estremo | vespero, miracol sommo, irraggiare i cieli... | Nulla è più grande e sacro. Ha in sé la luce d'un astro. | Non i suoi cieli irragia solo, ma il mondo, Roma.[43]
  • Si vive per anni accanto a un essere umano, senza vederlo. Un giorno, ecco che uno alza gli occhi e lo vede. In un attimo, non si sa perché, non si sa come, qualcosa si rompe: una diga fra due acque. E due sorti si mescolano, si confondono e precipitano.[44]
  • Siamo trenta d'una sorte, | E trentuno con la morte. | Eia, l'ultima! Alalà![45]
  • Ti sento nei miei sensi e sento che i miei sensi non sanno che obbedire alla tua chiamata.
    Ora, vedi, ho l'estasi del tuo possesso vero e solitario come volevo e insieme ho l'angoscia di aver perduto una parte di me. E sono tanto felice: mi sento giovane e potente come non mai; il mio cuore pulsa nelle mie vene il sangue di Prometeo, e ho tanta voglia di piangere sulla tua bocca per farti sentire l'acredine delle mie lagrime.[6]
  • Tutto, infatti, è qui da me creato o trasfigurato. Tutto qui mostra le impronte del mio stile, nel senso che io voglio dare allo stile.[46]
  • [Filippo Tommaso Marinetti] Un cretino fosforescente.[47]
  • [Henry de Montherlant] Un poeta di gran razza.[48]
  • Una bella donna è mille volte più attraente quando esce dalle braccia di Morfeo che dopo un'accurata toilette.[49][50]
  • Violante! Vanita la favola che la voleva figliuola di Jacomo e amica di Tiziano, ella non è se il nome di un incendio, o meglio il nome di una stagione ardente e ambrata intra Fusina e Murano. Il riflesso della sua bellezza nell'arte del Palma e del Vecellio si propaga di tavola im tavola, di tela in tela.[51]
  • Vittoria nostra non sarai mutilata. Nessuno può frangerti i ginocchi né tarparti le penne. Dove corri? dove sali?.[52]
  • [Su Francesco Saverio Nitti] Voi vi lasciate mettere sul collo il piede porcino del più abietto truffatore che abbia mai illustrato la storia del canagliume universale. Qualunque altro paese, anche la Lapponia, avrebbe rovesciato quell'uomo.[53]

Attribuite[modifica]

  • Il paradiso è all'ombra delle spade.
    • È in realtà una citazione di Maometto.[54] D'Annunzio la utilizzò in La canzone d'oltremare, Merope, v. 36 (1915); la citò nuovamente il 4 maggio 1919 in Gli ultimi saranno i primi. Discorso al popolo di Roma nell'Augusteo;[55] nel 1921, infine, la utilizzò (nella forma Il Paradiso all'ombra delle Spade o Il paradiso nell'ombre delle spade) anche come titolo di un film di cui scrisse la sceneggiatura.[56]
  • Il più bel chilometro d'Italia.[57] [riferendosi al Lungomare Falcomatà di Reggio Calabria]
[Citazione errata] Il 27 marzo 1955, in occasione del Giro ciclistico della Provincia, durante la radiocronaca, Nando Martellini pronunciò la frase, attribuendola a Gabriele D'Annunzio. Secondo lo storico Agazio Trombetta tuttavia la citazione non appartiene a D'Annunzio, che non era mai stato a Reggio Calabria e non aveva mai scritto nulla a tal proposito, come confermato anche dalla Biblioteca Dannunziana.[58]

Alcione[modifica]

Incipit[modifica]

Dèspota, andammo e combattemmo, sempre
fedeli al tuo comandamento. Vedi
che l'armi e i polsi eran di buone tempre.

O magnanimo, Dèspota, concedi
al buon combattitor l'ombra del lauro
ch'eri senta l'erba sotto i nudi piedi,

ch'eri consacri il suo bel cavallo sauro
alla forza dei Fiumi e in su l'aurora
ei conosca la gioia del Centauro.

O Dèspota, ei sarà giovane ancòra!
Dàgli le rive i boschi i prati i monti
i cieli, ed ei sarà giovane ancòra!

Citazioni[modifica]

  • Nascente luna, in cielo esigua come | il sopracciglio de la giovinetta | e la midolla de la nova canna, | sí che il più lieve ramo ti nasconde | e l'occhio mio, se ti smarrisce, a pena | ti ritrova, pel sogno che l'appanna, | Luna, il rio che s'avvalla | senza parola erboso anche ti vide; | e per ogni fil d'erba ti sorride, | solo a te. (Da Lungo l'Affrico Nella sera di giugno dopo la pioggia, pp. 48-49)
  • Serbansi i pomi in orci unti di pece. | Anco serbansi in cave | dell'oppio arbore; ovver tra la vinaccia | in pentole, assai bene e lungamente. (Da L'aedo senza lira, p. 74)
  • Taci. Su le soglie | del bosco non odo | parole che dici | umane; ma odo | parole più nuove | che parlano gocciole e foglie | lontane. | Ascolta. Piove | dalle nuvole sparse. | Piove su le tamerici | salmastre ed arse, | piove sui pini | scagliosi ed irti, | piove sui mirti | divini, | su le ginestre fulgenti | di fiori accolti, | su i ginepri folti | di coccole aulenti, | piove su i nostri volti | silvani, | piove su le nostre mani | ignude, | su i nostri vestimenti leggieri, | su i freschi pensieri | che l'anima schiude | novella, | su la favola bella | che ieri | t'illuse, che oggi m'illude, | o Ermione. (Da La pioggia nel pineto, pp. 118-119)
  • Settembre, sono mature le carrube. Germa con sue maggiori quattro vele, | garbo o schirazzo, legni levantini | carichi di baccelli dolci e bruni | conduci verso l'isola dei Sardi. | E vien teco un odor di tetro miele. || La siliqua, che ingrassa la muletta | dall'ambio lene e in carestía disfama | la plebe dalla bianca dentatura,| lustra come i capelli tuoi castagni | mentre stai su la coffa alla vedetta. || Certo, d'olio di sèsamo son unte | quelle tue ciocche in forma di corimbi. | Certo, ritrovi or tu nel gran dolciore | del Mar Cilicio l'obliato carme | che alla Cipride piacque in Amatunte. || Settembre, teco esser vorremmo ovunque! (Le carrube, pp. 409-410)

Breviario mondano[modifica]

  • Già la scala di per se stessa, in un edifizio di lusso e di piacere, è forse la forma architettonica che meglio rappresenta la magnificenza, la solennità, la nobiltà. (p. 8)
  • Le mie passioni sono le mie virtù. (p. 10)
  • Prima, circa una trentina d'anni fa, tutte le donne erano brune, d'un bruno profondo e fatale, mer d'ébène noir ocèan, pavillon de ténèbres tendues, come cantava Carlo Baudelaire. Ora, invece, una donna che non è bionda non è una donna. (p. 11)
  • È insipida la gioia che non abbia in sé una promessa di dolore. (p. 21)
  • Il viso dell'amore è osceno come quello di un pagliaccio vinoso. (p. 24)
  • La Chiesa di San Luigi de' Francesi è l'ovile consueto dove tutte le pecorelle di Roma aristocratica e delle colonie straniere accorrono tre volte la settimana per purificarsi nella tiepida e opaca eloquenza del padre Le Méhauté. In verità, di tipiedo nella chiesa di San Luigi non c'è che l'eloquenza del predicatore. Spira per le navate un'aura così rigida e la luce anche, piovente dall'alto, è così grigia ch'io non so come le peccatrici possano resistere un'ora nella quasi immobilità del pregare e dell'ascoltare. (pp. 24-25)
  • Ascanio Branca, Ascanio politropo, quest'uomo meraviglioso che fa tutto e che si trova da per tutto e che è informato di tutto; questo deputato mondano che in una stessa giornata può trovarsi a colazione da una bella signora, muovere un'interpellanza al Parlamento, far atto di presenza a tre o quattro five 'o clock teas, non mancare al pranzo di un'altra buona amica, cenare in compagnia allegra ed esser pronto a ricominciare da capo, Ascanio Branca svolgeva in un palco del Valle un suo singolarissimo sistema di filosofia erotica. E chi non conosce oramai il sistema dell'onorevole di Potenza? (p. 54)
  • La piazza di Spagna, la più bella piazza del mondo, una piazza in cui pare sia raccolto tutto il fascino della mollezza quirite, una piazza fatta per l'ozio, per la voluttà dell'ozio e per i convegni d'amore, per la guarigione dei convalescenti e per lo struggimento delli innamorati, per tutti quelli che amano i fiori, le donne, i sandwiches, il thé, i tappeti orientali, la piazza di Spagna è un luminoso tepidario cattolico, protetto dalla Madonna fons amoris! (pp. 54-55)
  • Il solito gran concerto annuale di Augusto Rotoli aveva l'inesplicabile fascino che hanno su gli uomini e su le donne le consuetudini stupide, inutili e noiose. Ognuno andava e restava fino alla fine, così, senza sapere perché, con un'abnegazione inconsapevole, vinto da un affievolimento infinito, sentendo la sua volontà scomparire. (p. 65)
  • Il giudizio popolare, in verità, non è molto favorevole all'architettura esterna del Teatro Drammatico Nazionale. Quella facciata ha un'aria di pretensione e di volgarità che si accorda mirabilmente con il vergognoso barocchismo dei quartieri alti; e sta tra la vecchia e la nuova Roma come un simbolo, come un assai feroce simbolo della tircheria e della piccineria moderna... (p. 67)

Canto novo[modifica]

  • Ignudo le membra agilissime a'l sole ed a l'acqua.
  • A 'l mare, a 'l mare, Lalla, a 'l mio libero tristo fragrante verde Adriatico.
  • Chiedon l'esametro lungo salente i fantasmi che su dal core baldi mi fioriscono, e l'onda armonica al breve pentametro spira in un pispiglio languido di dattili.
  • Ma ancora ancor mi tentan le spire volubili tue, o alata strofe, coppia di serpentelli alati.
  • O falce di luna calante | che brilli su l'acque deserte, | o falce d'argento, qual messe di sogni | ondeggia a 'l tuo mite chiarore qua giú! || Aneliti brevi di foglie | di fiori di flutti da 'l bosco | esalano a 'l mare: non canto non grido | non suono pe 'l vasto silenzïo va || Oppresso d'amor, di piacere, | il popol de' vivi s' addorme... | O falce calante, qual messe di sogni | ondeggia a 'l tuo mite chiarore qua giú![59]

Contemplazione della morte[modifica]

Incipit[modifica]

A Mario da Pisa
Mio giovine amico, per quella foglia di lauro che mi coglieste su la fresca tomba di Barga pensando al mio lontano dolore, io vi mando questo libello dalla Landa oceanica dove tante volte a sera il mio ricordo e il mio desiderio cercarono una somiglianza del paese di sabbia e di ragia disteso lungo il mar pisano.

Citazioni[modifica]

  • Quando un grande poeta volge la fronte verso l'Eternità, la mano pia che gli chiude gli occhi sembra suggellare sotto le esangui palpebre la più luminosa parte della bellezza terrena. (p. 21)
  • Chi potrà dire quando e dove sien nate le figure che a un tratto sorgono dalla parte spessa e opaca di noi e ci apariscono turbandoci? Gli eventi più ricchi accaddono in noi assai prima che l'anima se n'accorga. E, quando noi cominciamo ad aprire gli occhi sul visibile, già eravamo da tempo aderenti all'invisibile. (p. 29)
  • Qualora le Città nobili usassero far doni ai poeti, che mai avrebbe potuto donare Bologna all'estremo Omeride se non la testa dell'Athena Lemnia? (p. 29)
  • L'anima della terra è notturna, ma la luce del sole la nasconde più che non la nasconda la tenebra. (p. 79)
  • Da Giovanni Pascoli: Giova ciò solo che non muore, e solo
    per noi non muore, ciò che muor con noi
    .[60] (p. 99)

Il libro delle vergini[modifica]

Incipit[modifica]

Il viatico uscì dalla porta della chiesa a mezzogiorno. Su tutte le strade era la primizia della neve, su tutte le case era la neve. Ma in alto grandi isole azzurre apparivano tra le nuvole nevose, si dilatavano su 'l palazzo di Brina lentamente, s'illuminavano verso la Bandiera. E nell'aria bianca, su 'l paese bianco appariva ora subitamente letificante il miracolo del sole.

Citazioni[modifica]

  • Un fiotto di sanità caldo la riempiva; certe sùbite gioie di vivere le muovevano il sangue, le mettevano nel petto quasi dei battimenti d'ale, le mettevano de' canti nella bocca. (Da Le Vergini, p. 42)
  • Solo il sambuco odorava dalle ampie antele candide fresco e mite, là entro. Le farfalle passavano fuggevoli; gruppi di chiocciole andavano qua e là strisciando tra le piante succose, lasciando le righe lucenti. (Da Favola sentimentale, p. 103)
  • Una stanchezza immensa le invadeva tutto l'essere; e in quella prostrazione ella conservava ancora la sensazione del ribrezzo che l'aveva scossa; mentre, dinanzi alla felicità crescente del mattino primaverile, un rimpianto amaro, il rimpianto di qualche cosa d'irrimediabile, singhiozzava in lei. Tutto era finito; ella era vecchia, ella doveva dunque morire. (Da Nell'assenza di Lanciotto, p. 140)

Explicit[modifica]

Io e Giacinta vedemmo allontanarsi la processioni tra le querci patriarcali, vedemmo li ultimi sventolamenti violacei nell'aria chiara, vedemmo brillare la croce su 'l diadema della Madonna, perdersi poi tutte quelle forme mobili nel fiammeggiamento del sole che proteggeva la campagna deserta.

Il fuoco[modifica]

Incipit[modifica]

– Stelio, non vi trema il cuore, per la prima volta? – chiese la Foscarina con un sorriso tenue, toccando la mano dell'amico taciturno che le sedeva al fianco. – Vi veggo un poco pallido e pensieroso. Ecco una bella sera di trionfo per un grande poeta!

Citazioni[modifica]

  • Io pensava in un pomeriggio recente — tornando dai Giardini per quella tiepida riva degli Schiavoni che all'anima dei poeti vaganti potè sembrar talvolta non so qual magico ponte d'oro prolungato su un mare di luce e di silenzio verso un sogno di Bellezza infinito — io pensava, anzi assisteva nel mio pensiero come a un intimo spettacolo, alla nuziale alleanza dell'Autunno e di Venezia sotto i cieli.
    Era per ovunque diffuso uno spirito di vita, fatto d'aspettazione appassionata e di contenuto ardore; che mi stupiva per la sua veemenza ma che pur non mi sembrava nuovo poichè io l'aveva già trovato raccolto in qualche zona d'ombra, sotto l'immobilità quasi mortale dell'Estate, e l'aveva anche sentito fra lo strano odor febrile dell'acqua vibrar quivi a quando a quando come un polso misterioso. — Così, veramente, questa pura Città d'arte aspira a una suprema condizione di bellezza, che è per lei un annuale ritorno come per la selva il dar fiori. Ella tende a rivelar sé medesima in una piena armonia quasi che sempre ella porti in sé possente e consapevole quella volontà di perfezione da cui nacque e si formò nei secoli come una creatura divina. Sotto l'immobile fuoco dei cieli estivi, ella pareva senza palpito e senza respiro, morta nelle sue verdi acque; ma non m'ingannò il mio sentimento quando io la indovinai travagliata in segreto da uno spirito di vita bastevole a rinnovare il più alto degli antichi prodigi.
    Questo io pensava, assistendo allo spettacolo incomparabile che per un dono di amore e di poesia io poteva contemplare con occhi attentissimi la cui vista mi si mutava in visione profonda e continua... Ma con qual virtù potrò io mai comunicare a chi m'ascolta questa mia visione di bellezza e di gioia? Non v'è aurora e non v'è tramonto che valgano una simile ora di luce su le pietre e su le acque. Né subito apparire di donna amata in foresta di primavera è inebriante così come quella impreveduta rivelazione diurna della Città eroica e voluttuosa che portò e soffocò nelle sue braccia di marmo il più ricco sogno dell'anima latina. (I, L'epifania del fuoco; pp. 52-54)
  • Era come una landa stigia, come una visione dell'Ade: un paese di ombre, di vapori e di acque. Tutte le cose vaporavano e vanivano come spiriti. La luna incantava e attirava la pianura com'ella incanta e attira il mare: beveva dall'orizzonte la grande umidità terrestre, con una gola insaziabile e silenziosa. Ovunque brillavano pozze solinghe; si vedevano piccoli canali argentei riscintillare in una lontananza indefinita tra file di salci reclinati. La terra pareva perdere a ora a ora la sua saldezza e liquefarsi; il cielo poteva mirarvi la sua malinconia riflessa da innumerevoli specchi quieti. E di qua, di là, per la scolorata riviera, come i Mani d'una gente scomparsa le statue passavano passavano. (II, L'impero del silenzio; pp. 305-306)
  • Pensò la lentezza del dormiveglia, l'indugio del sopore verso l'alba, quando la volontà velata guida leggermente il sogno felice. (II, L'impero del silenzio; p. 340)

Citazioni su Il fuoco[modifica]

  • Il fuoco è un'opera, nel suo genere, perfettamente compiuta. L'ho riletta or ora: la sua bellezza, il suo potere d'incanto mi sono apparsi così evidenti come il primo giorno [...]. Come la maggior parte delle opere di D'Annunzio, esso prende i suoi spunti un po' dappertutto: dalla pittura, dalla scultura, dalla musica, e tuttavia la sua originalità è del più alto grado. (Henry de Montherlant)

Il piacere[modifica]

Incipit[modifica]

L'anno moriva, assai dolcemente. Il sole di San Silvestro spandeva non so che tepor velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile, nel ciel di Roma. Tutte le vie erano popolose come nelle domeniche di maggio. Su la Piazza Barberini, su la Piazza di Spagna una moltitudine di vetture passava in corsa traversando; e dalle due piazze il romorìo confuso e continuo, salendo alla Trinità de' Monti, alla via Sistina, giungeva fin nelle stanze del palazzo Zuccari, attenuato.

Citazioni[modifica]

  • Si chinò verso il caminetto, prese le molle per ravvivare il fuoco, mise sul mucchio ardente un nuovo pezzo di ginepro. Il mucchio crollò; i carboni sfavillando rotolarono fin su la lamina di metallo che proteggeva il tappeto; la fiamma si divise in tante piccole lingue azzurrognole che sparivano e riapparivano; i tizzi fumigarono.
    Allora sorse nello spirito dell'aspettante un ricordo. Proprio innanzi a quel caminetto Elena un tempo amava indugiare, prima di rivestirsi, dopo un'ora d'intimità. Ella aveva molt'arte nell'accumulare gran pezzi di legno su gli alari. Prendeva le molle pesanti con ambo le mani e rovesciava un po' indietro il capo ad evitar le faville. Il suo corpo sul tappeto, nell'atto un po' faticoso, per i movimenti de' muscoli e per l'ondeggiar delle ombre pareva sorridere da tutte le giunture, e da tutte le pieghe, da tutti i cavi, soffuso d'un pallor d'ambra che richiamava al pensiero la Danae del Correggio. Ed ella aveva appunto le estremità un po' correggesche, le mani e i piedi piccoli e pieghevoli, quasi direi arborei come nelle statue di Dafne in sul principio primissimo della metamorfosi favoleggiata.
    Appena ella aveva compiuta l'opera, le legna conflagravano e rendevano un sùbito bagliore. Nella stanza quel caldo lume rossastro e il gelato crepuscolo entrante pe' vetri lottavano qualche tempo. L'odore del ginepro arso dava al capo uno stordimento leggero. Elena pareva presa da una specie di follia infantile, alla vista della vampa. (cap. I, pp. 3-4)
  • Andrea vide nell'aspetto delle cose in torno riflessa l'ansietà sua; e come il suo desiderio si sperdeva inutilmente nell'attesa e i suoi nervi s'indebolivano, così parve a lui che l'essenza direi quasi erotica delle cose anche vaporasse e si dissipasse inutilmente. Tutti quelli oggetti, in mezzo a' quali egli aveva tante volte amato e goduto e sofferto, avevano per lui acquistato qualche cosa della sua sensibilità. Non soltanto erano testimoni de' suoi amori, de' suoi piaceri, delle sue tristezze, ma eran partecipi. (cap. I, p. 16)
  • Quale amante non ha provato questo inesprimibile gaudio, in cui par quasi che la potenza sensitiva del tatto si affini così da avere la sensazione senza la immediata materialità del contatto? (cap. I, p. 24)
  • Ella, ella era l'idolo che seduceva in lui tutte le volontà del cuore, rompeva in lui tutte le forze dell'intelletto, teneva in lui tutte le più segrete vie dell'anima chiuse ad ogni altro amore, ad ogni altro dolore, ad ogni altro sogno, per sempre, per sempre.... (Andrea: cap. I, p. 29)
  • Bisogna fare la propria vita, come si fa un'opera d'arte. Bisogna che la vita d'un uomo d'intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui. (padre di Andrea: cap. II, p. 41)
  • Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà, fin nell'ebrezza. La regola dell'uomo d'intelletto, eccola: ― Habere, non haberi.[61] (padre di Andrea: cap. II, p. 41)
  • Il rimpianto è il vano pascolo d'uno spirito disoccupato. Bisogna sopra tutto evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni e con nuove imaginazioni. (padre di Andrea: cap. II, pp. 41-42)
  • Il sofisma [...] è in fondo ad ogni piacere e ad ogni dolore umano. Acuire e moltiplicare i sofismi equivale dunque ad acuire e moltiplicare il proprio piacere o il proprio dolore. Forse, la scienza della vita sta nell'oscurare la verità. La parola è una cosa profonda, in cui per l'uomo d'intelletto son nascoste inesauribili ricchezze. I Greci, artefici della parola, sono in fatti i più squisiti goditori dell'antichità. I sofismi fioriscono in maggior numero al secolo di Pericle, al secolo gaudioso. (padre di Andrea: cap. II, p. 42)
  • Aveva la voce così insinuante che quasi dava la sensazione d'una carezza carnale; e aveva quello sguardo involontariamente amoroso e voluttuoso che turba tutti li uomini e ne accende d'improvviso la brama. (cap. II, p. 49)
  • Ci sono certi sguardi di donna che l'uomo amante non iscambierebbe con l'intero possesso del corpo di lei. Chi non ha veduto accendersi in un occhio limpido il fulgore della prima tenerezza non sa la più alta delle felicità umane. Dopo, nessun altro attimo di gioia eguaglierà quell'attimo. (cap. II, pp. 57-58)
  • Da certi suoni della voce e del riso, da certi gesti, da certe attitudini, da certi sguardi ella esalava, forse involontariamente, un fascino troppo afrodisiaco. (cap. II, pp. 61-62)
  • Certo, quanto più la cosa da un uom posseduta suscita nelli altri l'invidia e la brama, tanto più l'uomo ne gode e n'è superbo. (cap. II, p. 63)c.
  • Quell'aria aspettava il suo respiro; quei tappeti chiedevano d'esser premuti dal suo piede; quei cuscini volevano l'impronta del suo corpo. (cap. III, pp. 85-86)
  • La convalescenza è una purificazione e un rinascimento. Non mai il senso della vita è soave come dopo l'angoscia del male; e non mai l'anima umana più inclina alla bontà e alla fede come dopo aver guardato negli abissi della morte. Comprende l'uomo, nel guarire, che il pensiero, il desiderio, la volontà, la conscienza della vita non sono la vita. Qualche cosa è in lui più vigile del pensiero, più continua del desiderio, più potente della volontà, più profonda anche della conscienza; ed è la sostanza, la natura dell'essere suo. Comprende egli che la sua vita reale è quella, dirò così, non vissuta da lui; è il complesso delle sensazioni involontarie, spontanee, incoscienti, istintive; è l'attività armoniosa e misteriosa della vegetazione animale; è l'impercettibile sviluppo di tutte le metamorfosi e di tutte le rinnovellazioni. Quella vita appunto in lui compie i miracoli della convalescenza: richiude le piaghe, ripara le perdite, riallaccia le trame infrante, rammenda i tessuti lacerati, ristaura i congegni degli organi, rinfonde nelle vene la ricchezza del sangue, riannoda su gli occhi la benda dell'amore, rintreccia d'intorno al capo la corona de' sogni, riaccende nel cuore la fiamma della speranza, riapre le ali alle chimere della fantasia. (cap. VI, pp. 161-162)
  • Per la prima volta, infatti, il giovine conobbe tutta l'armoniosa poesia notturna de' cieli estivi.
    Erano le ultime notti d'agosto, senza luna. Innumerevoli, nella profonda conca, palpitava la vita ardente delle constellazioni. Le Orse, il Cigno, Ercole, Boote, Cassiopea riscintillavano con un palpito così rapido e così forte che quasi parevano essersi appressati alla terra, essere entrati nell'atmosfera terrena. La Via Lattea svolgevasi come un regal fiume aereo, come un adunamento di riviere paradisiache, come una immensa correntìa silenziosa che traesse nel suo "miro gurge" una polvere di minerali siderei, passando sopra un àlveo di cristallo, tra falangi di fiori. Ad intervalli, meteore lucide rigavano l'aria immobile, con la discesa lievissima e tacita d'una goccia d'acqua su una lastra di diamante. Il respiro del mare, lento e solenne, bastava solo a misurare la tranquillità della notte, senza turbarla; e le pause eran più dolci del suono. (cap. VI, p. 165)
  • Il verso è tutto. (cap. VI, p. 179)
  • Schifanoja in Ferrara (oh gloria d'Este!), | ove il Cossa emulò Cosimo Tura | in trionfi d'iddii su per le mura, | non vide mai tanto gioconde feste. (cap. VII, p. 191)
  • Da che vi ho conosciuta, ho molto sognato per voi, di giorno e di notte, ma senza una speranza e senza un fine. Io so che voi non mi amate e che non potete amarmi. E pure, credetemi, io rinunzierei a tutte le promesse della vita per vivere in una piccola parte del vostro cuore... (Andrea: cap. VIII, p. 226)
  • [...] il passato è come una tomba che non rende più i suoi morti. (cap. IX, p. 236)
  • Com'è debole e misera l'anima nostra, senza difesa contro i risvegli e gli assalti di quanto men nobile e men puro dorme nella oscurità della nostra vita inconsciente, nell'abisso inesplorato ove i ciechi sogni nascono dalle cieche sensazioni! Un sogno può avvelenare un'anima; un sol pensiero involontario può corrompere una volontà. (cap. IX, p. 264)
  • Riaccendere un amore è come riaccendere una sigaretta. Il tabacco s'invelenisce; l'amore, anche. (Giulio Muséllaro: cap. XI, p. 320)
  • Erano i primissimi tempi della felicità: egli usciva caldo di baci, pieno della recente gioja; le campane della Trinità de' Monti, di Sant'Isidoro, de' Cappuccini sonavano l'Angelus nel crepuscolo, confusamente, come se fossero assai più lontane; all'angolo della via rosseggiavano i fuochi intorno le caldaje dell'asfalto; un gruppo di capre stava lungo il muro biancastro, sotto una casa addormentata; i gridi fiochi degli acquavitari si perdevano nella nebbia.... (cap. XI, p. 333)
  • A una porta, il cappellino di Elena urtò una portiera mal messa e si piegò tutto da un lato. Ella, ridendo, chiamò Mumps perché le sciogliesse il nodo del velo. E Andrea vide quelle mani odiose sciogliere il nodo su la nuca della desiderata, sfiorare i piccoli riccioli neri, quei riccioli vivi che un tempo sotto i baci rendevano un profumo misterioso, non paragonabile ad alcuno de' profumi conosciuti, ma più di tutti soave, più di tutti inebriante. (cap. XI, p. 335)
  • Io vi amo come nessuna parola umana potrà mai esprimere. Ho bisogno di voi. Voi soltanto siete vera; voi siete la Verità che il mio spirito cerca. Il resto è vano; il resto è nulla. (Andrea: cap. XII, p. 349) [dichiarandosi]
  • Io sono camaleontico, chimerico, incoerente, inconsistente. Qualunque mio sforzo verso l'unità riuscirà sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge è in una parola: NUNC. Sia fatta la volontà della legge. (Andrea: cap. XII, p. 364)
  • [...] e credere in te soltanto, giurare in te soltanto, riporre in te soltanto la mia fede, la mia forza, il mio orgoglio, tutto il mio mondo, tutto quel che sogno, e tutto quel che spero.... (Andrea: cap. XIV, p. 416)

Citazioni su Il piacere[modifica]

  • Il Piacere fu uno dei primi libri con cui, quarant'anni fa, feci conoscenza con l'arte moderna, uno dei primi ch'ebbero influsso su di me. (Robert Musil)

L'innocente[modifica]

Incipit[modifica]

Andare davanti al giudice e dirgli: «Ho commesso un delitto. Quella povera creatura non sarebbe morta se io non l'avessi uccisa. Io, Tullio Hermil, io stesso l'ho uccisa».
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni[modifica]

  • E l'avvenire mi apparve spaventoso, senza speranza. L'immagine indeterminata del nascituro crebbe, si dilatò, come quelle orribili cose informi che vediamo talvolta negli incubi ed occupò tutto il campo. Non si trattava d'un rimpianto, d'un rimorso, d'un ricordo indistruttibile, ma di un essere vivente. Il mio avvenire era legato a un essere vivente d'una vita tenace e malefica; era legato a un estraneo, a un intruso, a una creatura abominevole contro cui non soltanto la mia anima ma la mia carne, tutto il mio sangue e le mie fibre provavano un'avversione bruta, feroce, implacabile fino alla morte, oltre la morte. Pensavo: "chi avrebbe mai potuto immaginare un supplizio peggiore per torturarmi insieme l'anima e la carne? Il più ingegnosamente efferato dei tiranni non saprebbe concepire certe crudeltà ironiche... Non erano ancora manifesti nella persona di Giuliana i segni esterni: l'allargamento dei fianchi, l'aumento del volume del ventre. Ella si trovava dunque ancora ai primi mesi: forse al terzo, forse al principio del quarto. Le aderenze che univano il feto alla matrice dovevano esser deboli. L'aborto doveva essere facilissimo. Come mai le violente commozioni della giornata di Villalilla e di quella notte, gli sforzi, gli spasmi, le contratture, non l'avevano provocato? Tutto m'era avverso, tutti i casi congiuravano contro di me. E la mia ostilità diveniva più acre. Impedire che il figlio nascesse divenne il mio segreto proposito. Tutto l'orrore della nostra condizione veniva dall'antiveggenza di quella natività, dalla minaccia dell'intruso. Come mai Giuliana, al primo sospetto, non aveva tentato ogni mezzo per distruggere il concepimento infame? Era stata ella trattenuta dal pregiudizio, dalla paura, dalla ripugnanza istintiva di madre? Aveva ella un senso materno anche per il feto adulterino?
  • Io credevo che per me potesse tradursi in realtà il sogno di tutti gli uomini intellettuali: – essere costantemente infedele a una donna costantemente fedele.
  • L'uomo a cui è dato soffrire più degli altri, è degno di soffrire più degli altri.[62]

La città morta[modifica]

  • Bianca Maria: Mangereste, Anna, un'arancia profumata? Vorreste trovarvi ora in un giardino siciliano?
    Anna fa un gesto nell'aria come per trarre a sé la fanciulla.
    Anna: Che strana voce v'è venuta alle labbra, ora, Bianca Maria! Sembra una voce nuova: come una che dormiva e che si sveglia all'improvviso...
    Bianca Maria: Vi stupisce il mio desiderio? Non vi piacerebbe d'avere su le ginocchia un canestro di frutti? Ah, con che avidità io ne mangerei! A Siracusa camminavamo nei boschi d'aranci, vedendo fra i tronchi splendere il mare: gli alberi avevano su i rami gli antichi frutti e i nuovi fiori; i petali ci cadevano sul capo come una neve odorante; e noi mordevamo la polpa succulenta come si morde il pane.
    Anna tende di nuovo le mani per attrarre mentre l'altra resta ancora un po' discosta.
    Anna: Là voi vorreste vivere. Là, là è la gioia! Tutto il vostro essere chiede la gioia, ha bisogno di gioia. Ah come deve brillare oggi la vostra giovinezza! Il desiderio di vivere s'irradia dalla vostra persona come il calore da un focolare. Lasciate che io riscaldi le mie povere mani!
    Bianca Maria le si appressa, e si siede ai piedi di lei su uno sgabello basso. Come Anna le tocca le gote, ella ha un brivido palese.
    Bianca Maria: Perché sono fredde le vostre mani, Anna?
    Anna: Tutto il vostro viso batte come un polso violento.
    Bianca Maria: Il sole m'ha accesa. Di là, alla mia finestra, son rimasta a guardare sotto il sole. La pietra del davanzale era quasi rovente. Qui, anche, tutta la stanza omai è invasa dal sole. La striscia arriva là, sino ai piedi dell'Ermete. Siamo sedute sul margine d'un rivo d'oro. Inchinatevi un poco.
    Anna, toccandola vagamente sul viso, su i capelli.
    Anna: Come tu ami il sole! Come tu ami la vita! Ho udito un giorno Alessandro dirti che somigliavi alla Vittoria che si dislaccia i sandali. Mi ricordo... ad Atene... in un marmo dolce come un avorio, una figura delicata e impetuosa che dava il desiderio del volo, d'una corsa aerea senza termine... Mi ricordo: la sua piccola testa si disegnava nella curva dell'ala che pendeva in riposo dall'Omero. Alessandro diceva che l'impazienza del volo era diffusa in tutte le pieghe della tunica e che nessun'altra imagine rappresentava più vivamente il dono della celerità divina.... Noi vivemmo per qualche tempo nell'incanto della sua grazia giovenile. Ogni giorno salivamo all'Acropoli per rivederla.... È vero che voi le somigliate, Bianca Maria?
    Bianca Maria, turbata dalla maniera singolare della cieca che continua a toccarla.
    Bianca Maria: Io sono senza ali. Voi me le cercate inutilmente. (atto I, scena III)

Laudi[modifica]

Dedica autografa

Alcyone[modifica]

  • Settembre, andiamo. È tempo di migrare. | Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori | lascian gli stazzi e vanno verso il mare. (I pastori, vv. 1-3)
  • Taci. Su le soglie | del bosco non odo | parole che dici | umane; ma odo | parole più nuove | che parlano gocciole e foglie | lontane. (La pioggia nel pineto, vv. 1-7)
  • Palpita, sale, | si gonfia, s'incurva, | s'alluma, propende. | Il dorso ampio splende | come cristallo; | la cima leggiera | s'arruffa | come criniera | nivea di cavallo. | Il vento la scavezza. | L'onda si spezza [...] (da L'onda, vv. 30-40)

La sera fiesolana[modifica]

  • Fresche le mie parole ne la sera | ti sien come il fruscìo che fan le foglie | del gelso ne la man di chi le coglie. (vv. 1-3)
  • Laudata sii pel tuo viso di perla, | o Sera, e pe' tuoi grandi umidi occhi ove si tace | l'acqua del cielo || Dolci le mie parole ne la sera | ti sien come la pioggia che bruiva | tepida e fuggitiva. (vv. 15-20)
  • Laudata sii per le tue vesti aulenti, | o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce | il fien che odora! (vv. 32-34)
  • Laudata sii per la tua pura morte, | o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare | le prime stelle! (vv. 49-51)

L'oleandro[modifica]

  • Erigone, Aretusa, Berenice, | quale di voi accompagnò la notte | d'estate con più dolce melodìa | tra gli oleandri lungo il bianco mare? (vv. 1-4)
  • "Il Giorno" disse pianamente Erigone | verso la luce "non potrà morire. | Mai la sua faccia parve tanto pura, | non ebbe mai tanta soavità". | Era la sua parola come il vento | d'estate quando ci disseta a sorsi | e nella pausa noi pensiamo i fonti | dei remoti giardini ov'egli errò. (vv. 17-24)
  • Pur, profondando nella sabbia i nudi | piedi, io sentia partirsi lentamente | il buon calor del tramontato sole. (vv. 30-32)
  • Tutto allora fu grande, anche il mio cuore. | Oh poesia, divina libertà! (vv. 49-50)
  • Così ci parve riudire il canto | delle Sirene, dalla nave concava | di prora azzurra, fornita di ponti, | veloce, in un doloroso ritorno | spinta dal vento al frangente del mare, | né ci difese Odisseo dal periglio | con la sua cera; ma il cuore, non più | libero, novellamente anelava. (vv. 65-72)
  • O Aretusa, perché non ho il tuo nome? | Nascesti tu nell'isola di Ortigia | come l'amor del violento fiume? (vv. 102-104)
  • O Glauco, ti sovvien della Sicilia | bella?" Ed io più non vidi la grande Alpe, | il bianco mare. Io dissi: "Andiamo, andiamo!" (vv. 111-113)
  • Ti sovvien della bella Doriese | nomata Siracusa nell'effigie | d'oro cò suoi delfini e i suoi cavalli, | serto del mare? (vv. 114-117)
  • Scendemmo al porto. Ti sovvien dell'ora? | Un rogo era l'Acropoli in Ortigia; | ardevano le nubi su 'l Plemmirio | belle come le statue su 'l fronte | dei templi; parea teso dalla forza | di Siracusa il grande arco marino. (vv. 128-133)
  • E noi gridammo, e un súbito clamore | corse lungo le stoe quando la nave | piena d'eternità giunse all'approdo. | Portatrice di gloria, ella vivea | magnanima, sublime. (vv. 134-138)
  • ma sì vivea divinamente d'una | cosa ch'ella recava d'oltremare, | al re Ierone vincitor col carro; | ma la facea magnanima e sublime | una cosa recata d'oltremare, | più lieve che corona d'oleastro: | l'Ode, foggiata di parole eterne". (vv. 149-155)
  • "E' vero, è vero!" io dissi. "Mi sovviene". | Ed il cuore profondo mi tremò, | tremò della divina poesia. | "Mi sovviene. Era l'Ode trionfale: | Canta Demetra che regna i feraci | campi siciliani, e la sua figlia | cinta di violette! Canto, o Clio, | dispensatrice della dolce fama, | la corsa dei cavalli di Ierone! (vv. 156-164)
  • varcammo l'Istmo pel diolco. Quivi | eroi vedemmo e Pindaro con loro. | Ed obliammo l'usignuol di Ceo | per l'aquila tebana. Era la tua | mitica luce sul Tirreno, o madre | Ellade, (vv. 176-181)
  • Ma non sostenne il nostro cuor mortale | quel silenzio sublime. Si piegò | verso il sorriso delle donne nostre. | E Derbe disse ad Aretusa: "Quando | fiorì di rose il lauro trionfale?". | Era la donna giovinetta alzata, | mutevole onda con un viso d'oro, | tra gli oleandri; (vv. 207-214)
  • Disse Aretusa: "Bene io te 'l dirò" | mutevole onda con un viso d'oro. | Disse: "Inseguiva il re Apollo Dafne | lungh'esso il fiume, come si racconta. (vv. 219-222)
  • Rapido il re Apollo più l'incalza, | infiammato desio, per lei predare. | All'alito del dio doventa fiamma | la chioma della ninfa fluvïale. (vv. 230-233)
  • M'odi tu? M'odi tu? Dafne, sei muta? | Rispondi! " Abbrividiscono le frondi | sino alla vetta. Nel silenzio un breve | murmure spira. "M'odi tu? Rispondi!" | Move la vetta un fremito più lieve. | Poi tutto tace e sta. Sotto i profondi | cieli le rive alto silenzio tiene. | Il bellissimo lauro è senza pianto; | il dolore del dio s'inalza in canto. | Odono i monti e le valli serene. (vv. 364-373)
  • E' l'alba, è l'alba. Il dio si desta: un grido | di meraviglia irraggia tutti il lido. | Brilla di rose il lauro trionfale!" (vv. 398-400)
  • "Sol d'oleandro voglio laurearmi" | io dissi. Ed Aretusa era contenta; | e recise per me altri due rami | e fè l'atto di cingermi le tempie | dicendomi: "Pè tuoi novelli carmi!" (vv. 410-412)
  • E il giorno estivo non potea morire, | ma sorrideva sopra il bianco mare | silenziosamente senza fine; | e la notte, che avea parte ineguale, | spiava il bel nemico dalle chiostre | dei monti azzurra come te, Cyane. (vv. 416-421)
  • "Il Giorno" disse "non potrà morire. (vv. 432)
  • Pur tanto è dolce che la Notte oscura | non già lo spegne ma di lui s'accende, (vv. 439-440)
  • Orione si slaccia l'armatura, | e Boote si volge, e Cinosura | vacilla; e l'Orsa anche impallidirà. | Oblia la Notte tutte le sue stelle | e il duolo antico degli amanti umani. | Che con lei piangeremo ella non sa. (vv. 472-477)
  • O Notte, piangi tutte le tue stelle! (vv. 478)
  • [...] | Il grido dell'allodola domani | dall'amor nostro ci disgiungerà". | Un'altra era con noi, ma restò muta, | tra gli oleandri lungo il bianco mare. (vv. 479-482)

Elettra[modifica]

  • E l'altro monte, e l'altro monte ei vede, | l'Erice azzurro, solo tra il mare e il cielo | divinamente apparito, la vetta | annunziatrice della Sicilia bella! (La notte di Caprera, IX, vv. 23-26)
  • Così edificò Egli | nella luce e nell'ombra | l'opera d'eterne parole | che ingombra l'orizzonte | umano con la sua mole | immensa. (Nel primo centenario della nascita di Vittore Hugo)
  • Ma il tutto è in lui. Nel suo petto | concluso è il mondo. (Nel primo centenario della nascita di Vittore Hugo)
  • O deserta bellezza di Ferrara, | ti loderò come si loda il vólto | di colei che sul nostro cuor s'inclina | per aver pace di sue felicità lontane. (Le città del silenzio, cap. I, vv. 1-4)
  • O Pisa, o Pisa, per la fluviale | melodìa che fa sì dolce il tuo riposo | ti loderò come colui che vide | immemore del suo male | fluirti in cuore | il sangue dell'aurore | e la fiamma dei vespri | e il pianto delle stelle adamantino | e il filtro della luna oblivioso. (Le città del silenzio, cap. I, vv. 28-36)
  • Ravenna, glauca notte rutilante d'oro, | sepolcro di violenti custodito | da terribili sguardi, | cupa carena grave d'un incarco | imperiale, ferrea, construtta | di quel ferro onde il Fato | è invincibile, spinta dal naufragio | ai confini del mondo, | sopra la riva estrema! (Le città del silenzio, pp. 152-153, vv. 55-63)
  • Urbino, in quel palagio che s'addossa | al monte, ove Coletto il Brabanzone | tessea l'Assedio d'Ilio, ogni Stagione | l'antica istoria tesse azzurra e rossa. (Urbino, vv. 1-4, in Le città del silenzio, cap. II)
  • Non alla solitudine scrovegna, | o Padova, in quel bianco april felice | venni cercando l'arte beatrice | di Giotto che gli spiriti disegna; || né la maschia virtù d'Andrea Mantegna, | che la Lupa di bronzo ebbe a nutrice, | mi scosse; né la forza imperatrice | del Condottier che il santo luogo regna. || Ma nel tuo prato molle, ombrato d'olmi | e di marmi, che cinge la riviera | e le rondini rigano di strida, || tutti i pensieri miei furono colmi | d'amore e i sensi miei di primavera, | come in un lembo del giardin d'Armida. (Padova, in Le città del silenzio, cap. II)
  • Tu vedi lunge gli uliveti grigi | che vaporano il viso ai poggi, o Serchio, | e la città dall'arborato cerchio, | ove dorme la donna del Guinigi. | Ora dorme la bianca fiordaligi | chiusa ne' panni, stesa in sul coperchio | del bel sepolcro; e tu l'avesti a specchio | forse, ebbe la tua riva i suoi vestigi. | Ma oggi non Ilaria del Carretto | signoreggia la terra che tu bagni, | o Serchio, sì fra gli arbori di Lucca | rosso vestito e fosco nell'aspetto | un pellegrino dagli occhi grifagni | il qual sorride a non so che Gentucca. (Lucca, in Le città del silenzio, cap. II)

Nel primo centenario della nascita di Vincenzo Bellini[modifica]

  • Nell'isola divina che l'etnèo | Giove alla figlia di Demetra antica | donò ricca di messi e di cavalli, | di lunghe navi e di città potenti, | d'aste corusche e di cerate canne, | di magnanimi eroi e di pastori | melodiosi, (vv. 1-7)
  • dal santo lido ove apparì l'Alfeo | terribile che tenne la sua brama | immune dentro all'infecondo sale, | da Ortigia ramoscel di Siracusa, | che fu sorella a Delo e abbeverava | nell'orrore notturno la sirena | ai fonti ascosi, (vv. 8-14)
  • Dove il veglio Stesicoro per Ilio | ereditò la cecità di Omero, | dove Pindaro assunse ai cieli il carro | del re Ierone fondatore d'Etna | e Teocrito addusse tra i bifolchi | eloquenti le Càriti dal fresco | fiato silvano, (vv. 49-55)
  • Egli è morto, l'Orfeo dorico è morto! | Sicelie Muse, incominciate il carme | fùnebre! O rosignoli, annunziate | ad Aretusa ch'egli è morto (vv. 96.100)
  • Inno di gloria, irràggiati dei raggi | più fulgidi recando all'ansiosa | moltitudine, accolta nel Teatro | riconsacrato dalla reverenza, | l'imagine del giovine Cantore. | auspice e i testimonii del fatale | suolo ove nacque. (vv. 128-134)
  • Saluta, mentr'ei viene, Inno, l'ignita | vetta e il lido aretùside, sospiro | d'Atene, e le vocali selve, e i fiumi | che il chiaro Ionio beve, e Siracusa | e Taormina e la natal Catana | con l'orme che v'impressero congiunte | Ellade e Roma. (vv. 145-151)
  • Italia, Italia, quale messaggero | di popoli trarrà da quel silenzio | venerando il messaggio che s'attende? | Quivi taluno interroga i vestigi? | pacato curvasi ad apprender come | si tagli il marmo per edificare | immortalmente? (vv. 169-175)
  • Saluta, nella gloria del Cantore | fiorito a piè dell'Etna, | l'Aventino sul Tevere d'Italia, | il monte che salivano i Carmenti | aedi del Futuro; | però che tutto alla Gran Madre torni | e d'ogni raggio s'orni | il suo capo che sta sopra la Terra. | Sveglia i dormenti e annunzia ai desti: "I giorni | sono prossimi. Usciamo all'alta guerra!" (vv. 207-216)
Frontespizio di "Merope" del 1912

Maia[modifica]

  • Un salso rogo estratto col timone | e la polèna della nave rotta, | ch'ha la tortile forma del Tritone.[63]
  • [...] la mia anima visse come diecimila! (cap. I, vv. 80-81)
  • Nessuna cosa mi fu aliena, nessuna mi sarà! [...] Laudata sii Diversità delle creature, sirena del mondo! (cap. I)
  • Tutto fu ambito e tutto fu tentato. Ah perché non è infinito come il desiderio il potere umano? [...] Tutto fu ambito e tutto fu tentato. Quel che non fu fatto io lo sognai; e tanto era l'ardore che il sogno eguagliò l'atto. (cap. I)
  • [Ulisse] Sol con quell'arco e con la nera | sua nave, lungi dalla casa | d'alto colmigno sonora | d'industri telai, proseguiva | il suo necessario travaglio | contra l'implacabile Mare. (cap. IV, vv. 58-63)

Citazioni su Maia, Laus vitae[modifica]

  • Scritta precipitosamente nel tempo, essa è vertiginosa nel ritmo... La esaltazione della sfrenata libertà individuale che è nel concetto si manifesta anche nella forma: la pindarica strofa di ventun versi, rapida come un galoppo serrato, rapinosa come un torrente, col suo battito violento imprime al poema una tale velocità che perfin le lunghissime enumerazioni e le quasi indiane verbosità rotolano come valanghe, e gli ottomilaquattrocento versi della Laude si slanciano verso la fine con la snellezza delle dieci strofe di un inno guerresco... Energiche, fresche, vibranti sono le parole... Diritto e fugace il periodo. (Giuseppe Antonio Borgese)
  • Una Divina Commedia capovolta. (Giuseppe Antonio Borgese)

Merope[modifica]

  • In Cristo Re o Genova, t'invoco. | Avvampi. Odo il tuo Cìntraco, nel caldo | vento, gridarti che tu guardi il fuoco. | Non Spinola né Fiesco né Grimaldo | trae con la stipa. Il sangue del Signore | bulica nella tazza di smeraldo. (da La canzone del sangue, vv. 1-6)
  • Così tu veleggiasti alla seccagna | di Tripoli, con uno de' tuoi Doria | buon predatore, o Genova grifagna; | ché padroni e nocchieri di Portoria | e di Prè, stanchi d'oziare a bordo, | tentarono l'impresa per galloria. (da La canzone del sangue, vv. 28-33)
  • Quei di Salerno il lor lunato golfo, | gli archi normanni, tutta bronzo e argento | la porta di Guïsa e di Landolfo | aveansi in cuore, e l'arte e l'ardimento | onde tolse lo scettro ad Alberada | Sigilgaita dal quadrato mento. (da La canzone del Sacramento, vv. 127-132)
  • Taranto, sol per àncore ed ormeggi | assicurar nel ben difeso specchio, | di tanta fresca porpora rosseggi? | A che, fra San Cataldo e il tuo più vecchio | muro che sa Bisanzio ed Aragona, | che sa Svevia ed Angiò, tendi l'orecchio? | Non balena sul Mar Grande né tuona. | Ma sul ferrato cardine il tuo Ponte | gira, e del ferro il tuo Canal rintrona. | Passan così le belle navi pronte, | per entrar nella darsena sicura, | volta la poppa al ionico orizzonte. (da La canzone dei Dardanelli, vv. 1-12)

Le livre secret de Gabriele d'Annunzio et de Donatella Cross[modifica]

  • La via è tacita. S'ode a quando a quando un passo che si dilegua. La stanza dove scrivo ha nella volta la storia di Anchise salvato da Enea, l'incendio di Troia. E guardo quelle figure ch'empirono di strani sogni la mia infanzia. Le ore suonano al campanile di mattone. Si ode lo strepito d'un treno sul ponte. Tutto ha un'eloquenza di rimpianto e di irreparabile perdizione. Chi sa da qual profondità è venuta a me questa notte! (17 marzo 1910, p. 315)
  • Tutto m'intenerisce e tutto mi ferisce qui. Vivo in ogni cosa, e sono ad ogni cosa estraneo. Sento in tutte queste creature il mio medesimo sangue e sono infinitamente lontano da loro. E la vecchia casa è pur sempre impregnata della mia vita puerile se pur ieri ne fossi uscito fanciullo. (17 marzo 1910, p. 315)
  • Eri laggiù, sola sola, come una principessa incantata. Non vivevi se non per attendere il tuo diletto. Abbiamo respirato in realtà il sogno che affatica invano il cuore dei poeti. Tu sola per me solo! Il mondo era lontano. La malattia era una cosa divina, era il nutrimento stesso dell'amore. Mai più non toccheremo una cima, così rimota. Stamani dinanzi alla siepe silenziosa, dinanzi alla casa deserta, ho sentito che la vita si vendicherà di tanta bellezza. Pur creandola, noi medesimi non la conoscevamo pienamente. La conosciamo e la piangiamo ora nel ricordo. (5 ottobre 1910, p. 321)

Notturno[modifica]

Incipit[modifica]

Ho gli occhi bendati. Sto supino nel letto, col torso immobile, col capo riverso, un poco più basso dei piedi. Sollevo leggermente le ginocchia per dare inclinazione alla tavoletta che v'è posata.[50]

Citazioni[modifica]

  • Un prossimo giorno sarà sprofondato nella terra, calato nella fossa, sepolto. Quattro volte remoto. Mi pareva ancor mio, dianzi, se bene difformato. Ora è prigione. Ha con sé le rose su i suoi piedi rotti. Non si potrebbe levare, neppure se il Cristo lo chiamasse. La piastra di piombo lo grava. La saldatura è compiuta, il suggello è perfetto. Ora è là, non più con la nostra aria, con l'aria che io respiro, ma con la sua aria, con l'aria della tomba, con l'aria dell'eternità, che non consumano i suoi polmoni entro le sue costole infrante.[64]

Per la morte di Giuseppe Verdi[modifica]

Incipit[modifica]

Si chinaron su di lui tre vaste fronti | terribili, col pondo | degli eterni pensieri e del dolore: | Dante Alighieri che sorresse il mondo | in suo pugno ed i fonti | dell'universa vita ebbe in suo cuore; | Leonardo, signore | di verità, re dei dominii oscuri, | fissa pupilla a' rai de' Soli ignoti; | il ferreo Buonarroti | che animò del suo gran disdegno in duri | massi gli imperituri figli, i ribelli eroi | silenziosi onde il Destino è vinto. | Vegliato fu da' suoi | fratelli antichi il creatore estinto.

Citazioni[modifica]

  • La melodia suprema della Patria | in un immenso coro | di popoli salì verso il defunto. | Infinita, dal Brènnero al Peloro | e dal Cimino al Catria, | accompagnò nei cieli il figlio assunto.
  • La bellezza e la forza di sua vita, | che parve solitaria, | furon come su noi cieli canori. | Egli trasse i suoi cori | dall'imo gorgo dell'ansante folla.
  • Diede una voce alle speranze e ai lutti. | Pianse ed amò per tutti. | Fu come l'aura, fu come la polla.
  • Nella notte così gli eterni spirti | riconobbero il Grande | cui sceso era pe' tempi il lor retaggio. | Il titano giacea senza ghirlande, | senza lauri né mirti, | sul coronato del suo crin selvaggio.

Trionfo della morte[modifica]

Incipit[modifica]

Ippolita, quando vide contro il parapetto un gruppo di uomini chini a guardare nella strada sottoposta, esclamò soffermandosi:
«Che sarà accaduto?»
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni[modifica]

  • Ecco, io sono vivo, io respiro. Qual è la sostanza della mia vita? Ed in balia di quali forze? Sotto l'impero di quali leggi? Io non mi posseggo, io sfuggo a me stesso, il senso che io ho del mio essere è simile a quello che può avere un uomo il quale, condannato a restare su un piano di continuo ondeggiante e pericolante, senta di continuo a mancargli l'appoggio, dovunque egli posi il piede. Io sono perpetuamente ansioso e neanche la mia ansietà è ben definita. Io non so se sia l'ansietà del fuggiasco inseguito alla calcagna o di chi insegue senza mai raggiungere. Forse l'una e l'altra insieme.
  • La volontà di vivere si ritirava da lui a poco a poco, come il calore abbandona un cadavere. L'esistenza di lei non era per sempre avvelenata?
  • Ha voluto morire per non aver potuto rendere la sua vita conforme al suo sogno.
  • Per me, esiste. Egli ora esiste per me solo.
  • Un amore sano e forte mi potrebbe guarire.
  • C'è sulla Terra una sola ebrezza durevole: la sicurità nel possesso di un'altra creatura, la sicurezza assoluta, incrollabile. Io cerco questa ebrezza. Io vorrei poter dire:- la mia amante, vicina o lontana, non vive se non del pensiero di me; ella è sottomessa con gioia ad ogni mio desiderio, ha la mia volontà per unica legge; s'io cessassi d'amarla, ella morirebbe; spirando ella non rimpiangerà se non il mio amore.
  • Le mille fatalità ereditarie gli impedivano di avvicinarsi all'ideale agognato dal suo intelletto.
  • Io penso che da morta ella raggiungerà la suprema espressione della sua bellezza. Morta!
  • E s'ella morisse? Ella diventerebbe materia di pensiero, una pura idealità. Io l'amerei oltre la vita, senza gelosia, con un dolore pacato ed eguale.
  • Ella è una preziosa amante; è la mia creatura.
  • "L'uno, sempre, è l'ombra dell'altra" egli pensò " Dov'è la Vita è il Sogno; dov'è il Sogno è la Vita".
  • Tutte quelle facoltà mimiche appunto concorrevano a rendere più visibile in lei, per gli occhi di Giorgio, il predominio della vita corporea inferiore.
  • "Il desiderio!" pensò, Giorgio, richiamato così alla sua donna, alla corporale tristezza del suo amore. "Chi ucciderà il desiderio?"
  • "Ella è dunque la Nemica" pensò Giorgio, "Finché vivrà, finché potrà esercitare sopra di me il suo impero, ella m'impedirà di porre il piede su la soglia che scorgo. E come ricupererò io la mia sostanza, se una gran parte è nelle mani di costei? Vano è aspirare a un nuovo mondo, a una vita nuova. Finché dura l'amore, l'asse del mondo è stabilito in un solo essere e la vita è chiusa in un cerchio angusto. Per rivivere e per conquistare, bisognerebbe che io m'affrancassi dall'amore, che io mi disfacessi della Nemica..."
  • Credi nella linea visibile e nella parola proferita. Non cercare oltre il mondo delle apparenze creato dai tuoi sensi meravigliosi. Adora l'illusione.
  • Ella appariva così, la donna di delizia, il forte e delicato strumento di piacere, l'animale voluttario e magnifico destinato ad illustrare una mensa, a rallegrare una mensa, a rallegrare un letto, a suscitare le fantasie ambigue d'una lussuria estetica. Ella così appariva nello splendore massimo della sua animalità: lieta, irrequieta, pieghevole, morbida, crudele.
  • La sua forma è disegnata dal mio desiderio; le sue ombre sono prodotte dal mio pensiero. Ella, quale mi appare in tutti gli istanti, non è se non l'effetto di una mia continua creazione interiore. Ella non esiste se non in me medesimo.
  • Gravis dum suavis!
  • Perché dunque la terribile "volontà" della Specie si ostinava in lui con tanto accanimento a richiedere, a strappare il tributo vitale da quella matrice devastata già dal morbo, incapace di concepire? Mancava alla donna amata il più alto mistero del Sesso.
  • Io mi vestirò delle menzogne che senza fine produrrà il tuo desiderio. Sono più forte del tuo pensiero. L'odore della mia pelle può dissolvere in te un mondo.
  • Egli non riconosceva se non il Trionfo della Vita.
  • "Non aspirava se non ad essere egli medesimo l'eterna voluttà del Divenire..."
  • "Certo" egli pensava "la Musica lo iniziò al mistero della Morte; gli mostrò di là dalla vita un notturno impero di meraviglie." Perché dunque non avrei io la stessa iniziatrice allo stesso mistero. Non era stata, per lui e per Demetrio, la Musica una Religione? Non aveva ad entrambi ella rivelato il mistero della vita suprema?
  • Ricostruì quel meraviglioso Tempio della Morte. "Datemi una maniera nobile di trapassare! Che la Bellezza distenda uno de' suoi veli sotto il mio ultimo passo! Questo soltanto imploro al mio Destino."

Più che l'amore[modifica]

  • Non soffro perché tu mi abbia mentito, ma perché non posso più crederti.

Incipit di alcune opere[modifica]

Cabiria: Visione storica del terzo secolo A. C.[modifica]

È IL VESPERO. GIÀ SI CHIUDE LA TENZONE DEI CAPRAI, CHE LA MUSA DORICA ISPIRA SU I FLAUTI DISPARI « A CUI LA CERA DIEDE L'ODOR DEL MIELE ». E BATTO RITORNA DAI CAMPI ALLA CITTÀ, AL SUO GIARDINO DI CATANA IN VISTA DELL'ETNA.

Elegìe Romane[modifica]

Quando (al pensier, le vene mi tremano pur di dolcezza)
io mi partii, com'ebro, da la sua casa amata,
su per le vie che ancora fervean de l'estreme diurne
opere, de' sonanti carri, de' rauchi gridi,
tutta sentii dal cuore segreto l'anima alzarsi
cupidamente, e in alto, sopra le anguste mura,
fendere l'ignea zona che il vespro d'autunno per cieli
umidi, tra nuvole vaste, accendea su Roma.

Forse che sì, forse che no[modifica]

«Forse,» rispondeva la donna quasi protendendo il sorriso contro il vento eroico della rapidità, nel battito del suo gran velo ora grigio ora argentino come i salici della pianura fuggente. [...]
«Vi prendete gioco di me?»
«Tutto è gioco.»
Il furore penetrò nel petto dell'uomo chino sul volante della rossa macchina precipitosa...
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Il ferro[modifica]

La voce: Mortella, Mortella, sei là?
Mortella: Oh, la Rondine!

Il fuoco[modifica]

Incipit[modifica]

– Stelio, non vi trema il cuore, per la prima volta? – chiese la Foscarina con un sorriso tenue, toccando la mano dell'amico taciturno che le sedeva al fianco.
– Vi veggo un poco pallido e pensieroso. Ecco una bella sera di trionfo per un grande poeta!
Uno sguardo le adunò negli occhi esperti tutta la bellezza diffusa per l'ultimo crepuscolo di settembre divinamente, così che in quell'animato cielo bruno le ghirlande di luce che creava il remo nell'acqua da presso cinsero gli angeli ardui che splendevano da lungi su i campanili di San Marco e di San Giorgio Maggiore.

Isaotta Guttadàuro ed altre poesie[modifica]

Mentre Lucrezia Borgia, in nuziale
pompa, venìa con piano
incedere (la veste lilïale
risplendea di lontano)
tra i cardinali principi in vermiglia
cappa, che con ambigui
sorrisi riguardavano la figlia
de ’l papa,—ne’ contigui
atrj i coppieri, adolescenti flavi
che rispondeano a un nome
sonoro ed arrossian come soavi
fanciulle ed avean chiome
lunghe, i coppieri d’Alessandro sesto
tenean coppe d’argento
entro la man levata, e con un gesto
d’umiltà grave e lento
offeriano a le molte inclite dame
le rose ed i rinfreschi.

L'allegoria dell'autunno[modifica]

Il munifico sire Autunno, il dio
cui non più la matura uva compone
intorno il nero crin cerchio d'oblío
né come al fauno del selvaggio Edone
alto in man brilla il cembalo giulío

La fiaccola sotto il moggio[modifica]

Donna Aldegrina — Annabella, Annabella, non senti come tremano le mura? Che è mai questa romba? La casa crolla?
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

La figlia di Iorio[modifica]

Nella terra d'Abruzzi, or è molt'anni.
Atto Primo
Scena Prima
Splendore, Favetta e Ornella, le tre sorelle, saranno in ginocchio davanti alle tre arche del corredo nunziale, chine a scegliere le vestimenta per la sposa. La loro fresca parlatura sarà quasi gara di canzoni
a mattutino
.
SPLENDORE: Che vuoi tu, Vienda nostra?
FAVETTA: Che vuoi tu, cognata cara?
SPLENDORE: Vuoi la veste tua di lana?
o vuoi tu quella di seta
a fioretti rossi e gialli?
ORNELLA: cantando
Tutta di verde mi voglio vestire, tutta di verde per Santo Giovanni,
ché in mezzo al verde mi venne a fedire...
Oilì, oilì, oilà!
SPLENDORE: Ecco il busto dei belli ricami
con la sua pettorina d'argento,
la gonnella di dodici téli,
la collana di cento coralli
che ti diede la madre tua nova.
ORNELLA: cantando
Tutta di verde la camera e i panni.
Oilì, oilì, oilà!

La Gioconda[modifica]

Appariscono su la soglia della prima porta Silvia Settala e Lorenzo Gaddi il vecchio, avanzandosi l'una a fianco dell'altro, entrando insieme nella freschezza primaverile.
Silvia Settala: Ah, sia benedetta la vita! Per aver sempre tenuta accesa una speranza, oggi io posso benedire la vita.
Lorenzo Gaddi: La vita nuova, cara Silvia, buona creatura coraggiosa, così buona e così forte! La tempesta è passata. Ecco che Lucio ritorna a voi, pieno di riconoscenza e di tenerezza, dopo tanto male. Sembra ch'egli rinasca. Dianzi aveva gli occhi d'un bambino.

Le novelle della Pescara[modifica]

Il Viatico uscì dalla porta della chiesa a mezzogiorno. Su tutte le strade era la primizia della neve, su tutte le case la neve. Ma in alto grandi isole azzurre apparivano tra le nuvole nevose, si dilatavano sul palazzo di Brina lentamente, s'illuminavano verso la Bandiera. E nell'aria bianca, sul paese bianco appariva ora subitamente il miracolo del sole.
Il viatico s'incamminava alla casa di Orsola dell'Arca. La gente si fermava a veder passare il prete incedente a capo nudo, con la stola violacea, sotto l'ampio ombrello scarlatto, tra le lanterne portate dai clerici accese. La campanella squillava limpidamente accompagnando i Salmi sussurrati dal prete. I cani vagabondi si scansavano nei vicoli al passaggio. Mazzanti cessò di ammucchiare la neve all'angolo della piazza e si scoprì la zucca inchinandosi. Si spandeva in quel punto dal forno di Flaiano nell'aria l'odore caldo e sano del pane recente.

Le vergini delle rocce[modifica]

Io vidi in questi occhi mortali in breve tempo schiudersi e splendere e poi sfiorire e l'una dopo l'altra perire tre anime senza pari: le più belle e le più ardenti e le più misere che sieno mai apparse nell'estrema discendenza d'una razza imperiosa.
Su i luoghi dove la loro desolazione, la loro grazia e il loro orgoglio passavano ogni giorno, io colsi pensieri lucidi e terribili che le antichissime rovine delle città illustri non mi avevano mai dato.

San Pantaleone[modifica]

La gran piazza sabbiosa scintillava come sparsa di pomice in polvere. Tutte le case a torno imbiancate di calce avevano una singolare luminosità metallica, parevano come muraglie d'una immensa fornace presso ad estinguersi. In fondo, i pilastri di pietra della chiesa riverberavano l'irradiamento delle nuvole e si facevano rossi come di granito; le vetrate balenavano quasi contenessero lo scoppio d'un incendio interno; le figurazioni sacre prendevano un'aria viva di colori e di attitudini; tutta la mole ora, sotto lo splendore del nuovo fenomeno crepuscolare, assumeva una più alta potenza di dominio su le case dei Radusani.

Citazioni su Gabriele D'Annunzio[modifica]

  • A D'Annunzio non interessa trasmettere alcunché, vuole solo costruire delle strutture e per costruire saccheggia la totalità del vocabolario italiano. (Giorgio Manganelli)
  • Avrei una sola domanda da farvi in risposta alla vostra lettera: perché mi parlate così? Voi "maestro di vita"… siete così inesperto nell'interpretare gli atteggiamenti e i gusti delle donne che incontrate? E allora vi parlerò chiaramente: desidero di essere lasciata alla mia solitudine che mi è cara, che mi è rifugio.
    No, Maestro, non voglio essere il vostro grande amore e non voglio cullare la vostra anima al ritmo musicale del mio canto. Non amo cantare. Amo i cavalli, i cani, la caccia, e tutte le cose che mi mettono in condizione di provare agli uomini che non tutte le donne sono animali da preda. Nella nostra ultima passeggiata mi avete chiamata "Nike", e nella vostra lettera mi chiamate ancora così. Perché? Quale vittoria rappresento io? La Vostra o la mia? Ditemi in che modo avete riportato una vittoria su me; ditemi su chi o su che cosa ho io riportato una vittoria. Ho piuttosto la sensazione di aver subito una sconfitta... (Alessandra Carlotti di Rudinì)
  • D'Annunzio è come un dente guasto: o lo si estirpa o lo si ricopre d'oro. (Benito Mussolini)
  • D'Annunzio è sempre meraviglioso di energia vitale e di entusiasmo. Pensate che mi fece «volare» sul suo diabolico motoscafo da Desenzano a Gardone: pareva che il vento mi strappasse la pelle. (Paul Valéry)
  • D'Annunzio è stato una creazione masmediatica del sistema di allora, non sarebbe mai esistito al di fuori dell'apparato del potere del momento, e infatti, caduto il sistema, caduta la fortuna di D'Annunzio, che nessuno legge più, malgrado le volte che si è tentato di farlo resuscitare. (Aldo Busi)
  • D'Annunzio era un uomo per tutte le stagioni. Però era percepito come l'alfiere della destra, il classico arci-italiano che ogni tanto si officia a dominare la storia d'Italia. Era la speranza di nazionalisti, fascisti, sindacalisti rivoluzionari. I suoi legionari erano politicamente assai ibridi, riflettevano tutto lo spettro della destra e della sinistra dell'epoca. E il Comandante era bravissimo ad accontentare tutti: sublime istrione, cesellatore della parola, monumento letterario, fascinatore e trascinatore, fegataccio, donnaiolo, eroe di guerra, era un Benito Mussolini con minor intuito politico ma armato della magia del verso asclepiadeo[65]. (Guido Gerosa)
  • D'Annunzio non lascia mai deteriorare un amore, lo interrompe sempre prima, quando si accorge che non alimenta più la sua creatività. È questa la differenza con Don Giovanni. Don Giovanni colleziona successi in competizioni amorose, mentre D'Annunzio usa l'amore come fonte di creatività artistica. Egli continua la relazione in base a questo solo criterio. Nel momento in cui si accorge che quell'amore non alimenta più il suo genio, rompe e cerca subito un altro amore. Così si conserva del primo il sapore, il desiderio, che trasferisce immediatamente alla nuova persona che gli appare più evocativa, più stimolante. E si butta nella avventura totalmente, anima e corpo, senza risparmiarsi, ma avendo sempre in mente con estrema chiarezza che il fine dell'amore, il suo senso, non è la creazione di una coppia, o di una famiglia, o di qualsivoglia altra cosa, ma solo la creazione artistica. Quando scoppierà la Prima guerra mondiale vi si butterà fino in fondo, come se fosse un altro amore, l'ultimo. (Francesco Alberoni, in Sesso e Amore)
  • D'Annunzio un alto familiare che arricchì la nostra vita di miti poetici e alate illusioni. E se il Dannunzianesimo fu un nemico da vincere, noi, per una poesia che ci aiutò a vivere, dimentichiamo tutto quel che è terrestre: diciamo gloria a D'Annunzio e alla innocenza poetica che riscattò il limo di Adamo. (Francesco Flora)
  • Della noia e dell'ammirazione stupefatta per quel Cagliostro militarizzato della letteratura che fu d'Annunzio (Italia novecentesca al cubo) oggi non mi resta che la noia. Fiume meritava più navi e commerci che puttanieri in stivali e "alalà". (Enzo Bettiza)
  • Gabriele D'Annunzio, piccolo e debole, sgambetta apparentemente timido davanti al conte Oldofredi, una delle persone più importanti del comitato. (Franz Kafka)
  • Il gran male di d'Annunzio è stato circondarsi di gente meschina e piccola che, vicino a lui, ascoltando lui, si credeva subito geniale, divina infallibile. (Ugo Ojetti)
  • L'arte del D'Annunzio è un'avventura del nostro spirito, la più frusciante di sete, la più densa di profumi; di tutte la più sterile ed amara. (Giuseppe Antonio Borgese)
  • L'unico rivoluzionario in Italia. (Lenin)
  • L'uomo che piace alle donne è quello che racconta e ascolta. Gabriele D'Annunzio era basso, pelato, eppure ha avuto le dive e contesse più belle. (Emmanuele Jannini)
  • Ritengo che i tre scrittori dell'Ottocento naturalmente dotati di maggior ingegno fossero d'Annunzio, Kipling, Tolstoi. (James Joyce)
  • [Sull'impresa di Fiume]
    Si deve dire che ci fu un uomo il quale prese ad un tratto in pugno tutto il destino dell'impresa. Fu il gigante che inarcò le spalle a sorreggere il peso immane di uno sforzo pauroso: quello necessario ad impugnare un revolver ed a spianarlo contro la fronte di un altro uomo, per la fulminea eliminazione dell'ostacolo insormontabile.
    — Occorrono i camions? — interrogò egli.
    — Per l'appunto.
    — E vi disperate perché non ci sono?
    — Precisamente.
    — Allora, fermi tutti. Ci penso io!
    Non disse altro. Non chiese nulla. Non esitò un istante. Balzò in automobile e si precipitò a rotta di collo verso Palmanova. [...]
    Furono a un tratto faccia a faccia: quegli che voleva i camions e quegli che doveva darli. Due capitani. Due italiani. [...]
    Alla breve luce di una lampada, entro l'angusto spazio di una cameretta uso baracca, la polemica fu subito troncata da un gesto di minaccia. L'ufficiale di d'Annunzio sollevò il pugno armato di rivoltella all'altezza di quella fronte curva nel diniego inesorabile. E le parole della intimazione furono scandite nel silenzio con la voce tronca che mozza il respiro.
    — O tu cedi o io sparo!
    L'altro impallidì. Poi disse:
    — Cedo alla violenza.
    Non si sentiva di morire per 40 camions. E poi, quegli che lo fronteggiava non era un austriaco. Gli brillavano sul petto tre medaglie d'argento. E coteste tre medaglie ne aspettavano un'altra: d'oro. Era dunque un eroe autentico. Ed era precisamente il capitano degli arditi Ercole Miani, triestino, conquistatore del Vodice. (Piero Belli)
  • Un altro poeta, il D'Annunzio, ha intuito l'essenza artistica della Gioconda facendo parlare l'artista stesso: «Dell'infinito feci i miei sorrisi». È bellissimo! È la più giusta e intelligente interpretazione dell'arte di Leonardo. (Matteo Marangoni)
  • Un fenomeno che neppure la critica di Croce riuscì ad esorcizzare fu il fascino morboso esercitato dalla prosa e dalla poesia di Gabriele D'Annunzio. Fu questi un uomo che condusse una vita voluttuosa e stravagante, quasi sempre immerso nei debiti, alla ricerca costante di quanto risultasse spettacolare. Portava ogni cosa all'eccesso, rincorrendo sempre nuove esperienze e nuove follie, ansioso di superare chiunque altro in tutto, con più alte velocità, più forti passioni, una più sconcertante vita privata, più violente offese alle convenzioni. (Denis Mack Smith)

Henry de Montherlant[modifica]

  • Il Notturno è un bel libro, e spesso un bellissimo libro. È disuguale, ma quale libro non è disuguale? Bisogna sfrondarlo, ma quale scrittore non è da sfrondare? L'occhio e l'orecchio del poeta raccolgono gli infinitamente piccoli più sottili: la sua memoria li registra; la sua fantasia li trasfigura e li amplifica. Nessun poeta ha più continuamente trasfigurato il reale. Egli stesso parla del suo «senso magico della vita». È proprio questo. E ha osservato come la perdita di un occhio avesse provocato in lui una prodigiosa affluenza di immagini. È stato, credo, il Notturno ad insegnarmi l'attenzione minuziosa e la precisione meticolosa che sono la base dell'arte stessa più trasfiguratrice.
  • Non devo essere molto coraggioso poiché, nei momenti in cui cedevo, ho sempre cercato di rinfrancarmi rievocando il coraggio di un altro. Tutte le filosofie dell'antichità greca e romana – e dopo esse gli italiani del Rinascimento – sono tornate senza falsa vergogna su questo precetto dell'imitazione: immagina quello che avrebbe fatto il tal saggio o il tale eroe, nella circostanza in cui ti trovi, e cerca di fare come lui. [...] Ebbene, ammesso che qual cosa di lui gli sopravviva – ed è per poesia che lo supponiamo – il «fiumiste» può dire a se stesso che c'è almeno uno che, più di un mezzo secolo dopo quei minuti del 13 settembre 1916, rivolge l'animo ad essi quando sente il bisogno di trarsi fuori da una delle sue crisi di debolezza.
  • Si vede sempre D'Annunzio come un uomo che mette in mostra i bicipiti. E Dio sa quanto lo ha fatto. È anche un uomo che ha sofferto, e questo non si vuole né vederlo né dirlo. Sofferto della propria ferita, ma di ciò non parliamo. Sofferto per la morte dei suoi compagni di guerra, e pare che questa sofferenza, da lui descritta, non sia né finta né esagerata.

Filippo Tommaso Marinetti[modifica]

  • Bisogna ad ogni costo combattere Gabriele d'Annunzio, perché egli ha raffinato con tutto il suo ingegno, i quattro veleni intellettuali che noi vogliamo assolutamente abolire:
1º la poesia morbosa e nostalgica della distanza e del ricordo; 2º il sentimentalismo romantico grondant di chiaro di luna, che si eleva verso la Donna-Bellezza ideale e fatale; 3º l'ossessione della lussuria, col triangolo dell'adulterio, il pepe dell'incesto e il condimento del peccato cristiano; 4º la passione professorale del passato e la mania delle antichità e delle collezioni.
  • Nei suoi versi c'è una triplice fonte di suoni, di profumi e colori che immergono il lettore in una riserie meravigliosa di cui si potrebbe trovare l'equivalente soltanto riunendo le qualità speciali di un Baudelaire, di un Verlaine, di uno Shelley, di uno Swinburne.
  • Una violenta simpatia mi obbliga sempre ad ammirare in lui il prestigioso seduttore, l'ineffabile discendente di Casanova e Cagliostro e di tanti avventurieri italiani, di cui restano leggendari l'astuzia, il coraggio vittorioso e l'infaticabile strategia diplomatica.
  • Un Montecarlo di tutte le letterature.

Aldo Palazzeschi[modifica]

  • Con amore ascetico ricordo le mete di quei giorni | ancora miei, non seppelliti dall'oblio: | San Clemente e la Madonna del Sasso, | Montiloro e il Castello del Trebbio | Montesenario San Gersolè l'Incontro... | E dove incontravo Gabriele D'Annunzio | del suo tempo più bello, | faceva le strade che facevo io | sul suo cavallo che si chiamava Malatesta | seguito da un levriero che si chiamava Sirio, | e che guardavo dal basso | come si guarda un monumento: | pareva che la storia passasse sopra di me | che di storia m'interessavo così poco.
  • Io, D'Annunzio non l'ho mai conosciuto, e pensare che i miei genitori avevano una villa a trecento metri dalla Capponcina. Ma a quel tempo noi non lo si amava D'Annunzio: si amava tanto da sé che non aveva bisogno del nostro amore. Noi si amava Pascoli. Ma adesso sì che lo amo. Nell'Alcyone ci sono cose bellissime, specie quelle fiorentine: Lungo l'Affrico, La sera fiesolana.
  • Nell'estate del 1898 [...] apparve un uomo a cavallo, seguito da un levriero elegante ed agilissimo. Era vestito di bianco e portava il cappello a grande tesa. Non andava che a cavallo inoltrandosi per stradine impervie, inerpicandosi fra i sassi e i dirupi del Crocifissalto e di Bargazzano, fin sulla cima dei monti che sovrastando la collina guardano al Mugello: [...] chiamando ogni tanto il bel levriero, Sirio, per frenarne la nobile impazienza e l'avventuroso ardimento, ma non con voce di padrone autoritaria, calda bensì come quella di un amico.

Mario Praz[modifica]

  • L'abito dannunziano di costruirsi tutto dall'esterno, cercando se stesso negli altri, appropriandosi e riducendo a un comune denominatore le diverse fonti [...] ha fatto sì che l'opera complessiva del poeta presenti l'aspetto d'una monumentale enciclopedia del decadentismo europeo. Qualcosa di simile aveva tentato il Wilde, ma il Wilde, mimetico passivo, non possedeva il potere dannunziano di dare unità alla vasta macchina. Questo potere dannunziano, che poi è la stessa cosa della sua ispirazione, è null'altro che la «carnalità di pensieri», il dono di conferire a ogni pensiero «un peso di sangue», il dono del Verbo, che il D'Annunzio possiede a un grado per lo meno eguale del grande francese che gli fa riscontro per il periodo anteriore, Victor Hugo. A voler compendiare in una formula Hugo è il D'Annunzio del romanticismo, D'Annunzio il Victor Hugo del decadentismo.
  • Moravia e Pasolini erano di una negatività che passava tutti i limiti. Come se d'Annunzio avesse fatto loro dei dispetti personali. L'avevano letto o no? Moravia disse che l'aveva letto con Bertolucci, il figliuolo del poeta, poeta anche lui. Diceva: "L'ho letto. Va tutto a pezzi. Non resta niente. Non è un poeta. È un letterato e per giunta di pessimo gusto". Ora, francamente, come lo leggevano? Se lo leggevano in quel tono, allora anche Petrarca diventa niente. Se uno legge l'Alcyone con il tono di Moravia [...] Pasolini disse: "L'unica cosa bella che ha scritto d'Annunzio è quando vide Pascoli per di dietro e osservò la nuca". Era molto pasoliniana questa osservazione [...] In quale caso della letteratura italiana è successo qualcosa di simile? A che cosa attribuirlo? Circostanze politiche, no, perché quel comportamento era cominciato molto prima. Magari da quella reazione futurista che voleva demolire tutto quello che era passato. Insomma, io credo che d'Annunzio sia il capro espiatorio di qualcosa. Di che cosa precisamente?
  • Sontuoso personaggio araldico, re di fiori o di picche (o di tutt'e due) [...] mescolato per un caso strano nel mazzo bonario delle carte italiane, carte borghesi e popolane, coppe, bastoni, denari, spade.
  • Una reazione allo stile dannunziano poteva essere legittima ai tempi del futurismo, ma oggi l'ostilità polemica degli scrittori verso d'Annunzio mi pare pecchi non d'avanguardismo, ma di passatismo.

Note[modifica]

  1. Citato in Lina Sacchetti, L'arte di Fabio Tombari e i giovani, Pellegrini Editore, p. 98.
  2. Dedica apposta al romanzo Il piacere donato a Lina Cavalieri, citato in Nel ricordo di Lina, calendario 2014 stampato dal Comune di Onano in celebrazione del 70° anniversario della scomparsa della soprano e attrice.
  3. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 621
  4. Da La Nave, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 504.
  5. Da Ave sorella.
  6. a b c Da una lettera ad Alessandra Carlotti di Rudinì; citato in Gigi Moncalvo, Alessandra Di Rudinì. Dall'amore per D'Annunzio al Carmelo, Edizioni Paoline, 1994.
  7. Dall'Arringa al popolo di Roma in tumulto, la sera del XIII maggio MCMXV, in Per la più grande Italia, pp. 73-74.
  8. Citato in Giammarco Menga, D'Annunzio: il Vate armato], Focus Storia, n. 156, 7 ottobre 2019.
  9. Sul lago di Nemi (Villa Cesarini), Elegie Romane, Zanichelli, Bologna, 1892, libro II, p. 33.
  10. Da Fiore fiurelle, in Terra vergine, citato in Giorgio Caproni, Il Girasole. Una rubrica radiofonica, a cura di Giada Baragli, Firenze University Press, Firenze, 2017, p. 69.
  11. Grido di guerra del 7 agosto 1917, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 616.
  12. da Solus ad Solam.
  13. a b Citato in Lucy Napoli Prario, Tre abiti bianchi per Alesandra, Mondadori, 1966.
  14. Gabriele D'Annunzio, Scritti giornalistici, a cura di A. Andreoli, vol. I, Milano 1996, pp. 481- 483.
  15. Recensione del dipinto di Luigi Toro, La morte di Pilade Bronzetti a Castel Morrone, pubblicata sul quotidiano romano La Tribuna.
  16. Da Le vergini delle rocce, Mondadori.
  17. Da Il fuoco, Mondadori.
  18. Dall'articolo L'ultimo romanzo, 25 maggio 1888, rubrica Cronaca letteraria, La Tribuna; citato in Alighiero Castelli (a cura di), Pagine disperse; cronache mondane, letteratura, arte, Bernardo Lux, Roma, 1913, pp. 503-504.
  19. Citato in G. Prezzolini, Intervista sulla Destra, a cura di C. Quarantotto, Edizioni del Borghese, 1978.
  20. Motto inciso sull'ingresso del Vittoriale; citato anche in Vitaliano Brancati, Paolo il caldo.
  21. 25 agosto 1922, da Siamo spiriti azzurri e stelle: diario inedito (17-27 agosto 1922), Giunti, 1995.
  22. Da una lettera a Emilio Treves, 1896; citato in Guglielmo Gatti, Vita di Gabriele d'Annunzio, Sansoni.
  23. Da Forse che sì forse che no.
  24. La Testa di Ferro, giornale del Fiumanesimo, n. 25, Milano, 29 agosto 1920, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 648.
  25. Citato in Marco Pastonesi e Giorgio Terruzzi, Palla lunga e pedalare, Dalai Editore, 1992, p. 47. ISBN 88-8598-826-2.
  26. Citato in Dizionario mondiale di Storia, Rizzoli Larousse, Milano, 2003, p. 294. ISBN 88-525-0077-4
  27. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 735.
  28. Da Retro Porta Pia.
  29. Citato in Cristina Campo, Gli imperdonabili, quinta edizione, Adelphi, Milano, maggio 2002. ISBN 88-459-0256-0, p. 103.
  30. Da Forse che sì forse che no, Ed. L'Oleandro.
  31. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 623.
  32. Da Il fuoco; Citato in Giuliana Andreotti, Lo spazio acquatico trentino-tirolese, saggio presente in I Quattro Elementi in Trentino Alto Adige Tirolo Acqua, Terra Ferma, Vicenza, 2006, p. 30. ISBN 88-85341-10-1
  33. Citato in Francesco Bruno, Il Decadentismo in Italia e in Europa, a cura di Elio Bruno, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1998, p. 103. ISBN 88-8114-727-0
  34. Citato in Dino Basili, L'amore è tutto, Tascabili economici newton, febbraio 1996, p. 15.
  35. Da Le vergini delle rocce.
  36. Da Per la grande Italia, orazioni e messaggi, Milano, 1915, p. 32.
  37. Motto scritto nelle bottiglie lanciate nelle acque di Buccari il 10 febbraio 1918); citato in Paola Sorge, Motti dannunziani, Newton Compton editori, Roma, 19941.
  38. Dall'orazione funebre per Francesco Baracca pronunciata a Quinto di Treviso il 26 giugno 1918. [1]
  39. Da Il piacere, libro I, cap. II, 1889; citato in L'opera completa di Piero di Cosimo, introdotta e coordinata da Mina Bacci, Rizzoli, Milano, 1976, p. 12.
  40. Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Vol. I, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1970, p. 130.
  41. 1918, dai Taccuini, Mondadori; citato in Roberto Gervaso, La volpe e l'uva.
  42. Scritta durante il tragitto in mare da Venezia a Buccari. Desumendola direttamente dall'acronimo MAS, il poeta intendeva rendere omaggio con tale frase allo strumento bellico denominato Motoscafo Anti Sommergibile – derivato dalla Motobarca Armata SVAN – in uso nella prima guerra mondiale. Questo tipo di imbarcazione sarà poi impiegato in maniera massiccia durante la seconda guerra mondiale. La scritta Memento Audere Semper è posta sull'edificio del Vittoriale degli italiani (a Gardone Riviera) che ospita il MAS 96, usato da Gabriele d'Annunzio durante la Beffa di Buccari. Ne La beffa di Buccari (1918) d'Annunzio scrive: «Non torneremo indietro. Memento Audere Semper leggo su la tavoletta che sta dietro la ruota del timone: il motto composto poco fa, le tre parole dalle tre iniziali che distinguono il nostro Corpo [MAS]. Il timoniere ha trovato subito il modo di scriverle in belle maiuscole, tenendo con una mano la ruota e con l'altra la matita. Ricordati di osar sempre».
  43. Da Elegie Romane, Congedo, L'Oleandro.
  44. Da Il ferro, Treves.
  45. Da Canzone del Quarnaro, in "La Beffa di Buccari con aggiunti la Canzone del Quarnaro, il Catalogo dei Trenta di Buccari", Milano, 1918.
  46. Dall'atto di donazione del Vittoriale degli Italiani.
  47. Citato in Giordano Bruno Guerri, Filippo Tommaso Marinetti, Mondatori, Milano, 2010, p. 54. ISBN 978-88-04-59568-7
  48. Citato in Félicien Marceau, Equilibrio dello spirito in un classico moderno, La Fiera Letteraria, anno VI, n. 45, 25 novembre 1951, p. 3.
  49. Da Memorie scritte da lui medesimo, XV.
  50. a b Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  51. Da La violante dalla bella voce, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1970, p. 37.
  52. Da Vittoria nostra, non sarai mutilata, v. 63.
  53. Da una lettera a Benito Mussolini; citato in Renzo De Felice, Mussolini: Il rivoluzionario, Einaudi, Torino, 1965, p. 560.
  54. Da Il libro del governo, 4681; citato in Tom Holland, Millennium. La fine del mondo e la nascita della cristianità, traduzione di M. E. Morin, Il Saggiatore, 2010, p. 106. ISBN 8842815535
  55. Cfr. Gabriele D'Annunzio, Contro uno e contro tutti, Presso la Fionda, Roma, 1919, p. 69.
  56. Cfr. Il Carroccio, Vol. XIII, n. 6, giugno 1921, p. 665.
  57. Citato in Gaetano Cingari, Reggio Calabria, Laterza, 1988 e Michele D'Innella, Calabria – Guida del Touring Club Italiano, Touring Editore, 1998. ISBN 88-365-1256-9, ISBN 978-88-365-1256-0
  58. Cfr. Agazio Trombetta, La via marina di Reggio: il volto e l'anima tra passato e presente, Culture, Reggio Calabria, 2001 e E Nando Martellini lanciò il più bel chilometro d'Italia. D'Annunzio? Mai messo piede a Reggio, ZOOMsud.it, 12 aprile 2011.
  59. Sommaruga, Roma, 1883, pp. 87-88.
  60. Sono i versi conclusivi del poemetto L'immortalità, pubblicato dal Pascoli prima col titolo Il poeta e l'astrologo nel suo scritto Pensieri scolastici (su La Rassegna scolastica, 16 dicembre 1896), quindi riscritto e incluso, in altra forma, nei Poemetti e, successivamente, nei Primi poemetti.
  61. Possedere, non essere posseduto.
  62. Da L'innocente, Mondadori.
  63. Da Alle Pleiadi e ai Fati, Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, XIII, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1986, p. 731.
  64. Gabriele D'Annunzio, Notturno, Fratelli Treves, Milano, 1921, pag. 88.
  65. da Asclepiade di Samo (ante 310 a.C.–...), poeta greco antico.

Bibliografia[modifica]

  • Gabriele D'Annunzio, Alcione, a cura di Ilvano Caliaro, Einaudi, Torino, 2010. ISBN 978-88-06-20324-5
  • Gabriele D'Annunzio, Breviario mondano, a cura di Paola Sorge, Mondadori, Milano, 1994. ISBN 88-04-38042-X
  • Gabriele D'Annunzio, Cabiria: Visione storica del terzo secolo A. C., Itala Film Torino, 1914.
  • Gabriele D'Annunzio, Contemplazione della morte, Opere Scelte, Arnoldo Mondadori Editore, 1966.
  • Gabriele D'Annunzio, Elegìe Romane, Zanichelli, 1892.
  • Gabriele D'Annunzio, Il ferro, Treves, 1914.
  • Gabriele D'Annunzio, Il fuoco, Fratelli Treves, Milano, 1900.
  • Gabriele D'Annunzio, Il libro delle vergini, Casa Editrice A. Sommaruga e C., Roma, 1884.
  • Gabriele D'Annunzio, Il piacere, Treves, Milano, 1894.
  • Gabriele D'Annunzio, Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, La Tribuna, 1886.
  • Gabriele D'Annunzio, L'allegoria dell'autunno. Omaggio offerto a Venezia, Paggi, 1895.
  • Gabriele D'Annunzio, La città morta, 1896 (pubbl. 1898).
  • Gabriele D'Annunzio, Le livre secret de Gabriele d'Annunzio et de Donatella Cross, a cura di Pierre Pascal, Edizioni letterarie "Il Pellicano", Padova, 1947.
  • Gabriele D'Annunzio, La figlia di Iorio, BMM, 1957.
  • Gabriele D'Annunzio, La Gioconda, Treves, 1922.
  • Gabriele D'Annunzio, Le novelle della Pescara, BMM, 1959.
  • Gabriele D'Annunzio, Le vergini delle rocce, BMM, 1957.
  • Gabriele D'Annunzio, Maia, Elettra, Alcyone, Merope, in Laudi, in Versi d'amore e di gloria, vol. II, Mondadori Meridiani, Milano, 2004.
  • Gabriele D'Annunzio, Per la morte di Giuseppe Verdi; citato in Stefano Verdino, Giuseppe Verdi. Un coro e terminiam la scena, Poesia, anno XIV, maggio 2001, n. 150, Crocetti Editore.
  • Gabriele D'Annunzio, Per la più grande Italia: orazioni e messaggi, Fratelli Treves, Milano, 1915.
  • Gabriele D'Annunzio, San Pantaleone, G. Barbèra editore, 1886.
  • Gabriele D'Annunzio, Versi d'amore e di gloria, Mondadori, 1982.

Voci correlate[modifica]

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