Fabrizio De André

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Fabrizio De André

Fabrizio Cristiano De André, noto semplicemente come Fabrizio De André (1940 – 1999), cantautore italiano.

Citazioni di Fabrizio De André[modifica]

  • A cantare solo con la chitarra proverei la stessa sensazione che a mettermi alla pecorina nella fontana di De Ferrari a mezzogiorno.[fonte 1]
  • Benedetto Croce diceva che fino all'età dei diciotto anni tutti scrivono poesie. Dai diciotto anni in poi, rimangono a scriverle due categorie di persone: i poeti e i cretini. E quindi io precauzionalmente preferirei considerarmi un cantautore.[fonte 2]
  • C'è chi è toccato dalla fede e chi si limita a coltivare la virtù della speranza [...], il Dio in cui, nonostante tutto, continuo a sperare, è un'entità al di sopra delle parti, delle fazioni.[fonte 3]
  • Cantavo imitando Modugno e d'altronde come si poteva non subire la sua influenza?[fonte 4]
  • Caro Andrea, ti sono amico perché sei l'unico prete che non mi vuole mandare in paradiso per forza.[fonte 5]
  • Dal punto di vista della qualità, a parte il devastante spettacolo delle aree suburbane, la vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattro mila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso. I sardi a mio parere deciderebbero meglio se fossero indipendenti all'interno di una comunità europea e mediterranea.[fonte 6]
  • Dopo che ci si prende a schiaffi per dieci anni o si diventa amici o ci si ammazza.[fonte 7]
  • Durante il rapimento mi aiutò la fede negli uomini, proprio dove latitava la fede in Dio. Ho sempre detto che Dio è un'invenzione dell'uomo, qualcosa di utilitaristico, una toppa sulla nostra fragilità... Ma, tuttavia, col sequestro qualcosa si è smosso. Non che abbia cambiato idea ma è certo che bestemmiare oggi come minimo mi imbarazza.[fonte 8]
  • Durante la guerra ero sfollato in Piemonte e per me Genova era un mito, qualcosa di straordinario. Quando a cinque anni la vidi per la prima volta me ne innamorai subito, tremendamente e alla prima partita della mia vita, Genoa-Sampierdarenese, sposai subito la squadra che portava il nome della mia città. Un amore che non ho mai tradito, il più solido della mia vita fatta di contraddizioni continue.[fonte 9]
  • E poi a un tratto l'amore scoppiò dappertutto.[fonte 10]
  • [Genova] [...] è sempre stata così [multirazziale] fin dal Medioevo. Vorrei dire come Sarajevo. Già cinque secoli fa nessuno faceva caso se qualcuno portava il turbante. Genova è nata e cresciuta nel rispetto delle varie religioni. Non c'è mai stato un ghetto. La Chiesa ha avuto poco potere e anche l'Inquisizione. Non è mai esistita una sala della tortura a Palazzo Ducale. Non credo che fosse tanto una vocazione illuministica, quanto la necessità di aprirsi a tutti per interessi commerciali. I carugi son pieni di marocchini? Per Genova non è una novità.[fonte 11]
  • Genova è anche gli amici vivi che da lontano ti vedono crescere e invecchiare, per esempio i pescuèi che, proprio come ne Il pescatore, hanno la faccia solcata da rughe che sembrano sorrisi e qualsiasi cosa tu gli confidi, l'hanno già saputa dal mare.[fonte 12]
  • Genova è bella, ti accorgi che è bella quando sei lontano.[fonte 13]
  • Genova è una città a vocazione democratica e liberale. È tollerante perché da sempre fa affari con tutti senza badare alla lingua, ai costumi, all'abbigliamento o al colore della pelle.[fonte 11]
  • Genova per me è come una madre. È dove ho imparato a vivere. Mi ha partorito e allevato fino al compimento del trentacinquesimo anno di età: e non è poco, anzi, forse è quasi tutto. Oggi a me pare che Genova abbia la faccia di tutti i poveri diavoli che ho conosciuto nei suo carruggi, gli esclusi che avrei poi ritrovato in Sardegna, le "graziose" di via del Campo.[fonte 14]
  • Gesù di Nazareth [...] secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi.[fonte 15]
  • I genovesi, si può dire da secoli, hanno avuto un rapporto speciale con la cultura francese, sia nella musica, ed è il caso degli chansonnier, sia nell'ebanisteria, con il barocchetto genovese.[fonte 16]
  • Io ho tentato in tutti i modi di poter essere un uomo. Avrei potuto esprimermi per esempio attraverso la coltivazione dei fiori se fossi vissuto ad Albenga, oppure attraverso l'allevamento delle vacche se non mi avessero venduto di soppiatto una fattoria che avevano i miei nel '54. Mi è accaduto di fare il cantautore. Il fatto di diventare un artista, in qualche maniera, ti impedisce di diventare uomo in maniera normale. Quindi credo che ad un certo punto della tua vita tu devi recuperare il tempo che hai perduto per fare l'artista per cercare di diventare un uomo.[fonte 7]
  • [Preghiera in gennaio] L’ho dedicata a Tenco. Scritta, o meglio pensata nel ritorno da Sanremo dove c’eravamo precipitati io, la mia ex moglie Enrica Rignon e la Anna Paoli. Dopo aver visto Luigi disteso in quell’obitorio (fuori Sanremo peraltro, perché non ce l’avevano voluto) tornando poi a Genova in attesa del funerale che si sarebbe svolto due giorni dopo a Cassine, mi pare, m’era venuta questa composizione.[fonte 17]
  • [Paolo Villaggio] L'ho incontrato per la prima volta a Pocol, sopra Cortina; io ero un ragazzino incazzato che parlava sporco; gli piacevo perché ero tormentato, inquieto ed egli lo era altrettanto, solo che era più controllato, forse perché era più grande di me e allora subito si investì della parte del fratello maggiore e mi diceva: "Guarda, tu le parolacce non le devi dire, tu dici le parolacce per essere al centro dell'attenzione, sei uno stronzo".[fonte 18]
  • La fedeltà in fondo che cos'è? Non è altro che un grosso prurito con il divieto assoluto di grattarsi.[fonte 19]
  • Mai visto un musicista comunicare col pubblico come sa fare Luciano.[fonte 20]
  • Mannerini mi ha insegnato che essere intelligenti non significa tanto accumulare nozioni, quanto selezionarle una volta accumulate, cercando di separare quelle utili da quelle disutili. [...] Questa capacità di analisi, di osservazione, praticamente l'ho imparata da lui. Mi ha anche influenzato a livello politico, rafforzando delle idee che già avevo. Sicuramente è stata una delle figure più importanti della mia vita.[fonte 21]
  • Non ho dubbi sul carattere totale che la lotta per l'indipendenza della Sardegna può assumere se si lavora in modo correttamente rivoluzionario. Perché la lotta di liberazione anticoloniale di un popolo ha carattere esemplare per tutti i colonizzati, anzi per tutti gli sfruttati del mondo... A Nuoro è cominciato un lavoro importante, mi pare, perché può incidere nel sociale... I segnali non sono da sottovalutare, perché una nuova realtà si muove oggi in Sardegna con l'esigenza di sprigionare le masse e dare a esse un respiro nazionale e internazionale. Poiché non posso fare a meno di dire che sono contro i piccoli e i grandi giochi di potere, contro le strozzature e i ritardi manovrati ad arte, sono fermamente convinto che la matassa Sardegna non si dipanerà certamente con i metodi semplici e imperturbabili del ricambio della presidenza del Palazzo. Occorre ben altro! Occorre che sia il popolo a modificare le cose. La Sardegna con una sua lingua una sua storia un suo territorio ha diritto a essere riconosciuta nazione.[fonte 22]
  • Non posso scrivere del Genoa perché sono troppo coinvolto. L'inno non lo faccio perché non amo le marce e perché niente può superare i cori della Gradinata Nord. Semmai al Genoa avrei scritto una canzone d'amore, ma non lo faccio perché per fare canzoni bisogna conservare un certo distacco verso quello che scrivi, invece il Genoa mi coinvolge troppo.[fonte 23]
  • Non sei cattivo [Cristiano De André], sei proprio scemo![fonte 24]
  • Per me Genova è come la madre, è dove ho imparato a vivere.[fonte 25]
  • Quando vado in pubblico ho molta paura di essere criticato. Controllare per esempio la muscolatura facciale, che dovrebbe essere il mestiere di un attore, è un fatto specifico, è un fatto di mestiere, preciso. Mettere la faccia davanti alle mie canzoni prima di tutto mi seccava perché mi sembrava che le mie canzoni rimanessero dietro la mia faccia, di cui non riuscivo a controllare la muscolatura, e in secondo luogo il fatto di non riuscire a controllarla mi dava anche questa preoccupazione. Nel senso che io non mi consideravo assolutamente un attore, cioè una persona adatta a fare vedere la faccia in una determinata maniera. Magari io dico "dormi sepolto in un campo di grano" e sto ridendo, ma non me ne accorgo, perché non sono abituato ad atteggiarmi a quello che sto dicendo. Perché io l'ho scritta quella canzone lì, non la dovevo recitare. Io non sono capace a recitare. Mi considero in qualche maniera uno che riesce a fare anche della musica per accompagnarsi i testi. Mi considero un suonatore di chitarra. Al di là di questo non vado. Non credo di essere l'interprete ideale delle mie canzoni. Perché per essere interprete bisogna essere qualche cosa di diverso. Io non credo di essere un interprete, perché bisognerebbe sempre avere la faccia del momento in cui si è scritto il verso. Del momento in cui lo sentivi. E non è che io scriva i versi davanti allo specchio. Anzi, io non mi piaccio mica tanto.[fonte 26]
  • Quello che mi ha colpito del mondo dei carruggi è stata l'abitudine alla sofferenza e quindi la solidarietà. Erano solidali in qualsiasi occasione, perché si trattava di sottoproletariato, quindi neanche di una classe precisa, agguantabile da quelli che erano i partiti politici tradizionali, era un mondo che in qualche misura si difendeva dallo stato e quindi io ci ho sguazzato dentro. Avevo già delle idee politiche precise, ricavate da Brassens che ascoltavo dalla mattina alla sera, grazie ai dischi che mio padre mi portava dalla Francia, e lui descriveva questo mondo, questi personaggi emarginati che poi io ho ritrovato a Genova.[fonte 27]
  • Quello che io penso sia utile è di avere il governo il più vicino possibile a me e lo stato, se proprio non se ne può fare a meno, il più lontano possibile dai coglioni.[fonte 28]
  • Questa è una canzone che risale al 1962, dove dimostro di avere sempre avuto, sia da giovane che da anziano, pochissime idee ma in compenso fisse. Nel senso che in questa canzone esprimo quello che ho sempre pensato: che ci sia ben poco merito nella virtù e ben poca colpa nell'errore. Anche perché non sono ancora riuscito a capire bene, malgrado i miei cinquantotto anni, cosa esattamente sia la virtù e cosa esattamente sia l'errore, perché basta spostarci di latitudine e vediamo come i valori diventano disvalori e viceversa. Non parliamo poi dello spostarci nel tempo: c'erano morali, nel Medioevo, nel Rinascimento, che oggi non sono più assolutamente riconosciute. Oggi noi ci lamentiamo: vedo che c'è un gran tormento sulla perdita dei valori. Bisogna aspettare di storicizzarli. Io penso che non è che i giovani d'oggi non abbiano valori; hanno sicuramente dei valori che noi non siamo ancora riusciti a capir bene, perché siamo troppo affezionati ai nostri.[fonte 29]
  • Questo nostro mondo è diviso in vincitori e vinti, dove i primi sono tre e i secondi tre miliardi. Come si può essere ottimisti?[fonte 28]
  • Riccardo Mannerini era un altro mio grande amico. Era quasi cieco perché quando navigava su una nave dei Costa una caldaia gli era esplosa in faccia. È morto suicida, molti anni dopo, senza mai ricevere alcun indennizzo. Ha avuto brutte storie con la giustizia perché era un autentico libertario, e così quando qualche ricercato bussava alla sua porta lui lo nascondeva in casa sua. E magari gli curava le ferite e gli estraeva i proiettili che aveva in corpo. Abbiamo scritto insieme il Cantico dei Drogati, che per me, che ero totalmente dipendente dall'alcool, ebbe un valore liberatorio, catartico. Però il testo non mi spaventava, anzi, ne ero compiaciuto. È una reazione frequente tra i drogati quella di compiacersi del fatto di drogarsi. Io mi compiacevo di bere, anche perché grazie all'alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima.[fonte 30]
  • [...] se io sono il liceo classico lui [Francesco De Gregori] è l'università.[fonte 31]
  • [Sul Festival di Sanremo] Se si trattasse ancora di una gara di ugole, [...] si trattasse cioè di un fatto di corde vocali, la si potrebbe ancora considerare una competizione quasi sportiva, perché le corde vocali sono pure sempre dei muscoli. Nel caso mio, dovrei andare ad esprimere i miei sentimenti, o la tecnica attraverso i quali io riesco ad esprimerli, e credo che questo non possa essere argomento di competizione.[fonte 32]
  • Se una voce miracolosa non avesse interpretato nel 1967 La canzone di Marinella, con tutta probabilità avrei terminato gli studi in legge per dedicarmi all'avvocatura. Ringrazio Mina per aver truccato le carte a mio favore e soprattutto a vantaggio dei miei virtuali assistiti.[fonte 33]
  • Si lamentano degli zingari? Guardateli come vanno in giro a supplicare l'elemosina di un voto: ma non ci vanno a piedi, hanno autobus che sembrano astronavi, treni, aerei: e guardateli quando si fermano a pranzo o a cena: sanno mangiare con coltello e forchetta, e con coltello e forchetta si mangeranno i vostri risparmi. L'Italia appartiene a cento uomini, siamo sicuri che questi cento uomini appartengano all'Italia?[fonte 34]
  • Tutte le sere quando finisco un concerto desidererei rivolgermi alla gente e dire loro: "tutto quello che avete ascoltato fino adesso è assolutamente falso, così come sono assolutamente veri gli ideali e i sentimenti che mi hanno portato a scrivere queste cose e a cantarle". Ma con gli ideali e con i sentimenti si costruiscono delle realtà sognate. La realtà, quella vera, è quella che ci aspetta fuori dalle porte del teatro. E per modificarla, se vogliamo modificarla, c'è bisogno di gesti concreti, reali.[fonte 35]
  • Vengo da Amburgo, vengo da Francoforte, vengo dalla Sardegna ma vengo soprattutto da Genova. Genova, che tutte le volte che ti ci trovi fuori ti rendi conto che è una città soprattutto da rimpiangere. Nel senso che ci nasci e ci vivi fino a vent'anni – dove un nostro amico poeta diceva che si arde di inconsapevolezza – poi a vent'anni cerchi di trovare lavoro e [...] ti rendi conto che è difficile lavorarci. Allora te ne vai. E dopo che te ne sei andato cominci a rimpiangerla.[fonte 36]

Da un'intervista su Mixer, Rai due, 1 marzo 1984

Video disponibile su YouTube.com.

  • [Parlando del suo album Creuza de mä] Certe volte mi sentivo inorgoglito, altre volte deluso. Ma sempre in ogni caso un po' vergognoso a vedermi quasi costretto a sfogliare le riviste specializzate, per scrutare con un occhio quasi da lumaca, fuori dalle orbite, quale posizione avesse ottenuto in classifica il mio ultimo, cosiddetto, prodotto discografico. Perché questo voleva dire che il disco in quanto funzione oggettiva di consumo, aveva assunto un'importanza superiore a quella delle canzoni per le quali viveva, e nelle quali sinceramente mi sentivo di avere vissuto.
  • Il canto ha infatti ancora oggi, in alcune etnie cosiddette primitive, il compito fondamentale di liberare dalla sofferenza, di alleviare il dolore, di esorcizzare il male.
  • Era necessario adattare ai suoni che tali strumenti riproducevano, una lingua che ci scivolasse sopra, che evocasse attraverso fonemi cantati, indipendentemente quindi dalla loro immediata comprensibilità, le stesse atmosfere che gli strumenti evocavano. A noi la lingua più adatta è sembrata fosse il genovese, con i suoi dittonghi, i suoi iati, la sua ricchezza di sostantivi ed aggettivi tronchi che li puoi accorciare o allungare quasi come il grido di un gabbiano.

Da Cantico per i diversi

Intervista di Roberto Cappelli, Mucchio selvaggio n. 176, settembre 1992.

  • La scuola genovese, di cui tanto si parla, come movimento unitario non esisteva. Certo, ci si conosceva tutti, perché Genova è una città poi non tanto grande. Ci si incontrava, per esempio, al bar di Corso d'Italia. Non c'era coordinamento, ma c'era la voglia di emulare. Una delle prime canzoni che scrissi fu Il testamentoe ricordo che la feci sentire per primo a Gino Paoli, a casa sua. La ascoltò in silenzio e alla fine mi disse: 'è bellissima, ma dopo una canzone come questa, uno cosa può scrivere ancora?'. (p. 32)
  • Anche secondo me Il testamento di Tito, assieme all'Amico fragile, è la mia miglior canzone. Dà un'idea di come potrebbero cambiare le leggi se fossero scritte da chi il potere non ce l'ha. È un'altra della canzoni scritte con il cuore, senza paura di apparire retorico, e riesco a continuare a cantarla, ancora oggi, senza stanchezza. (p. 35)
  • Mi sono nascosto dietro il dialetto genovese perché certe parole, che in italiano hanno un significato fortemente volgare, in genovese perdono questa connotazione. A Genova "belin", che individua l'organo genitale maschile, è un lubrificante del linguaggio, del tutto privo di valenza negativa. La stessa cosa per "mussa", che invece indica l'organo genitale femminile e, per traslato, vuol dire balla. Forse perché Genova è piccola, ha imparato ad usare tutti i propri vecchi vocaboli. (p. 40)
  • Quello genovese per me non è un dialetto, ma una lingua; del resto i dialetti assurgono a dignità di lingua per motivi politici e militari. [...] Il genovese ha come minimo 2.500 vocaboli di importazione araba: ciò dimostra come i contatti con gli arabi siano stati molto intensi. Del resto Genova, dal punto di vista commerciale, a parte i rapporti con l'Europa (Inghilterra e Olanda) che erano piuttosto saltuari, ha dovuto focalizzare i propri commerci sull'Africa, perché dall'altra parte c'era Venezia, e ogni volta che le navi genovesi si provavano ad affacciarsi oltre Creta erano botte da orbi. Ma a quei tempi il genovese ed il veneziano erano i linguaggi internazionali, come oggi il francese e l'inglese. (p. 40)

Da un'intervista di Vincenzo Mollica, Speciale TG1

Video disponibile su Rai.it.

  • [«Di cosa ha paura oggi Fabrizio De André?»] Sicuramente della morte. Non tanto la mia che in ogni caso, quando arriverà, se mi darà il tempo di accorgermene, mi farà provare la mia buona dose di paura, quanto la morte che ci sta intorno, lo scarso attaccamento alla vita che noto in molti nostri simili che si ammazzano per dei motivi sicuramente molto più futili di quanto non sia il valore della vita. Io ho paura di quello che non capisco, e questo proprio non mi riesce di capirlo.
  • [«Qual è il desiderio che vorresti realizzare?»] [...] sicuramente, in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento, rincontrare mio padre.
  • [«Che valore hanno per te l'utopia, il sogno?»] Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura.
  • [«Che cos'è per te oggi, nel fondo del fondo, la canzone?»] La canzone è una vecchia fidanzata con cui passerei ancora molto volentieri buona parte della mia vita, sempre e soltanto nel caso di essere ben accetto.

Citazioni tratte da canzoni[modifica]

Tutto Fabrizio De André[modifica]

Etichetta: Karim, 1966.

  • E mentre il sangue lento usciva | e ormai cambiava il suo colore, | la vanità, fredda, gioiva: | un uomo s'era ucciso per il suo amore. (da La ballata dell'amore cieco, n. 1)
  • Quei giorni perduti a rincorrere il vento, | a chiederci un bacio e volerne altri cento. (da Amore che vieni, amore che vai, n. 2)
  • Io t'ho amato sempre, non t'ho amato mai; | amore che vieni, amore che vai. (da Amore che vieni, amore che vai, n. 2)
  • Tu lo seguisti senza una ragione | come un ragazzo segue l'aquilone. (da La canzone di Marinella, n. 4)
  • E c'era il sole e avevi gli occhi belli | lui ti baciò le labbra ed i capelli, | c'era la luna e avevi gli occhi stanchi | lui pose le sue mani sui tuoi fianchi. (da La canzone di Marinella, n. 4)
  • Furono baci e furono sorrisi | poi furono soltanto i fiordalisi | che videro con gli occhi delle stelle | fremere al vento e ai baci la tua pelle. (da La canzone di Marinella, n. 4)
Prima con una carezza ed un bacino, | poi si passò decisi sul pompino | e sotto la minaccia del rasoio | fosti costretta al biascico e all'ingoio. (strofa censurata[fonte 37] di La canzone di Marinella, n. 4)
  • Questa è la tua canzone, Marinella | che sei volata in cielo su una stella | e come tutte le più belle cose | vivesti solo un giorno come le rose. (da La canzone di Marinella, n. 4)
  • Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi[1] – | ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi – | una bimba canta la canzone antica della donnaccia: | «quel che ancor non sai tu lo imparerai solo qui fra le mie braccia». (da La città vecchia, n. 6)
  • Ci sarà allegria anche in agonia col vino forte: | porterà sul viso l'ombra d'un sorriso tra le braccia della morte. (da La città vecchia, n. 6)
  • Vecchio professore, cosa vai cercando in quel portone | forse quella che sola ti può dare una lezione. | Quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie, | quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie. (da La città vecchia, n. 6)
Vecchio professore, cosa vai cercando in quel portone | forse quella che sola ti può dare una lezione. | Quella che di giorno chiami con disprezzo specie di troia, | quella che di notte stabilisce il prezzo alla tua gioia. (versione censurata de La città vecchia)
  • Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli | in quell'aria spessa, carica di sale, gonfia di odori | lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano | quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano. || Se tu penserai e giudicherai da buon borghese | li condannerai a cinquemila anni più le spese. | Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo | se non sono gigli son pur sempre figli, | vittime di questo mondo. (da La città vecchia, n. 6)
  • Dormi sepolto in un campo di grano | non è la rosa non è il tulipano | che ti fan veglia dall'ombra dei fossi | ma sono mille papaveri rossi. (da La guerra di Piero, n. 9)
  • Lungo le sponde del mio torrente | voglio che scendano i lucci argentati, | non più i cadaveri dei soldati | portati in braccio dalla corrente. (Piero: da La guerra di Piero, n. 9)
  • Fermati Piero, fermati adesso | lascia che il vento ti passi un po' addosso, | dei morti in battaglia ti porti la voce, | chi diede la vita ebbe in cambio una croce. (da La guerra di Piero, n. 9)
  • E mentre marciavi con l'anima in spalle | vedesti un uomo in fondo alla valle | che aveva il tuo stesso identico umore | ma la divisa di un altro colore. (da La guerra di Piero, n. 9)
  • Sparagli Piero, sparagli ora | e dopo un colpo sparagli ancora | fino a che tu non lo vedrai esangue | cadere in terra a coprire il suo sangue. (da La guerra di Piero, n. 9)
  • Ninetta mia, crepare di maggio | ci vuole tanto, troppo coraggio. | Ninetta bella, dritto all'inferno | avrei preferito andarci in inverno. (Piero: da La guerra di Piero, n. 9) [ultime parole di Piero]
  • E mentre il grano ti stava a sentire | dentro alle mani stringevi il fucile, | dentro alla bocca stringevi parole | troppo gelate per sciogliersi al sole. (da La guerra di Piero, n. 9)
  • Cari fratelli dell'altra sponda | cantammo in coro giù sulla terra, | amammo in cento l'identica donna, | partimmo in mille per la stessa guerra, | questo ricordo non vi consoli, | quando si muore, si muore soli. (da Il testamento, n. 10)

Volume I[modifica]

Etichetta: Bluebell Records, 1967, prodotto da Gian Piero Reverberi, Andrea Malcotti.

  • Lascia che sia fiorito, | Signore, il suo sentiero | quando a Te la sua anima | e al mondo la sua pelle | dovrà riconsegnare | quando verrà al Tuo cielo | là dove in pieno giorno | risplendono le stelle. (da Preghiera in gennaio[2], n. 1)
  • Quando attraverserà | l'ultimo vecchio ponte | ai suicidi dirà | baciandoli alla fronte: | «Venite in Paradiso | là dove vado anch'io | perché non c'è l'inferno | nel mondo del buon Dio». (da Preghiera in gennaio[2], n. 1)
  • Dio di misericordia, il Tuo bel Paradiso | lo hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso | per quelli che han vissuto con la coscienza pura; | l'inferno esiste solo per chi ne ha paura. (da Preghiera in gennaio[2], n. 1)
  • Ma inumano è pur sempre l'amore | di chi rantola senza rancore | perdonando con l'ultima voce | chi lo uccide fra le braccia di una croce. (da Si chiamava Gesù, n. 4)
  • Lei sa che ogni letto di sposa | è fatto di ortica e mimosa. (da La canzone di Barbara, n. 5)
  • Via del Campo c'è una puttana | gli occhi grandi color di foglia | se di amarla ti vien la voglia | basta prenderla per la mano. (da Via del Campo, n. 6)
  • Via del Campo ci va un illuso | a pregarla di maritare | a vederla salir le scale | fino a quando il balcone ha chiuso. (da Via del Campo, n. 6)
  • Ama e ridi se amor risponde | piangi forte se non ti sente | dai diamanti non nasce niente | dal letame nascono i fior. (da Via del Campo, n. 6)
  • Passa il tempo sopra il tempo | ma non devi aver paura | sembra correre come il vento | però il tempo non ha premura. (da La stagione del tuo amore, n. 7)
  • C'è chi l'amore lo fa per noia | chi se lo sceglie per professione | Bocca di Rosa né l'uno né l'altro | lei lo faceva per passione. (da Bocca di Rosa, n. 8)
  • Il cuore tenero non è una dote di cui siano colmi i carabinieri | ma quella volta a prendere il treno l'accompagnarono malvolentieri. (da Bocca di Rosa, n. 8)
Spesso gli sbirri e i carabinieri al proprio dovere vengono meno | ma non quando sono in alta uniforme e l'accompagnarono al primo treno. (versione originale di Bocca di Rosa)
  • Si sa che la gente dà buoni consigli | sentendosi come Gesù nel tempio | si sa che la gente dà buoni consigli | se non può più dare il cattivo esempio.[3] (da Bocca di Rosa, n. 8)
  • C'era un cartello giallo | con una scritta nera | diceva: «Addio Bocca di Rosa | con te se ne parte la primavera». (da Bocca di Rosa, n. 8)
  • Ma una notizia un po' originale | non ha bisogno di alcun giornale | come una freccia dall'arco scocca | vola veloce di bocca in bocca. (da Bocca di Rosa, n. 8)
  • La morte verrà all'improvviso | avrà le tue labbra e i tuoi occhi | ti coprirà di un velo bianco | addormentandosi al tuo fianco. (da La morte, n. 9)
  • Chi ben condusse sua vita | male sopporterà sua morte. (da La morte, n. 9)
  • Il sangue del Principe e del Moro | arrossano il cimiero di identico color. (da Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers[4], n. 10)
  • Se ansia di gloria, sete d'onore | spegne la guerra al vincitore, | non ti concede un momento per fare all'amore. (Carlo Martello: da Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers[4], n. 10)
  • È mai possibile, oh porco di un cane, | che le avventure in codesto reame | debban risolversi tutte con grandi puttane. (Carlo Martello: da Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers[4], n. 10)

Citazioni su Volume I[modifica]

  • Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poiters nacque in modo curioso. In una stanza Mauro De André fratello maggiore di Fabrizio preparava l'esame di procedura civile, in quella accanto Paolo Villaggio e Fabrizio si aiutavano a vicenda per l'esame di Diritto privato. Dopo un mese Mauro superò a pieni voti l'esame, tappa di un percorso che lo portò a diventare insigne avvocato. Fabrizio e Villaggio invece composero il brano, ameno e goliardico su Carlo Martello, e un altro intitolato Il fannullone. Non dettero l'esame e non si laurearono mai. (Mario Luzzatto Fegiz)
  • Volume I si apre con una canzone di struggente bellezza Preghiera in gennaio scritta la notte prima dei funerali di Tenco, morto al fesival di Sanremo: nel brano campeggia la figura di un Dio finalmente vicino al dolore degli uomini che accoglie anche i suicidi «perché non c'è l'inferno nel regno del buon Dio». (Mario Luzzatto Fegiz)

Tutti morimmo a stento[modifica]

Etichetta: Bluebell Records, 1968, prodotto da Gian Piero Reverberi, Andrea Malcotti.

  • Come potrò dire a mia madre che ho paura? (da Cantico dei drogati[5], n. 1)
  • Perché non hanno fatto | delle grandi pattumiere | per i giorni già usati | per queste ed altre sere. (da Cantico dei drogati[5], n. 1)
  • Quando scadrà l'affitto | di questo corpo idiota | allora avrò il mio premio | come una buona nota. | Mi citeran di monito | a chi crede sia bello | giocherellare a palla | con il proprio cervello | cercando di lanciarlo | oltre il confine stabilito | che qualcuno ha tracciato | ai bordi dell'infinito.[6] (da Cantico dei drogati[5], n. 1)
  • Tu che m'ascolti insegnami | un alfabeto che sia | differente da quello | della mia vigliaccheria.[7] (da Cantico dei drogati[5], n. 1)
  • Gli arcobaleni d'altri mondi | hanno colori che non so. | Lungo i ruscelli d'altri mondi | nascono fiori che non ho. (da Primo intermezzo, n. 2)
  • Sopra le tombe d'altri mondi | nascono fiori che non so. | Ma tra i capelli d'altri amori | muoiono fiori che non ho. (da Secondo intermezzo, n. 4)
  • Tutti morimmo a stento | ingoiando l'ultima voce | tirando calci al vento | vedemmo sfumar la luce. (da Ballata degli impiccati[8], n. 5)
  • Coltiviamo per tutti un rancore | che ha l'odore del sangue rappreso | ciò che allora chiamammo dolore | è soltanto un discorso sospeso. (da Ballata degli impiccati[8], n. 5)
  • Sale la nebbia sui prati bianchi | come un cipresso nei camposanti, | un campanile che non sembra vero | segna il confine fra la terra e il cielo. (da Inverno, n. 6)
  • Ma tu che vai, ma tu rimani | vedrai la neve se ne andrà domani | rifioriranno le gioie passate | col vento caldo di un'altra estate. (da Inverno, n. 6)
  • Anche la luce sembra morire | nell'ombra incerta di un divenire. (da Inverno, n. 6)
  • Ma tu che stai, perché rimani? | Un altro inverno tornerà domani | cadrà altra neve a consolare i campi | cadrà altra neve sui camposanti. (da Inverno, n. 6)
  • Ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro'ndera | ci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà. | Buon Dio è già scappato, dove non si sa | buon Dio se n'è andato, chissà quando ritornerà. (da Girotondo, n. 7)
  • L'autunno negli occhi, l'estate nel cuore, | la voglia di dare, l'istinto di avere, | e tu... tu lo chiami amore e non sai che cos'è, | e tu... tu lo chiami amore e non ti spieghi il perché. (da Terzo intermezzo, n. 8)
  • Che la pietà non vi sia di vergogna. (da Recitativo, n. 9)
  • Quanto giusta pensate che sia | una sentenza che decreta morte? (da Recitativo, n. 9)
  • Sappiate che la morte vi sorveglia, | gioir nei prati o fra i muri di calce, | come crescere il gran guarda il villano | finché non sia maturo per la falce. (da Recitativo, n. 9)

Volume III[modifica]

Etichetta: Bluebell Records, 1968.

  • Se qualcuno di voi dovesse, | costretto con le spalle al muro, | violare un giudice od una vecchia | della sua scelta sarei sicuro | ma si dà il caso che il gorilla, | considerato un grandioso fusto | da chi l'ha provato, però non brilla | né per lo spirito né per il gusto. (da Il gorilla[9], n. 2)
  • Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno | non si guardò neppure intorno | ma versò il vino, spezzò il pane | per chi diceva ho sete e ho fame. (da Il pescatore, presente nella ristampa del 1970)

La buona novella[modifica]

Etichetta: Produttori Associati, 1970, prodotto da Roberto Dané.

  • E quando i sacerdoti ti rifiutarono alloggio | avevi dodici anni e nessuna colpa addosso; | ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio, | la tua verginità che si tingeva di rosso. (da L'infanzia di Maria, n. 2)
  • E si vuol dar marito a chi non lo voleva, | si batte la campagna, si fruga la via. | – Popolo senza moglie, uomini d'ogni leva, | del corpo di una vergine si fa lotteria. – (da L'infanzia di Maria, n. 2)
  • E lei volò fra le tue braccia | come una rondine, | e le sue dita come lacrime, | dal tuo ciglio alla gola, | suggerivano al viso | una volta ignorato | la tenerezza d'un sorriso, | un affetto quasi implorato. (da Il ritorno di Giuseppe, n. 3)
  • Poi, d'improvviso, mi sciolse le mani | e le mie braccia divennero ali, | quando mi chiese: «Conosci l'estate?» | io, per un giorno, per un momento, | corsi a vedere il colore del vento. (Maria: da Il sogno di Maria, n. 4)
  • Con le ali di prima pensai di scappare | ma il braccio era nudo e non seppe volare. (Maria: da Il sogno di Maria, n. 4)
  • Poi vidi l'angelo mutarsi in cometa e i volti severi divennero pietra. Le loro braccia profili di rami, nei gesti immobili d'un altra vita, foglie le mani, spine le dita. (Maria: da Il sogno di Maria, n. 4)
  • «Lo chiameranno figlio di Dio» | parole confuse nella mia mente, | svanite in un sogno, ma impresse nel ventre. (Maria: da Il sogno di Maria, n. 4)
  • E tu, piano, posasti le dita | all'orlo della sua fronte: | i vecchi quando accarezzano | hanno il timore di far troppo forte. (da Il sogno di Maria, n. 4)
  • Sai che fra un'ora forse piangerai | poi la tua mano nasconderà un sorriso: | gioia e dolore hanno il confine incerto | nella stagione che illumina il viso. (da Ave Maria, n. 5)
  • Ave Maria, adesso che sei donna, | ave alle donne come te, Maria, | femmine un giorno per un nuovo amore | povero o ricco, umile o Messia. | Femmine un giorno e poi madri per sempre | nella stagione che stagioni non sente. (da Ave Maria, n. 5)
  • Mio martello non colpisce, | pialla mia non taglia | per foggiare gambe nuove | a chi le offrì in battaglia, | ma tre croci, due per chi | disertò per rubare, | la più grande per chi guerra | insegnò a disertare. (il falegname: da Maria nella bottega d'un falegname, n. 6)
  • Questi ceppi che han portato | perché il mio sudore | li trasformi nell'immagine | di tre dolori, | vedran lacrime di Dimaco | e di Tito al ciglio | il più grande che tu guardi | abbraccerà tuo figlio. (il falegname: da Maria nella bottega d'un falegname, n. 6)
  • Poterti smembrare coi denti e le mani, | sapere i tuoi occhi bevuti dai cani, | di morire in croce puoi essere grato | a un brav'uomo di nome Pilato. (da Via della croce, n. 7)
  • Il potere vestito d'umana sembianza | ormai ti considera morto abbastanza | e già volge lo sguardo a spiar le intenzioni | degli umili, degli straccioni. (da Via della croce, n. 7)
  • Con troppe lacrime piangi, Maria, | solo l'immagine di un'agonia; | sai che alla vita, nel terzo giorno, | il figlio tuo farà ritorno. | Lascia noi piangere, un po' più forte, | chi non risorgerà più dalla morte. (una madre: da Tre madri, n. 8)
  • Nella fatica del tuo sorriso | cerca un ritaglio di Paradiso. (Maria: da Tre madri, n. 8)
  • Come nel grembo, e adesso in croce, | ti chiama amore questa mia voce. (Maria: da Tre madri, n. 8)
  • Non fossi stato figlio di Dio | t'avrei ancora per figlio mio. (Maria: da Tre madri, n. 8)
  • Onora il padre, onora la madre | e onora anche il loro bastone, | bacia la mano che ruppe il tuo naso | perché le chiedevi un boccone.[10] (Tito: da Il testamento di Tito, n. 9)
  • Feconda una donna ogni volta che l'ami | così sarai uomo di fede: | poi la voglia svanisce e il figlio rimane | e tanti ne uccide la fame. (Tito: da Il testamento di Tito, n. 9)
  • L'invidia di ieri non è già finita: | stasera vi invidio la vita. (Tito: da Il testamento di Tito, n. 9)
  • Ma adesso che viene la sera ed il buio | mi toglie il dolore dagli occhi | e scivola il sole al di là delle dune | a violentare altre notti. (Tito: da Il testamento di Tito, n. 9)
  • Io, nel vedere quest'uomo che muore, | madre, io provo dolore. | Nella pietà che non cede al rancore, | madre, ho imparato l'amore. (Tito: da Il testamento di Tito, n. 9) [ultime parole di Tito]

Non al denaro, non all'amore né al cielo[modifica]

Etichetta: Produttori Associati, 1971, prodotto da Roberto Dané, Sergio Bardotti. Testi di Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio.

  • Dove sono i generali | che si fregiarono nelle battaglie | con cimiteri di croci sul petto? | Dove i figli della guerra | partiti per un ideale, | per una truffa, per un amore finito male? | Hanno rimandato a casa | le loro spoglie nelle bandiere | legate strette perché sembrassero intere. (da La collina, n. 1)
  • Dov'è Jones il suonatore | che fu sorpreso dai suoi novant'anni | e con la vita avrebbe ancora giocato. | Lui che offrì la faccia al vento, | la gola al vino e mai un pensiero | non al denaro, non all'amore né al cielo. (da La collina, n. 1)
  • Sembra di sentirlo ancora | dire al mercante di liquore: | «Tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore?» (da La collina, n. 1)
  • Tu prova ad avere un mondo nel cuore | e non riesci ad esprimerlo con le parole. (da Un matto, n. 2)
  • E se anche tu andresti a cercare | le parole sicure per farti ascoltare | per stupire mezz'ora basta un libro di storia, | io cercai di imparare la Treccani a memoria | e dopo maiale, Majakowskij, malfatto | continuarono gli altri fino a leggermi matto. (da Un matto, n. 2)
  • Cosa vuol dire avere | un metro e mezzo di statura, | ve lo rivelan gli occhi | e le battute della gente, | o la curiosità | di una ragazza irriverente | che vi avvicina solo | per un suo dubbio impertinente: | vuole scoprir se è vero | quanto si dice intorno ai nani, | che siano i più forniti | della virtù meno apparente, | fra tutte le virtù | la più indecente. (da Un giudice, n. 3)
  • Passano gli anni, i mesi, | e se li conti anche i minuti, | è triste trovarsi adulti | senza essere cresciuti; | la maldicenza insiste, | batte la lingua sul tamburo | fino a dire che un nano | è una carogna di sicuro | perché ha il cuore troppo, | troppo vicino al buco del culo. (da Un giudice, n. 3)
  • Giudice finalmente, | arbitro in terra del bene e del male. (da Un giudice, n. 3)
  • Mai più mi chinai e nemmeno su un fiore, | più non arrossii nel rubare l'amore | dal momento che Inverno mi convinse che Dio | non sarebbe arrossito rubandomi il mio. (da Un blasfemo, n. 4)
  • Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino, | non avevano leggi per punire un blasfemo, | non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte, | mi cercarono l'anima a forza di botte. (da Un blasfemo, n. 4)
  • Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo, | lo costrinse a viaggiare una vita da scemo, | nel giardino incantato lo costrinse a sognare, | a ignorare che al mondo c'è il bene e c'è il male. (da Un blasfemo, n. 4)
  • E se furon due guardie a fermarmi la vita, | è proprio qui sulla terra la mela proibita, | e non Dio, ma qualcuno che per noi l'ha inventato, | ci costringe a sognare in un giardino incantato. (da Un blasfemo, n. 4)
  • Cominciai a sognare anch'io insieme a loro | poi l'anima d'improvviso prese il volo. (da Un malato di cuore, n. 5)
  • E mai poter bere alla coppa d'un fiato | ma a piccoli sorsi interrotti... (da Un malato di cuore, n. 5)
  • Non credo che chiesi promesse al suo sguardo, | non mi sembra che scelsi il silenzio o la voce, | quando il cuore stordì e ora no, non ricordo | se fu troppo sgomento o troppo felice, | e il cuore impazzì e ora no, non ricordo, | da quale orizzonte sfumasse la luce. (da Un malato di cuore, n. 5)
  • Da bambino volevo guarire i ciliegi | quando rossi di frutti li credevo feriti | la salute per me li aveva lasciati | coi fiori di neve che avevan perduti. (da Un medico, n. 6)
  • Un sogno, fu un sogno ma non durò poco | per questo giurai che avrei fatto il dottore | e non per un dio ma nemmeno per gioco: | perché i ciliegi tornassero in fiore. (da Un medico, n. 6)
  • Ma gli uomini mai mi riuscì di capire | perché si combinassero attraverso l'amore. | Affidando ad un gioco la gioia e il dolore. (da Un chimico, n. 7)
  • Guardate il sorriso, guardate il colore | come giocan sul viso di chi cerca l'amore! | Ma lo stesso sorriso, lo stesso colore | dove sono sul viso di chi ha avuto l'amore? (da Un chimico, n. 7)
  • Primavera non bussa, lei entra sicura, | come il fumo lei penetra in ogni fessura, | ha le labbra di carne, i capelli di grano, | che paura, che voglia che ti prenda per mano. | Che paura, che voglia che ti porti lontano. (da Un chimico, n. 7)
  • Guardate l'idrogeno tacere nel mare | guardate l'ossigeno al suo fianco dormire. (da Un chimico, n. 7)
  • Son morto in un esperimento sbagliato | proprio come gli idioti che muoion d'amore. | E qualcuno dirà che c'è un modo migliore. (da Un chimico, n. 7)
  • Non più ottico ma spacciatore di lenti | per improvvisare occhi contenti, | perché le pupille abituate a copiare | inventino i mondi sui quali guardare. (da Un ottico, n. 8)
  • Vedo che salgo a rubare il sole | per non aver più notti, | perché non cada in reti di tramonti, | l'ho chiuso nei miei occhi, | e chi avrà freddo | lungo il mio sguardo si dovrà scaldare. (da Un ottico, n. 8)
  • In un vortice di polvere | gli altri vedevan siccità, | a me ricordava | la gonna di Jenny | in un ballo di tanti anni fa.[11] (da Il suonatore Jones, n. 9)
  • Libertà l'ho vista dormire | nei campi coltivati | a cielo e denaro, | a cielo ed amore, | protetta da un filo spinato. | Libertà l'ho vista svegliarsi | ogni volta che ho suonato | per un fruscio di ragazze | a un ballo, | per un compagno ubriaco. (da Il suonatore Jones, n. 9)
  • E poi se la gente sa, | e la gente lo sa che sai suonare, | suonare ti tocca | per tutta la vita | e ti piace lasciarti ascoltare.[12] (da Il suonatore Jones, n. 9)

Storia di un impiegato[modifica]

Etichetta: Produttori Associati, 1973, prodotto da Roberto Dané.

  • Se avete preso per buone | le «verità» della televisione, | anche se allora vi siete assolti | siete lo stesso coinvolti. (da Canzone del maggio[8], n. 2)
  • Chissà cosa si prova a liberare | la fiducia nelle proprie tentazioni, | allontanare gli intrusi | dalle nostre emozioni, | allontanarli in tempo | e prima di trovarti solo | con la paura di non tornare al lavoro. (da La bomba in testa[8], n. 3)
  • Dante alla porta di Paolo e Francesca | spia chi fa meglio di lui: | lì dietro si racconta un amore normale | ma lui saprà poi renderlo tanto geniale. | E il viaggio all'inferno ora fallo da solo | con l'ultima invidia lasciata là sotto un lenzuolo. (da Al ballo mascherato[8], n. 4)
  • Qualcuno ha lasciato la luna nel bagno | accesa soltanto a metà, | quel poco che mi basta per contare i caduti, | stupirmi della loro fragilità. (da Al ballo mascherato[8], n. 4)
  • Imputato, | il dito più lungo della tua mano | è il medio, | quello della mia | è l'indice. (il giudice: da Sogno numero due[13], n. 5)
  • Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi | solo i sogni che non fanno svegliare? (il giudice: da Canzone del padre[8], n. 6)
  • Si fermò un attimo per suggerire a Dio | di continuare a farsi i fatti suoi. | E scappò via con la paura di arrugginire, | il giornale di ieri lo dà morto arrugginito: | i becchini ne raccolgono spesso | fra la gente che si lascia piovere addosso. (da Canzone del padre[8], n. 6)
  • Vostro Onore, sei un figlio di troia, | mi sveglio ancora e mi sveglio sudato, | ora aspettami fuori dal sogno, | ci vedremo davvero, | io ricomincio da capo. (da Canzone del padre[8], n. 6)
  • Chi va dicendo in giro | che odio il mio lavoro | non sa con quanto amore | mi dedico al tritolo. (da Il bombarolo[8], n. 7)
  • Per strada tante facce | non hanno un bel colore: | qui chi non terrorizza | si ammala di terrore. | C'è chi aspetta la pioggia | per non piangere da solo, | io son d'un altro avviso, | son bombarolo. (da Il bombarolo[8], n. 7)
  • Intellettuali d'oggi, | idioti di domani, | ridatemi il cervello | che basta alle mie mani. | Profeti molto acrobati | della rivoluzione, | oggi farò da me | senza lezione. (da Il bombarolo[8], n. 7)
  • Farai l'amore per amore | o per avercelo garantito. (da Verranno a chiederti del nostro amore[8], n. 8)
  • Continuerai a farti scegliere | o finalmente sceglierai. (da Verranno a chiederti del nostro amore[8], n. 8)
  • Di respirare la stessa aria | d'un secondino non mi va | perciò ho deciso di rinunciare | alla mia ora di libertà. (da Nella mia ora di libertà[8], n. 9)
  • Certo bisogna farne di strada | da una ginnastica d'obbedienza | fino ad un gesto molto più umano | che ti dia il senso della violenza, | però bisogna farne altrettanta | per diventare così coglioni | da non riuscire più a capire | che non ci sono poteri buoni. (da Nella mia ora di libertà[8], n. 9)
  • Ci hanno insegnato la meraviglia | verso la gente che ruba il pane, | ora sappiamo che è un delitto | il non rubare quando si ha fame. (da Nella mia ora di libertà[8], n. 9)

Canzoni[modifica]

Etichetta: Produttori Associati, 1974, prodotto da Roberto Dané.

  • Einstein travestito da ubriacone | ha nascosto i suoi appunti in un baule | è passato di qui un'ora fa | diretto verso l'ultima Thule, | sembrava così timido e impaurito | quando ha chiesto di fermarsi un po' qui | ma poi ha cominciato a fumare | e a recitare l'A B C | ed a vederlo tu non lo diresti mai | ma era famoso qualche tempo fa | per suonare il violino elettrico | in via della Povertà. (da Via della Povertà[14], n. 1)
  • A mezzanotte in punto i poliziotti | fanno il loro solito lavoro | metton le manette intorno ai polsi | a quelli che ne sanno più di loro. (da Via della Povertà[14], n. 1)
  • Io dedico questa canzone | ad ogni donna pensata come amore | in un attimo di libertà | a quella conosciuta appena | non c'era tempo e valeva la pena | di perderci un secolo in più. (da Le passanti[15], n. 2)
  • A quella quasi da immaginare | tanto di fretta l'hai vista passare | [...] | e ti piace ricordarne il sorriso | che non ti ha fatto e che tu le hai deciso. (da Le passanti[15], n. 2)
  • Alla compagna di viaggio | i suoi occhi il più bel paesaggio | fan sembrare più corto il cammino. (da Le passanti, n. 2)
  • E Gesù fu marinaio | finché camminò sull'acqua. (da Suzanne[16], n. 5)
  • E lui stesso fu spezzato | ma più umano, abbandonato | nella nostra mente lui non naufragò. | E tu vuoi viaggiargli insieme | vuoi viaggiargli insieme ciecamente | forse avrai fiducia in lui | perché ti ha toccato il corpo con la mente. (da Suzanne[16], n. 5)
  • Morire per delle idee, l'idea è affascinante | per poco io morivo senza averla mai avuta, | perché chi ce l'aveva, una folla di gente, | gridando: «Viva la morte» proprio addosso mi è caduta. (da Morire per delle idee[9], n. 6)
  • Moriamo per delle idee, va be', ma di morte lenta. (da Morire per delle idee[9], n. 6)
  • Tanto più che la carogna è già abbastanza attenta | non c'è nessun bisogno di reggerle la falce | basta con le garrote in nome della pace. (da Morire per delle idee[9], n. 6)
  • «E se tu sei il fuoco raffreddati un poco | le tue mani ora avranno da tenere qualcosa» | e tacendo gli si arrampicò dentro | ad offrirgli il suo modo migliore di essere sposa. (da Giovanna d'Arco[16], n. 9)
  • Ma non ti servirà il ricordo | non ti servirà | che per piangere il tuo rifiuto, | del mio amore che non tornerà. (da Valzer per un amore, n. 11)
  • Vola il tempo, lo sai che vola e va | forse non ce ne accorgiamo | ma più ancora del tempo che non ha età | siamo noi che ce ne andiamo. (da Valzer per un amore, n. 11)
  • E per questo ti dico amore, amor | io t'attenderò ogni sera, | ma tu vieni non aspettare ancor, | vieni adesso finché è primavera. (da Valzer per un amore, n. 11)

Volume 8[modifica]

Etichetta: Produttori Associati, 1975, prodotto da Roberto Dané.

  • E quando poi sparì del tutto | a chi diceva «È stato un male» | a chi diceva «È stato un bene» | raccomandò «Non vi conviene | venir con me dovunque vada. | Ma c'è amore un po' per tutti | e tutti quanti hanno un amore | sulla cattiva strada». (da La cattiva strada[17], n. 1)
  • Un po' di tempo fa | eravamo distratti | lei portava calze verdi | e dormiva con tutti. | «Ma cosa fai domani» | non lo chiese mai a nessuno | s'innamorò di tutti noi | non proprio di qualcuno. (da Nancy, n. 3)
  • E un po' di tempo fa | col telefono rotto | cercò dal terzo piano | la sua serenità. (da Nancy, n. 3)
  • E nel vuoto della notte | quando hai freddo e sei perduto | è ancora Nancy che ti dice | «Amore, sono contenta che sei venuto». (da Nancy, n. 3)
  • E adesso ridi e ti versi un cucchiaio di mimosa | nell'imbuto di un polsino slacciato. (da Giugno '73, n. 5)
  • Io mi dico: è stato meglio lasciarci | che non esserci mai incontrati. (da Giugno '73, n. 5)
  • Perché già dalla prima trincea | ero più curioso di voi, | ero molto più curioso di voi. (da Amico fragile, n. 8)
  • «Lo sa che io ho perduto due figli». | «Signora lei è una donna piuttosto distratta».[18] (da Amico fragile, n. 8)
  • Pensavo è bello che dove finiscono le mie dita | debba in qualche modo incominciare una chitarra. (da Amico fragile, n. 8)
  • Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta | fino a vederle spalancarsi la bocca. (da Amico fragile, n. 8)
  • Potevo chiedervi come si chiama il vostro cane | il mio è un po' di tempo che si chiama Libero. (da Amico fragile, n. 8)
  • Potevo attraversare litri e litri di corallo | per raggiungere un posto che si chiamasse arrivederci. (da Amico fragile, n. 8)
  • E mai che mi sia venuto in mente | di essere più ubriaco di voi, | di essere molto più ubriaco di voi. (da Amico fragile, n. 8)

Rimini[modifica]

Etichetta: Dischi Ricordi, 1978. Testi di Fabrizio De André e Massimo Bubola (tranne traccia n. 5).

  • Teresa ha gli occhi secchi | guarda verso il mare | per lei figlia di pirati | penso che sia normale. (da Rimini, n. 1)
  • E due errori ho commesso | due errori di saggezza | abortire l'America | e poi guardarla con dolcezza. (Colombo: da Rimini, n. 1)
  • Ma voi che siete uomini | sotto il vento e le vele | non regalate terre promesse | a chi non le mantiene. (Colombo: da Rimini, n. 1)
  • E un errore ho commesso – dice – | un errore di saggezza | abortire il figlio del bagnino | e poi guardarlo con dolcezza. (Teresa: da Rimini, n. 1)
  • Ma voi che siete a Rimini | tra i gelati e le bandiere | non fate più scommesse | sulla figlia del droghiere. (Teresa: da Rimini, n. 1)
  • Chiama i ricordi col loro nome | volta la carta e finisce in gloria. (da Volta la carta, n. 2)
  • Quando ero piccolo m'innamoravo di tutto | correvo dietro ai cani. (da Coda di lupo, n. 3)
  • Capelli corti generale ci parlò all'Università | dei fratelli tute blu che seppellirono le asce | ma non fumammo con lui non era venuto in pace | e a un dio fatti il culo non credere mai. (da Coda di lupo, n. 3)
  • E a un dio senza fiato non credere mai. (da Coda di lupo, n. 3)
  • E Andrea l'ha perso, ha perso l'amore, la perla più rara | e Andrea ha in bocca un dolore, la perla più scura. (da Andrea, n. 4)
  • Il secchio gli disse: «Signore il pozzo è profondo | più fondo del fondo degli occhi della Notte del Pianto» | lui disse: «Mi basta, mi basta che sia più profondo di me». (da Andrea, n. 4) [ultime parole di Andrea]
  • Mia madre mi disse: «Non devi giocare | con gli zingari nel bosco» | ma il bosco era scuro, l'erba già verde, | lì venne Sally con un tamburello. | Ma il bosco era scuro, l'erba già alta, | dite a mia madre che non tornerò. (da Sally, n. 7)
  • Con due gocce d'eroina s'addormentava il cuore. (da Sally, n. 7)
  • Mi svegliai sulla quercia, l'assassino era fuggito, | dite al pesciolino che non tornerò. | Mi guardai nello stagno, l'assassino si era già lavato, | dite a mia madre che non tornerò. (da Sally, n. 7)

Fabrizio De André (L'indiano)[modifica]

Etichetta: Dischi Ricordi, 1981. Testi di Fabrizio De André e Massimo Bubola (tranne traccia n. 4).

  • Quello che non ho sono le tue pistole | per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole. (da Quello che non ho, n. 1)
  • Quello che non ho è quel che non mi manca. (da Quello che non ho, n. 1)
  • Quello che non ho sei tu dalla mia parte. (da Quello che non ho, n. 1)
  • Notte sola sola come il mio fuoco | piega la testa sul mio cuore e spegnilo poco a poco. (da Canto del servo pastore, n. 2)
  • Fu un generale di vent'anni | occhi turchini e giacca uguale | fu un generale di vent'anni | figlio d'un temporale. (da Fiume Sand Creek, n. 3)
  • Chiusi gli occhi per tre volte | mi ritrovai ancora lì | chiesi a mio nonno è solo un sogno | mio nonno disse sì. (da Fiume Sand Creek, n. 3)
  • Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso | il lampo in un orecchio nell'altro il paradiso. (da Fiume Sand Creek, n. 3)
  • E se vai all'Hotel Supramonte e guardi il cielo | tu vedrai una donna in fiamme e un uomo solo. (da Hotel Supramonte, n. 5)
  • Grazie al cielo ho una bocca per bere e non è facile, | grazie a te ho una barca da scrivere, ho un treno da perdere | e un invito all'Hotel Supramonte dove ho visto la neve | sul tuo corpo così dolce di fame, così dolce di sete. | Passerà anche questa stazione senza far male | passerà questa pioggia sottile come passa il dolore. (da Hotel Supramonte, n. 5)
  • Ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano | cosa importa se sono caduto se sono lontano | perché domani sarà un giorno lungo e senza parole | perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole. (da Hotel Supramonte, n. 5)
  • Hanno detto che Franziska | è stanca di posare | per un uomo che dipinge | e non la può guardare. (da Franziska n. 6)
  • Filo filo del mio cuore che dagli occhi porti al mare | c'è una lacrima nascosta che nessuno mi sa disegnare. (da Franziska n. 6)
  • Se ti tagliassero a pezzetti | il vento li raccoglierebbe | il regno dei ragni cucirebbe la pelle | e la luna tesserebbe i capelli e il viso | e il polline di Dio | di Dio il sorriso. (da Se ti tagliassero a pezzetti, n. 7)
  • Ho assaggiato le tue labbra di miele rosso rosso | ti ho detto dammi quello che vuoi, io quel che posso. (da Se ti tagliassero a pezzetti, n. 7)
  • E adesso aspetterò domani | per avere nostalgia | signora libertà signorina fantasia | così preziosa come il vino così gratis come la tristezza | con la tua nuvola di dubbi e di bellezza. (da Se ti tagliassero a pezzetti, n. 7)
Signora libertà signorina anarchia. (variante presente nell'album Ed avevamo gli occhi troppo belli, 2001)
  • E ora non piangere perché | presto la notte finirà | con le sue perle stelle e strisce | in fondo al cielo | e ora sorridimi perché | presto la notte se ne andrà | con le sue stelle arrugginite | in fondo al mare. (da Verdi pascoli, n. 8)

Crêuza de mä[modifica]

Etichetta: Dischi Ricordi, 1984, prodotto da Mauro Pagani, Fabrizio De André. Testi di Fabrizio De André e Mauro Pagani.

  • «Ombre di facce, facce di marinai, | da dove venite, dov'è che andate?». | «Da un posto dove la luna si mostra nuda | e la notte ci ha puntato il coltello alla gola».
«Umbre de muri, muri de mainé, | dunde ne vegni, duve l'è ch'ané?». | «Da 'n scitu duve a l'ûn-a a se mustra nûa | e a neutte a n'à puntou u cutellu ä gua». (da Crêuza de mä, n. 1)
  • Gente di Lugano: facce da tagliaborse, | quelli che della spigola preferiscon l'ala. | Ragazze di famiglia: odore di buono, | che le puoi guardare senza il condom.
Gente de Lûgan: facce da mandillä, | qui che du luassu preferiscian l'ä. | Figge de famiggia: udú de bun, | che ti peu ammiàle senza u gundum. (da Crêuza de mä, n. 1)
  • Dove c'è pelo c'è amore.
Duve gh'è pei gh'è amù. (da Jamin-a, n. 2)
  • Amore, mio bell'amore, | la sfortuna è un avvoltoio | che gira intorno alla testa dell'imbecille. | Amore, mio bell'amore, | la sfortuna è un pisello | che vola intorno al sedere più vicino.
Amü, me bell'amü, | a sfortûn-a a l'è 'n grifun | ch'u gia 'ngiu ä testa du belinun. | Amü, me bell'amü, | a sfortûn-a a l'è 'n belin | ch'ù xeua 'ngiu au cû ciû vixin. (da Sinàn Capudàn Pascià, n. 4)
A Ciamberlin sûssa belin, | ä Fuxe cheusce de sciaccanuxe, | in Caignàn musse de tersa man | e in Puntexellu ghe mustran l'öxellu. (da A dumenega, n. 6)
  • E in un berretto nero | la tua foto da ragazza | per poter baciare ancora Genova | sulla tua bocca in naftalina.
E 'nte 'na beretta neigra | a teu fotu da fantinn-a | pe puèi baxâ ancún Zena | 'nscià teu bucca in naftalin-a. (da D'ä mæ riva, n. 7)

Le nuvole[modifica]

Etichetta: Dischi Ricordi/Fonit Cetra, 1990, prodotto da Mauro Pagani, Fabrizio De André.

  • Vanno | vengono | per una vera | mille sono finte | e si mettono lì tra noi e il cielo | per lasciarci soltanto | una voglia di pioggia. (da Le nuvole, n. 1)
  • Ah che bell' 'o cafè | pure in carcere 'o sanno fâ | co' â ricetta ch'a Ciccirinella | compagno di cella | ci ha dato mammà. (da Don Raffae'[19], n. 3)
  • Prima pagina venti notizie | ventun'ingiustizie e lo Stato che fa? | Si costerna, s'indigna, s'impegna | poi getta la spugna con gran dignità. (da Don Raffae'[19], n. 3)
  • Con rispetto s'è fatto le tre, | volite 'a spremuta o volite 'o cafè. (da Don Raffae'[19], n. 3)
  • Qui non c'è più decoro, le carceri d'oro | ma chi l'ha mai viste, chissà? | Chiste so' fatiscienti, pe' chisto i fetienti | se tengono l'immunità. (da Don Raffae'[19], n. 3)
  • Il ministro dei temporali | in un tripudio di tromboni | auspicava democrazia | con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni. (da La domenica delle salme, n. 4)
  • «Voglio vivere in una città | dove all'ora dell'aperitivo | non ci siano spargimenti di sangue | o di detersivo». (da La domenica delle salme, n. 4)
  • A tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade | eravamo gli ultimi cittadini liberi | di questa famosa città civile | perché avevamo un cannone nel cortile.[20] (da La domenica delle salme, n. 4)
  • La domenica delle salme | nessuno si fece male, | tutti a seguire il feretro | del defunto ideale, | la domenica delle salme | si sentiva cantare | «quant'è bella giovinezza | non vogliamo più invecchiare». (da La domenica delle salme, n. 4)
  • «Voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio | coi pianoforti a tracolla vestiti da Pinocchio | voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti | per l'Amazzonia e per la pecunia | nei palastilisti | e dai padri Maristi | voi avevate voci potenti | lingue allenate a battere il tamburo | voi avevate voci potenti | adatte per il vaffanculo». (da La domenica delle salme, n. 4)
  • La domenica delle salme | gli addetti alla nostalgia | accompagnarono tra i flauti | il cadavere di Utopia. (da La domenica delle salme, n. 4)
  • Mentre il cuore d'Italia | da Palermo ad Aosta | si gonfiava in un coro | «di vibrante protesta». (da La domenica delle salme, n. 4)
  • Metterai la scopa dritta in un angolo | che se dalla cappa scivola in cucina la strega | a forza di contare le paglie che ci sono | la cima è già piena, è già cucita.
Ti mettiàe ou brùgu rèdennu'nte 'n cantùn | che se d'à cappa a sgùggia 'n cuxin-a stria | a xeùa de cuntà 'e pàgge che ghe sùn | 'a cimma a l'è za pinn-a, a l'è za cùxia. (da 'Â çímma[21], n. 7)
  • [Sulla cima] Bel guanciale, materasso di ogni ben di Dio | prima di battezzarla nel preboggion | con due aghi dritti in punta di piedi | da sopra a sotto svelto la pungerai.
Bell'oueggè, strapunta de tùttu bun | prima de battezàlu 'ntou prebuggiun | cun dui aguggiuìn dritu 'n pùnta de pè | da sùrvia 'n zù fitu ti 'a punziggè. (da 'Â çímma[21], n. 7)
  • Mangiate, mangiate, | non sapete chi vi mangerà.
Mangè, mangè, | nu séi chi ve mangià. (da 'Â çímma[21], n. 7)
  • E nel nome di Maria | tutti i diavoli da questa pentola | vadano via.
E 'nt'ou núme de Maria | tûtti diài da sta pûgnatta | anène via. (da 'Â çímma[21], n. 7)
  • Oh bello mio, | gli occhi mi bruci. | Il bello mio | carnevale di baci. | Oh bello mio, | il cuore mi cuci.
Oh beddu meu, | l'occhi mi bruxi. | Lu beddu meu | carrasciale di baxi. | Oh beddu meu, | lu core mi cuxi. (l'asina: da Monti di Mola, n. 8)
  • Ma nulla si può fare, nulla | in Gallura | che non lo vengano a sapere | in un'ora.
Ma nudda si po' fâ, nudda | in Gaddura | che no lu énini a sapi | int'un'ora. (da Monti di Mola, n. 8)

Anime salve[modifica]

Etichetta: BMG Ricordi, 1996, prodotto da Fabrizio De André, Piero Milesi. Testi di Fabrizio De André e Ivano Fossati.

  • Nel dormiveglia della corriera | lascio l'infanzia contadina | corro all'incanto dei desideri | vado a correggere la fortuna. (da Prinçesa, n. 1)
  • E allora il bisturi per seni e fianchi | una vertigine di anestesia | finché il mio corpo mi rassomigli | sui lungomare di Bahia. (da Prinçesa, n. 1)
  • Dove tra ingorghi di desideri | alle mie natiche un maschio s'appende | nella mia carne tra le mie labbra | un uomo scivola l'altro si arrende. (da Prinçesa, n. 1)
  • Il cuore rallenta la testa cammina | in quel pozzo di piscio e cemento | a quel campo strappato dal vento | a forza di essere vento. (da Khorakhané, n. 2)
  • Per la stessa ragione del viaggio viaggiare. (da Khorakhané, n. 2)
  • Saper leggere il libro del mondo | con parole cangianti e nessuna scrittura | nei sentieri costretti in un palmo di mano | i segreti che fanno paura | finché un uomo ti incontra e non si riconosce | e ogni terra si accende e si arrende la pace. (da Khorakhané, n. 2)
  • I figli cadevano dal calendario | Iugoslavia Polonia Ungheria | i soldati prendevano tutti | e tutti buttavano via. (da Khorakhané, n. 2)
  • E un sollievo di lacrime a invadere gli occhi | e dagli occhi cadere. (da Khorakhané, n. 2)
  • Ora alzatevi spose bambine | che è venuto il tempo di andare | con le vene celesti dei polsi | anche oggi si va a caritare | E se questo vuol dire rubare | questo filo di pane tra miseria e fortuna | allo specchio di questa kampina | ai miei occhi limpidi come un addio | lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca | il punto di vista di Dio. (da Khorakhané, n. 2)
  • Mille anni al mondo mille ancora | che bell'inganno sei anima mia | e che bello il mio tempo, che bella compagnia. (da Anime salve, n. 3)
  • Sono state giornate furibonde | senza atti d'amore | senza calma di vento | solo passaggi e passaggi | passaggi di tempo. (da Anime salve, n. 3)
  • Ore infinite come costellazioni e onde | spietate come gli occhi della memoria. (da Anime salve, n. 3)
  • Mi sono spiato illudermi e fallire | abortire i figli come i sogni | mi sono guardato piangere in uno specchio di neve | mi sono visto che ridevo | mi sono visto di spalle che partivo. (da Anime salve, n. 3)
  • Nera di malasorte | che ammazza e passa oltre | nera come la sfortuna | che si fa la tana dove non c'è luna | nera di falde amare | che passano le bare. (da Dolcenera, n.4)
  • E l'amore ha l'amore come solo argomento | e il tumulto del cielo ha sbagliato momento. (da Dolcenera, n. 4)
  • Acqua che non s'aspetta | altro che benedetta | acqua che porta male | sale dalle scale | sale senza sale | acqua che spacca il monte | che affonda terra e ponte. (da Dolcenera, n.4)
  • Come fa questo amore che dall'ansia di perdersi | ha avuto in un giorno la certezza di aversi. (da Dolcenera, n. 4)
  • Così fu quell'amore dal mancato finale | così splendido e vero da potervi ingannare. (da Dolcenera, n. 4)
  • E la moglie di Anselmo sta sognando del mare | quando ingorga gli anfratti | si ritira e risale | e il lenzuolo si gonfia sul capo dell'onda | e la lotta si fa scivolosa e profonda. (da Dolcenera, n. 4)
  • Le acciughe fanno il pallone | che sotto c'è l'alalunga | se non butti la rete | non te ne lascia una || alla riva sbarcherò | alla riva verrà la gente | questi pesci sorpresi | li venderò per niente. (da Le acciughe fanno il pallone, n. 5)
  • Se sbarcherò alla foce | e alla foce non c'è nessuno | la faccia mi laverò | nell'acqua del torrente. (da Le acciughe fanno il pallone, n. 5)
  • Ogni tre ami | c'è una stella marina | amo per amo | c'è una stella che trema | ogni tre lacrime | batte la campana. (da Le acciughe fanno il pallone, n. 5)
  • E per tutti il dolore degli altri | è dolore a metà. (da Disamistade, n. 6)
  • Si accontenta di cause leggere | la guerra del cuore. (da Disamistade, n. 6)
  • Che ci fanno queste figlie | a ricamare e cucire | queste macchie di lutto | rinunciate all'amore. | Fra di loro si nasconde | una speranza smarrita | che il nemico la vuole | che la vuol restituita. (da Disamistade, n. 6)
  • Luce luce lontana | più bassa delle stelle | sarà la stessa mano | che ti accende e ti spegne. (da Ho visto Nina volare, n. 8)
  • Ho visto Nina volare | tra le corde dell'altalena | un giorno la prenderò | come fa il vento alla schiena. (da Ho visto Nina volare, n. 8)
  • Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria | col suo marchio speciale di speciale disperazione | e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi | per consegnare alla morte una goccia di splendore | di umanità di verità. (da Smisurata preghiera, n. 9)
  • Ricorda Signore questi servi disobbedienti | alle leggi del branco | non dimenticare il loro volto | che dopo tanto sbandare | è appena giusto che la fortuna li aiuti | come una svista | come un'anomalia | come una distrazione | come un dovere... (da Smisurata preghiera, n. 9)

Non incluse negli album[modifica]

  • Senza pretesa di voler strafare | io dormo al giorno quattordici ore | anche per questo nel mio rione | godo la fama di fannullone. (da Il Fannullone[4], 1963)
  • Ma tu dicevi: "Il cielo | è la mia unica fortuna | e l'acqua dei piatti | non rispecchia la luna. (da Il Fannullone[4], 1963)
  • Non sono poi quel cagnaccio malvagio | senza morale straccione e malvagio | che si accontenta di un osso bucato | con affettuoso disprezzo gettato. (da Il Fannullone[4], 1963)
  • Pensasti al matrimonio | come al giro di una danza | amasti la tua donna | come un giorno di vacanza. (da Il Fannullone[4], 1963)
  • Impiccheranno Geordie con una corda d'oro, | è un privilegio raro. | Rubò sei cervi nel parco del re | vendendoli per denaro. (da Geordie[22], 1966)
  • Né il cuore degli inglesi né lo scettro del re | Geordie potran salvare, | anche se piangeranno con te | la legge non può cambiare. (da Geordie[22], 1966)
  • Titti aveva due amori | uno in terra uno in cielo | insomma di segno contrario | uno buono uno vero. (da Titti[19], 1980)
  • Per il segno che c'è rimasto | non ripeterci quanto ti spiace | non ci chiedere più come è andata | tanto lo sai che è una storia sbagliata. (da Una storia sbagliata[19][23], 1980)
  • La bella che è addormentata, | lalalà, lalalà, lalalà, | ha un nome che fa paura: | libertà, libertà, libertà.[24] (da Ed avevamo gli occhi troppo belli, 2001)

Amico fragile. Fabrizio De André[modifica]

  • Genova. Che cosa significa, per me? Ho avuto la fortuna di nascere in questa etnia, in questo piccolo mondo dove si parla una lingua diversa, che faceva parte di uno stato molto più grande ma con un idioma, una cucina, una cultura autonomi. Questo ti fa sentire così vicino a queste persone che condividono la tua diversità, ti senti a tua volta differente dal resto del mondo, sei membro di una grande famiglia di settecentomila persone che ha usi e costumi tutti suoi. E se arrivi a Milano, ci arrivi come un immigrato dal Sud. (pp. 8-9)
  • Da dove viene la nostalgia che tutti noi abbiamo di Genova? Tu dici, e hai ragione, che la nostra tradizione musicale è piena di emigranti che rimpiangono la loro città e sognano di tornarvi, il che si ritrova anche nella canzone napoletana e in quelle di altre città di mare, mentre non succede a Milano o a Torino. Ma forse questo dipende dal fatto che i milanesi sono nati ricchi, e i loro affari li hanno sulla terraferma, mentre i genovesi sono nati poveri, e i loro commerci hanno dovuto farli via mare, lontano da casa. (p. 9)
  • [...] Genova è anche il profumo e il sapore della sua cucina. Come quelli del pesto, che facciamo a Milano o in Gallura, io e Dori, mettendoci dentro tante noci perché non sappia di menta: come capita quando il pesto lo fai lontano da Genova. Perché solo il basilico di Genova "non ne sa". (p. 10)
  • Mi ricordo che un giorno presi mia madre e le diedi uno spintone mandandola contro una finestra, tanto che si tagliò dappertutto, e mio padre decise di darmi una lezione. Mi diede tante cinghiate da farmi lievitare il culo come un pandolce, poi mi chiese: «Hai niente da dire alla mamma?» Io risposi di no. Lui, per rappresaglia, prese i miei album di figurine – ne avevo cinque o sei – e me li bruciò tutti in mezzo alla stanza. Io rimasi impassibile. Lui afferrò una scarpa e mi picchiò in testa col tacco. Poi ripeté: «Hai niente da dire alla mamma?» «No», risposi. Se ne andò, avevo vinto io. (p. 20)
  • Usavo plettri di gomma per scimmiottare lo stile di Jimmy Hall, un chitarrista che produceva un suono soffice come la neve. (p. 42)
  • In Brassens si intrecciavano tre culture: quella mitteleuropea, col valzer, quella francese, con la giava, e quella napoletana, con la tarantella [...]. Ecco perché le mie prime canzoni vivevano su quei ritmi e su quella atmosfera. Poi mi intrigava il fatto che trattasse temi scabrosi, di grande rilevanza sociale, buttandoli via, cantandoli con una nonchalance da teatrante inglese, più che francese: perché il teatrante francese è enfatico, declamatorio, quello inglese dice cose terrificanti con una specie di indifferenza glaciale. Brassens, insomma, fu il mio grande modello anche se, avendone avuta l'occasione, ho sempre evitato di conoscerlo di persona: mi serviva troppo tenermelo come mito; se questo mito, conoscendolo, fosse crollato mi sarebbe crollato il mondo. Sicché, ho preferito immaginarmelo soltanto attraverso le sue canzoni. (p. 43)
  • [Su Luigi Tenco] Lasciamolo in pace, smettiamo di disseppellirlo. (p. 57)
  • [Sui suoi carcerieri] [...] non posso dire che mi facessero paura. Sono più portato a scrutare la vita altrui di quanto non faccia con la mia, mi attirano i perdenti, mi sentivo un soggetto osservatore, più che una vittima. Pensavo che i veri sequestrati fossero loro, che vivevano le stesse nostre scomodità per un compenso davvero misero [...]. Alle mie canzoni, a parte le più vecchie come Il pescatore o Bocca di rosa, preferivano quelle di Guccini. Una volta pregarono Dori, invano, di cantare qualche cosa per loro. Brani che scrissi dopo nacquero dalle loro riflessioni, come Quello che non ho, o da storie vere che mi raccontarono, come Franziska. (p. 115)
  • Scrivere canzoni in italiano è difficile tecnicamente, perché le esigenze della metrica ti rendono necessaria una gran quantità di parole tronche, che in italiano non ci sono, o comunque non abbondano. A questo punto ti vedi costretto, per garantire la qualità estetica del verso, a cambiare addirittura il senso di quello che vuoi dire. Invece il genovese è una lingua agile, è possibile trovare un sinonimo tronco che abbia lo stesso senso della traccia in prosa che tu hai buttato giù per poi tradurla in versi, visto che difficilmente le idee ti nascono già organizzate metricamente. È un problema che abbiamo noi italiani, mentre inglesi e francesi non l'hanno, dato che la loro lingua è molto più ricca di vocaboli tronchi, e che, scrivendo in genovese, è stato assai più facile risolvere. (p. 136)
  • Aspetterò domani, dopodomani e magari cent'anni ancora finché la signora Libertà e la signorina Anarchia verranno considerate dalla maggioranza dei miei simili come la migliore forma possibile di convivenza civile, non dimenticando che in Europa, ancora verso la metà del Settecento, le istituzioni repubblicane erano considerate utopie. E ricordandomi con orgoglio e rammarico la felice e così breve esperienza libertaria di Kronstadt, un episodio di fratellanza e di egalitarismo repentinamente preso a cannonate dal signor Trotzkij. (p. 157)
  • [Sull'emarginazione] Ti sottrae al potere e quindi al fango. Ti avvicina al punto di vista di Dio. (p. 159)

Sotto le ciglia chissà - I diari[modifica]

  • Per quel poco che so, una lingua decade a livello di dialetto (o un dialetto assurge a dignità di lingua), soltanto per motivi storico-politici e non per motivi intrinsechi all'idioma stesso. Questo italiano, questo dialetto fiorentino che è partito come volgare, è diventato lingua aulica, bacchettona, borghesona e bigotta, attraverso la quale non si possono esprimere neanche tutti i termini del vocabolario: se dici fica, già ti espellono dall'albergo. A Genova, chiunque dica mussa e dica belín non provoca alcun scandalo. Se lo dici in italiano casca il mondo. (p. 39)
  • Genova ha avuto un ruolo fondamentale. Perché Genova è una città ipercritica. Se non fai ridere o non fai piangere, è meglio che smetti di fare quei mestieri lì. È una città severissima e in questo senso trovo che somigli parecchio alla Sardegna. (p. 43)
  • Alle 13 imbocchiamo il canale di Idra: è un'altra di quelle giornate in cui gli alberi corrono dietro ai cani. Tornare indietro è un atteggiamento che per carattere mi dà una repulsione fisica: rivedere questi cazzi di paesini è come ritornare con una donna già scopata e di cui non ti è mai fregato un cazzo (la famosa ribollita). Tornare a Genova è diverso, a Genova ritornerò volentieri perché Genova è mia moglie. (pp. 43-44)
  • Che ne sai tu del mare | genovese di sto cazzo | sempre appeso alle tue tasche. | Invece il mare è femmina | e non la puoi tradire | con le sue curve azzurre | a sfruculiare le terre... | e non lo puoi capire. (p. 58)
  • I dialetti sono idiomi non imposti dall'autorità, ma inventati dalle etnie che hanno avuto l'urgenza di comunicare: dico l'urgenza ma in effetti hanno avuto miracoli di tempo a disposizione per inventare, per impegnarsi nell'affinare linguaggi che sempre più rassomigliassero a loro e al loro circostante. Forse non è azzardato dire che le lingue locali assomigliano un po' ai posti dove vengono parlate: così certe asperità che riscontro nell'aostano e che sembrano rispondere, fare da eco, alla durezza delle rocce delle montagne che le circondano, si addolciscono nel piemontese della grande pianura, che suona dolce come dolce suona la lingua della vicina Francia.
    Allo stesso modo la vischiosità del ligure, del genovese in particolare, non è poi tanto lontano dal lepego, dalla scivolosità dei ponti delle barche e dei moli. (p. 65)
  • Quando un navigante abbandona la banchina del porto della città in cui vive, arriva il momento del distacco dalla sicurezza, dalla certezza, sotto specie magari di una moglie, custode appunto del talamo nuziale, agitante un fazzoletto chiaro e lacrimato dalla riva, il distacco dal pezzetto di giardino, dall'albero del limone e, se il navigante parte da Genova, sicuramente dal vaso di basilico piantato lì sul balcone, a far venire appetito agli altri, a quelli che restano, ai disertori del mare. (p. 78)
  • Parafrasando Flaubert, si può dire che mentre il Padreterno a Genova ha dato il sole ed il mare, ai milanesi ha lasciato la pioggia perché avessero un argomento di conversazione, poi ci ha ripensato e gli ha dato anche la nebbia, in modo che di argomenti di conversazione ancora oggi ne abbiano due.
    Eppure, in mezzo a questo sole e a questo azzurrissimo (si fa per dire) mare, sono capitate terribili tragedie, fra cui il relativamente recente naufragio della London Valour. (p. 80)
  • Era la solita madre generosa nella spettacolarità dei paesaggi obliqui e cangianti, mamma affettuosa nell'elargizione di un clima da Shangri-La, genitrice estremamente severa nei confronti di chi si fosse lasciato cogliere addormentato al ritmo del suo respiro mediterraneo, sempre tiepido.
    Quella era la Genova da cui mi dividevo per incidente d'amore e finimmo per disparentarci. Due soggetti diversi: lei a cullare i figli rimasti a casa, i prediletti parrocchiani del lungomare domenicale o i ruvidi altercanti vestiti da principi camalli e da imprenditori porporati: io a coltivare fumose Lombardie di sconfinata femminilità. Un ex figlio stronzo e dimenticato io per lei, e lei per me un grembiulone azzurro e profumato di cui ricordare ogni tanto l'odore di maggiorana: insomma una città da rimpiangere. (pp. 83-84)
  • [Su Cristoforo Colombo] Mi pare che a Genova sia piuttosto diffuso un generale atteggiamento di stupita rassegnazione, un atteggiamento di disprezzo tipico di noi genovesi che, malgrado i luoghi comuni, siamo molto più sensibili alle critiche di ordine morale di quanto non lo siamo al luccichio delle monete. [...] Tutto ciò ha fatto ricadere sull'incolpevole e meravigliata Genova quasi l'onta di avere dato i natali ad un genio della navigazione, un uomo tendenzialmente mite che compì, negli anni della sua maturità, il grave errore di anteporre il desiderio di gloria e ricchezza a quei principî etici cui nessun uomo veramente grande dovrebbe mai venir meno, indipendentemente dal periodo storico in cui è vissuto. (pp. 97-98)
  • A Milano camminano tutti come topi, utilizzando in tempi brevissimi spazi ridottissimi; a Tempio succede l'esatto contrario: abbiamo tutti un passo da grandi distanze e da scarse preoccupazioni; gli spazi sono ancora enormi ed i tempi di realizzazione di molti progetti possono considerarsi addirittura «tempi geologici». Genova, da questo punto di vista, rappresenta un'invidiabile via di mezzo. (p. 131)
  • Genova sta a Milano come grossomodo l'Italia sta alla Germania. Le popolazioni infreddolite hanno sempre fatto di tutto per venire a pisciare nei nostri mari le loro nebbie invernali. (p. 132) [proporzione]
  • Genova è stata una palestra in cui mi sono esercitato a vivere e quindi, grazie anche alle culture limitrofe, a pensare, a scrivere e a suonare. (p. 135)
  • E sulla tua Genova sepolta | non una manciata di terra ma | una cascata di foglie secche | con la faccia di Marx. | Nella tua solitudine piena di facce | di bambini e soldati | ti sei mai chiesto | perché sfidare il mare? (p. 136)
  • Indipendentemente dal gioco e dal risultato difficilmente direi che la partita ha tutte le caratteristiche della vecchia lotta di classe: un Genoa proletario contro un Milan plutocrate e pluridecorato. (p. 212)
  • Il genovese sembra la lingua creata per le canzoni come l'ebraico quella delle profezie. (p. 234)

Una goccia di splendore[modifica]

  • Sono le persone che creano i problemi che non cambiano.
  • Se i cosiddetti "migliori" di noi avessero il coraggio di sottovalutarsi almeno un po' vivremmo in un mondo infinitamente migliore.
  • Le vere domande e le vere risposte non sono fatte di parole: sono fatte di azioni, di gesti, di atti, di opere in cui possono anche essere compresse le parole. Eppure ogni cosa fatta in qualche modo la si paga in ansia, in insuccesso e, se tutto va bene, in nostalgia.
  • È molto più difficile essere capiti facendo del bene che del male.
  • La sinistra non deve dare ai vecchi un "passato", ma un futuro.
  • Il capitalismo non può essere democratico.
  • Anarchismo possibile in un nuovo sistema dei bisogni, finalmente liberato dalla necessità. Purtroppo le necessità esistono ancora.
  • Agli estorsori di consensi convengono i disagi sociali degli uomini: gli uomini disagiati, senza lavoro, senza soldi, sono facilmente orientabili, sono facilissime fonti di consensi (anche elettorali).
  • [Alla domanda "Il denaro la attrae, signor De André?" di un giornalista] Sì, sono io che non sono mai riuscito ad attrarre lui.
  • Cosa farò dei soldi di questo disco? Non so se spenderli nel farmi tirare la faccia per sembrare più giovane, o se usarli per concedermi il tempo di scrivere qualcosa di serio, per sembrare più vecchio.
  • La storia la scrive chi vince.
  • Non è mai stata scritta una storia della pace.
  • Perché non c'è mai stato uno scrittore come ministro della cultura?
  • La televisione è come la storia: c'è chi la fa e chi la subisce.
  • Certe volte mi chiedo se noi che cantiamo insieme al pubblico non siamo rimasti per caso un "club" di signorine romantiche che giocano a "palla a mano" fra le mura di un giardino di melograni mentre fuori la gente si sbrana.
  • Non chiedete a uno scrittore di canzoni che cosa ha pensato, che cosa ha sentito prima dell'opera: è proprio per non volervelo dire che si è messo a scrivere. La risposta è nell'opera.
  • Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O Anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile.
  • La musica non è simbolica. La musica rappresenta se stessa. È un fenomeno protomentale, anticipa la ragione. Evoca, ma non simbolicamente.
  • Nel trasformare in musica cantata una poesia non esiste un'antinomia radicale. Esiste, semmai, l'esigenza formale di volgarizzare quella poesia, nel senso di modificarne il lessico interpolandolo con un linguaggio volgare, che possa raggiungere sentimento e ragione di un uditorio più vasto. Tutto ciò con l'aiuto della magia della musica, che rimane l'unico linguaggio universale che io conosca.
  • Gli artisti, maledizione! Un intellettuale integrato, poverino, io lo capisco: è uno che legge dentro le righe e capisce quello che succede molto più degli altri. Capisco che se non è artista, se non riesce a trasformare quello che capisce in qualcosa d'altro che arriva ancora meglio, deve integrarsi: l'artista è un anticorpo che la società si crea contro il potere. Se si integrano gli artisti, ce l'abbiamo nel culo!
  • Il cuore del marinaio è sempre all'asciutto, a scaldarsi intorno al fuoco. Il marinaio non ama il mare: ci lavora e lo teme. Sogna di avere sempre la terra sotto i piedi, ricorda gli aromi, i volti e i sapori di casa.
  • Mi comperai la vita con i canti e i sorrisi.
  • Non essendo padrone che di una piccola arte spesso dovetti cambiarla con il cibo.
  • Noi [artisti] siamo dei venditori. Bisogna vedere se siamo abbastanza onesti da vendere carne fresca oppure carne marcia.
  • Raramente un artista è stato un eroe. Più spesso vive isolato e come timidissimo coniglio.
  • Non aver casa vuol dire avere la cultura della strada, per capire il cielo e le nuvole, per conoscere le erbe e i frutti, per guidare il carretto o la macchina, per farsi obbedire dal cavallo ed evitare i poliziotti. Scrivere comporta tempo, anche per le chiacchiere di un concerto. Ma è meglio non scrivere una frase intera piuttosto che togliere una sola parola che dia il senso a una frase.
  • Gli uomini si dividono in due categorie: quelli che pensano e quelli che lasciano che siano gli altri a pensare.
  • I finali eclatanti a strappare l'applauso di solito me li riservo per le canzoni.
  • Quando non hai nessuna possibilità di decidere del tuo destino, ti metti nelle mani di qualcuno che, in quel momento, speri che esista. E così ti arrendi alla tentazione della preghiera: non una preghiera tua, che forse non ne sei capace, ma una di quelle che ti hanno insegnato da bambino e che, magari, ti ricordi ancora a memoria.
  • La cosa peggiore quando stai per morire è sapere che hai una possibilità di salvarti.
  • Non mi sento responsabile d'essere migliore degli altri. Ciò che non sopporto è di provare piacere nel dimostrarlo.
  • La solitudine (il silenzio, suo stretto parente, bisogna imparare ad ascoltarlo. Il silenzio non esiste) non esiste; nel senso che la solitudine non consiste nello stare soli, ma piuttosto nel non sapersi tenere compagnia. Chi non sa tenersi compagnia difficilmente la sa tenere ad altri. Ecco perché si può essere soli in mezzo a mille persone, ecco anche perché ci si può trovare in compagnia di se stessi ed essere felici (per esempio ascoltando il silenzio, stretto parente della solitudine). Ma il silenzio vero non esiste, come non esiste la vera solitudine. Basta abbandonarsi alle voci dell'Universo.
  • Attraverso l'esercizio della solitudine si coltiva la dignità: trovo estremamente più dignitoso chiedere l'elemosina che fare le scarpe al proprio collega in ufficio.
  • Il cancro e l'AIDS sono bestie educate: mangiano una ben misera razione di carne rispetto a quella che hai mangiato tu e non ti lasciano solo come tu tenti di fare con loro.
  • Se credessi in Dio, crederei che la vita ci prometta un celestiale dessert dopo un orribile pasto.

Citazioni su Fabrizio De André[modifica]

  • Aveva appena scritto Preghiera in gennaio, in una notte. Volevo sapere come gli veniva l'ispirazione, mi raccontò che di giorno dormiva e di notte usciva e ascoltava i rumori della campagna. (Luigi Riva)
  • Ci siamo conosciuti perché era reciproca la curiosità. Capitò a Bologna, sarà stato il '66 [...] Addirittura avevamo pensato di fare, se non una tournée, un concerto assieme. Sarebbe stato "epocale" (si fa per dire, insomma). E poi per vari motivi non se n'è mai fatto niente. Lui disse anche: «...Sì, mi piacerebbe moltissimo eccetera, ma poi tu parli tanto, io invece non dico mai niente, non vorrei fare brutta figura...» Lui non diceva mai niente durante gli spettacoli. (Francesco Guccini)
  • Come diceva Fabrizio, una canzone può anche non servire, ma conviene sempre scriverla. (Cristiano De André)
  • Cosa ricordo più di mio padre? La sua ostinazione cui si contrapponeva la mia voglia di fargli dispetto. Avevamo solo ventitré anni di differenza. (Cristiano De André)
  • Doveva essere un bel "cazzaro". Te lo immagini a cena con il suo amico Villaggio? Non so cosa avrei dato per esserci. (Fiorello)
  • È stato un incontro devastante. Ho sentito per la prima volta a 16 anni Tutti morimmo a stento e rimasi folgorata, mi fece entrare nell'età adulta. De Andrè mi ha cambiato la vita, mi ha mostrato l'altra faccia della medaglia che io non conoscevo. Con lui ho scoperto che esistevano i diseredati, gli esclusi, la droga e le prostitute. Tutto quello che c'è dall'altra parte della luna. Mi ha insegnato che tutti possiamo sbagliare nella vita. Possiamo essere Bocca di rosa e Marinella. Non dobbiamo metterci sul pulpito e giudicare nessuno. È stato un maestro. (Fiorella Mannoia)
  • Fabrizio è tra i grandi poeti del rock, anzi per me è un santo. (Wim Wenders)
  • Fabrizio De André è uno chansonnier, e lo è nel senso più vero: il senso in cui la poesia, il testo letterario e la musica convivono necessariamente. (Mario Luzi)
  • Fabrizio è di tutti. (Dori Ghezzi)
  • Fabrizio era un uomo generoso e bellicoso, facile da amare e difficilissimo da andarci d'accordo. Uno dei ricordi più belli che conservo di lui è quando andammo all'Idroscalo di Milano sulle montagne russe del Luna Park, insieme a Dori: scendemmo felici e ubriachi con lo stomaco in bocca e andammo a finire la serata chissà dove. (Francesco De Gregori)
  • Fabrizio lo conoscevo bene, ci siamo sempre stimati, anche se frequentavamo ambienti molto diversi. Lui era figlio di uno degli uomini più ricchi di Genova, io di uno dei più poveri. Non c'è mai stato modo di fare qualcosa insieme. [...] Anche se musicalmente c'è troppo Brassens per chi Brassens lo conosce, credo che La buona novella sia il disco più bello mai fatto in Italia. (Angelo Branduardi)
  • Giornate intere di bonaccia, calma quasi piatta, e poi improvvise scosse elettriche con rincorse verso l'alto o verso il basso. In alto lo spirito filosofico e in basso il fondo dei garbugli umani. Secondo l'umore, secondo la giornata. Troppo terribilmente intelligente per definirlo un buono. Ma quest'ultimo era il Fabrizio che preferivo. (Ivano Fossati)
  • I miei vangeli sono cinque: Matteo, Marco, Luca, Giovanni e... Fabrizio.
    Oltre ai quattro testi "canonici", ho da sempre un quinto evangelo, quello secondo De André. È la mia Buona Novella laica. Scandalizza i benpensanti, ma è l'eco delle parole dell'uomo di Nazareth che, ne sono certo, affascinò il mio amico Fabrizio. (Andrea Gallo)
  • [I]o associo la voce di Fabrizio a un vuoto che gli si fa intorno: lui chiede spazio e chiede tempo, prima di tutto col timbro della voce, con il modo con il quale scandisce le parole. Non si poteva ascoltarlo se non mettendo quella voce su una specie di ara, attorno alla quale non potevi far altro che dare un ascolto totale alle sue parole. (Michele Serra)
  • La forza dei veri artisti si vede anche dalla fortuna di dare piacere e fare compagnia anche dopo che se ne sono andati. In Italia è accaduto solo per De André e Gaber, attorno ai quali ci si ritrova in tanti, senza mai meravigliarsi che nel novero degli amici ci siano persone estremamente difformi per idee politiche e calibro culturale, senza nessuna necessità di dover giustificare differenti punti di partenza. (Michele Serra)
  • La memoria di Fabrizio ha diritto oggi a qualcosa di diverso, ne sono più che convinto. Merita più delle agiografie, delle biografie, delle scontate raccolte di canzoni rimasterizzate e reimpacchettate. Merita soprattutto di sfuggire all'aneddotica prêt à porter cui vengono fatalmente adattate le figure dei grandi artisti quando non sono più in grado di confutare o di precisare. Quando gli amici, i compagni di strada, quelli che sanno, che hanno visto, quelli che c'erano, si moltiplicano a dismisura. (Ivano Fossati)
  • Nel corso della mia carriera mi sono confrontato sin dall'inizio con i repertori altrui. Perché trovo ci sia molto da imparare, specie da maestri del calibro di Fabrizio De André e Giorgio Gaber. Rileggere le loro opere non significa solo condividere qualcosa che si trova esteticamente valido, ma anche dell'arte che si considera fondamentale da un punto di vista etico. [...] Perché parliamo di autori che hanno messo spessore in quanto hanno fatto, hanno speso idee, hanno formulato proposte interessanti anche politicamente, ideologicamente, filosoficamente. (Morgan)
  • Oggigiorno la superficialità globalizzata tocca anche l'arte e la musica. Uno come Fabrizio De André, secondo questa logica, diventa un simbolo più da esporre che da capire. (Marco Rizzo)
  • Questo è il punto: lui era l'unico poeta della canzone d'autore. Gli altri, me compreso, con l'eccezione forse di Guccini, sono bravi, non poeti. E i suoi testi sono gli unici che reggono anche senza musica. [...] Non è assolutamente per tutti. Il suo era un elitarismo culturale. Aveva il fisico e la testa del poeta. Non aveva bisogno di mettersi in una torre d'avorio: in quella torre ci era nato. (Roberto Vecchioni)
  • Se non avessi conosciuto le canzoni di Fabrizio, non avrei mai cominciato a scrivere le mie. (Francesco De Gregori)
  • Si dice che Fabrizio sia il Dylan italiano, perché non dire che Dylan è il Fabrizio americano? (Fernanda Pivano)
  • [Confrontando De André con Giorgio Gaber] Si sente insomma che Gaber era attore: viveva quanto cantava mettendo in gioco una carica emotiva che in De André non c'è. De André rimane neutrale, racconta, quasi non interpreta. Dipende molto anche dalle diverse dinamiche del loro canto: quella di Fabrizio era monocorde, e questo implica che ascoltarlo sia quasi come leggere un testo scritto. Quanto lui canta ti arriva in sé: come se - paradossalmente - non ci fosse chi te lo sta passando. Gaber invece è il contrario. Si avverte quanto egli metta in gioco il suo essere umano. Prende il tema e lo racconta dal suo punto di vista, ti dà una vera interpretazione. Però avevano in comune una caratteristica bellissima: non hanno mai sposato una parte politica. Hanno costruito un pensiero libero, da anarchici libertari, direi. Che poi declinavano musicalmente in modo, anche qui, diversissimo: De André con i due riferimenti della canzone medievale, all'inizio della carriera, e poi della canzone etnica; Gaber in modo molto più ampio. [...] Confrontarsi con loro è insomma interessante da ogni punto di vista, oltre che necessario. Il problema è che se mi chiedete quale eredità hanno lasciato ai cantautori di oggi, io temo di dover rispondere che gli artisti della mia generazione non hanno imparato niente da loro. (Morgan)
  • Una delle grandi qualità di Fabrizio è che non è mai stato moralista, non ha mai apprezzato il perbenismo e ha sempre cercato di capire le debolezze umane. E poi la pietas umana, che era per lui un elemento essenziale per conoscere il prossimo, e che è sempre stata al centro della sua poetica. Fabrizio è anche stato sempre molto coerente. (Dori Ghezzi)

Note[modifica]

  1. Riferito ai caruggi di Genova. Cfr. Luigi Viva, Non per un dio ma nemmeno per gioco, Feltrinelli, Milano, 2004, p. 65. ISBN 88-07-81580-X
  2. a b c Il brano è dedicato a Luigi Tenco. Cfr. Preghiere dalle canzoni.
  3. Cfr. François de La Rochefoucauld: «I vecchi amano dare buoni consigli per consolarsi di non poter più dare cattivi esempi».
  4. a b c d e f g Testo di Fabrizio De André e Paolo Villaggio.
  5. a b c d Testo ricavato dalla poesia Eroina di Riccardo Mannerini.
  6. Nella poesia di Mannerini, Eroina, questo passo è leggermente diverso: «Solo quando | scadrà l'affitto | di questo corpo idiota | avrò un premio. | Sarò citato | di monito a coloro | che credono sia divertente | giocare a palla | col proprio cervello | riuscendo a lanciarlo | oltre la riga | che qualcuno ha tracciato | ai bordi dell'infinito.».
  7. Nella poesia di Mannerini, Eroina, questo passo è leggermente diverso: «Insegnami, | tu che mi ascolti, | un alfabeto diverso | da quello della mia vigliaccheria.».
  8. a b c d e f g h i j k l m n o p q Testo di Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio.
  9. a b c d Testo in lingua originale di Georges Brassens.
  10. Cfr. Regole dalle canzoni.
  11. Cfr. Edgar Lee Masters: «Per Cooney Potter una colonna di polvere | o un turbinio di foglie significavano rovinosa siccità; | a me sembrava di vedere Red-Head Sammy | quando ballava Toor-a-Loor da par suo».
  12. Cfr. Edgar Lee Masters: «E se la gente vede che sai suonare, | be', ti tocca suonare, per tutta la vita».
  13. Testo di Fabrizio De André e Roberto Dané.
  14. a b Testo in lingua originale di Bob Dylan. Testo italiano di Fabrizio De André e Francesco De Gregori.
  15. a b Testo in lingua originale di Antoine Pol.
  16. a b c Testo in lingua originale di Leonard Cohen.
  17. Testo di Fabrizio De André e Francesco De Gregori.
  18. Cfr. Barzellette dalle canzoni.
  19. a b c d e f Testo di Fabrizio De André e Massimo Bubola.
  20. Cfr. Oswald de Andrade, Serafino Ponte Grande, traduzione di Daniela Ferioli, Einaudi, 1976, p. 46: «Ma io sono l'unico libero cittadino di questa famosa città, perché ho un cannone nel cortile».
  21. a b c d Testo di Fabrizio De André e Ivano Fossati.
  22. a b Testo tradizionale inglese riadattato in italiano da Fabrizio De André.
  23. Il testo del brano è dedicato a Pier Paolo Pasolini.
  24. Audio disponibile su Youtube.com.

Fonti[modifica]

  1. Citato in Genova è mia moglie, p. 23
  2. Dal programma televisivo La storia siamo noi, puntata Fabrizio De André – In direzione ostinata e contraria. Video disponibile su Rai.it (00:50).
  3. Citato in Ettore Cannas, La dimensione religiosa nelle canzoni di Fabrizio De André, ed. Segno.
  4. Da un'intervista a Il Giornale, 8 agosto 1994.
  5. Citato in Don Andrea Gallo, Sopra ogni cosa, Piemme, Milano, 2014, p. 8. ISBN 88-566-2458-8
  6. Citato in un articolo di giornale de Il Secolo XIX, 2009 e in Luigi Berlinguer e Antonello Mattone, La Sardegna, Einaudi, 1998, p. 909. ISBN 88-06-14334-4
  7. a b Dall'intervista di Gianni Minà in merito alla band Tempi Duri, nel programma televisivo Blitz, RaiDue, 1982.
  8. Citato in L'amore sacro, l'amor profano – omaggio a Fabrizio De André, a cura di Piero Ameli, BURsenzafiltro, Bergamo, 2006. Allegato al DVD Omaggio a Fabrizio De André, concerto tributo registrato il 10 luglio 2005 all'Anfiteatro Romano di Cagliari. ISBN 88-17-01296-3
  9. Da un'intervista a Gigi Speroni, De André s'arrabbia con Gaber, Domenica del Corriere, 6 gennaio 1974, p. 33
  10. Citato in Primarie Pd, Dori Ghezzi regala a Bersani un verso inedito di De André: "E poi a un tratto l'amore scoppiò dappertutto", HuffingtonPost.it, 1º dicembre 2012.
  11. a b Da un'intervista a Mario Luzzatto Fegiz, «Questa città multirazziale, come Sarajevo», Corriere della Sera, 18 novembre 1997, p. 17
  12. Citato in Genova è mia moglie, p. 143
  13. Citato in Roberto Paravagna, Note genovesi, Il Piviere, 2013, p. 128
  14. Citato in Raffaele Niri, Dori: "Video e fotografie mandateci il vostro Faber", Repubblica.it, 7 gennaio 2009.
  15. Dal discorso sulla canzone Buona novella in un concerto del 1998. Video disponibile su Youtube.com (01:25).
  16. Da un'intervista telefonica a Milano, 14 giugno 1992; citato in Non per un dio ma nemmeno per gioco, p. 111
  17. Citato in Andrea Coclite & Dario Falcini, Fabrizio De André, un artista eterno in 10 canzoni, rollingstone.it, 11 gennaio 2022.
  18. Citato in È morto Paolo Villaggio, il Post.it, 3 luglio 2017.
  19. Da un discorso in concerto; visibile in Dentro Faber, vol. 1, L'Amore, RAI Trade per RCS, 2011.
  20. Dopo aver assistito ad un concerto di Ligabue nel giugno 1997 a San Siro; citato in Aldo Vitali, L'intervista "incriminata", Sorrisi.com, 26 novembre 2003.
  21. Citato in Antonio Oleari, Un viaggio lungo 40 anni, Aereostella, Milano, 2008, p. 20. Citato anche in Francesco De Nicola, Il sogno e l'avventura: la vita e la poesia di Riccardo Mannerini in Riccardo Mannerini, Il sogno e l'avventura. Poesie 1955 – 1980, a cura di Francesco De Nicola e Maria Teresa Caprile, Liberodiscrivere edizioni, Genova, 2009, p. 13. ISBN 978-88-7388-236-7
  22. Da Deve essere il popolo a modificare le cose, Sa Repubblica Sarda, Alfa Editrice, Quartu Sant'Elena, anno IV, N° 5, 12 novembre 1982.
  23. Citato in Tonino Cagnucci, Il grifone fragile, Lìmina, Storie e miti, 2013, p. 19. ISBN 88-6041-149-1. Citato in Non posso scrivere del Genoa, 27 marzo 2013.
  24. Da Un talento perseguitato dalla fama del padre, Corriere della Sera, 10 luglio 2006.
  25. Da un'intervista di Marinella Venegoni, De André: «Canto il Mediterraneo contro la moda anglo-americana», La Stampa, 3 marzo 1984, p. 21
  26. Dall'intervista pubblicata nel programma televisivo Fabrizio De André, Sarzana, 29 agosto 1981, sede RAI dell'Emilia Romagna, regia di Vittorio Lusvardi. Video disponibile su Youtube.com.
  27. Da un'intervista a L'Agnata, Tempio Pausania, 17-18 agosto 1992; citato in Non per un dio ma nemmeno per gioco, p. 64
  28. a b Da un'intervista a Senzapatria, 14 agosto 1991.
  29. Dal commento introduttivo a La città vecchia, Teatro Brancaccio di Roma, 14 febbraio 1998.
  30. Da Come un'anomalia: tutte le canzoni, a cura di Roberto Cotroneo e Vincenzo Mollica, Einaudi, 1999, pp. 59-60. ISBN 88-06-15306-4. Citato in RiccardoMannerini.it.
  31. De André presentò con queste parole il giovane cantautore a Nanni Ricordi, produttore discografico. Citato in Enrico Deregibus, Francesco De Gregori. Quello che non so, lo so cantare, Giunti, 2002, p. 45. ISBN 978-88-09-75626-7
  32. Dall'intervista di Enzo Biagi nel programma televisivo Linea Diretta, Rai, 1985; in Dentro Faber, Vol. 8, Poesia In Forma Di Canzone, RAI Trade per RCS, 2011.
  33. Dalle note di ringraziamento dell'album Mi innamoravo di tutto, 1997.
  34. Cfr. Fondazione Fabrizio De André e Twitter.com.
  35. Da un'intervista; visibile in Dentro Faber, vol. 4, L'uomo, il potere, la guerra, RAI Trade per RCS, 2011.
  36. In Dentro Faber, Vol. 5, Genova E Il Mediterraneo, RAI Trade per RCS, 2011.
  37. Cfr. I concerti di Fabrizio, a cura di Marco Pandin, Viadelcampo.com.

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