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Napoli

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Napoli vista dal quartiere di Posillipo; sullo sfondo, il Vesuvio

Citazioni sulla città di Napoli e sui napoletani.

Citazioni in prosa

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  • A dir la verità, la bellezza di Napoli è un po' un inganno. Napoli non è bella, finché non la guardate da lontano. Da lontano si stende dorata nel sole, il mare è azzurro, quanto ne avete appena un'idea, qui davanti un bel pino, lì quell'azzurro è Capri, il Vesuvio soffia un batuffolo di ovatta biancastra, Sorrento splende lontana e netta – Dio, è bello. E poi scende il crepuscolo, tutto si inazzurra e spuntano le luci, adesso è tutto un semicerchio di piccole scintille, sul mare si muove una nave e splende di luci verdi, azzurre, dorate: Dio, è bello! Ma entra in città, amico mio; cammina per le strade, posa su tutto i tuoi occhi boemi e goditi quanto puoi il pittoresco di questa vita; tra un po' ne sarai nauseato. Forse queste strade sono pittoresche, ma sono decisamente bruttissime. Girovaghi sotto ghirlande di biancheria sporca, ti fai largo tra una minutaglia di ogni risma, asini, mascalzoni, capre, bambini, automobili, ceste di ortaggi, e di altre equivoche porcherie, officine che fuoriescono sul marciapiede e arrivano al centro della strada, immondizie, marinai, pesci, carrozzelle, cespi di cavolo, strilloni, ragazze con i capelli acconciati, sudici monelli stesi a terra; è tutto uno spintonarsi, uno schiamazzare, un bastonare con malagrazia gli animali, un chiamare a gran voce, offrire, urlare, schioccare la frusta, derubare. (Karel Čapek)
  • 'A disoccupazione pure è un grave problema a Napoli, che pure stanno cercando di risolvere... di venirci incontro... stanno cercando di risolverlo con gli investimenti... no, soltanto ca poi, la volontà ce l'hanno misa... però hanno visto ca nu camion, eh... quante disoccupate ponno investi'? [...] cioè, effettivamente, se in questo campo ci vogliono aiutare, vogliono venirci incontro... na politica seria, e ccose... hann' 'a fa' 'e camiòn cchiù gruosse. (Massimo Troisi)
  • A guardare nella nazione napolitana solamente l'uomo, a contemplare l'enorme sciupio delle leggi morali e religiose, ogni anima onesta sarebbe tentata a gridare: Dio non è, o l'uomo non è l'opera della sua mano! Ma quando lo sguardo ricade su quelle soavi creature, in cui non sai che più ammirare, se lo splendore della bellezza o la nobilità dello spirito, quando vagheggi quell'opàla eterna i cui fuochi non muoiono mai; allora ti riconcilii con Dio e dici: quest'uomo è caduto, e la sua tristizia è un'espiazione. Un'espiazione forse della sapienza etrusca, della signoria romana, della libertà proficua del medio evo; un'espiazione della codardia moderna e dello scoraggiamento di oggidì. (Ferdinando Petruccelli della Gattina)
  • A Napoli, città assurda, nulla è assurdo. (Vittorio Paliotti)
  • A Napoli, diversamente da Firenze o Venezia, che sono città museo, prive di una vera vita cittadina, e dove tutto è organizzato in funzione di un turismo di massa che ha completamente cambiato la qualità della vita rendendo queste città dei musei ingessati, Napoli ha la possibilità, non potendo contenere un turismo di massa come le suddette città, di conservare il suo straordinario fascino e le qualità dove il museo è un museo vivente, dove il patrimonio artistico convive con le realtà sociali, economiche, commerciali. Dove cioè il patrimonio artistico non è visto come un museo ma come parte di una vita in continua trasformazione, con le sue ombre, le sue luci, la miseria e la nobiltà. Napoli, cioè, come ultimo luogo di una mediterraneità vissuta non come museo ma come vita e realtà in continua evoluzione. (Nicola Spinosa)
  • A Napoli è cambiato tutto. O quasi. Per i rifiuti è cambiato molto poco. La camorra, è vero, è diventata meno aggressiva. E da qualche avamposto si è dovuta ritirare. Però la raccolta dei sacchi «da 'a munnezza» è rimasta nelle mani delle stesse imprese che l'avevano ottenuta in appalto agli inizi degli anni Novanta, gli anni d'oro di Cirino Pomicino, De Lorenzo, Di Donato: i tre avidi «viceré» del Caf. Imprese che nel settembre del '96 hanno riottenuto dalla giunta Bassolino l'appalto per la raccolta delle 1300 tonnellate/giorno di pattume tal quale generate dalla città di Napoli. (Ivan Berni)
  • A Napoli è stata affibbiata una mutazione di funzione e destino di cui non si è mai compresa la connotazione: da ex capitale, che cosa è diventata? Non si sa. E quel che è peggio: non se ne discute. (Philippe Daverio)
  • A Napoli, il 15 maggio, una sollevazione popolare aveva colto tutti di sorpresa. I soldati spararono e ci furono molti morti. Il Parlamento, che aveva tentato una mediazione, venne invece accusato di aver sostenuto la sedizione. (Nico Perrone)
  • A Napoli nulla è più redditizio che esercitare il mestiere d'avvocato, benché ve ne siano in gran numero. A voler considerare tutti quelli che praticano di cose giuridiche e che frequentano il Tribunale di Napoli si potrebbero contare circa trentamila persone. Di queste ben quindicimila sono avvocati.
    Se vi capita di andare in Tribunale, che qui si chiama Vicaria, si può diventare sordi, tale è il chiasso che fanno questi cabalisti. Qui vi è una folla di gente così grande che a malapena si può passare, nonostante le numerose e ampie sale di cui dispone il Tribunale. Tutti i giuristi vestono in abito nero e vengono chiamati paglietti, dal nome del collare che portano detto paglietto, del tutto simile ai collari dei preti, ma di colore azzurrognolo... tanti facoltosi giuristi sono la prova più evidente di liti e processi, piuttosto che di buona giustizia. (Jacob Jonas Björnståhl)
  • A Napoli puoi anche mandare un prefetto di frontiera come Mori o un baluardo della cultura come il sottoscritto. Ma non ci fai nulla. Un po' come a Palermo. Al Sud c'è una travolgente forza del male. (Vittorio Sgarbi)
  • A Napoli va debitrice l'Italia della restaurazione della moderna filosofia razionale, che da quel regno si propagò per tutta la penisola. Il Telesio, il Bruno ed il Campanella aveano cominciato a scuotere il gioco aristotelico; il Vico ed il Genovesi lo levarono dal collo degli Italiani e lo infransero. (Giuseppe Maffei)
  • Amo Napoli perché mi ricorda New York, specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada. Come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come quella di New York. (Andy Warhol)
  • Benché abbia spesso subito assalti terribili è ancora una delle più nobili città del mondo e forse anche la più bella.
    Essa è tutta lastricata, e le strade sono per la maggior parte dritte e larghe. Le case sono alte e quasi tutte a tetto piatto e di struttura uniforme. Londra, Parigi, Roma, Vienna, Venezia e una quantità d'altre città famose hanno, in verità, dei belli edifici; ma quei palazzi sono inframmezzati da case brutte, mentre Napoli è generalmente tutta bella. (Maximilien Misson)
  • Cara Napoli, è difficile, tanto difficile dopo quattro anni... e allora ho pensato che forse è meglio salutarti così: chiedendo in prestito prima a zio Pino e poi a te, quello che la gente, la meravigliosa tua gente, ti canta ogni volta come una promessa di amore eterno. [...] Napule è tutto nu' suonno e a' sape tutto o' munno ma nun sann' a verità.[1] Io la so. L'ho scoperta, l'ho amata, l'ho chiusa a chiave nel cuore: ed è per questo che oggi i miei occhi sono bagnati da questo mare e sporcati da questa terra. Terra mia. Ciao guagliù, forza Napoli sempre. (Gökhan Inler)
  • Caracciolo era uno di quei pochi che al più gran genio riuniva la più pura virtù. Chi più di lui amava la patria? Che non avrebbe fatto per lei? Diceva che la Nazione Napolitana era fatta dalla natura per avere una gran marina, e che questa si avrebbe potuto far sorgere in pochissimo tempo: avea in grandissima stima i nostri marinari. (Vincenzo Cuoco)
  • Che cosa significasse per il Caravaggio l’incontro con la immensa capitale mediterranea, più classicamente antica di Roma stessa, e insieme spagnolesca e orientale, non è difficile intendere a chi abbia letto almeno qualche passo del Porta o del Basile; un’immersione entro una realtà quotidiana violenta e mimica, disperatamente popolare. (Roberto Longhi)
  • [Sembrerebbe] che un riflesso del sorriso di questo cielo privilegiato si diffonda su di essi[2], che anche sul dolore sanno innalzare a Dio canti festosi. (Fanny Salazar Zampini)
  • Chi desidera la felice comunione di posizione, clima, fertilità e grandezza, penserà che Genova trascenda tutto ciò che anche una fervida immaginazione può desiderare. Se con un grado di bellezza positiva molto, molto inferiore, si sente toccato principalmente da una serie di caratteristiche naturali più interessanti, disposte elegantemente e persino filosoficamente, Napoli è la città che può maggiormente offrirgli questione di speculazione solenne e piacevole. (Hester Lynch Piozzi)
  • Chi ha ragione? Chi ha visto meglio il tratto saliente della città che, come ogni realtà complessa, può essere considerata da molti e differenti punti di vista? Lo scrittore napoletano Raffaele La Capria definisce Napoli una città bifronte, come Giano, il dio con due facce: «Secondo come la si guarda può essere "disperatissima" o "felicissima"».
    Il dilemma rappresentato da Napoli è forse nel fatto che qualunque giudizio si esprima può essere considerato giusto. La magnificenza e l'abiezione, la bellezza e l'orrore, una gentilezza e una crudeltà che sembrano venire entrambe da tempi remoti. Perché se Napoli fosse solo orrore e ferocia come talvolta la cronaca induce a pensare, non varrebbe nemmeno la pena di arrovellarsi, di chiedersi come mai possa accadere tutto ciò che vi accade. (Corrado Augias)
  • Ci sono città più forti dei secoli: il tempo non le muta. Si succedono le dominazioni, le civiltà vi si depositano come sedimenti geologici; ma esse conservano attraverso i tempi il loro carattere, il loro profumo, il loro ritmo e il loro rumore, diversi da tutte le altre città della terra. Da sempre Napoli è una di queste e, come appare oggi al viaggiatore, così era nel Medioevo e così indubbiamente mille anni prima, mezzo africana e mezzo latina, con i suoi vicoletti affollati, il suo chiassoso brulichio di gente, il suo odore di olio, di zafferano e di pesce fritto, la sua polvere color del sole e il rumore di sonagli che dondolano al collo dei muli. (Maurice Druon)
  • Città cosmopolita per eccellenza e tollerante quante altre mai, Napoli, più che limitarsi ad offrire ospitalità e rifugio agli esuli greci nelle diverse, tristi o meno tristi, vicende della loro storia, ha costituito quasi sempre una seconda patria, come a suggellare nel tempo il significato dell'antico nome ellenico. Per chi è greco e ha stabilito la propria dimora in questa città, non diversamente dai tanti altri che l'hanno preceduto nei tempi andati, non è solo un conforto o un compiacimento, è un motivo di esaltazione, e anche una lusinga cui non è facile sottrarsi. (Costantino Nicas)
  • Colpito dalla prima apparizione di Napoli. Grandi folle, strade belle, edifici alti. (Herman Melville)
  • Comm si bell... I miss you assai assai.[3] (David Rocco)
  • Con superbo slancio patriottico sapeva ritrovare, in mezzo al lutto ed alle rovine, la forza per cacciare dal suolo partenopeo le soldatesche germaniche sfidandone la feroce disumana rappresaglia. Impegnata un'impari lotta col secolare nemico offriva alla Patria, nelle "Quattro Giornate" di fine settembre 1943, numerosi eletti figli. Col suo glorioso esempio additava a tutti gli Italiani, la via verso la libertà, la giustizia, la salvezza della Patria. Napoli, 27 – 30 settembre 1943. (Motivazione data dalla Presidenza della Repubblica italiana con decreto del 10 settembre 1944, che così assegnava alla città di Napoli la Medaglia d'oro al valor militare.[4])
  • Credimi, per chi ha un po' d'onore e di sangue nelle vene, è una gran calamità nascere napoletano. (Carlo Filangieri)
  • Cuffià: Dileggiare, beffare, deridere, burlare, prendere in giro, ma in una cadenza autenticamente napoletana, cioè ironica, sorridente e canzonatoria, tutt'altro che beffarda, sarcastica e maligna. [...] per l'homo neapolitanus il cuffià si configura spesso quale itinerante supporto esistenziale: per lui, che sotto le disincantate specie del Tatonno 'e Quagliarella di Giovanni Capurro (musicato da Francesco Buongiovanni nel 1919), può dire «cuffeio pure 'a morte e 'a piglio 'a risa»... Ed è proprio in questa sovrana irrisione che si condensa e si sublima tutta la millenaria saggezza del nostro popolo, tutta la perenne essenzialità del suo sussistere, tutta la esplicita garanzia della sua rinnovantesi sopravvivenza... (Renato De Falco)
  • Da milanese dico che i napoletani sono l'unico popolo italiano che non è italiano perché è molto più napoletano che italiano. Hanno delle caratteristiche particolari. Ho fatto tanti film, a Napoli, li conosco bene da De Sica a Edoardo De Filippo. Sono diversi, sono napoletani. (Carlo Ponti)
  • [Napoli, vista dal Museo di San Martino] Da questo cumulo di tetti si levava un frastuono, un urlo continuo, come esplosioni di voci ininterrotte, di cui non ci si fa l'idea nella città stessa. Questo vi incute davvero una sorta di spavento, e questo rumore che si alza con la nebbia azzurra fa stranamente sentire a quale altezza ci si trova e dà le vertigini.
    Queste cappelle di marmo mi hanno incantato. Il paese che possiede quel che possiede l'Italia è il paese più ricco del mondo. Io paragono l'Italia con il resto dell'universo, come un magnifico quadro con un muro imbiancato a calce.
    Come ho osato giudicare Napoli l'anno scorso! se solo avessi visto! Tutta la strada di San Martino e la discesa lungo Posillipo offrono bellezze da lasciare stupefatti. E queste ville sparpagliate e questo mare, e il Vesuvio e il cielo, e la grotta di Pozzuoli, che si scorge come una bocca di cannone! – Si perde la testa! (Marija Konstantinovna Baškirceva)
  • Da Parigi, seguendo i confini di Francia, abbiamo visto il Meno gettarsi nel Reno tra sponde fitte di bei vigneti, e la fertile Campania fino a Napoli, coi suoi palazzi stupendi e le strade dritte, ben lastricate, che dividono la città in quattro parti. E la tomba d'oro del saggio Marone, e la strada lunga un miglio che tagliò nella roccia in una sola notte. (Christopher Marlowe)
  • Da sempre la città è piena di misteriosi rumori, di stridulo chiasso, di suoni inquietanti, e sembra che tutto questo sia collegato al canto, si origini dal canto e sfoci nel canto. In realtà tutto inizia con il parlare. Non un parlare in senso europeo, ma un accavallarsi continuo di tutte le possibili tonalità, sempre tendenti a modularsi in canto: tenerezza, dolcezza, il tono rauco e basso della lingua dei pescatori, la cadenza dei tassisti, il pathos dei Commendatori[5] il sospiro, l'adulazione e la maldicenza dei Cavalieri[5], qua il bisbiglio degli spacciatori di droga là il discorso tenero e affettuoso degli amanti. Poi tutto si tramuta in urlo: le corde vocali si tendono come le corde di un arco, ed ecco l'urlo che scocca nell'aria. Come uno sparo perfora lo strato latteo e appiccicoso del brusio prodotto dalle voci di migliaia di persone.
    I monelli che sghignazzano, la madre che strilla, il commerciante di cravatte, gli acquaioli, i venditori di fichi d'india, di ostriche, di segatura, di piedi di porco, di giornali; e tutti quelli che spingono per le strade i loro carri senza tempo, ciascuno col proprio grido, tre o quattro toni, ripresi letteralmente dai Greci e dai Mori.
    È una sinfonia di voci, con trilli, cadenze, ora nitide e definite, quasi eleganti, ora furiose e indignate, come le urla disperate di un moribondo. Di nuovo poi fantasiose modulazioni, impetuose o carezzevoli, nostalgici fremiti della vita, del tempo, voci che sembrano gareggiare, che si sovrappongono. (Hans Werner Henze)
  • Dei magnati napoletani mi ricorda di avere una volta parlato con poco favore a cagione di certo barbaro spettacolo non so se tuttavia costì praticato, che allora mi mosse a sdegno e a ribrezzo. Ma per ben costumata che sia, non v' è città che alcuna cosa in se stessa non offra degna di biasimo: ed or m'avveggo come degnissimi essi si porgano di bella lode per animo liberale, per indole generosa, e per singolare fedeltà nell' amicizia. E questo vanto meritamente a loro consente la storia di Roma, che ridotta nella seconda guerra Punica allo stremo delle sue forze, abbandonata e combattuta da quasi tutta l' Italia, e tradita dai Capuani vostri vicini, che i benefizi ed i soccorsi da lei ricevuti rimeritarono con odio mortale e con gravissime ingiurie, dalla esimia fedeltà, e dalla liberale munificenza dei Napolitani ebbe nell'ora del suo più grave pericolo aiuto e sostegno. Perché gli antichi non meno che i recenti tempi mi porgono sicuri argomenti ad affermare che, chi veduta Napoli non se ne innamora, o non conosce che sia virtù, o non è capace di amarla. (Francesco Petrarca)
  • Di Napoli non amo i musei, le chiese, i monumenti, e neppure il mare. Di Napoli amo la turbolenza delle pietre, la follia che plana sui tetti come una nuvola, i panni stesi ad asciugare sulla corda tesa fra due balconi, una donna anziana vestita di nero che conservava ancora negli occhi l'ironia, l'eccesso, l'eccesso di rumore, l'eccesso di mistero, l'eccesso di evidenza e di violenza, la vernice rossa versata sui muri per far credere che si tratti di sangue, credere al sangue di san Gennaro che si liquefa e a quello di san Giovanni Battista che ribolle, di Napoli amo l'odore di nafta mischiata alla polvere soffocante, il sudore dei volti che imprecano contro l'ordinario disordine, una lavanderia aperta per vendere i biglietti della lotteria, la strada che si restringe per evitare una chiesa, una madonna che piange lacrime di sangue, il miracolo che cammina sopra una montagna di leccornie, la glassa che si aggiunge per bellezza, lo scooter che solca i viali zigzagando, il televisore acceso giorno e notte, il sorriso di una bella donna che aspetta il proprio uomo, una pattuglia di poliziotti che fa finta di riportare l'ordine, la manifestazione dei teppisti, il museo nazionale che dà le spalle alle urla della città vecchia, un parcheggio che deturpa ulteriormente Piazza Dante, un ristorante a menù fisso, la funicolare che si prende per un treno magico, una coppia appena sposata che esce di corsa dalla chiesa e va a farsi fotografare sul molo, una strada che non porta da nessuna parte, un'altra che finisce in un fosso, la notte che avvolge i muri di uno schermo pieno di stelle. (Tahar Ben Jelloun)
  • [A Napoli] Dopo il 1830 nacque una nidiata di giornali, che sebbene parlassero di sole cose letterarie, e dicessero quello che potevan dire, pure ei si facevano intendere, erano pieni di vita e di brio, e toccavano quella corda che in tutti rispondeva. Era moda parlare d'Italia in ogni scritturella, si intende già l'Italia dei letterati: e sebbene molti avessero la sacra parola pure al sommo della bocca, nondimeno molti altri l'avevano in cuore. (Luigi Settembrini)
  • È così! I più grandi uomini, le figure nostre più luminose, non trovarono mai chi si agitasse in loro favore: Francesco de Sanctis e Luigi Settembrini hanno appena due povere teste marmoree in quel giardino pubblico che chiamiamo la Villa; Salvator Rosa, Luca Giordano, Pietro Giannone, Carlo III, nulla; e i monumenti di Napoli sorti da cinquant'anni a questa parte, – salvo qualche rarissima eccezione – rappresentano, nella sciagurata decadenza della Scultura, la Partigianeria, la Politica e l'Intrigo...
    Nemmeno le Accademie, delle quali pure il Capasso fu tanta parte, si mossero per onorarlo. Ma si muovono, forse, le Accademie? O non sono, forse, ora più che mai, acque stagnanti, necropoli anticipate, in cui si adagiano e nicchiano, nel severo raccoglimento che è torpore letale, le Mummie dell'Arte, della Letteratura e della Scienza?
    Conto fra gli Accademici amici illustri e carissimi, viva minoranza d'intelletti fervidi in quelle Case dei Morti; e mi domando da anni perché non si riuniscono, in una iniziativa che qualcuno già tentò di sviluppare! Or vedremo invece altri marmi, non meno brutti di quelli già esistenti, ingombrare le piazze. (Ferdinando Russo)
  • È l'unica vera capitale d'Italia, avendo conservato splendori e miserie dell'impero spagnolo. Questo è l'unico posto al mondo dove gli aristocratici possono ancora fare i funerali col tiro a 8 di cavalli infiocchettati. Dove convivono la miseria disperata di Spaccanapoli e la sofisticazione disperata delle case degli aristocratici, capaci di affrontare così bene il ridicolo di quei fiocchetti sui cavalli ai funerali. (Fernanda Pivano)
  • [Totò] È la mia passione perché, oltre che grande interprete, è il simbolo di una Italia furba ma un po' ingenua, in cui non esisteva solitudine. Un'epoca che avete vissuto voi in Italia, soprattutto a Napoli e anche noi in Spagna. Ma che ora non esiste più. Quando cammino per le vie della città, nei Quartieri Spagnoli o nelle strade del centro storico provo una profonda malinconia, perché sono il segno del tempo che è passato e non ritornerà. (Arturo Pérez-Reverte)
  • È proprio di Napoli che si può ripetere con un famoso personaggio: qual è quel gentiluomo che non ha scritto una tragedia? Con questa variante, per altro, che la moda delle tragedie essendo passata, quei giovanetti egregi si erano dati al dramma e alla commedia; ingannando gli ozî signorili nel culto delle Muse, "cui giovano le quinte e la ribalta". La nobiltà napoletana segue in cotesto le tradizioni del suo duca di Ventignano e del suo barone (sic)[6] Genoino. Parte coltiva ancora gli studî classici, sotto gli auspici di Gargallo e di Basilio Puoti; parte si è data con ardore alla scuola moderna, e va sull'orme di Eugenio Scribe e di Alfredo de Musset. Ma gli uni e gli altri, col loro culto per la scena, ci fanno fede che l'amore delle lettere è sempre vivo nel seno dell'aristocrazia del Sebeto, diversa in ciò da quella di tante altre città italiane. Epperò va lodata, e tutti debbono augurarsi che i baci delle Muse, una volta dati, non vadano perduti. (Anton Giulio Barrili)
  • È un fatto per me oramai fermo: codesti meridionali, dal più al meno, recano nella poesia quella volubilità delle loro chiacchiere, che si devolve per lunghi meandri di versi sciolti o per cadenzati intrecciamenti di strofe senza una cura al mondo del pensiero. Il poeta napoletano tipo è il Marino. È inutile: i meridionali non sono poeti né artisti, non ostante tutte le apparenze: sono musici e filosofi. La poesia (anche questo parrà un paradosso) è delle genti più prosaiche e fredde della Toscana e del Settentrione. (Giosuè Carducci)
  • [«Che cos'è Napoli per lei?»] È una città complessa e inclassificabile, è un universo. Un luogo abituato all'accoglienza, continuamente contaminato ma che non si fa contaminare fino in fondo. Lo spiego con due esempi: il primo, Pino Daniele. Ha attinto ai generi musicali e alle sonorità più disparate, però poi ha composto canzoni che sono le più napoletane in assoluto, con una fortissima identità. Il secondo esempio: i fast food mediorientali di Piazza Garibaldi. Fanno sì il kebab, ma con lo sfilatino napoletano. Napoli è resiliente, è la città italiana che nel momento difficile della pandemia [di COVID-19] ha saputo esprimersi al meglio attraverso l'arte, rimanendo uno dei set più frequentati al mondo per numero di produzioni. Sono fiero di essere napoletano e come attore voglio raccontarlo, non faccio il birignao per nascondere la mia provenienza: in teatro mi è capitato di recitare in dizione, ma per il resto ci tengo a sottolineare quanto sono legato alla mia città e alle mie radici. (Massimiliano Gallo)
  • È una città dove concorrono elementi che ritroviamo separatamente altrove, ma che a Napoli sono tutti riuniti. Perché Napoli è l'unica città del Mediterraneo in cui elementi di cultura greca, orientale, nordafricana, slava, francese, catalana, aragonese, perfino tedesca, si riuniscono in modo tale che non esiste un esempio simile nel Mediterraneo. Napoli è soprattutto Napoli ed è in questo aspetto la sua vera napoletanità, la capacità naturale di coordinare e conciliare fatti sociali, culturali ed antropologici in un luogo che è l'emblema di tutta la mediterraneità. (Nicola Spinosa)
  • È una trappola in cui noi napoletani cadiamo spesso, pensiamo sempre di essere simpatici. (Silvio Orlando)
  • Eccoci finalmente qui. Un proverbio italiano dice: – Vedi Napoli e poi muori!, ma io dico: – Vedi Napoli e vivi – perché c'è molto qui degno di essere vissuto. (Arthur John Strutt)
  • Ed è questa l'altra differenza con Berlino: mentre la seconda torna a vivere con la riunificazione germanica un momento di grande rilancio, all'opposto Napoli con l'unità d'Italia non ha fatto che perdere colpi. Eppure, le due città hanno in comune «tutte le caratteristiche che le rendono amabili agli occhi dei giovani, solo che a Napoli questa risorsa non viene percepita come una ricchezza bensì come un problema. Bisogna cambiare il paradigma, così come fu fatto per Berlino negli anni '80, e comprendere che i centri storici sono risorse su cui investire». (Hans Stimmann)
  • Era allora Napoli in un periodo di grande splendore. La sua vecchia aristocrazia, nella quale s'intrecciavano con la boriosità spagnola e l'argutezza francese l'innato senso estetico della Magna Grecia, era fra le prime d'Europa. Briosa, svagata, scapigliata, elegante, vi si alternavano splendide feste a chiassose mattane, spettacoli di eccezione a banchetti pantagruelici, gite a Capri, ad Ischia, sul Vesuvio. (Salvatore Gaetani)
  • Era sera quando arrivai in città. Una sagra era stata allestita lungo tutta via Caracciolo e Posillipo, con tamburi, pifferi e tarantelle. Più tardi i fuochi d'artificio illuminarono l'intero golfo. Non avevo più visto niente di così spettacolare dai bombardamenti notturni dei primi anni quaranta. Ho capito, allora, come luci e saette non siano sempre messaggeri di morte, ma possano invece rappresentare un rituale incantatorio grazie al quale cacciare i demoni ed esorcizzare la malasorte. Mi sentivo a mio agio, completamente solo, anonimo e libero tra migliaia di anonimi e liberi stranieri. (Hans Werner Henze)
  • Farei fatica a vivere nel caos delle grandi città. Ma io adoro Napoli e la sua umanità, adoro lo spirito sociale che c'è lì, il fatto che se succede una cosa al tuo vicino è come se fosse successa a te. Napoli ti dà un amore unico che ogni allenatore dovrebbe provare nella vita. (Maurizio Sarri)
  • Già non vi sono più tutte le immagini religiose che c'erano in altri tempi. L'immagine di Garibaldi ha sostituito quella del Signore. Adorare è una necessità di Napoli, adorare con fervore, qualunque sia l'oggetto dell'adorazione; adorare con urla, gesti, in mezzo allo strepito e alla gazzarra, con l'esaltazione propria dei temperamenti nervosi e col fanatismo che accompagna le passioni meridionali accese dal caldo molto intenso del clima. C'è qualcosa del Vesuvio, qualcosa dei suoi ardori e delle sue eruzioni, e anche qualcosa delle sue velleità nella mobile e ardente natura dei napoletani, di questi greci degenerati che vivono col sorriso sulle labbra sempre sull'orlo della morte, minacciati da un vulcano delle stesse catastrofi che seppellirono Ercolano e Pompei. (Emilio Castelar)
  • Gloria d'Italia e ancor del mondo lustro, madre di nobiltade e di abbondanza, benigna nella pace e dura in guerra. (Miguel de Cervantes)
  • Grande civiltà di Napoli: la città più civile del mondo. La vera regina delle città, la più signorile, la più nobile. La sola vera metropoli italiana. (Elsa Morante)
  • Grande, luminosa e gentil Città dell'Italia. (Giambattista Vico)
  • Guardo in questo momento con rinnovata fiducia a Napoli e ai napoletani, alla loro capacità di cogliere i frutti del riconoscimento rappresentato dalla competizione che oggi si inaugura [l'America's cup], e di esprimere, in generale, lo slancio necessario per la valorizzazione delle preziose risorse e potenzialità di cui è ricca la nostra grande, storica città. (Giorgio Napolitano)
  • Ho maltrattato Napoli: nondimeno, non la lasciammo, senz'avervi veduto il bel tempo. Bisogna confessare ch'ell'è bella e brillante allor che splende il solo, quanto nojosa e sgarbata sotto un cielo di pioggia. Immaginatevi, inquest'ultimo caso, di vedere una povera fanciulla che corre le strade, durante il carnovale, in orpelli da teatro. Quanto più porta e nastri e merletti, quanto più fiori ha nelle chiome, quanto più la di lei acconciatura strigne splendidi e freschi colori e tanto più parimenti vi si mostra il fango, e tanto più il vento e la pioggia la scompongono e la scolorano, e tutto ciò di cui ornossi per piacere la rende esosa a vedersi. Ma se dolce l'aria e limpida e sonora mai siasi all'indomani, se riede il sole, ed ella ritorni col sole: ell'è attillata, ell'è leggiera; que' suoi nastri cangiano di colore all'occhio, lusinghiero è il suo riso, ed il suo canto ci allegra. Ecco veramente Napoli. Essa è fatta per vivere al sole. (Louis Veuillot)
  • Ho vissuto in questa città, per la prima volta, non da turista, ma da napoletano. Per conoscerla a fondo dovevo anche viverla a fondo. Per me è stata l’esperienza lavorativa più bella in assoluto. Oggi mi sento come un vero e proprio ambasciatore di Napoli. Parlo sempre di questa città stupenda quando vengo intervistato dai giornali americani. Molti mi chiedono perché ho scelto di raccontare proprio Napoli. Io rispondo che volevo raccontare una città diversa. All'estero l'Italia viene associata alla pizza, al caffè, al sole, ma in realtà tutti questi cliché provengono da Napoli: questo fa capire che è Napoli il vero cuore dell’Italia. Molti che vanno in vacanza in Italia scelgono altre regioni come la Toscana per prendere il vino, ma questa come altre mete simili fanno parte del turismo chic; per conoscere veramente l'Italia bisogna andare a Napoli. (David Rocco)
  • I miei canti mi furono in gran parte inspirati dai forti esempi di cittadine virtù, dalla costanza negli alti propositi, dalla prudenza e dallo entusiasmo guerriero, di cui questo popolo diede solenne esempio agli altri Italiani, mostrandosi degno d'innalzare pel primo il vessillo glorioso, unificatore d'Italia nostra. Se una speranza mi teneva in vita, si era quella di veder presto la mia Napoli seguirlo nell'arduo aringo. Ma ora che questa ha scosso un giogo lungo ed abborrito; ora che con una mirabile spontaneità, proclamando a suo Re il prode e magnanimo VITTORIO EMANUELE, ha congiunte le sue sorti a quelle delle altre sorelle italiane, il suo cuore non batterà d'oggi innanzi che per la libertà e per la gloria. Le ire di parte, le armate reazioni, già quasi disperse, nulla ormai valgono, poiché essa sa e vuole essere libera e grande. Ed ora benedico le lagrime che ho versate per lei, ed i canti di speranza e di amore che le ho consacrati per tanti anni. (Laura Beatrice Oliva)
  • I miei primi giorni a Napoli li ho trascorsi a guardare le processioni, sempre molto sontuose durante la settimana santa. (Joseph Addison)
  • I napoletani amano la loro città come un padre brutale si sente in diritto di maltrattare la propria figlia e non è consapevole di maltrattare innanzitutto se stesso, la nobiltà che è propria di un essere umano, senza la quale la brutalità dilaga verso la più bieca bestialità. (Gea Martire)
  • I napoletani guardano sempre indietro e mai al presente e al futuro, e dicono con nostalgia "prima si stava così bene". (Carlo Buccirosso)
  • I napoletani sono ipocriti, sembrano allegri, invece sono tristi. La gente li osserva, e loro fanno finta di essere spensierati. Non s'impegnano, perché da quando avevano in casa i mori sanno come va a finire. (Peppino De Filippo)
  • I Napolitani mi paiono incomparabilmente migliori.[7] Sono rozzi, ma cordiali, franchi, aperti: sono generalmente incolti, ma non presumono: sono superstiziosi, ma non persecutori come i Romani. la natura ha fatto qui tutto, ma gli uomini non hanno fatto nulla,..,. Contuttociò Napoli mi piace più di tutte le città d'Italia. Se la natura avesse dato ai Napolitani la maniera, la lingua e la polizia dei Fiorentini, io credo che gli angeli e i santi del paradiso abbandonerebbero il Padre eterno per venire a stare a Napoli. (Carlantonio Pilati)
  • I napoletani non sono degli attori, sono degli artisti. È vero, è una natura che li aiuta ad essere quello che sono. (Carlo Ponti)
  • I nostri sono de' vili, degli infami, degli esseri esecrati. Il fratello d' Acton è giunto e racconta orrori. Mack è alla disperazione. Sono fra duolo e fra sbalordimento.
    Addio, i miei complimenti all'eroe Nelson ed alla sua buona nazione: arrossisco dell'infame viltà della nostra. (Maria Carolina d'Asburgo-Lorena)
  • Il 1848 era alle porte, ma pareva che nessuno lo sospettasse; Napoli ha sempre di queste placide esteriorità: l'interno lavorio non offusca il suo aspetto e neppur le più grandi disgrazie valgono a mutarne la fisionomia. Con un grano, in quegli anni, il lazzarone era quasi ricco, e una piastra ballonzolante nella saccoccia del panciotto a un borghese gli conferiva l'aria della più grande superiorità. L'allegra povertà, in pieno possesso della strada, vi si sciorinava al sole; il facchino appisolato, a un angolo, in una cesta, schiudeva, di volta in volta, gli occhi e tranquillamente, abituato a posare, contemplava il forestiero, inglese o francese, che, impiedi, davanti a lui, pigliava note in un taccuino. Le solite baldorie per le feste de' soliti suoi santi occupavano la gente de' quartieri inferiori – come anche adesso la occupano – ma pareva che un senso di caricatura fosse pur penetrato dal giornale fin nella plebe. (Salvatore Di Giacomo)
  • Il Comitato ha deciso l'iscrizione sulla base di criteri (ii) e (iv), considerando che il sito è di eccezionale valore. Si tratta di una fra le più antiche città d'Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo conserva gli elementi della sua storia lunga e densa di eventi. La sua posizione sulla baia di Napoli gli conferisce un valore universale eccezionale che ha avuto una profonda influenza in molte parti d'Europa e oltre. (Motivazione data dal Comitato di valutazione dell'UNESCO che nel 1995 decise di annoverare il centro storico di Napoli fra i siti patrimonio dell'umanità.[8])
  • Il giorno appresso abbandonai con dispiacere quelle incantevoli spiagge di Napoli che pur m'erano state fatali due volte: non le potei salutare cogli occhi, ma il cuore armonizzò co' suoi palpiti l'inno mestissimo della partenza. Sapeva di non doverle piú rivedere, e se io non moriva per loro, esse restavano come morte per me. (Ippolito Nievo)
  • Il Goethe aveva ragione nel demolire la leggenda del «lazzaronismo » organico dei napoletani e nel rilevare invece che essi sono molto attivi e industriosi. Ma la quistione consiste nel vedere quale sia il risultato effettivo di questa industriosità: essa non è produttiva e non è rivolta a soddisfare i bisogni e le esigenze di classi produttive. Napoli è la città dove la maggior parte dei proprietari terrieri del Mezzogiorno (nobili e no) spendono la rendita agraria. Intorno a qualche decina di migliaia di queste famiglie di proprietari, di maggiore o minore importanza economica, con le loro corti di servi e di lacchè immediati, si organizza la vita pratica di una parte imponente della città, con le sue industrie artigianesche, coi suoi mestieri ambulanti, con lo sminuzzamento inaudito dell'offerta immediata di merci e servizi agli sfaccendati che circolano nelle strade. Un'altra parte importante della città si organizza intorno al transito e al commercio all'ingrosso. L'industria «produttiva», nel senso che crea e accumula nuovi beni, è relativamente piccola, nonostante che nelle statistiche ufficiali Napoli sia annoverata come la quarta città industriale dell'Italia, dopo Milano, Torino e Genova. Questa struttura economico-sociale di Napoli spiega molta parte della storia di Napoli, città cosi piena di apparenti contraddizioni e di spinosi problemi politici. Il fatto di Napoli si ripete in grande per Palermo e Roma e per tutta una serie numerosa (le famose «cento città») di città non solo dell'Italia meridionale e delle isole, ma dell'Italia centrale e anche di quella settentrionale (Bologna, in buona parte, Parma, Ferrara, ecc). Si può ripetere per molta popolazione di tal genere di città il proverbio popolare: quando un cavallo caca cento passeri fanno il loro desinare. (Antonio Gramsci)
  • Il napoletano è quello che era. Parlo in generale. Se pensa, non pensa che a Napoli. Gli stessi imbroglioni, gli stessi ciarlatani, gli stessi vigliacchi: non senso comune, non vera conoscenza delle cose del mondo, la stessa spensieratezza. Il brigantaggio è sempre lì. Già cominciano a borbottar contro le nuove imposte. (Bertrando Spaventa)
  • Il napoletano non chiede l'elemosina, ve la suggerisce. (Leo Longanesi)
  • Il Papa è a Roma, Dio è a Napoli. (Jean Cocteau)
  • Il papa non è venuto mai a Napoli per paura che gli chiedono i soldi. [...] Io una volta ci sono andato a Napoli. Era pulita. Però forse non ho visto bene. A Napoli ci sono tutti i ladri, mariuoli, assassini e drogati. Il mare è una latrina. Vendono le cozze usate. (Io speriamo che me la cavo)
  • Il popolo non era né greco, né romano, né bizantino; era il popolo napoletano di sempre, un popolo che non assomiglia a nessun altro: di un'allegria che è uno schermo a coprire la tragedia della miseria; di un'enfasi che è un modo per dare un valore allo scorrere monotono dei giorni; di una pigrizia che è saggezza e che consiste nel non fingere di essere attivi quando non si ha nulla da fare. Un popolo che ama la vita, che gioca d'astuzia con i rovesci del destino, che ha il gusto della parola e il disprezzo per l'agitazione militare, perché la pace, che ha conosciuto solo raramente, non lo annoia mai. (Maurice Druon)
  • Il segreto del blu è ben custodito. Il blu arriva da laggiù. Man mano che avanza s'indurisce e si muta in montagna. La cicala vi lavora. Gli uccelli vi lavorano. In realtà, non si sa niente. Si parla del blu di Prussia. A Napoli la Santa Vergine resta nei buchi dei muri quando il cielo si ritira.
    Ma qui tutto è mistero. Mistero lo zaffiro, mistero la Santa Vergine, mistero il sifone, mistero il collo del marinaio, mistero i raggi blu che accecano ed il tuo occhio blu che attraversa il mio cuore. (Jean Cocteau)
  • Il tumulto e l'andirivieni quotidiano rendono Napoli una città popolata e piena di vita come Parigi. (Donatien Alphonse François de Sade)
  • Imperciocché ad un tratto si fa un gran rivolgimento di cose letterarie in Napoli, che, quando si credevano dovervisi per lunga età ristabilire tutte le lettere migliori del Cinquecento, con la dipartenza del duca viceré vi surse un altro ordine di cose da mandarle tutte in brievissimo tempo in rovina contro ogni aspettazione. (Giambattista Vico)
  • In Campania è finita l'era Bassolino, nonostante «Un posto al sole». Negli anni, la soap di Raitre ha disegnato una Napoli che non c'è, una Napoli molto bassoliniana, una Napoli da portineria dove però non è mai esistito il problema spazzatura (tanto che si è dovuto provvedere altrimenti). (Aldo Grasso)
  • In tutta la sua vicenda millenaria, Napoli non è mai stata solo dei napoletani, dalle origini si è caratterizzata come un melting pot, un punto d'incontro di popoli, di culture e di lingue diverse le cui tracce si percepiscono ancora oggi, dando vita alla sua fisionomia inconfondibile di "metropoli della memoria".
    Sigmund Freud, grande viaggiatore e appassionato dilettante di archeologia, ha paragonato la psiche umana a una città antica come Roma, sotto la cui forma moderna apparentemente visibile si celano i residui di una storia secolare che continua a influenzare la sua vita attuale. La metafora può essere valida in maniera particolare per Napoli, luogo in cui la «contemporaneità del non contemporaneo» (Ernst Bloch) salta subito agli occhi di chiunque percorra i suoi vicoli, strade e piazze, e la cui «porosità» si esprime anche come intreccio indissolubile di spazi e di tempi: città delle metamorfosi eterne in cui niente sembra scomparire per sempre. (Dieter Richter)
  • In tutti i modi la fusione coi Napoletani mi fa paura; è come mettersi a letto con un vaiuoloso! (Massimo d'Azeglio)
  • Innamoratevi a Napoli. Sposatevi a Battipaglia. Divorzierete a Potenza. Napoli città degli innamorati.
    Per la gioia di Alberoni e sua moglie. Macchine incolonnate aspettano di entrare in città. Gente smaniosa, single, depressi, abbattuti, ipocondriaci, gente insomma spenta che fa la fila perché ha saputo che a Napoli ci s'innamora. (Peppe Lanzetta)
  • Intanto a Napoli con l'editto del 1802 (RD 30.06.1802) il Re proibiva l'accattonaggio per le Chiese, per le strade e nei luoghi pubblici (art. 1); ordinava il ricovero nel Real Albergo de' poveri, se storpi ed inabili al lavoro (artt. 2 e 4); comminava pene ai trasgressori (art. 3), e ai parenti, che non ne prendessero cura (artt. 5 e 9); prescriveva norme per l'amministrazione dell'Istituto e all'art. 12 dichiarava espressamente: «Oltre ai mendici saranno raccolti e rinchiusi per ora nel Real Albergo de' Poveri tutti i fanciulli e le fanciulle che vagano per la città abbandonati dai loro genitori, o da coloro che avendoli presi dalla Santa Casa dell'Annunziata, gli lascino esposti di nuovo, senza più curarne il mantenimento e l'istruzione». (Gabriele Amendola)
  • [Alla recettività linguistica del dialetto napoletano si unisce quella] intensamente e concretamente solidale sul piano umano. Si pensi all'accoglienza riservata agli Ebrei, non ghettizzati ma inseriti in due zone che ancora ne ricordano la presenza: Giudecca vecchia, nei pressi di Forcella e Giudecca nuova, verso Portanova, nonché alle varie Logge (cioè alloggiamenti) dei Pisani, dei Francesi, dei Genovesi... Etnie cui nel materno grembo partenopeo era possibile integrarsi e comunicare al di fuori di ogni discriminazione, nella stessa misura in cui il nostro aperto e multimediale idioma ha saputo dare spazio alle tante componenti in esso armonicamente trasfuse... (Renato De Falco)
  • Io ammiro in cotesta città principalmente due cose: la religione verso Dio, e la pietà verso il prossimo; che sono la perfettione di tutti quelli, ch'aspirano alla vita immortale, e gloriosa. (Gabriele Fiamma)
  • Io aveva creduto insino allora, che la terra e il genere umano fossero Napoli e i Napoletani; che gli ordini più sublimi di questo genere umano fossero quei feroci della fonte Capuana e dell'orto Botanico, e quei gendarmi del convento; e che la meta finale a cui questo genere umano intendesse, fossero certi saporitissimi desinari, e certe appetitivissime cenette, che, con eloquenza senza pari al mondo, que' miei eruditissimi studenti ragionavano sempre fra loro solersi dalla gente scelta fare qui alle lune estive, ponendo le tavole o in una bella contrada marina detta Santa Lucia, o in un'altra spiaggia deliziosissima detta Posilipo. (Antonio Ranieri)
  • Io, che ho camminato qualche parte d'Italia, ed ho notizia delle genti e de' costumi delle altre città, ardisco dire che non vi sia città al mondo dove sia più premiato il valore, e dove l'uomo senza avere altra qualità che il proprio merito possa ascender a cariche grandi e ricchezze immense, a dignità supreme ed a governar la repubblica, senza aver bisogno né di nascita, né di danari per arrivarci, anzi senza che nemmeno abbia l'onore della cittadinanza: stando così aperta la porta degli onori alli regnicoli come ai cittadini, e così a' poveri come a' ricchi, e così a' nobili come ad ignobili, ancorché siano d'infima plebe, e della più umile terra del regno: ciò che in nessun'altra città del mondo, non che dell'Italia, è lecito di desiderare, non che di sperare. (Francesco D'Andrea)
  • Io credo che sia ora di superare questa contrapposizione tra Nord e Sud, che poi non ha ragione d'esistere. A Torino metà della popolazione è meridionale. I miei figli hanno la nonna di Potenza. All'estero l'Italia è considerata una grande Napoli. Identificano l'Italia con il mare, il sole, la pizza, la musica. Forse non a tutti i napoletani piacerà sentirselo dire ma Napoli è la città che meglio esprime l'identità italiana, è un'Italia al quadrato. Napoli riguarda tutti noi, ci chiama in causa. Sarebbe ora di smettere di ragionare con il "noi" e "loro". (Aldo Cazzullo)
  • Io esisto solo perché dentro di me e più di ogni altra cosa sono solo e innanzitutto una napoletana. Napoli esiste dentro di me, ed esisterà sempre. Fortunatamente per me c'è questo tesoro che ho dentro di me e, quando ne ho bisogno, lo tiro furi. Quando vogliamo dirci le cose importanti fra di noi e il resto della famiglia, parliamo ancora in napoletano. (Sophia Loren)
  • Io pur venni a Napoli gentile e da bene, il cui sito a me pare meraviglioso e il più bello ch'io vedessi mai, perché io non ho veduto città ch'abbia dall'un de' lati il monte e dall'altro la batti il mare, come fa questa; ed anche per altre sue particolarità, che tutte insieme e ciascuna per sé la fanno parere mirabile. Ma perché dovete sapere che la natura non vuole, né si conviene (come disse quella pecora del Petrarca) "per far ricco un, por gli altri in povertate", quando l'ebbe molte delle sue doti più care concedute, le parve di ristringer la mano, affine che l'altre città non le mandassero loro ambasciatori a dolersi con esso lei di tanta parzialità, e propose fra se stessa di dare questo paradiso ad habitare a diavoli; e così come aveva proposto, mandò ad effetto. (Bernardino Daniello)
  • Io ritengo Napoli una città estremamente civile; ebbene, nel vocabolario dei napoletani non esiste la parola lavoro, dicono la «fatica». Anche io sono così, non amo la fatica. (Roberto Rossellini)
  • L'eruzione dell'anno 79 ed i terremoti che si ad essa si accompagnarono non rattristarono che per pochi anni il sempre sorridente golfo. Dopo Costantino e Giuliano, anche dopo Teodosio, Napoli e i suoi dintorni non hanno perso il fascino che aveva sedotto i contemporanei di Augusto. Nelle lettere di Simmaco come nei versi di Orazio non si parla d'altro che delle delizie di Baia e del suo golfo in miniatura. Decio aveva fama di rinnovare nella sua villa le magnifiche follie di Lucullo. (Émile Bertaux)
  • L'espansione delle idee se era stata più sollecita a Napoli, non era men feconda nelle altre terre d'Italia. Napoli aveva risposta la prima al solenne appello del secolo; ma il Piemonte, la Toscana, Roma, e la grande voce di Lombardia e di Venezia non tardarono a farsi udire. La costituzione di Napoli era stata la lieve scintilla che aveva destato il grande incendio. Tutta la penisola da un capo all'altro subiva da lungo tempo l'azione di una disorganizzazione vitale. Il vecchio abito dell'assolutismo cadeva a brani, ed il bisogno della ricostruzione era universalmente sentito. (Ferdinando Petruccelli della Gattina)
  • L'immagine di Napoli, la città dove sono nato, la città dalla storia vituperata e per 150 anni raccontata con omissioni e falsità, la città da migliaia di abusi subiti, calpestata da conquistatori sanguisughe, sembra essere diventata male che si fa alibi, protesta che si fa sistema, specialità che si fa giustifica. L'immagine di Napoli, probabilmente, è un progetto che non esiste più, una collettività che non trova ragioni di condivisioni, nella stratificazione di tante città che non diventano squadra. L'immagine di Napoli è una squadra di calcio riempita quasi tutta da stranieri, che riesce ad unire nel tifo, come per miracolo e solo per poco, gente che nella vita di tutti i giorni è lontana anni luce. L'immagine di Napoli è tante immagini, tutte diverse e tutte vere. La sintesi è difficile, la spiegazione, a chi vive lontano, non è sempre agevole. Sì, vero, al Nord tanti ci bollano con razzismo, prevenzione, puzza sotto al naso. Sta a noi, allora, lavorare sulla nostra immagine di Napoli. Trasformarla, modificarla, renderla sempre positiva. Allontanando populismo, plebeismi, giustificazionismi e arroccamenti. Che la nostra immagine diventi quella giusta, quella buona, quella di cui andare sempre fieri. Senza alibi, ad ogni costo. Perché siamo orgogliosi di essere napoletani e vorremmo sempre poterlo urlare al mondo. (Gigi Di Fiore)
  • L'indimenticabile ed eterna Napoli, che a volte prende sembianze mortali e va in rovina solo per esaltare ancora di più la sua sopravvivenza, l'incanto imperituro, la voluttuosità inesauribile che strugge il cuore con un piacere malinconico e ardente, con un supremo "qualcosa" che non è il golfo azzurrino, né le sue grotte trasparenti, né il suo vulcano dongiovannesco, né la sua Pompei, che ride e vive in idillio perpetuo nelle sue rovine, ma qualcosa di così particolare e così suo, che fa vivere nella nascosta trattoria l'averno e il cielo, l'angelico e l'umano, ciò che è stato e ciò che sarà poi, ed ancor più, il più struggente non voler morire che ho mai conosciuto. (Ramón Gómez de la Serna)
  • L'Italia, ha scritto Shelley, è il paradiso degli esiliati. In questo mio breve esilio dal clima di Washington ho immensamente apprezzato questo paradiso come ultima tappa del mio viaggio in Europa. L'accoglienza affettuosa di Napoli ci rende più triste la partenza, più felice il pensiero del ritorno. (John Fitzgerald Kennedy)
  • La Capitale! Ma è egli possibile Napoli per capitale dell'Italia? Poi qual meschina idea?! Ma questo per Dio, non è amor patrio. (Giuseppe Verdi)
  • La Circe ingrata, che pur glorifica tante bestie, lo vide morire molto vecchio e quasi cieco pel troppo attento indugio degli stremati occhi su le carte: e quasi non s'accorse della dipartita di Lui![9]. (Ferdinando Russo)
  • La città di Napoli non è solamente conosciuta per molto nobile, e principale da gl'italiani, che con piccola fatica, e con grandissimo gusto possono godere le comodità, e le delizie sue ma etiandio da tutte le straniere Nationi è stimata, e tenuta in pregio, come quella, da cui si conosce che in gran parte dipende la quiete, e la salute di questa provincia nobilissima d'Italia. (Gabriele Fiamma)
  • La città si sveglia di nuovo coi Pulcinella, i borsaioli, i comici e i mendicanti; con gli stracci, le marionette, i fiori, la vivacità, la sporcizia e la universale degradazione; si risveglia sciorinando al sole il suo abito d'Arlecchino, l'indomani e tutti gli altri giorni, cantando e digiunando, danzando e giocando sulla riva del mare. (Charles Dickens)
  • La contraddizione fra il genio inventivo e l'insuccesso pratico, tra la fecondità intellettuale e la sfortuna, il sottosviluppo, il marasma cronico, è l'aspetto più suggestivo di Napoli. Per la mancanza di una classe dirigente adulta, questa città che aveva tutto per riuscire ha fatto costantemente fiasco. Ma ha anche prodotto spiriti bizzarri e seducenti, invece di quegli scarafaggi sicuri del fatto loro che pullulano nelle capitali borghesi. (Dominique Fernandez)
  • La cosa che più mi colpisce è il continuo confronto forte che in altri posti faccio fatica a trovare, tra l'antico, la tradizione, ed il nuovo che si esprime anche a livello tecnologico. Per dirla con un'immagine sola, la vicinanza tra i computer e le reti dei pescatori. Ciò che trovo stimolante a Napoli è che mentre altre città hanno sacrificato completamente le proprie radici all'innovazione tecnologica, qui ancora si trova un incontro tra le radici profonde della cultura ed una visibile voglia di innovazione. Tanto che sarebbe uno scenario adatto ad un film di fantascienza. (Gabriele Salvatores)
  • La cucina di Napoli. E dopo aver mangiato un piatto di spaghetti con le vongole (e aver bevuto alquanto vino di Capri e d'Ischia) che Tristan Corbière, il più simpatico dei maudits di Francia, scrisse il "Sonetto a Napoli | all'sole, all'luna, | all'sabato, all'canonico | e tutti quanti con Pulcinella".
    Il n'est pas de samedi | qui n'ait soleil à midi; | femme ou fille soleillant, | qui n'ait midi sans amant!... || Lune, Bouc, Curé cafard | qui n'ait tricorne cornard; | – corne au front et corde au seuil | préserve au mauvais oeil. || ...L'ombilic du jour filant | son macaroni brulant, | avec la tarantela: || Lucia, Maz'Aniello, Santo Pia, Diavolo, | – CON PULCINELLA –[10]
    Mangia, lunghi filanti, serpeggianti, gli spaghetti, marezzati dai molluschi gonfi e teneri, ancora saporosi di mare, delle vongole veraci; bevi quei vini; te lo trovi addosso lo spirito maudit. Maledetto? Benedetto, mille volte benedetto da che ti riempie di sole, di desiderio di cantare anche tu con Pulcinella. (Luigi Veronelli)
  • La domenica pomeriggio i quartieri di Napoli sono silenziosi e oppressivamente immoti. Nei vicoli deserti una miscela di ritmi musicali, voci, un sommesso acciottolio di piatti e posate esce dalle finestre aperte e dai balconi. Percepire i suoni e i segni della vita da lontano, la quiete e la solitudine delle strade, le saracinesche chiuse dei negozi e dei chioschi, l'immagine di un mondo che si è sottratto allo sguardo esterno, per immergersi nella sua dimensione privata: tutto obbliga a concludere che l'unità elementare di vita sociale a Napoli è la famiglia. (Thomas Belmonte)
  • La jettatura napoletana è una particolare ideologia, nata a Napoli in ambiente colto verso la fine del XVIII secolo. Questa tesi può sembrar contraddetta dal fatto che il fascino, il malocchio, e – più generalmente – la credenza nel potere malefico di una persona si ritrovano in tutti i Paesi e in tutte le epoche, come stanno a dimostrare il mauvais œil francese, l'evil eye inglese e il bose blick tedesco, per tacere di tutti i possibili riferimenti extraeuropei. In realtà se si considera la jettatura napoletana in rapporto al resto della vita culturale dell'epoca, e quando si legge in prospettiva la letteratura che sull'argomento fiorì a Napoli dalla seconda metà del Settecento, il fenomeno si presenta con una sua specifica coloritura locale che lo rende inconfondibile. (Ernesto de Martino)
  • La litigiosità rientra nell'umore della nostra gente. C'è nell'aria una provocazione continua. Sono in troppi a essere creativi, in quella cinta daziaria. Napoli è sterminata. Ma lo spazio per convivervi tutti in pace risulta sempre troppo stretto. (Francesco Rosi)
  • La mia prima impressione del mio approdo a Napoli fu quello di una città caotica. I napoletani sono insolenti e maleducati [...]. In ogni momento ti assalivano gridando in dialetto "Uè Gargà vien accà" magari per fare una foto. Il "per favore" a Napoli non esiste ma è una cosa unica vivere li. La città cambia dal giorno alla notte. Se le cose vanno bene non puoi uscire di casa, se vanno male lo stesso. (Walter Gargano)
  • La napoletanità è una parola che si trova nel vocabolario ideale e che individua radici tipiche oltre gli schemi.
    Storia e leggenda sono lavoro cosmico dove magia, esoterismo, nobiltà e sacro si fondono con il quotidiano, il peccato e la famiglia. (Francesco Grisi)
  • La Napoli dei poveri e quella dei ricchi sono a contatto di gomito e si ignorano. (Vladimiro Caminiti)
  • La nazione napolitana è divisa in due classi: il proletario e la borghesia. L'aristocrazia è un essere incompleto ed impotente, la quale non ha che un nome infecondo financo di memorie. (Ferdinando Petruccelli della Gattina)
  • La prima volta che giunsi qui, fu per una conferenza accademica. Ero solo e non svolgevo alcun ruolo nell'Università. La povertà e la gioia di vivere, queste erano le cose che più mi hanno impressionato, e poi… Il rispetto per la cultura. (Hans-Georg Gadamer)
  • Lasciai Napoli nel mese di agosto, e con gran dispiacere. Conosciuto che uno abbia quella città, è impossibile che si risolva a lasciarla; e se avviene che si separi da essa, non accetta l'idea di non più ritornarvi. (Charles-Victor Prévost d'Arlincourt)
  • Le donne di Napoli sono dei maiali. Sono maiali grassi con dei vestiti sciatti, di solito neri, macchiati di salsa di pomodoro, urina, grasso, o dalla cacca di un bebè. [...] Ma devo anche spiegare che sono meravigliose, ognuna ha il volto della madre di Dio e le mani contorte, incallite e tenere delle donne che hanno passato la vita a badare ai propri figli e ai propri uomini. (John Fante)
Fuochi d'artificio sul litorale napoletano; olio su tela di Oswald Achenbach, 1875
  • Libera dalle improvvise ceneri il tuo volto semidistrutto, o Partenope, e le tue chiome, sepolte sotto il monte scosso dall'aria che soffia al suo interno, poni sul tumulo e sulle reliquie del tuo grande figlio. (Publio Papinio Stazio)
  • Ma non lascierò per questo di avertirvi che dovete pensare di essere nella regalissima città di Napoli, vicino al seggio di Nilo. Questa casa che vedete qua formata, per questa notte servirrà per certi barri, furbi e marioli, – guardatevi, pur voi, che non vi faccian vedovi di qualche cosa che portate adosso: – qua costoro stenderranno le sue rete, e zara a chi tocca. (Giordano Bruno)
  • [Il] malanno immedicabile, oscuro, osceno, inveterato di questa città, sotto mille altri rispetti preclarissima, per cui il girare di nottetempo qui non si fa con minor paura e pericolo che in mezzo ai folti boschi: conciossiaché le strade sien piene di nobili giovani armati tutti, le immoderatezze de' quali nè la paterna educazione, nè l'autorità de' magistrati, nè la maestà e l'impero dei re valsero mai a raffrenare. Ma come meravigliare che fra le ombre della notte e senza alcun testimonio taluno ardisca commetter delitti, se a pieno giorno, alla vista del popolo, al cospetto dei re, in questa città d'Italia con ferocia da disgradarne i barbari si esercita l'infame giuoco de gladiatori: e come sangue di pecore l'umano sangue si sparge, e, plaudente l'insano volgo affollato, sotto gli occhi de miseri genitori si scannano i figli, e tiensi a disonore l'offerire con ripugnanza la gola al pugnale, quasi che per la patria o per la gloria della vita celeste si combattesse? Di tutto questo inconsapevole io fui condotto un giorno a certo luogo vicino della città chiamato Carbonaria: nome veramente acconcio alla cosa: imperocché quella scelerata officina deturpa e denigra gli spietati fabbri che ivi si affaticano sull'incudine della morte. Era presente la Regina, presente Andrea re fanciullo, che di sè promette riuscir magnanimo, se pur riesca a porsi in capo la contrastata corona: v'eran le milizie di Napoli, delle quali invan cercheresti le più attillate e più eleganti: popolo v'era venuto in folla da tutte parti. A tanto concorso di gente, e a tanta attenzione d'illustri personaggi sospeso, fiso io guardava aspettando di vedere qualche gran cosa, quand'ecco come per lietissimo evento un indicibile universale applauso s'alza alle stelle. Mi guardo intorno e veggo un bellissimo garzone trapassato da freddo pugnale cadermi ai piedi. Rimasi attonito, inorridito; e dato di sproni al cavallo, rampognando l'inganno de'miei compagni, la crudeltà degli spettatori, la stoltezza de'combattenti, all'infernale spettacolo ebbi volte le spalle. Questa doppia peste, o padre mio, quasi eredità de maggiori venne e s'accrebbe ne'posteri, e giunse a tale che la licenza del commetter delitti in conto di dignità e di libertà vien reputata. (Francesco Petrarca)
  • Me ne sono andato da Napoli per stanchezza, ma anche perché sono una persona paurosa ed è una città che riesci a vivere bene solo se la affronti di petto, se la esplori senza il timore che ti possa succedere qualcosa... dipende probabilmente anche da dove sei nato. (Paolo Sorrentino)
  • Mentre stava per dire addio a Parigi, il poeta tedesco Hebel scrisse: "se tutte le città del mondo dovessero sparire, che Parigi esista per sempre!". Valga questo anche per Napoli. Napoli, parola magica; che tu possa sempre essere te stessa. (Varlin)
  • Mi contava un sojatore che a Napoli, in certi alberghi, usava il servitore entrare nella camera del forastiero, la bella mattina del suo arrivo, con una guantiera sparsa di piccoli e grossi stronzi, ciascuno dei quali avea appeso un cartellino e scritto su un prezzo. I grossi costavano molto più dei piccini, ed alcuni tenevano in capo un cappellino di prete. Erano questi i prodotti degli abatini. E il forastiero sceglieva. E detto fatto si apriva la porta, e compariva ai comodi del forastiero la parte corrispondente – autrice dell'esemplare. (Carlo Dossi)
  • Mi è piaciuta subito. Frenetica, aspra, rumorosa, sporca, incasinata città. Un gigantesco formicaio con tutto l'esotismo di un bazar mediorientale e in più un tocco di voodoo stile New Orleans. Un esaltato, pericoloso e allegro manicomio. (Elizabeth Gilbert)
  • Mi spiace non avere avuto il tempo di vivere anche a Napoli. Per capirne di più, entrare nella napolaneità. Napolaneità della quale avevo già l'impressione di aver intuito qualcosa anche perché, quando nel Duemila, fui in Cina per un mese, mi capitò di considerare i cinesi in generale, molto simili ai napoletani. Spiritosi, scanzonati e, come se si trattasse di uno scherzo, di un bel esercizio mentale, sempre pronti a raggirarti. Era come se il loro subconscio collettivo lo sentissi compatto, esplicito, una sorta di basso continuo di allegria e furbizia. Quando, una volta, smascherai un'ambulante che tentava di farmi pagare il doppio del solito prezzo di vendita di un pacchetto di sigarette, lei se ne dimostrò divertita. Poteva essere una facile via d'uscita, non dare importanza alla cosa, ma fu anche sincero, un senso di complicità per il quale la ricordo ancora. La sorpresa di un'intesa, un senso di "sorellanza". (Giulia Niccolai)
  • Mi trovo in un paese freddo e nebbioso, fra un popolo in cenci. Quando metto il naso alla finestra, vedo girar nella strada una popolazione che se ne sta sotto grandi e rozzi ombrelli verdi ed azzurri. La nebbia si condensa sulle foglie nascenti e scola tristamente lungo i rami, anneriti da un inverno che mai finisce: anche i miei orecchi, al par degli occhi, sono spiacevolmente scossi. I rauchi gridi de' mercantelli ambulanti che si vanno agitando nella via, giungono fino a me più lugubri che non quelli dello spazzacamino sul finir dell'autunno; il tabacco è ben caro e molto cattivo. Se voglio azzardarmi alquanto fuori, bisogna affrontare il fango, e le grondaie; e tutto, nella contrada principale del paese, mi rammenta lo stesso chiasso della Grande-Trouanderie. Lo stesso chiasso, lo stesso tumulto, lo stesso impaccio di carrozze, la stessa luce, lo stesso odor di cattivo formaggio e di vecchie drogherie. ebbene questa contrada chiamasi la Strada Toledo; questa città sucida, stridula, cenciosa, che regala i reumi, comprime i polmoni, e strigne il cuore, è Napoli. Sì, Napoli, Napoli, Partenope, la città dei poeti, la città dei lazzaroni, la città del sole; quella Napoli di cui si è detto: Vedi Napoli e poi muori! – Morire! ah! no! no! Bisogna vivere, invece, per cavarsela ben presto, per riedere ad ammirare le rive dell'isola Louviers, per correre a Montmartre, per augurarsi l'orizzonte della strada Mouffetard. (Louis Veuillot)
  • Mille volte si ripete che in Napoli eran repubblicani tutti coloro che avevano beni e fortuna, che niuna nazione conta tanti che bramassero una riforma per solo amor della patria; che in Napoli la repubblica é caduta quasi per soverchia virtù de' repubblicani. (Vincenzo Cuoco)
  • Moltissimi a Napoli vogliono l'autonomia, ma sono sforzati a votare per l'annessione; e infatti la formula del voto e il modo di raccoglierlo sono sì disposti, che assicurano la più gran maggioranza possibile per l'annessione, ma non a constatare i desideri del paese. [...] I risultati delle votazioni a Napoli e in Sicilia rappresentano appena i diciannove tra cento votanti e designati. (Hoenry Elliot)
  • Napoletani, siamo fieri di questo nome che abbiamo fatto risonare dovunque alto e rispettato. Vogliamo l'unità, ma non l'unità arida e meccanica che esclude le differenze ed è immobile uniformità. Diventando italiani non abbiamo cessato d'essere napoletani. (Francesco De Sanctis)
  • Napoli, cità eccellente, como che meritamente sia capo del nostro siculo regno, cossì è e serà sempre florentissima in arme e in littere per li suoi generosi citadini illustrata; ne la quale, non son già multi anni passati, fu un dottor legista de onorevole fameglia, ricchissimo e multo costumato. (Masuccio Salernitano)
  • Napoli, città più popolata di tutte relativamente alla sua grandezza, li cui voluttuosi abitanti sembrano collocati sui confini del paradiso e dell'inferno. (Edward Gibbon)
  • Napoli è il cristallo nel quale il viaggiatore si è lasciato catturare per, come l'insetto, eternizzare la vertigine di un volo che l'ambra fossile trasforma in frammento infinito. (Gabriel Albiac)
  • Napoli è l'unica città dove le persone ti salutano ancora con il "buongiorno" e non con un laconico "notte" o "giorno". (Christian De Sica)
  • Napoli è la capitale musicale d'Europa, che vale a dire, del mondo intero. (Charles de Brosses)
  • Napoli è la sola città d'Italia che dia veramente la sensazione di essere una capitale; il movimento, l’affluenza del popolo, il gran numero e il fracasso continuo delle vetture; una Corte con tutte le regole, e molto brillante, il tono di vita e lo spettacolo magnifico dei grandi signori; tutto contribuisce a darle quell’aspetto esteriore vivo e animato che hanno Parigi e Londra, e che non si trova affatto a Roma. (Charles de Brosses)
  • Napoli è rimasto per me un certo paese magico e misterioso dove le vicende del mondo non camminano ma galoppano, non s'ingranano ma s'accavallano, e dove il sole sfrutta in un giorno quello che nelle altre regioni tarda un mese a fiorire. (Ippolito Nievo)
  • Napoli è sempre a rischio di diventare l'esperimento del futuro, di tutto quello che toccherà al resto d'Italia. Ogni tanto qualcuno è affascinato da una città apparentemente attaccabile, malleabile ai poteri. Sembra, invece non lo è. È la sensazione che hanno i potenti. Ma Napoli conserva un elemento di irriducibilità. L'avverto come una persona: per conoscerla devi andare a fondo. (Giuseppe Montesano)
  • Napoli è tante cose, e molti sono i motivi per cui la si può amare o meno, ma soprattutto Napoli è una grande capitale, ed ha una stupefacente capacità di resistere alla paccottiglia kitsch da cui è oberata, una straordinaria possibilità di essere continuamente altro rispetto agli insopportabili stereotipi che la affliggono. (Elsa Morante)
  • Napoli è un sorriso della Grecia [...] i suoi orizzonti affogati nella porpora e nell'azzurro, il cielo che si riflette nei flutti di zaffiro azzurri, tutto, perfino il suo antico nome di Partenope trascina a quella civiltà brillante. (Charles Gounod)
  • Napoli è una città altamente morale dove si possono cercare mille ruffiani prima di trovare una prostituta. (Karl Kraus)
  • Napoli è una città che trovo vibrante, creativa, dove si lotta per vivere, ma splendida. (Peter Brook)
  • Napoli è una città dove facilmente si sprofonda. Il nuovo è fragile, il passato ha strati robusti. (Domenico Starnone)
  • Napoli è una città particolare, che ha un suo modo di vivere, che sdrammatizza. (Giuseppe Savoldi)
  • Napoli è una città viva e rovinata. Tutto è bello, orrendo e in disordine, niente funziona bene tranne il passato. Ma tutto è possibile.
    Gli esperimenti marini più importanti del Mediterraneo, le speculazioni più colossali e fasulle, le storie più incredibili e piacevoli, le persone più nobili e declassate, le cose più inutili e intelligenti si trovano qui. Con sfondo di sole e di mare.
    Anche le cose più ingenue e contorte che scendono negli abissi dell'anima prosperano qui meglio che altrove.
    Se ci fosse una capitale dell'anima, a metà tra oriente e occidente, tra sensi e filosofia, tra onore e imbroglio, avrebbe sede qui.
    Nel mezzo della città si apre via Spaccanapoli, un rettilineo di più di un chilometro, stretto e vociante, che divide in due l'enorme agglomerato. È il cuore di questa babele della storia. Qui visse e morì Benedetto Croce. (Stanislao Nievo)
  • Napoli è una grande capitale del mondo ed è un pezzo pregiato del Mezzogiorno d'Italia e del Paese intero. (Nichi Vendola)
  • Napoli è una tappa fondamentale, la racconto nelle sue contraddizioni e nella sua estrema vitalità, anche lì [...], Napoli e i napoletani rappresentano nel bene e nel male un'Italia al quadrato. (Corrado Augias)
  • Napoli è unica, con tutte le sue contraddizioni. (Corrado Ferlaino)
  • Napoli è uno strano paese!
    Disteso come un Re orientale sul tappeto del più bel verde che si possa vedere, coi piedi sull'azzurro e limpido Tirreno col capo sul fianco dell'ardente Vesuvio, non v'ha città al mondo che possa rivaleggiare colla capitale della Italia del mezzodì.
    Non v'ha mare più ridente, non v' ha cielo più sereno, non v'ha terra più feconda di frutti e di fiori.
    Tutto è bello e tutto è grande qui. Questo popolo che sonnecchia, che si lascia calpestare con una pazienza che ha del dromedario del deserto il quale soccombe sotto al peso senza muover lamento, quando l'ora della rivoluzione lo ha scosso diventa d'un tratto tigre e pantera.
    Non v'ha gente al mondo che sia stata oppressa di più.
    La tirannide dei Viceré Spagnuoli avea appena lasciato a quel popolo gli occhi per piangere. (Franco Mistrali)
  • Napoli è vero e proprio crocevia della cultura italiana dell'ultimo secolo, luogo reale e simbolico, tempio della lacerazione e della speranza, delle ipotesi che balenano senza poter davvero trasformarsi in realtà e delle derive più inarrestabili, dove è possibile l'abbandono melodico e lo strappo più cupo, dove si esercitano il soccorso più solidale e la beffa più impietosa, l'intelligenza più problematica e la più becera volgarità, dove convivono violenza e dolcezza. (Giulio Ferroni)
  • Napoli fu per Metello il Rettifilo, via Toledo, piazza Plebiscito, e via Sergente Maggiore, via de' Fiorentini, quando gli sembrava di non aver altro da fare e si voleva prendere una distrazione. Non soltanto la mancanza di denaro, ma la divisa un poco lo umiliava; e dové adattarsi a quelle domestiche della Villa comunale, seppure non erano, per lui che aveva avuto Viola, proprio il suo tipo. Col tempo fece ghega insieme a un livornese, uno di Cascina, un fiorentino di Porta Romana: Mascherini, che negli anni dipoi non seppe mai dove fosse finito. Leoni, quello di Cascina, riceveva denaro, suo padre era mobiliere, ed egli era tirato ma finiva per offrire. Fu un sodalizio che durò a lungo: si frequentarono le bettole di Forcella, del Vasto e del Pendino, rioni che chiamano sezioni, come chi dicesse Sezione San Niccolò o Madonnone. Ebbero a che fare con la gente, per quei vicoli traversi o tutti in salita, dove la miseria e la sporcizia erano pari all'animazione che vi si trovava. Entrarono, piuttosto che in via Sergente Maggiore, in alcuni bassi, dietro una sottana: ragazze tutte more di capelli, dai volti appassiti e i grossi seni. I bambini giocavano al di là della tenda. Non ci si toglieva nemmeno le mollettiere. Poi magari si restava a cena con tutta la famiglia, si diventava amici, ci tenevano in conto di figlioli: era gente come noi, come il livornese che non viveva meglio dietro la Darsena, come Mascherini che aveva il babbo fiaccherajo. E un po' ci si vergognava. Si vuotavano le tasche dell'ultimo soldino, come per farci perdonare. Cose trapassate nella memoria, viste e vissute da dentro la campana. (Vasco Pratolini)
  • Napoli ha bisogno non pure di essere descritta, ma di essere spiegata, come città quasi eccezionale in Italia. (Antonio Morano)
  • Napoli, illustrissima e magnifica città, esposta al mezzo giorno, su le falde, anzi in mezzo alle radici del monte di Sant'Ermo [...] e d'alcuni altri piacevolissimi colli si riposa; l'onde mirando dell'imperioso Tirreno. (Bernardo Tasso)
  • Napoli in agosto è un po' come Parigi a maggio: ricorda Pescara in aprile. (Alessandro Bergonzoni)
  • Napoli intercetta le modificazioni sociali prima delle altre, viene attraversata da cambiamenti antropologici con precedenza sulle altre città. Non è affatto strano quindi che produca letteratura. E poi abbiamo dalla nostra il vantaggio di una lingua fortemente corporea, il lettore quasi non se ne accorge, ma essendo una città molto erotica, la scrittura acquista quel tipo di timbro. Pensa alla narrazione di Saviano, è fortemente sensuale: anche nella morbosità dei meccanismi criminologici che racconta. E direi che effettivamente non è più un fenomeno, è una tendenza ormai stabile e non mi sembra che ci sia stato ancora uno spostamento geografico, nessuna altra città italiana ha espresso un così alto numero di scrittori significativi sulla scena letteraria come è successo a Napoli. (Diego De Silva)
  • [Tischbein lascia Napoli occupata dai Francesi il 20 marzo 1799] Napoli, la splendida Napoli mi parve nera e triste come una tomba. Altra volta, nei giorni di festa, i chiostri sulle colline erano illuminati con migliaia di lumi: si sparavano cannoni, s'accendevano fuochi d'artifizio. Ora, tutto scuro e deserto: i palazzi, sinistri e silenziosi: appena qua e là accennava un lume solitario. Il mio sangue era in fermento, i miei nervi in vibrazione, il mio cuore in malinconia. Questa città, in cui avevo goduto tanto: tante gioie, tante amicizie, tanti onori!... – Le ancore furono levate, le vele disciolte e spiegate al vento; il bastimento cominciò a muoversi. E noi passammo dinnanzi alla casa, dov'io avevo abitato tanti anni...
    La mia commozione crebbe, quando vidi da lungi la roccia, su cui Hamilton aveva un giardino pensile. La fantasia mi riprodusse tutte le belle ore, ch'io avevo trascorse in quel luogo. (Johann Heinrich Wilhelm Tischbein)
  • Napoli, metropoli di tutte le grandezze, meraviglia di meraviglie, i cui monti sono dolce oblio degli uomini, i cui campi sono splendidi prodigi della natura, il cui celebrato Sebeto è emulo dello Xanto e rivale del Pattolo, il suo molo, meraviglia del colosso piramidale, i suoi templi resti di quello di Efeso, i suoi principi e signori il simbolo della lealtà, la congregazione del valore, il centro della nobiltà, il sole di tutta l'Europa, e il fiore di tutta l'Italia. (Estebanillo González)
  • Napoli? Mi dispiace chiamarla solo città del sud, per me è l'unica capitale che abbiamo... In Italia c'è pochissima cultura diffusa e Napoli è un punto fondamentale per questo. (Cristina Comencini)
  • Napoli mi manca, sono fiero di essere napoletano. Ma Udine è come una seconda casa per me, sto benissimo qui, sento il calore della gente. (Antonio Di Natale)
  • Napoli nera e nuda. Napoli, che il baccano e la miseria fanno sembrare barbara al viaggiatore venuto da Roma, mentre non esiste, nella penisola, una città altrettanto fine, ingegnosa e colta, una città che abbia come lei l'aria di capitale, soprattutto se la si confronta con Roma; ma, dei successi che il talento dei suoi nativi avrebbe procurarle, è stata misteriosamente spogliata, da sempre. Città enigmatica, la cui popolazione è dotata delle più meravigliose risorse spirituali, senza riuscire a farle fruttare, perennemente vinta, nella lotta contro le offese; mendicante e umiliata da una continua calamità.
    Così, giungendo da Roma per la strada litoranea, tanto bella da Terracina in poi, dove inizia il Sud, abbiamo proseguito rallentando l'andatura, amando Napoli e in pari tempo temendola. (Dominique Fernandez)
  • Napoli non è una città, è un mondo. Napoli non è solo a Napoli ma la trovi ovunque, anche in Germania. La "napoletanità" è una cosa unica. È chiaro che ogni città ha un suo calore, Napoli ce l'ha ma in maniera diversa, questa città vive le cose in maniera passionale, con un amore diverso da tutti gli altri. Non posso dire se rispetto alle altre tappe sia meglio o peggio, Napoli è sicuramente diversa. (Marco Masini)
  • Napoli non mi sentirà mai più! Tornerò a Napoli solamente per rivedere la mia cara mamma e per mangiare i vermicelli alle vongole! (Enrico Caruso)
  • Napoli non ti può dare il niente, ti può dare grandi cose, delle cose eccezionali perché è ricca di tutto. È una città che ha una storia sotto un aspetto culturale e ha una storia sotto l'spetto del vivere le cose di tutti i giorni [...]. Napoli è stata un arricchimento della mia cultura. (Giuseppe Savoldi)
  • Napoli per me è tutto, è mia madre, sono i miei ricordi; Napoli è la mia adolescenza. Se non fossi stato napoletano, non avrei potuto essere quello che sono a teatro. È grazie alla mia città, con la sua cultura, che mi sono realizzato come attore e artista. Non riuscirei a vivere lontano da Napoli. Credo di essere l'unico attore che non è scappato da una città vittima di molti pregiudizi. Alcuni veri, altri falsi. Mi piace ricordare sempre ciò che diceva Eduardo, "‘o presepio è buono, ‘e pasture so malamente". E aveva ragione. Napoli è quella descritta da Pino Daniele, piena di contraddizioni ma ricca di fascino. (Peppe Barra)
  • Napoli per me è una città straordinaria, che soddisfa in pieno le mie esigenze. Io sono un uomo di calcio, e Napoli è forse la città al mondo in cui il calcio si vive in maniera più intensa. Vengo da Liverpool, anche lì c'è un rapporto viscerale con la squadra che pensavo non fosse possibile trovare altrove. Ma a Napoli è forse superiore. Poi sono amante dell'arte. E Napoli da questo punto di vista è una miniera, ci sono cose straordinarie da vedere, forse neanche i napoletani sanno quanto è bella e quanto è ricca la loro città. Mi piacerebbe dare il mio piccolo contributo per far conoscere al mondo la vera immagine di Napoli. (Rafael Benitez)
  • Napoli senza sole, senza mare azzurro, senza Vesuvio. Pioggerella monotona, mimose in fiore, in lotta con la tristezza del tempo; ma emanano luce propria e profumi più forti di quelli dei gas delle auto che attraversano la città come interminabili cortei funebri, accompagnati dall'immenso fantasma della benzina bruciata. Un auto da fe urbano, uguale in tutte le città del mondo, conquistate dalla tecnica, questa vittoria planetaria della metafisica occidentale, come dice Heidegger. (Vintilă Horia)
  • Napoli, sì come ciascuno di voi molte volte può avere udito, è ne la più fruttifera e dilettevole parte di Italia, al lito del mare posta, famosa e nobilissima città, e di arme e di lettere felice forse quanto alcuna altra che al mondo ne sia. La quale da popoli di Calcidia venuti sovra le vetuste ceneri de la Sirena Partenope edificata, prese et ancora ritiene il venerando nome de la sepolta giovene. (Jacopo Sannazaro)
  • Napoli, si fa presto a dire, sembra una città, non lo è, è una nazione, è una repubblica. [...] L'ammirazione che io ho per il popolo napoletano nasce proprio da questo amore per Totò. [...] Napoli è il mistero della vita, bene e male si confondono, comunque pulsano. (Lucio Dalla)
  • Napoli sonnecchia sulle sue colline a un passo dal mare, come un'odalisca che riposi dopo il bagno. (Vladimir Dmitrievič Yakovlev)
  • Napoli sono due città, una è esterna alla luce del sole, l'altra, sotterranea. Insomma il suolo su cui si costruisce è come la forma di una groviera piena di buchi. (Le mani sulla città)
  • Napoli – una città dove il «piacere» è attivamente coltivato. (Henry James)
  • Napoli! Zi' Teresa! Il Vesuvio! La Bersagliera! «A Marechiaro ce sta 'na fenesta»! Ah, come tornerei volentieri a Napoli! (Totò le Mokò)
  • Nei primi decenni del XVIII secolo, la città di Napoli è uno smisurato aggregato di persone, un contenitore umano che fa storia a sé nelle vicende demografiche del resto del Regno. (Giuseppe Moricola)
  • Napule non è più la stessa quando piove; la provvisorietà bellissima dei suoi palazzi ottocenteschi merlati, delle sue sponde rivolte al mare infinito, si moltiplica. Tutto sembra galleggiare dentro penombre diavolesche e alle quattro del pomeriggio spunta l'atmosfera di certi racconti di Edgar Allan Poe. (Vladimiro Caminiti)
  • Nei primi giorni della mia dimora a Napoli visitavo con un nobile napoletano le rovine dei templi e dei palazzi romani a Pozzuoli. "Siete ancora fieri dei tempi antichi, voi napoletani?" gli chiesi. "Signore" mi rispose il grasso marchese "i napoletani sono tutti poveri ruffiani." Udendo che io mi servivo di un operaio mi disse: "Lo paghi un tanto e non un grano di più e se fa rimostranze, non gli dia niente di più". E proseguì: "Signore, stia in guardia, tutti i napoletani sono mariuoli". "Anche lei sarebbe nel numero?" io risposi, per metà scherzando e per metà sdegnato. "Sì, sì, mezzo birbante" rispose, scotendosi dalle risa. Egli aveva ordinato al servitore che stava dietro alla carrozza di portare per noi una bottiglia di vino di Siracusa. Quando la cercammo, non la trovammo. Il marchese montò in gran collera e lo chiamò asino, ladro e bestia, infine lo minacciò di detrargli qualche cosa dalla paga per il mese seguente. Questo ebbe effetto. "Eccellenza" gridò il servitore a mani giunte "mi spezzi una gamba in due, ma non mi punisca sul denaro, il denaro fa male." [...] Il denaro è la grande leva che muove tutti i napoletani. Per il minimo servizio, per una semplice stesa di mano, chiedono denaro. Per denaro ridono, saltano, ballano, cantano. (Karl August Mayer)
  • Nel Conservatorio di Napoli vive ancora quel mondo del Settecento confluito dai quattro collegi della città quando, nel secolo passato, se ne è raccolta la sede. (Riccardo Muti)
  • Nell'ultimo bollettino del Bureau of Psychological Warfare si dice che a Napoli quarantaduemila donne esercitano, occasionalmente o con regolarità, la prostituzione. Questo su una popolazione femminile nubile che si aggira intorno a centoquarantamila. Pare incredibile. (Norman Lewis)
  • Nella convinzione del popolo napoletano due classi d'individui guadagnano con certezza alla lotteria. La prima categoria è composta da coloro che sono in possesso di una formula di calcolo matematico che indica i numeri di un'estrazione prossima in base allo studio delle estrazioni anteriori. La seconda comprende gl'individui che agiscono sotto l'influenza di una suggestione extraumana, divina o diabolica. (Marcellin Pellet)
  • [Il 13 settembre 1789, presenti Ferdinando IV e Maria Carolina d'Austria, il pallone aerostatico di Lunardi si alza nel cielo di Napoli.] Non ero levato appena mille piedi quando restai incantato a osservare la scena che si presentava sotto di me del tutto nuova da quanto[11]avevo veduto in altre capitali dalla Gran Bretagna alla Scozia. Sembrava[12]Napoli composto da tante piccole piazzette, tutte ricoperte di anime viventi. Erano questi i lastrici, o siano terrazzi, su de' quali erano saliti gli abitanti delle rispettive case. Nell'innalzarmi maggiormente, principiando a perder la vista gli individui, queste piazzette sembravano[12]tanti giardinetti sparsi di fiori verdi e rossi, ch'erano i diversi ombrelli con i quali si riparavano dal sole. (Vincenzo Lunardi)
  • Non potreste credere che bei giardini ho in questa città perché, ne sono io testimone, sembra che manchi solo Adamo ed Eva per farne un paradiso terrestre. (Carlo VIII di Francia)
  • Non sembrava di stampo veneziano, piuttosto della razza dei comici napoletani, mezzo ruffiani, mezzo commedianti, brutali e protervi, pericolosi e spassosi. (Thomas Mann)
  • [Sul proverbio: Napoli è un paradiso abitato da diavoli] Non so se è falso in tutto, ma son certo che quella parte appunto, in cui il credo anch'io vero, sia quella che mostra sino ai ciechi la bontà dei suoi abitanti, avvegnaché non faccia troppo onore alla loro sapienza. (Antonio Genovesi)
  • Non sono abbastanza forte per il nord: là imperversano gli spiriti pedanti ed artefatti, che non sanno fare altro che lavorare alle norme della convenienza, come il castoro alla sua costruzione. Ho vissuto tutta la mia gioventù fra gente simile! Mi è venuto in mente all'improvviso, mentre per la prima volta vedevo il cielo grigio e rosso della sera scendere su Napoli – un brivido di compassione per me stesso, l'idea di cominciare a vivere da vecchio, e lacrime, e, all'ultimo istante, la sensazione di essere ancora in tempo per salvarmi. (Friedrich Wilhelm Nietzsche)
  • Non vi mettete scuorno, napoletani e affini, ma l'Espresso e Santoro hanno ragione: Napoli è veramente una città impossibile, insopportabile, malata. Mancavano i duemila delinquenti liberati solo a Napoli e dintorni dall'indultaccio per darle la mazzata finale. Ora la delinquenza galoppa con il plauso della gente e don Clemente Mastella con il suo vice Manconi hanno voglia a dire che l'indulto non c'entra: mentre lo ripetevano, venivano acchiappati a Napoli quattro delinquenti che avevano ucciso per rapina e tre di loro erano usciti freschi freschi dal carcere, grazie all'indulto. Ma non è solo questione di indulto, ne convengo. Il problema è Napoli. Che è davvero una brutta chiavica, per dirla in linguaggio indigeno. [...] Andate per le strade dove trabocca l'immondizia, per i quartieri dove regna il casino e il rumore, per le piazze e i vicoli dove comanda la guapparia e dilaga la furbizia truffaldina. No, Napoli non si sopporta. (Marcello Veneziani)
  • Non voglio farla grossa, ma la scoper­ta del Dna è iniziata all'ombra del Golfo e l'ho raccontato nel libro La doppia elica. Napoli, quindi, è stato un luogo fondamentale per me. (James Dewey Watson)
  • [A Napoli] novantanove volte su 100 finisci scugnizzo. Vengo dai quartieri popolari, cresciuto dalla nonna. Quando entravo in casa, battevo forte i piedi per far scappare i topi. E niente doccia. Scendevi per strada e ti fottevano la cartella. Poi la bicicletta. Poi il motorino. Alla quarta diventavi scugnizzo. (Gigi D'Alessio)
  • Nudi ragazzini di nove anni e azzimati figlioli di ricchi; cenci e brandelli, e smaglianti uniformi; birocci e carrozze di gala; mendicanti, principi e vescovi passano gomito a gomito tutte le ore. Ogni sera tutta Napoli si riversa sulla riviera di Chiaia per la passeggiata in carrozza; e per due ore si può assistere al passaggio della processione più variopinta e promiscua che occhi umani abbiano contemplato. Principi (a Napoli vi sono più principi che poliziotti – la città ne è infestata) che vivono in cima a sette rampe di scale e non possiedono alcun principato, patiscono la fame ma possiedono la carrozza; e impiegati, meccanici, modiste e prostitute saltano la cena e sprecano i loro soldi per una passeggiata a Chiaia [...] Per due ore il plebeo ed il nobile trottano l'uno accanto all'altro in questa selvaggia processione, poi tutti se ne tornano a casa soddisfatti, felici, coperti di gloria. (Mark Twain)
  • Oggi fui a vedere trattare le cause. Sono rimasto edificato del metodo: vengono trattate come si deve, con decenza, con maestà, con onoratezza. Ma la quantità dei curiali è sorprendente! figuratevi tutti gli abitanti di Trento, e de' suoi contorni riuniti nel castello del mal consiglio. (Carlantonio Pilati)
  • Pensiamo a cosa è avvenuto a Napoli durante la Liberazione. Gli americani venivano a salvare i napoletani e loro pensavano al modo per derubarli, per riempirli di prostitute, insomma quasi per avvilirli. Sempre per quel senso di superiorità. (Giuseppe De Rita)
  • Penso che abbia nella sua natura una tale magnifica tradizione di ibridazione, che questo discorso[13]mi pare particolarmente proficuo, e anche perché Napoli è sempre stata vivissima dal punto di vista culturale: penso al circolo culturale aragonese. Roma difficilmente è stata capitale culturale, Napoli sì. E poi ha un legame molto forte con l'Oriente, e c'è una tradizione di riflessione filosofica sulla libertà. È una capitale del pensiero, non a caso uno spirito libero come Leopardi ha poi scelto questa città. Ha tradizioni che resistono insieme ad avanguardie estreme. (Silvia Ronchey)
  • Penso che Napoli sia l'unica capitale d'Italia perché è una città che raccoglie le qualità tipiche di una capitale: estrema miseria ed estremo fasto. A parte le bellezze naturali, che non sono suo merito, le è rimasta la grandeur spagnola ed è l'unica città a sommare a questa grandeur l'allure della grande capitale. (Fernanda Pivano)
  • Per disonore dell'umana ragione non v'è cosa in Napoli tanto notoria, quanto la libera e pubblica vendita che vi si fa dei falsi attestati. La tariffa loro ordinaria è di tre ducati, o di quattro, secondo la fame di chi vende, e il bisogno di chi compra. Se tu vuoi dunque soppiantare un processo, alterare una particola di testamento, falsificare qualunque carattere, tu non hai ch'a gittar via i rimorsi, e dar mano alla borsa. Le botteghe de' falsari son sempre aperte. Tiriamo un velo sopra queste incredibili e non mai più udite abbominazioni. Il pensiero non può fissarle senza raccapriccio. (Vincenzo Monti)
  • Per me esistono delle città mondo e Napoli è una città mondo, come Istanbul o Calcutta. Milano non lo è. È una città bellissima, ma è prevedibile. Il mondo invece è imprevedibile. È quello lo scarto che senti tra come le immagini, tra come cerchi di figurartele e come poi, a volte, ti viene restituita da una persona che ci vive o da un libro. Ovviamente l'imprevedibilità si può verificare solo dove gli elementi che la compongono sono disomogenei. Napoli è fatta così: trovi l'astrofisico e il troglodita che bevono un bicchiere di vino nella stessa enoteca. Non ci sono i quartieri così e quelli colì. Si sta tutti insieme. (Valeria Parrella)
  • Per me Napoli ha un posto particolare. Stendhal diceva: "Ci sono due capitali in Europa. Parigi e Napoli". Ho letto quello che Schifano ha scritto della città. Napoli è per me una città veramente particolare, l'ho visitata più volte e mi è molto cara. (Emmanuel Macron)
  • [Napoli], per molti rispetti eccellente, ha questo oscuro e vergognoso e inveterato malanno, che il girar di notte vi è non meno pauroso e pericoloso che tra folti boschi, essendo le vie percorse da nobili giovani armati, la cui sfrenatezza né la paterna educazione né l'autorità dei magistrati né la maestà e gli ordini del re seppero mai contenere. (Francesco Petrarca)
  • Per riassumermi, mi limiterò a trasmettervi l'impressione che reco da Napoli, da me prima non vagheggiata se non ne' sogni o ammirata se non ne' libri suoi. Ho visto una città colossale, ricca, potente: innumerevoli sono i suoi palazzi, costrutti con titanica negligenza sulle colline, sulle alture, nei vichi, nelle piazze, quasi che indifferente fosse la scelta del luogo in una terra da per tutto incantevole. Ho visto strade meglio selciate che a Parigi, monumenti più splendidi che nelle prime capitali d'Europa, abitanti fratellevoli, intelligenti, rapidi nel concepire, nel rispondere, nel sociare, nel agire. Napoli è la più grande capitale italiana, e quando domina i fuochi del Vesuvio e le ruine di Pompei sembra l'eterna regina della natura e delle nazioni. (Giuseppe Ferrari)
  • Per tutta la città [si fanno] accademie in diverse facoltà, [alcune sono] sospette essendo certo che la gioventù legge libri francesi ed oltramontani, e le massime di quelli contro la Chiesa ed ecclesiastici si spacciano con pompa pubblica, avendo preso gusto nella critica delle materie ecclesiastiche ed alle nuove opinioni cartesiane: [di conseguenza a Napoli si è introdotta] una specie d'ateismo. [Particolarmente] negli avvocati [...] e ministri si sentono pubblicamente proposizioni e massime contarie alla disciplina ecclesiastica, autorità di vescovi e bene spesso ancora contro la suprema autorità della Santa Sede. [...] Il moderno cappellano maggiore ha intrapreso di fondare una nuova accademia di molte facoltà e singolarmente di filosofia e di matematica, e pretende di introdurre la filosofia del Loch e di altri autori simili, avendo già nominati i soggetti per ciascheduna facoltà. (Raniero Felice Simonetti)
  • Prendete un tizio che urla, gesticola, si agita, si lamenta, che parla solo in dialetto, che addossa la colpa di ogni cosa agli altri... e poi ruba, fa il furbo, non rispetta mai le regole. Ecco, in questa miscela avrete tutti gli ingredienti giusti per rappresentare il napoletano che tanto piace, che fa ascolti, indigna.
    È la napoletaneria, degenerazione infida della napoletanità. La napoletaneria che piace a tanti programmi televisivi, che fanno audience e raccolgono pubblicità. [...]
    Ci si chiede spesso perché i napoletani, in questa confezione preincartata in Tv, siano sempre e solo condannati a recitare a "fare i napoletani" anche se non ne hanno voglia, non amano urlare, né gesticolare, né dare la colpa agli altri, ma analizzano, si rimboccano le maniche, lavorano. Ma quel napoletano non esiste, non vende, non serve allo sfruttamento commerciale.
    È l'eterno contrasto tra la napoletanità di radici, storia, identità, rigore, e la napoletaneria becera da sottocultura, folklore, stereotipo e pregiudizio che anche Pino Daniele odiava. Una città come Napoli, così complessa, conosciuta in tutto il mondo, sempre sotto i riflettori e sempre fuori dalle righe non può essere ridotta a luogo comune. (Gigi Di Fiore)
  • Provo un estremo fastidio quando si parla di napoletanità. Essa esiste quando non la si individua, non la si isola in provetta e non la si esalta. È la storia impareggiabile di questa città. È la storia anche dei misteri, della morbosità, delle contraddizioni, della violenza, delle irrisioni. Quando la napoletanità diventa tronfia ed arrogante, un surrogato della retorica di regime, sia di sinistra, di destra che di centro, mi appare in tutta la sua miseria ed indeterminatezza culturale. Non mi piace quando viene sistematizzata, ma quando viene inseguita, quando ti contraddice, ti prende alle spalle per una sensazione, una verità carnale, di clima o di paesaggio. Oggi, con l'avvenuta trasmigrazione delle menti e dei corpi, è difficile vagheggiarla come si faceva una volta. Tanto vale trovarla nel rischio di vivere, di pensare e di cercare a Napoli questa grande emozione. (Valerio Caprara)
  • Quando diciamo che Napoli è una città violenta, una città criminale, una città sporca, una città in cui la qualità della vita è bassa, possiamo dire verità o esprimere esclusivamente luoghi comuni o stereotipi. È sbagliato rigettare queste definizioni esclusivamente perché mettono in mostra qualcosa che non va nella nostra città. La nostra città è questo ma è anche altro evidentemente: però è anche questo e allora bisogna cercare di capire qual è il fondamento di verità che c'è in questi stereotipi. (Aurelio Musi)
  • Quando mi chiedono che cosa resta, in questo nostro mondo cibernetico, di quel Mediterraneo quasi arcadico del ricordo, "Napoli? Il raffinato cadavere di Napoli?", rispondo: "Per restare resta molto. Resta l'immenso paradiso infranto della memoria. Resta la magnifica nostalgia dei perduti splendori. Restano la coscienza profonda di una storia condivisa, le spoglie delle civiltà da cui proveniamo, un presente postatomico con scorie industriali e una vegetazione radioattiva. Il Mediterraneo è anche questo. Una bellissima cloaca, come il golfo di napoli. Un rifugio di turisti nordici in pensione, come a Ischia. Un frammento di sogno di pietra, come Capri. Una costa geniale dove si trova Ravello, sognata da Goethe, sognata da Wagner. Isole trasformate in prigioni; vulcani in fiamme; vigne d'oro; vino verde, di uve prodotte e raccolte in proprio; un mondo rurale minacciato, fra il drammatico e il gaudente. Rovine di mille anni fa e persino di ieri. Eterni corpi di marmo e altri ancora effimeri, parimenti magnifici. Tutto il cumulo di passato e presente che ora è vita. Resta il bellissimo cadavere barocco che è Napoli". (Josep Piera)
  • Quando nell'Ot­tocento è stata scelta l'idea di unità nazionale, non si è rispettata l'identità della penisola, che è stata sempre po­licentrica. Napoli non ha mai fatto riferimento all'Italia, ma al Mediterraneo e all'Europa. I napoletani si son detti regnicoli, mai italiani, e non lo erano. (Franco Cardini)
  • Quando sarò morto tornerò a Napoli a fare il fantasma, perché qui la notte è indicibilmente bella. (Hans Christian Andersen)
  • Quanto dunque é Napoli per questo Re [Carlo III] malissima sede, tanto buona sarebbe una città mediterranea, quale io ho sempre stimato Melfi, ove spesso sono stati gli antichi Re. Lontana ella è egualmente dai confini del Regno e dai due mari; buonissima vi è l'aria; le spalle ha guardate da una serie di montagne, il lido del mare dell'altra parte è di mal accesso e fortificabile. (Bernardo Tanucci)
  • [Il misto di autentica generosità ed astuzia senza doppiezza dei napoletani] Quest'oggi la padrona del basso che mi ospita ha voluto per forza offrirmi un piatto della loro minestra di riso e fagioli. Ero commosso dalla prodigalità di questa povera gente che si toglie un piatto della loro minestra così faticosamente guadagnata. Avevo appena finito di dire "Ma è sorprendente la generosità e l'ospitalità del popolo napoletano, che mi commuove nel profondo del mio animo" quando si è avvicinata la padrona e a un orecchio mi ha sussurrato: "Vedite un po' voi si putite ottenere dall'amministrazione un compenso per il disturbo che ci prendiamo." (Vittorio De Sica)
  • Questa città dei miracoli, [...] questo centro di sentimentalismo e di abile sforzo quotidiano tra il bene ed il male. (Vintilă Horia)
  • Questa era la città del tempo controtempo [...] noi siamo figli di un grande sonno pomeridiano, un immenso sonno storico mentre tutto l'universo attorno a noi si muoveva e vegliava. [...] Era la città dove il pigliamoci un caffè durava mezza giornata. [...] Era la città del presente eterno: un napoletano non diceva 'domani andrò al mare', diceva invece 'domani vado al mare'. E Napoli, come la sedia rotta e molto rotta e poi smembrata, non esiste più. Il nome è vuoto, come quello di una persona cara che è morta, adagiata sul letto, pronta per essere chiusa in una bara e sepolta. (Ruggero Cappuccio)
  • [Virgilio e Leopardi] [...] questi due solitari e pur diversi poeti della malinconia, questi due perpetui esuli della loro città natale, ambedue innamorati della natura e portati per temperamento ai toni dell’idillio, ma che ambedue scavarono dentro le misure dell’idillio per cantare la fatale tristezza dell’uomo; e pensate anche a ciò che ha significato per l’uno e l’altro l’incontro con Napoli, se l'Eneide intera, nella sua stessa dimensione religiosa, e in quel di più che essa ha rispetto alle opere precedenti, non la si potrebbe concepire senza la presenza di questo mare e di questi dintorni, e se l’ultima e più alta impennata di Leopardi e la stessa disperata religione de La ginestra presuppongano come scenario, "e di Capri la marina | e di Napoli il porto e Mergellina". (Mario Pomilio)
  • Restituiamo Napoli ai Borbone! (Mario Borghezio)
  • Roma e Venezia si riuniranno all'Italia ma chissà se Napoli non sfuggirà all'Italia. Facile prender Napoli, difficile il conservarla. (Alessandro Dumas padre)
  • Santa Lucia è, sotto il profilo strettamente storico, il luogo da cui nacque la città di Napoli. (Vittorio Paliotti)
  • «Santa Lucia vi conservi la vista», ripete da secoli, il mendicante napoletano che tende la mano sugli angoli delle strade, e dà con quella frase la misura esatta del significato in cui è tenuta a Napoli la «facoltà di vedere», un bene primario che costituisce la ricchezza estrema dei poveri e la sanità ultima degli ammalati. (Vittorio Paliotti)
  • Sappiamo tutti che qui non c'è industria culturale, che la vita per un intellettuale è più difficile. Io non debbo fare l'opinionista da Costanzo o tenere una rubrica su un settimanale illustrato, quindi questa condizione non mi pesa; ho pubblicato con importanti editori nazionali e non saprei vivere altrove. A Napoli mi legano i miei studi, l'insegnamento ormai ventennale presso l'Accademia di Belle Arti, il piccolo borgo dove vivo, Cappella, che non c'è su nessuna carta geografica, ma per me è importante come Cuma, Baia, Pozzuoli, con il loro fascino di tufo, terme, statue romane, spettri che salgono dai numerosi colombari di zolfo, di laghi, che mi esaltano e mi commuovono. Napoli ed il mondo flegreo sono uniti da una medesima condizione: il conservare, a dispetto della modernità, un'irriducibile anima arcaica e l'essere continuamente fatti oggetto di saccheggio, degrado, barbarie. Ma vivere qui, significa stare in contatto con stimoli creativi forti. Per me è come ascoltare improvvisi echi, farsi portare per mano dal sortilegio. (Michele Sovente)
  • Sarebbe una città di incanto se non vi si incontrasse una folla di plebei che hanno aria di ribaldi e di malandrini, senza essere sovente né l'uno né l'altro. (Papa Clemente XIV)
  • Sbarco sempre con angoscia a Napoli. Mi sembra di salire su un insidioso palcoscenico, dove la recita è corale e tu sei osservato e trattato come l'ultimo arrivato. Temi i tranelli della scena e la complicità della platea. Saranno pregiudizi e perfino ancestrali eredità del paesano sbarcato nella capitale storica del suo Regno, come una maschera del mio paese, don Pancrazio Cucuzziello, che veniva raggirato a Napoli per la sua ingenua rozzezza contadina. Ma quando arrivo a Napoli sento un'insidia che non avverto nemmeno nelle città arabe o sudamericane più insicure. Sopporto l'inferno napoletano solo come transito obbligato per accedere al paradiso delle sue isole e penisole o per godere di qualche amico. Non scriverò un ennesimo saggio su Napoli, camorra e sentimenti, semmai scriverei su una grande capitale fallita. Che affascina per la voluttà del suo declino, quasi la civetteria di disfarsi in pubblico. (Marcello Veneziani)
  • Se dall'unità il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata: ha perduto la capitale, ha finito di essere il mercato del Mezzogiorno, è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone. (Gaetano Salvemini)
  • Se la banca Euromediterranea si farà, la sua sede naturale dovrà essere Napoli che per storia, centralità e condizioni geopolitiche non può avere rivali. (Giulio Tremonti)
  • Se quand'era tempo avessi potuto compiacere ad un mio desiderio, io sarei andato a vivere alcuni anni a Napoli, alcuni a Milano. Queste due città, una per la sua grande popolazione, l'altra per molte particolari condizioni, sono da qualche tempo la stanza del pensare filosofico in Italia. Esse furono abitate da quasi tutti i nostri scrittori che s'innalzarono ad una certa elevatezza d'idee, ed abbracciarono una certa estensione di principii. (Giuseppe Bianchetti)
  • Se qui dunque, pullulano i bassi e se ogni casa diventa bottega − come al Lavinaio − è proprio perché da questa economia il napoletano può trarre i mezzi di vita: e non sarà troppo prossimo il giorno, che tuttavia si auspica, di una Napoli pronta a offrire a tutto il milione dei suoi abitanti condizioni perfette di esistenza e di attività. Intanto, qui più che altrove si mostra come la conclamata inerzia napoletana sia invece una geniale attitudine a far diventare ricchezza il talento d'ognuno e come una rete minutissima leghi la grande alla minima industria, il grosso al minutissimo commercio.
    Se un viaggiatore viene qui, tra la lunghissima via Marina e il Rettifilo e va curiosando − con sguardo acuto e cordiale, non distratto e acido − per questa contrada, s'avvederà subito come si tratti proprio di un pullulante fermento economico, come tutto qui risponda a un gioco essenziale della vita. Magari il ricordo di tante tragiche vicende darà un più oscuro colore ai gesti e alle parole di questa parte di Napoli, ma resterà vivo nell'animo di chiunque vi passerà questo «colore locale» che nasconde un significato sociale ben definito, forse anch'esso amabile perché anch'esso necessario alla vita di una grandissima città. (Mario Stefanile)
  • Se volete fare qualcosa di buono, fuitevenne 'a Napoli[14]. (Eduardo De Filippo)
  • Sebbene il lotto, introdotto a Napoli nel 1682 dai viceré spagnuoli, non esistesse ai suoi tempi, si è convinti che Ignazio di Loyola abbia manipolato e manipoli ancora, per mezzo dei suoi discendenti, la forza magica dei numeri. Ogni gesuita conosce la regola segreta e potrebbe arricchire a suo piacimento la gente povera, ma egli tace e tiene per sé la sua scienza. Perciò il gesuita, tacciato di cattiveria e d'egoismo, è abbastanza odiato nel Basso Porto e a Santa Lucia. (Marcellin Pellet)
  • Sedevano un dì fra' boschetti d'aranci, sulla pendice a' cui piedi è Sorrento; e la brezza moveva da' rami e dalle foglie una musica di suoni e di fragranze; mentre di sotto alle verdi ombrelle rideva il golfo di Napoli, e dal cielo azzurro traluceva il Paradiso. (Augusto Conti)
  • Siamo tutti futuri napoletani. (Susanna Tamaro)
  • Si sa che i napoletani mettono tre o quattro parole dove non ne bisogna che una. (Giuseppe Pignata)
  • [Napoli appare] simile a certe leggendarie città orientali, vagheggiate dai poeti arabi: tetti e torrette che sembrano minareti, cupole ricoperte da tegole multicolori, chiese simili a moschee, guglie scintillanti, più adatte alla mezzaluna che alla croce, una popolazione brulicante simile nell'aspetto al popolo dell'Arabia felix, abbigliata secondo la foggia orientale. (Lady Morgan)
  • Solo noi abbiamo potuto permettere che la nostra Parigi [Napoli] venisse fagocitata da un centro minore [Torino]. (Pietrangelo Buttafuoco)
Sfogliatelle ricce, tipico dolce molto in uso a Napoli
  • Sono così afflitta, che preferisco l'entrata dei Francesi e che tolgano a quei miserabili fino all' ultima camicia, piuttosto che di vedere i nostri proprii sudditi bestie vili, poltroni, ma furfanti, condursi in tal guisa. (Maria Carolina d'Asburgo-Lorena)
  • Sono due città simili, Napoli come Istanbul si è lasciata il suo antico splendore alle spalle... ma mentre a Napoli c'è ancora traccia del passato, nei musei, nei palazzi, nelle strade, a Istanbul tutto è andato bruciato, distrutto... Eravamo troppo occupati a sopravvivere. (Orhan Pamuk)
  • Su dalla piazza aperta la massa del Maschio Angioino inquadra il panorama del porto e del Vesuvio lontano. Sullo sfondo celestino del monte s'alza lo stelo rosa del faro e fittiscono gli alberi dei velieri e dei piroscafi. Le pietre del selciato dure e ondulate ricordano quelle delle strade di Pompei. Ci si inoltra nei quartieri popolari dove le vie sono profonde tra caseggiati enormi e corrosi. Sembra di avanzare in una densa boscaglia, dove tra i rami cantino gli uccelli: sono i richiami dei venditori ambulanti. (Giovanni Comisso)
  • Sulla filosofia dell'umanità, sull'economia dei popoli noi abbiamo avuto opere eccellenti da quel paese, giacché la libertà del pensiero illumina e predilige il golfo di Napoli più che ogni altra parte d'Italia. (Johann Gottfried Herder)
  • Tra le molte false idee che a nostra vergogna furono sparse in Italia dalla straniera malignità e da noi accolte e tenute in conto di verità dimostrate, non è ultima quella che ci fa considerare il napoletano siccome imbelle e poco atto alla milizia. Molte cagioni hanno cospirato a darle ombra di verità. Primo, la mollezza del clima che suole eccitare negli animi un forte amore alla vita e un odio non meno tenace alle fatiche e ai perigli. Poi la sventura che per tanti secoli oppresse il paese di Napoli facile preda a tutti i conquistatori, sicché non respirò mai al pensiero dell'indipendenza ma perpetuamente passò di servaggio in servaggio, finalmente gli ultimi casi della duplice conquista francese, della infelice spedizione di Murat e della incruenta invasione austriaca nel 1821. (Giuseppe Campori)
  • Tu sguazzerai con quei caci cavallucci freschi, arrostiti non con lento fuoco, ma prestissimo, con sopravveste di zucchero e cinamono. Io mi struggo solo a pensarvi. Vedrai in Napoli la Loggia detta per sopranome de' Genovesi, piena di tutte quelle buone cose che per ungere la gola desiderar si possano. Mangerai in Napoli di susameli, mostacciuoli, raffioli, pesci, funghi, castagni di zucchero, schiacciate di màndole, pasta reale, conserve rosate, bianco mangiare. Sarannoti appresentati de' buoni caponi. (Ortensio Lando)
  • Tutta la mia attività registica la svolgerei sempre a Napoli, perché è una città che veramente mi dà degli impulsi umani, poetici, artistici, Napoli è la città più fotogenica, più umana, di tutte le città d'Italia e del mondo. (Vittorio De Sica)
  • Tutti coloro che hanno scritto la verità su Napoli sono stati messi al bando da una certa opinione che rifletteva gli interessi del potere. Prendi Raffaele Viviani [...] osteggiato o ignorato dalla critica, boicottato nella sua stessa città. E quando Curzio Malaparte pubblicò La pelle non si levò dalla Napoli bene [...] una fumata di sdegno ipocrita? [...]. Con me, che gli ero amico, lui si sfogava spesso. "Caro Eduardo – mi diceva – ormai sia a Napoli che a Capri sono un ospite indesiderato". "E per forza – gli rispondo io – se ti metti a dire la verità". (Eduardo De Filippo)
  • Un'assoluta estinzione di sentimento morale è lo spettacolo disgustoso di Napoli e della sua gente. Non si vedono uomini ma selvaggi... Al gusto depravato, al senso perverso di questo popolo piace il laido, il ripugnante... È il paese del piacere, niente più. Da Tiberio ai nostri giorni qui non si è fatto che godere. (Ernest Renan)
  • Un turista tedesco dell'Ottocento sosteneva che «nella città del sole, per vendere un pomodoro bisognava cantare una cavatina». C'è di più: il venditore deve essere un attore nato, come dimostra questo crescendo rossiniano impiegato per vendere cocomeri.
    – Comme so' russe sti mellune!
    (Un rosso così intenso da sembrare nero).
    – So' nire, nire, nire sti mellune!
    (Sono addirittura di fiamma).
    – Tenenno 'o ffuoco d' 'o Vesuvio 'a dinta, sti mellune!
    (Macché Vesuvio, questo è addirittura l'inferno!)
    'Nce sta 'o diavolo 'a dinta: vih, che ffuoco 'e ll'inferno!
    (Ed infine, è roba da chiamare i pompieri).
    – S'è appiccicato 'o ciuccio cu tutta 'a carretta oh, anema d' 'o ffuoco!! (Riccardo Morbelli)
  • Una città-madre dalla presenza ingombrante, che a ogni passo richiama bellezza o offesa. (Patrizia Rinaldi)
  • Una cultura cittadina ancora troppo prigioniera di un ottocento napoletano, oltre tutto spesso di seconda e terza mano, una città che in quest'ultimo secolo ha avuto rarissime occasioni di monumenti urbani o di collocazioni artistiche sul territorio. Queste circostanze hanno certamente determinato una scarsa sensibilità e un'altrettanta scarsa conoscenza collettiva dell'arte contemporanea. Ma se una città che vuole rinnovarsi e rilanciare se stessa, è giusto che sia sempre gelosa custode del suo passato e della sua storia, dalle cui radici deve trarre le sue azioni future, deve anche vivere il suo presente, deve produrre cultura attuale, deve, in altri termini, essere testimone e protagonista della sua contemporaneità.
    Ci è sembrata, quindi, un'occasione straordinaria poter adoperare luoghi di grande afflusso, come sono le stazioni della metropolitana, come luoghi in cui la città potesse confrontarsi con l'arte e dove il rapporto con l'arte potesse divenire un rapporto quotidiano, ordinario, normale.
    In altri termini, ci sembra fondamentale che la città nel suo complesso e i suoi cittadini non siano più fermi all'arte del passato, non siano più culturalmente frenati dalla cultura di Napoli come grande capitale borbonica, ma esprimano finalmente la cultura di Napoli come grande capitale del Mediterraneo e, quindi, vivano e abbiano confidenza con l'arte di oggi. (Riccardo Marone)
  • Una rocca antica, piena di contraddizioni e frustrazioni temperate da una tragica allegria. (Franz Krauspenhaar)
  • Una romantica rovina da ripensare continuamente. Una splendida festa di sole, di mare e di morte. Immagine, quella della mia città, che fugge via, si avviluppa, si trasforma, si strazia, s'imbelletta, provoca ed eccita incarnandosi in figurazioni anarchiche, aggressive, imprevedibili, irridenti. (Valerio Caprara)
  • Una sola città, in Italia, poté resistere, fino al tempo di Diocleziano, all'unità romana. Reggio e Taranto avevano già dimenticato il greco, quando Napoli lo parlava ancora. Mentre le città del litorale ionio erano entrate nell'oscurità in cui dovevano restare sommerse fino all'VIII° secolo dell'era cristiana, mentre Capua, ancora ricca e popolosa, declinava lentamente dal giorno in cui, rivale di Roma, era stata abbattuta per sempre, Napoli non aveva cessato di crescere sotto il dominio romano senza acquistare la sua prosperità a prezzo di una rinuncia a tutte le sue tradizioni elleniche. La città erede dell'antico splendore di Cuma conservò sotto l'Impero forme di gorverno che la stessa Grecia aveva perdute: i cittadini continuarono a ripartirsi entro fratrie ad imitazione di Atene; imperatori, come Tito e Adriano, si onorarono di portare il titolo di demarca di Napoli. Le stesse magistrature romane rivestirono nomi ellenici; il duumviro fu un arconte, e l'edile un agoranomo. Giochi di origine antica furono magnificamente restaurati in onore di Augusto e salutati dai poeti e dai retori delle scuole greche, che attirarono in Campania fino alla fine del IV° secolo, come gli ultimi giochi olimpici. È a Napoli che Nerone andò per ricevere al teatro la corona poetica perché contava di trovarvi una società affrancata dai pregiudizi romani e, per dirla tutta, con l'espressione stessa di Tacito, una città greca. (Émile Bertaux)
  • Una volta che arrivi a Napoli e impari a conoscerla, la accetti e la apprezzi per quello che è: fantastica, caotica, a volte anche folle. Può capitare che quella follia un giorno non vada bene per te e per la tua famiglia, ma non succede quasi mai perché è quella stessa follia che te la fa amare e ti rende felice. (José Manuel Reina)
  • Vedi Napoli e poi muori. Bene, non ritengo che si debba necessariamente morire dopo aver visto questa città, ma forse a tentare di viverci il risultato può essere diverso. Vedere Napoli come noi la vedemmo nella prima alba dal Vesuvio, significa vedere un quadro di straordinaria bellezza. A quella distanza le sue sudicie case sembravano bianche – e dal mare salivano file e file di terrazze, finestre e tetti, su su fino al massiccio castello di Sant'Elmo, che coronava quella grandiosa piramide bianca dando simmetria, enfasi, compiutezza al quadro. E quando la luce da lattea si fece rosea – e la città avvampò sotto il primo bacio del sole, il quadro divenne bello al di là d'ogni descrizione. Era proprio il caso di dire Vedi Napoli e poi muori. (Mark Twain)
  • [La Festa di Pedigrotta dell'8 settembre 1608] Vi accorre tutta Napoli. Vi vanno diecimila donne con gran fasto in infinite carrozze, e duemila cavalieri a cavallo e in carrozza, che solo a vedere tante gale, tanti volti divini, è una gloria; tanta nobiltà di principi e titolati che superano i trecento, e con tanti diversi colori di ricche livree e così numerose, che tutto il passeggio sembra un prato di gradevoli fiori. Vi va un'infinità di gente del popolo, e vi sono tra le donne mille volti stupendi, e sono adorne di mille gioie, ché non v'ha mai donna di ciabattino che non porti il giorno della festa e catene e collane d'oro e vesti molto ricche di seta. Si vedono poi mille belle cortigiane spagnuole e italiane, la cui grazia e il cui brio svegliano i sensi più assorti e mortificati. (Miguel de Castro)
  • – Vi sono forse città più piacevoli sul continente e capitali più allegre, disse Violetta, ma in una simile notte ed a quest'ora incantata, qual città può paragonarsi a Venezia?
    – La Provvidenza è stata meno parziale nella distribuzione de' suoi favori terrestri, che non credono quelli che mancano d'esperienza, disse il Carmelitano. Se noi abbiamo i nostri piaceri particolari e i nostri momenti di contemplazione divina, altre città hanno i lor vantaggi: Genova, Firenze, per esempio, Roma, Palermo e soprattutto Napoli...
    – Napoli, padre mio!
    – Sì, figlia!; di tutte le città della bellissima Italia, è la più bella e la più favorita dalla natura. Di tutti i paesi che ho visitati nella mia vita errante e consacrata alla penitenza, Napoli, è quello verso il quale la mano del Creatore è stata più generosa. (James Fenimore Cooper)
  • Via Toledo, presso al tramonto, è una zona di sogno, un canale di felicità trascinante gli ori del crepuscolo, il carminio del cielo caldamente appoggiato sulle bionde verdure del Vomero. L'eleganze, gli amori passano e s'incrociano fra uno scintillamento infiammato di cristallerie e di sorrisi, lungo i marciapiedi. Correre mollemente assisi in questo gurgito allegro di vita meridionale è una gioia di cui porterò con me l'amoroso ricordo. (Ardengo Soffici)
  • Voi appartenete a un popolo dalla lunga storia, attraversata da vicende complesse e drammatiche. La vita a Napoli non è mai stata facile, però non è mai stata triste! E questa la vostra grande risorsa: la gioia, l'allegria. (Papa Francesco)
  • A «istruirmi» sull'umanità fu anche l'antica astuzia partenopea, quella che viene detta «arte d'arrangiarsi», ovvero di sopravvivere a una miseria forse invincibile. C'erano per esempio i venditori d'oro falso, che si accostavano con sfacciata impudenza ai turisti appena sbarcati, o in procinto d'entrare da Zi' Teresa, per vendere qualche «patacca», c'erano i vecchi di San Gennaro dei Poveri che, a pagamento, da Piazza Carlo III andavano nelle case a piangere i morti, e potevano spingersi per la bisogna (a tripla paga o almeno doppia: 150 lire) fino a Vietri e a Sorrento; a ogni angolo c'erano gli acquaioli, che t'offrivano boccali d'acqua ghiacciata, assieme ai venditori improvvisati di pasta, vermicelli fumanti e appena scodellati, con su uno spruzzo di pomodori e pepe; e c'erano le prostitute, giovani e vecchie, che vendevano se stesse col medesimo sguardo, ora sfrontato ora implorante. Nei libri, e nei piccoli fatti d'ogni giorno, trovavo una continua, reciproca conferma.
  • Napoli, del resto, rimase sostanzialmente impermeabile al fascismo. Lo furono gli stessi notabili che pure nel '22, alla vigilia della marcia su Roma, s'erano spellate le mani ad applaudire Mussolini al teatro san Carlo. Altrettanto estraneo agli slogan mussoliniani fu il popolo, per atavico irridente scetticismo (un difetto, a volte, può trasformarsi in virtù).
  • Quando sessant'anni fa m'aggiravo per Napoli, e fiutavo l'aria salmastra tra le grida dei venditori di pesce, non m'imbattevo di certo nello Spirito Assoluto, che avanza nella Storia attraverso la sua dialettica fatta di tesi, antitesi, sintesi. M'aggrediva, dolorosa e dolcissima, soltanto la molteplice realtà. Vedevo i volti dei partenopei, le loro espressioni irridenti, con una saggezza antica e popolaresca, tutt'una con la miseria insieme aulica e familiare della «Napoli nobilissima», tra la barocca solennità dei monumenti e lo squallore dei bassi. Mi dicevo che la Ratio hegeliana era ben remota da tutto questo, dalla bellezza delle donne, dagli sguardi abbaglianti degli occhi morati dietro le lunghe ciglia delle ragazze giù a Toledo e a Chiaia, nell'allegria chiassosa che ti veniva incontro ovunque, anche nella povertà, anche nei laceri panni multicolori fatti asciugare nei vicoli alla brezza notturna, sotto la luna. Era forse l'Assoluto a essere il soggetto del mondo reale, della storia, o non piuttosto la molteplicità degli individui, con i loro autentici bisogni?
  • La vita nelle strade – e quale gioioso caos di vie, vichi, vicoletti, salite, rampe, calate, gradoni, con ogni tanto una rua, come eco della dinastia angioina! – è febbrile, avventurosa, tragica, gaia. Non ha nulla né dell'alveare, né del formicaio, e il cielo voglia che non l'abbia mai. L'umanità vi predomina.
    A coloro che si sono annnoiati della quotidiana abitudine, della nebbia, del fumo, dei freddi climi piovosi, della «fatigue du Nord», Napoli esprime il suo invito affinché partecipino alla tarantella dei viventi sin che ne hanno tempo. Perché se, come ha detto Shakespeare, «il mondo intero è un palcoscenico e gli uomini e le donne tutti sono attori», uomini e donne di questo particolare palcoscenico recitano le loro parti con un entusiasmo che è un inno alla vita, entrando e uscendo dalla scena con la stessa forza drammatica. A Napoli non esiste il pericolo della grigia monotonia.
  • Materialmente questa città contribuì alla ricchezza dell'Italia Unita più di qualunque altro Stato; dati e cifre sono stati pubblicati da Francesco Nitti in Nord e Sud (1900) come pure in altri scritti che nessuno ha mai confutato. Nella Scienza delle Finanze, Nitti dà il seguente computo della ricchezza dei diversi Stati al momento dell'unificazione: Regno delle Due Sicilie: milioni di lire oro 443,2; Lombardia: 8,1; Ducato di Modena: 0,4; Romagna, Marche e Umbria: 55,3; Parma e Piacenza: 1,2; Roma: 35,3; Piemonte, Liguria e Sardegna: 27; Toscana: 84,2; Veneto: 12,7. Così, dunque, contro i 443 milioni in oro corrisposti all'atto delle nozze dal Regno delle Due Sicilie, il resto d'Italia – oltre due terzi della Penisola – non portò in dote neppure metà di quella somma. A dispetto di ogni contrastante asserzione, le finanze di Napoli, nel complesso, non erano male amministrate.
  • Napoli è un palinsesto architettonico prodigo di nascoste sorprese. Mentre una réclame turistica ci può dare l'aspetto esteriore, la realtà rimane nascosta come una giungla ricca e misteriosa. Come sarebbe facile perdersi in quei meandri! Quanto vi sarebbe da esplorare!
    Nessun'altra città in Europa è stata governata da una così varia successione di dinastie straniere, e ciascuna di esse ha lasciato qualche traccia; eppure sotto alla congestione e al caos del suo sviluppo rimangono nascosti tesori meravigliosi.
  • Troppi mettono in evidenza la vivacità dell'espressione napoletana, esagerandone le comiche smorfie e il gran gesticolare, senza fare attenzione alla meditabonda malinconia rivelata dai lineamenti in riposo. E la spossatezza non nasce soltanto dalle lunghe estati torride; è anche, leggermente esemplificata, quella di «Madonna Lisa» del Pater: il risultato di sogni e passioni, fantastiche e squisite forse, ma senza dubbio più pagane che cristiane, sebbene siano sature di quel senso delle lacrime che è insito nelle cose mortali. Essa è più vecchia delle rocce vulcaniche fra le quali quella gente vive.
  • Brutta cosa – disse – figlio mio, nascere napoletani!
    – E perché papà?
    – Perché siamo vecchi, figlio. Le grandi cose, le grandi virtù, gli ideali si son logorati fra le mani in tanti secoli e han perduto quel lustro, quel brillìo, quella certezza che attrae e fa muovere la gente giovane. Non c'è più una virtù vergine, qui da noi; e agli uomini noi non crediamo più. A nessuno. Ma li perdoniamo di essere uomini, purché ci lascino ridere di loro. Non c'è rimasta che la fede in Dio, perché Dio è troppo alto lassù, non corruttibile. E anche questa i liberali ci vogliono togliere... maledetti fessi! Come potrà vivere questo popolo se non gli rimane una sola certezza?
  • Fino a un certo punto li capisco; i piemontesi, dico. S'erano ridotti all'osso, al filo, alla fame, con la loro guerra del '59. E che, Napoleone fosse venuto gratis? Nizza, Savoia e rimborso spese, che sono bei quattrini. A ognuno la sua parte. E quelli hanno pensato di rimettersi in forza con l'oro napoletano. Napoli è ricca, cioè era ricca. Ma hanno scialato, hanno dato a cani e porci, hanno fatto, mò nce vò il puttanizio. E chi ha avuto ha avuto. Mi sapete dire dove è finito l'oro del Banco di Napoli, quattrocento milioni di ducatoni, belli belli? Spese di guerra. Però, essendoché la guerra è finita e l'hanno fatta tutta a spese nostre, sti soldi dove si sono nascosti? A Torino? Ma quelli so' più pezzenti, più disperati 'n canna di prima, che hanno perfino alzate le tasse e ci hanno regalato questa bella imposta di guerra, nuova nuova... Rivoletti, rivoletti, fiumicelli, fiumicelli... troppe bocche da tacitare, troppe coscienze da rappezzare... E così la finanza napoletana che era citata tra le più prospere d'Europa, s'è andata a fà fottere... Per questo Re Francesco ha perduto la guerra; proibito spendere... Non ci stanno cannoni di nuovo modello? I fucili sono ferracci? Gli ufficiali per mangiare e mantenere la famiglia devono fare i camorristi? Tutto, purché le casse dello stato siano piene. Un tornese, ch'è un tornese, non ne doveva uscire. Eppoi arriva Garibaldi e ti fotte tutt'e cose, perché non c'è un fucile, un cannone, un ufficiale integro... E questo ve lo dice un liberale, liberale vero; appunto perché è un liberale; democratico, che se ne fotte dei Re, e dei Savoia soprattutto.
  • Questo popolo va in isfacelo per eccesso d'intelligenza (pare impossibile, ma è così). Tu gli dici patria, e lui vede il gendarme borioso, il magistrato venale, il funzionario traffichino, il generale traditore o vile e il Re beffato e truffato. Tutte facce dello stesso Pulcinella, tutta gente come lui, della sua pasta, che rispettare non può, ma a cui finge d'obbedire, per evitare guai. E alle idee astratte non ci crede: a una patria, che non sia fatta d'uomini, non ci può nemmeno pensare. Indovina quello che c'è dentro le uniformi, sotto le feluche: materia corruttibile che si farà concime. Lui crede in Dio e basta.
    E lo Stato agli occhi suoi così si manifesta: un gran rubare, un gran mangiare, un immenso imbroglio, un traffico gigantesco di vergogne che va dal Garigliano alla Punta del Faro. E il napoletano non se ne meraviglia neppure, perché lui conosce che questo è il legittimo frutto degli uomini.
    E tu vuoi che per un affare così sballato, per questa legale camorra, lui si faccia ammazzare? Questo possono farlo gli altri popoli che non vedono, che non sanno, che ci credono; non noi Napoletani.
  • L'elemento fondamentale è l'estraneità di vasti strati della popolazione dalle istituzioni della republica italiana, con tutte le conseguenze che ne derivano: la sopravvivenza del sistema paternalistico clientelare, l'ambigua accettazione dei valori sociali dominanti, la rottura causata dall'emigrazione e dalle trasformazioni economico-sociali.
  • Il napoletano è convinto di vivere in un mondo ostile, sul quale non è in grado di esercitare alcun controllo... I rapporti tra gli uomini sono regolati da una concezione fatalistica, nella quale l'Autorità svolge lo stesso ruolo che ha il «destino» nel mondo naturale.
  • In passato, se chi comandava faceva il suo dovere, il popolo lo sosteneva; quando non lo faceva più, il popolo scatenava una piccola rivolta... Il gran numero di dimostrazioni di piazza e di jacqueries che costellano le pagine della storia del napoletano è la prova di quanto sia radicata negli abitanti la fiducia in questo tradizionale meccanismo.
  • Avevo visto Valencia e Barcellona, avevo visto Genova, Milano, Venezia, Firenze e anche Roma; tuttavia non sapevo cosa fosse una grande Città fino a quando non sono giunto a Napoli. Altre la superano per la bellezza degli edifici e il gusto degli ornamenti, ma quella folla immensa, quello strepito di persone; quello splendore e frastuono di carrozze, quell'abbondanza di cose, quell'allegro tumulto e quella pacifica confusione destano scompiglio nell'animo di chi la vede per la prima volta. [...] Una splendida corte, una milizia brillante, un'innumerevole e ricca nobiltà, un altrettanto numeroso e ricco foro, un popolo chiassoso, una folla infinita fanno di Napoli una grande città come solo se ne possono vedere in Inghilterra e in Francia, ma non certo in altre nazioni europee.
  • In tutte le chiese si vedono lapidi sepolcrali di spagnoli, e molte in castigliano, e qualcuna in catalano. La grande strada di Toledo, e quasi tutti gli edifici e monumenti pubblici, portano il nome di qualche spagnolo, e tutto è pieno di memorie di spagnoli, ma soprattutto ad ogni passo si avverte la presenza del nostro augusto monarca Carlo III. La Strada Nuova, l'Albergo dei Poveri, Capo di Monte, Portici, Caserta, tutta Napoli e i suoi dintorni testimoniano l'animo generoso di Carlo III, e il Re Cattolico è un nome che si sente ripetere ad ogni occasione dai napoletani, e con un particolare sentimento di tenerezza e gratitudine.
  • Napoli ripolita fin dal XIII secolo per opera di Federigo II, Napoli gloriavasi nel re Roberto del più letterato principe d'Europa, il quale la biblioteca da se raccolta fidò a Paolo perugino, e questi seppe di molti codici arricchirla greci e latini. Nel XV secolo sotto Alfonso nobile teatro divenne, dove molti spiccarono e gravissimi letterati. Nacque allora la famosa accademia eretta per Antonio panormita, ma da Gioviano Pontano, da cui nome ne trasse, amplificata: in essa uomini d'anco rimote nazioni ogni maniera d'erudizione trattavano.
  • Avvicinandoci alla città il cielo s'oscura e l'aria si fa soffocante. Le fiammate delle raffinerie tingono di rosso e di giallo il polverone dei cementifici, a nuvoloni foschi: ma lo si è sempre saputo fin da Virgilio che questi paraggi sono le porte dell'inferno, la sede dell'orrore.
  • E poi, insomma, una città fra le più vecchie d'Europa, e dalla Magna Grecia in poi sono i suoi stessi governi a ripeterle che non è ancora matura per... E lei, lì, ad aspettare che vengano Elargite Provvidenze, senza muovere un dito... Tanto vero che mentre gli altri ricostruiscono Amburgo o Hiroshima qui non hanno ancora incominciato a portar via le immondizie del Dugento dalle strade... [...] Solita colpa dei Borboni che avrebbero borbonizzato la città? Mah, dev'essere lei che ha napoletanizzato loro.
  • Io poi a Napoli vorrei starci sempre il meno possibile. Mai combinato niente e sempre litigato con tutti. Una depressione, sempre. Veramente è una città che non mi dice niente, perciò trovo inutile venirci. Non so cosa farmene del sole mediterraneo e dell'eredità classica e dell'architettura normanna e delle semplici gioie della vita contadina e della pizza alla pescatora. Commedia dell'arte, per me no, grazie.
  • Altri e più terribili dolori sarebbero intervenuti nella vita della città, diventata uno dei centri strategici della seconda guerra mondiale, nel Mediterraneo. Prove eroiche misero a nudo lo spirito stoico della popolazione, la sua illimitata capacità di sopravvivere, la sua quasi magica facoltà di «ridurre» stranieri e invasori al proprio modulo umano, e dominarne così eccessi e barbarie.
  • Chi ha detto Napoli città «savia», non la conosce: non sa quanto, a Napoli, il filisteo professorale, l'uomo di pomposa serietà che non sbaglia mai, che non sappia ridere o sorridere, rischi di passar da scemo, da «fesso», da persona non pertinente alla città.
    A Napoli sta di casa una certa illustre e armoniosa follia di origini bacchiche e filosofiche, proveniente dal remoto passato, qualche cosa come i misteriosi raggi cosmici usciti dalle insondabili profondità del caotico universo. La follia trema con la sua luce di diamante, in fondo all'animo queto e ragionevole dei napoletani.
  • È la sola città del mondo ove sia possibile scorgere qualche probabilità di sfuggire al destino comune dell'Europa d'oggi. Che ci appare assai simile a quello del decadente Seicento, alla ricerca d'un'anima che ne sorregga l'affastellata apparenza barocca.
    In questa ricerca, l'Italia e l'Europa si affacciano al davanzale di eri. Cercano uno stile, una poesia. Tentano di rifarsi al neorealismo, ch'è poi il semplice e nudo realismo del secolo scorso.
    Dove si pensa a quest'angoscia, è a Napoli. Napoli è ricca d'una incredibile ricchezza. Essa non ha bisogno di «darsi» uno stile. Non deve cercare una cifra, una chiave, un modulo per essere «se stessa». Non ha perduto, insomma, il contatto con il passato. Essa è sempre affacciata alla finestra che guarda sul giardino (un poco appassito) delle memorie e su quello fragrante e fresco dell'attualità. Perciò tutti invidiano Napoli.
  • [L'ultimo incontro con Gino Doria, alla Certosa di San Martino] E noi, «ncielo[15]» stavamo, chini sulla ringhiera barocca del celebre balcone su Napoli, lì sull'angolo dominato dalla cupa mole del Forte. Si guardava la città ai nostri piedi; compatta e ammonticchiata come sempre appare Napoli a chi la vede da una prospettiva aerea. Un grattacielo tagliava l'aria, dominando il mare confuso delle case, solcato dai neri decumani dei quartieri greco-romani.
    Freddo e remoto il Vesuvio spento, albuginoso e come spento anch'esso, il mare; la collina di Posillipo ricoperta di eczemi. Dal caos brulicante veniva un vago rombo, un respiro di lontanissima risacca. Stavamo zitti, Doria ed io, a guardare come superstiti di una conflagrazione di mondi, reduci spaesati di evi caotici e rotolanti. Di tanto in tanto, don Gino puliva e s'aggiustava il monocolo, per vedere qualcosa nello spessore dell'aria. Qualcosa che nemmeno a me riusciva di scorgere.
  • Ferdinando IV non vende più i suoi pesci e le sue quaglie a questa plebe, ma, in cambio di voti, i partiti politici le vendono feste televisive e adulazioni sociali.
  • Il concetto di nobiltà, a Napoli, è profondamente unitario e totale: pochi, anche tra i più forti napoletanisti, conoscono, per esempio, un'espressione del dialetto per indicare «tutti, nessuno escluso», questa espressione rara è nòbbele e snòbbele[16](cioè nobili e non nobili), quanto dire l'intero popolo. Per questo diverso e più sottile coincidere degli intendimenti sociali e unitari della paroletta «nobilissima», Napoli lo è. [...] La loro prima nobiltà è diplomata dall'intelligenza, dall'acume, dallo spirito e dalla cultura. Un principe fesso non vale uno scugnizzo intelligente.
  • Il napoletano adopera la sua superstizione come un elemento aggiuntivo e razionale del suo giudizio. Come, cioè, una variabile indipendente il cui comportamento gli sfugge, ma la cui influenza gli è nota. Ciò è dimostrato dalla natura stessa della cabala e delle pratiche magico-aritmetiche in uso per la previsione dei numeri del lotto. La Smorfia, libro dei sogni, introduce l'elemento fantastico nel rigore matematico delle scadenze, delle figure, degli estratti su cui si intrecciano i movimenti e l'intera meccanica delle giocate.
  • In ogni napoletano si può scorgere il riflesso dell'ironia, del sarcasmo, del gusto, dolorosamente umano, della deformazione bruegheliana[17], comica e tragica di Eduardo de Filippo: la facoltà di tradurre in paradosso e poesia, la contingenza storica: nel prodigio di un detto, di una forzatura comica, d'una constatazione centrata nell'ironica e contraddetta natura delle cose.
    Durante la sfilata a Napoli delle squadre di camicie nere, nell'ottobre del 1922, uno scugnizzo chiese ad alta voce, dinanzi a tante braccia protese nel saluto romano: «Ma ched'e', chiove?» (Ma cos'è, vedono se piove?). Quello scugnizzo non sapeva di fissare un tratto di storia. (Eccetera, eccetera.)
  • In questo discorrere, il lento e grigio giorno di Tokio declinava; fedelmente accompagnato dalla pioggia sottile. Ero un poco scontento. Perché a me, allora, Shimoi interessava assai più come «giapponese» che come «napoletano» mentre a lui, quel fatto di possedere ogni segreto dell'anima e della misteriosa essenza d'arte del suo paese, non diceva quasi niente. Un fatto spiegabilissimo, del resto, che dice quanto Napoli avesse mutato o, come gli dissi scherzosamente, «corrotto» un nipponico così puro.
    Allora Shimoi mi raccontò quest'aneddoto. Nel 1949 ricevette un invito a recarsi al palazzo imperiale. Mc Arthur aveva stabilito che l'Imperatore diventasse un monarca borghese e Hirohito, prima di obbedire al generale americano ordinò di celebrare, per l'ultima volta, la «cerimonia del », convocando tutti i familiari, cioè tutti i principi del Giappone. A Shimoi fece dire dal suo maestro di cerimonie: «Venga ad allietarci con le sue storie di Napoli, in quest'ora triste». Nessun napoletano avrebbe immaginato il nome della sua città capace di consolare, anche per poco, la tragedia di un imperatore vinto.
  • La natura filosofica dei napoletani non è discriminabile nelle manifestazioni della vita comune; anzi è tutt'una con essa; in questo si rintraccia il segno più vero della nostra sostanza ellenica.
    È un tratto del nostro pudore, della nostra ironia di fronte alle certezze troppo solenni e auguste della scienza, della storia, della morale: un'eleganza dello spirito che rifiuta a se stesso l'orgoglio di ritenersi capace di costruzioni eterne e perfette, di raggiungimenti immuni da incoerenze e contraddizioni. È, a pensarci bene, un senso di squisita umiltà.
  • Napoli pesa poco nel bagaglio di chi viaggia per il mondo, poiché appartiene al mondo delle idee. Si può incontrare, come una categoria universale, in ogni angolo, il più strano della terra.
  • [Il] nostro popolo, che è filosofo più d'ogni altro. Libero e sboccato sovente – e questo attrasse molti di coloro che scrissero prima che io giungessi – profondo ironico saggio, sempre, e questo attrae me, per tendenza ed anche per elezione del mio spirito. (Rocco Galdieri)
  • Per chissà quali remoti legamenti con il pensiero eleatico (Elea, del resto, si trova a due passi da Napoli) i napoletani posseggono un naturale, istintivo senso della relatività. Il velo di ironia che si scopre, come la polvere del caffè in fondo alla tazza, alla fine di ogni conversazione, per quanto seria voglia essere, con un napoletano, viene da questa natura relativistica.
  • Un pomeriggio del settembre '54 con Amedeo Majuri e Augusto Cesareo andammo a rivedere Piazza del Mercato e quel che la guerra ne ha lasciato. Spettacolo triste. Il guasto e la polvere avvolgevano ugualmente l'arco di Sant'Eligio e la facciata gotica di San Giovanni a mare. E, di fronte, il piedistallo di «Marianna 'a capa 'e Napule» era vuoto. Vi appoggiava le spalle una bellissima venditrice di pannocchie bollite, una «spicaiola». «Signò», ci disse, «l'hanno luvata stammatina. Dice ch'a mettono dinto 'o Municipio. Mo ce stongh'io...[18]» La Cibele era stata tolta, per trovar posto nel Cortile del palazzo del Municipio e lei, la bellissima, diceva: «La sostituisco io». Tanto è stretta la parentela tra i napoletani e gli dèi.
  • [A Shiraz, in un tempio zoroastriano] Vi fummo introdotti e un tale, ch'era l'officiante parsi, accese un fiammifero. Subito dal suolo, traverso una bocchetta di ferro, sprizzò una fiamma chiara e fumosa. Era petrolio nativo, come, in quel paese, se ne incontra dappertutto. «Ecco», ci disse l'uomo, «ecco: guarda la luce dello Spirito.» «Ma», obiettammo, «l'hai accesa tu, adesso, con un fiammifero...» «Non importa. La fiamma era lì, anche quando non appariva. Era lì. Ma tu non la vedevi.» Forse quell'imbroglione di prete parsi aveva ragione. Anche a Napoli, la «fiamma» è lì: spesso non la vediamo. Spesso la cogliamo per strada, camminando. La troviamo nella bocca di una popolana o nella rassegnata ironia di un tranviere.
  • In Via dei Tribunali, attorno a Porta Capuana, guardavamo le piramidi di cocomeri e di melloni, i mucchi di pomidori, di melanzane, di limoni, di fichi, di uva, i pesci lucenti, e quelle specie di altarini rococò, così graziosi, che i venditori di frutti di mare fabbricano con muscoli e alghe: ignoravamo che il cibo si espone con tanta violenza solo quando la gente crepa di fame.
  • La vita degli uomini si esibisce nella sua nudità organica, nel suo calore viscerale: sotto questo aspetto, Napoli ci stordì, ci nauseò, ci stregò.
  • Misconoscendo la profondità di quella miseria, poterono piacerci certi suoi effetti; ci piaceva ch'essa sopprimesse tutte le barriere che isolano gli uomini e li diminuiscono: tutto quel popolo abitava il calore di un solo ventre; le parole «dentro», «fuori», avevano perduto il loro significato. Gli antri oscuri in cui rilucevano debolmente delle icone appartenevano alla strada, nel gran letto matrimoniale dormivano dei malati; dei morti riposavano allo scoperto. E l'intimità delle case si espandeva sulla strada. Sarti, calzolai, fabbri, fabbricanti di fiori artificiali; gli artigiani lavoravano sulla soglia della loro bottega; le donne si sedevano davanti alla porta di casa per spidocchiare i loro bambini, rammendare la biancheria, pulire il pesce, sorvegliando i bacili pieni di pomodori schiacciati che esponevano all'azzurro lontano del cielo. Da un capo all'altro della via correvano sorrisi, sguardi, voci, amicizia. Questa gentilezza ci conquistò.
  • Ogni tanto andavamo a prendere un caffè sotto la Galleria, mangiavamo i lucidi pasticcini della grande pasticceria Caflish oppure un gelato in Piazza del Municipio, sulla terrazza del Caffè Gambrinus. Sfuggendo le asprezze della vita napoletana ne scoprivamo le dolcezze. Peraltro, dappertutto, in qualsiasi momento, il vento ci portava la polvere desolata dei docks, odori umidi e ambigui. Quando salivamo a Posillipo, il candore menzognero di Napoli, in lontananza, non ci ingannava.
  • Di Napoli non amo i musei, le chiese, i monumenti, e neppure il mare. Di Napoli amo la turbolenza delle pietre, la follia che plana sui tetti come una nuvola, i panni stesi ad asciugare sulla corda tesa fra due balconi, una donna anziana vestita di nero che conservava ancora negli occhi l'ironia, l'eccesso, l'eccesso di rumore, l'eccesso di mistero, l'eccesso di evidenza e di violenza, la vernice rossa versata sui muri per far credere che si tratti di sangue, credere al sangue di san Gennaro che si liquefa e a quello di san Giovanni Battista che ribolle, di Napoli amo l'odore di nafta mischiata alla polvere soffocante, il sudore dei volti che imprecano contro l'ordinario disordine, una lavanderia aperta per vendere i biglietti della lotteria, la strada che si restringe per evitare una chiesa, una madonna che piange lacrime di sangue, il miracolo che cammina sopra una montagna di leccornie, la glassa che si aggiunge per bellezza, lo scooter che solca i viali zigzagando, il televisore acceso giorno e notte, il sorriso di una bella donna che aspetta il proprio uomo, una pattuglia di poliziotti che fa finta di riportare l'ordine, la manifestazione dei teppisti, il museo nazionale che dà le spalle alle urla della città vecchia, un parcheggio che deturpa ulteriormente Piazza Dante, un ristorante a menù fisso, la funicolare che si prende per un treno magico, una coppia appena sposata che esce di corsa dalla chiesa e va a farsi fotografare sul molo, una strada che non porta da nessuna parte, un'altra che finisce in un fosso, la notte che avvolge i muri di uno schermo pieno di stelle.
  • Napoli è una città che ha la struttura di un romanzo. Le strade sono piene di storie che chiedono di essere trascritte. Ma quello di Napoli può essere solo un romanzo barocco e surrealista, ma incompiuto, irrisolto, contraddittorio, dove convivono l'apoteosi della religione cattolica e della bestemmia.
  • Non conosco bene le notti di Napoli. Le intuisco. So che il sonno è lento e i sogni fecondi, conosco la superficie delle cose che si assentano per fare di Napoli un ricordo ostinato, un'immagine all'ombra della vita insolente, dare un gusto amaro alla bocca dai denti anneriti dal tabacco, denti rotti, denti cariati, un'immagine di ruggine e splendore, luci al neon e squarci di cielo. Napoli, viscere d'Italia, ventre insolito del mondo, innalza lentamente i suoi vicoli fino al cielo passando per le periferie del sogno.
  • Il linguaggio mimico è più spiccato che in qualsiasi altra parte d'Italia. Una conversazione tra napoletani risulta impenetrabile per qualsiasi forestiero. Le orecchie, il naso, gli occhi, il petto e le ascelle sono posti di segnalazione azionati attraverso le dita. Tale suddivisione ritorna nel loro erotismo schizzinosamente specializzato. Gesti servizievoli e tocchi impazienti appaiono allo straniero in una regolarità che esclude il caso. Sì, qui egli sarebbe perduto, e invece, bonario, il napoletano lo manda via. Lo manda qualche chilometro in là a Mori. «Vedere Napoli e poi Mori», dice secondo un vecchio motto. «Vedere Napoli e poi muori», ripete il tedesco.
  • L'architettura è porosa quanto questa pietra. Costruzione e azione si compenetrano in cortili, arcate e scale. Ovunque viene mantenuto dello spazio idoneo a diventare teatro di nuove impreviste circostanze. Si evita ciò che è definitivo, formato. Nessuna situazione appare come essa è, pensata per sempre, nessuna forma dichiara il suo «così e non diversamente». È così che qui si sviluppa l'architettura come sintesi della ritmica comunitaria: civilizzata, privata, ordinata solo nei grandi alberghi e nei magazzini delle banchine – anarchica, intrecciata, rustica nel centro.
  • Le descrizioni fantastiche di numerosi viaggiatori hanno colorato la città. In realtà essa è grigia: di un rosso grigio o ocra, di un bianco grigio. E assolutamente grigia in confronto al cielo e al mare. Il che contribuisce non poco a togliere piacere al visitatore. Poiché per chi non coglie le forme, qui c'è poco da vedere. La città ha un aspetto roccioso. Vista dall'alto, da Castel San Martino, dove non giungono le grida, al crepuscolo essa giace morta, tutt'uno con la pietra.
  • Il tempo stringendo non le parlerò di Sicilia ove le cose procedono bene e mi restringerò al doloroso argomento di Napoli.
    Divido pienamente il suo modo di vedere. Il nostro buon Farini ha preso una via falsa, ma può riparare l'errore, se alla caduta di Gaeta adotta un altro sistema. Bisogna parlargli schietto, è uomo generoso che non ha altro pensiero che il trionfo della causa cui ha dedicato la sua vita. Farini deve proclamare l'idea unificatrice ed attuarla, qualunque sieno gli ostacoli che gli si parano innanzi. La menoma esitazione in proposito sarebbe fatale: glielo ripeta su tutti i tuoni e con tutte le forme. Dato poi che Farini non reggesse o per difetto di forze fisiche o per qualunque altro motivo, che cosa fare?
    Ci ho studiato bene , e non ho trovato che due soluzioni. Mandare Rattazzi e La Marmora a governare Napoli oppure andarci io.
    La prima sarebbe preferibile sotto ogni rispetto. Ma Rattazzi e La Marmora accetteranno? Solo il Re potrebbe decidere il primo, ed il primo trarre seco il secondo.
    So che Rattazzi riuscendo a Napoli, gli spetterà il primo posto nel ministero: ma ciò poco monta. Trionfi pure Rattazzi purché si salvi il paese. Se egli evita una crisi a Napoli, gli daremo l'intiero nostro appoggio come cittadini e come deputati.
    La seconda ipotesi può avere conseguenze fatali pel paese e per me. Egli è evidente che ho tutto a perdere e nulla a guadagnare.
    Corro pericolo di vedere distrutta la riputazione che 13 anni di lotte continue mi valsero, senza possibilità di accrescerla. Ma ciò poco monta. L'uomo di Stato che non è disposto a sacrificare il suo nome al suo paese, non è degno di governare i suoi simili.
  • Io riassumo in due parole il concetto politico e militare che bisogna attuare.
    Ristabilire l'ordine a Napoli prima, domare il Re (Borbone) dopo. Guai se si invertisse il modo di procedere. Quindi occupazione immediata di Napoli... Occupate senza indugio gli Abruzzi. Fate entrare il Re in una città qualunque, e là chiami Garibaldi a sé. Lo magnetizzi... La spedizione di Cialdini a Napoli compie l'opera: Cialdini fa da dittatore militare sino all'arrivo del Re nella capitale...
    ...Ecco il solo programma d'esito sicuro.
    Bisogna evitare che l'assedio di Gaeta preceda l'entrata di Vittorio Emanuele in Napoli.
  • L'Italia del Settentrione è fatta, non vi sono più né Lombardi, né Piemontesi, né Toscani, né Romagnoli, noi siamo tutti italiani; ma vi sono ancora i Napoletani. Oh! vi è molta corruzione nel loro paese. Non è colpa loro, povera gente: sono stati così mal governati! E quel briccone di Ferdinando! No, no, un governo così corruttore non può essere più restaurato: la Provvidenza non lo permetterà. Bisogna moralizzare il paese, educar l'infanzia e la gioventù, crear sale d'asilo, collegi militari: ma non si pensi di cambiare i Napoletani ingiuriandoli. Essi mi domandano impieghi, croci, promozioni. Bisogna che lavorino, che siano onesti, ed io darò loro croci, promozioni, decorazioni; ma soprattutto non lasciar passargliene una: l'impiegato non deve nemmeno esser sospettato. Niente stato d'assedio, nessun mezzo da governo assoluto. Tutti son capaci di governare con lo stato d'assedio. Io li governerò con la libertà, e mostrerò ciò che possono fare di quel bel paese dieci anni di libertà. In venti anni saranno le provincie più ricche d'Italia. No, niente stato d'assedio: ve lo raccomando.
  • Se la costituzione dell'Italia è posta a repentaglio perché non ho voluto ammettere ora, in via eccezionale, nella marina un giovane che dava la sua dimissione, e se ne stava a casa quando i suoi compagni si battevano, bisogna dire ch'essa è talmente dilicata da non potere durare tre mesi.
    Sapete perché Napoli è caduta sì basso? Si è perché le leggi, i regolamenti non si eseguivano quando si trattava di un gran signore o di un protetto del Re, dei Principi, dei loro confessori od aderenti. Sapete come Napoli risorgerà? coll'applicare le leggi severamente, duramente, ma giustamente. Così ho fatto nella marina; così farò nell'avvenire, e vi fo sicura che fra un anno gli equipaggi napoletani saranno disciplinati come gli antichi equipaggi genovesi. Ma per ottenere questo scopo, credete alla mia vecchia esperienza, bisogna essere inesorabile.
  • E a Napoli non si sa mai se sia una recita o se si faccia sul serio.
  • È possibile a Napoli pranzare in un educato silenzio, magari prendendo appunti di quel che ti dice un tuo commensale? No, non è possibile, perché "pur isso adda campa'". Isso è uno con la chitarra che si avvicina al tuo tavolo, sorridendo fra i sorrisi affettuosi dei camerieri suoi amici.
  • Napoli adagiata sul golfo è stupenda, ci si chiede se anche questa bellezza non faccia parte della maledizione della città, non faccia parte del prezzo spaventoso che paga per esistere.
  • Per secoli Napoli, capitale del regno, è stata una metropoli che lo stato borbonico riusciva a governare solo grazie alla camorra.
  • Lieta, pacifica, abbondevole, magnifica, e sotto ad un solo re.
  • La nostra città, oltre a tutte l'altre italiche di lietissime feste abbondevole, non solamente rallegra li suoi cittadini o con nozze o con bagni o con li marini liti, ma, copiosa di molti giuochi, sovente ora con uno ora con un altro letifca la sua gente. Ma tra l'altre cose nelle quali essa appare splendidissima, è nel sovente armeggiare.
  • Né credo che piú nobile o ricca cosa fosse a riguardare le nuore di Priamo con l'altre frigie donne, qualora piú ornate davanti al suocero loro a festeggiare s'adunavano, che sono in piú luoghi della nostra città le nostre cittadine a vedere; le quali poi che alli teatri in grandissima quantitá ragunate si veggono, ciascuna quanto il suo potere si stende dimostrandosi bella, non dubito che qualunque forestiere intendente sopravvenisse, considerate le contenenze altiere, li costumi notabili, gli ornamenti piuttosto reali che convenevoli ad altre donne, non giudicasse noi non donne moderne, ma di quelle antiche magnifiche essere al mondo tornate: quella per alterezza, dicendo, Semiramis somigliare; quell'altra, agli ornamenti guardando, Cleopatras si crederebbe; l'altra, considerata la sua vaghezza, sarebbe creduta Elena; e alcuna, gli atti suoi bene mirando, in niente si direbbe dissimigliare a Didone.
    Perché andrò io somigliandole tutte? Ciascuna per se medesima pare una cosa piena di divina maestà, non che d'umana.
  • [I napoletani] Cavano l'arte dal sole.
  • [Il popolo napoletano] Rapido, immaginoso, facile ad infiammarsi e pur sottilissimo e studiatore.
  • Que' napoletani hanno la benedizione di unire in sé l'impeto e la pazienza: sono pieghevoli e tenaci. Piglieranno tutta in mano la politica e l'arte d'Italia, se gli altri italiani non s'affannano a emularli.
  • A Napoli il successo dura un'ora, l'insuccesso un anno – quando non ti accompagna tutta la vita.
  • Napoli tutto tollera e perdona fuor che l'ingegno.
  • Conosco ed amo tutti i vicoli della vecchia Napoli. È giusto che il piccone li squarci, ma è anche umano che il mio cuore senta i rumori del piccone.
  • Tutto è azzurro a Napoli. Anche la malinconia è azzurra.
  • L'Italia deve salvare Napoli, riportarla al suo rango di capitale della cultura quale ottava meraviglia, non lasciarla abbruttire dalla spazzatura nel traffico immondo. Napoli deve vivere: non ha bisogno di tornare una stella, è una stella, non un buco nero, come si è fatta diventare. La responsabilità è di tutti gli italiani: Napoli appartiene all'Italia.
  • Napoli, nel '700 non fu provincia ma grande capitale europea in competizione con Madrid, Vienna ed anche Parigi; possedette una fioritura artistica di prim'ordine, pari a quella di Venezia e assai superiore a Firenze e a Roma.
  • Napoli, questa meravigliosa città, che ora fa arricciare il naso a raffinati e a villani, e nessuno ci va più, se non per vedere Pompei, come se questo palinsesto di culture non valesse che per le sue ossa.
  • Vi sono dei panorami che rappresentano assai più che una bellezza naturale o lo spettacolo di una grande città, addirittura le fattezze della Patria.
    In Italia, per quanto ricca si creda, sono in numero limitatissimo. Ad esempio la vista dal Viale dei Colli sulla città e le colline di Firenze; quella dal Gianicolo su Roma; la Riva degli Schiavoni a Venezia: ma su tutte, inutile negarlo, troneggia il panorama del Golfo di Napoli, sia dall'alto del Vomero o di San Martino sia all'arrivo dal mare. È questa la porta celeste dell'Italia, la porta che non è rettorico chiamare augusta, e provoca nostalgia e rimpianto non solo ai napoletani emigrati.
  • E Napoli ha continuato a dare molto all'Italia, all'Europa e al mondo: essa esporta a centinaia i suoi scienziati, i suoi intellettuali, i suoi ricercatori, i suoi artisti, i suoi cineasti.... Con generosità, certo. Ma anche per necessità. Mentre non riceve nulla, o pochissimo, da fuori. L'Italia, secondo me, ha perso molto a non saper utilizzare, per indifferenza, ma anche per paura, le formidabili potenzialità di questa città decisamente troppo diversa: europea prima che italiana, essa ha sempre preferito il dialogo diretto con Madrid o Parigi, Londra o Vienna, sue omologhe, snobbando Firenze o Milano o Roma....
    Non attendiamoci da essa né compiacimenti, né concessioni. Questo capitale oggi sottoutilizzato, sperperato fino ai limiti dell'esaurimento – poiché non si può dare indefinitamente senza ricevere – quale fortuna per tutti noi, se ora, domani, potesse essere sistematicamente mobilitato, sfruttato, valorizzato. Quale fortuna per l'Europa, ma anche e soprattutto per l'Italia. Questa fortuna, Napoli merita, più che mai, che le sia data.
  • Impossibile, nondimeno, per me non vagheggiare per Napoli una sorte diversa da quella che le conosco oggi e non invitare i miei amici italiani, per assaporarne reazioni, tanto più inorridite in quanto siano originari di Milano, di Bologna o di Firenze, a immaginare quale avrebbe potuto essere il destino dell'Italia ed il volto attuale di questa città se essa fosse stata preferita a Roma come capitale del nuovo Stato. Roma, che nulla qualificava a svolgere questo ruolo, salvo la sua leggenda e il suo passato, quando Napoli era – e di gran lunga –, malgrado i rapidi progressi di Torino, la sola città ad essere, verso il 1860-70, all'altezza del compito.
  • Nessuno è mai riuscito a governare Napoli.
  • Non dimentichiamolo, essa sarà l'unica città dell'Occidente, dopo il riflusso dell'Islam, a dare il proprio nome ad un regno; qualcosa di più di una capitale, e l'asserzione di un diritto di proprietà eminente.
  • I luoghi comuni sono tutti da buttare, e basta. È grande dote dei veri napoletani riconoscerli a prima vista e riderci sopra.
  • Più ci penso e più mi convinco della forza delle immagini benjaminiane. Si tratta di immaginare questa città come una colossale spugna stesa sul mare che non affronta i suoi problemi attraverso macroprogetti, sulla base di una ratio logocentrica, che non riduce il complesso delle tensioni, dei conflitti, che non tende ad annullarli, bensì assimilarli e, quasi, nutrirsene.
  • Una terra di cui neanche il mare basta a spegnere il fuoco.
  • Buoni maestri furono i Greci nell'edificar città, eligendo i megliori lochi del mondo. Così vediamo Napoli in sito di tanta vaghezza e posto sotto così clemente cielo, che si fa per questo a qualsivoglia altra città superiore. Et ancor che alcuni han voluto dire che di sito la sopravvanzi Costantinopoli, e Lisboa, l'una per il trafico dei due mari, Propontide, et Marnero in quella felicissima regione della Tracia, l'altra per essere ella emporio di tutti i trafichi settentrionali, et occidentali in quella bellissima parte della Spagna, tutta volta l'una continuamente soggetta ai morbi contagiosi, o sia per il concorso dei barbari, o per il fiato di venti non così felici, l'altra non havendo altra perspettiva che l'horribilità dell'Oceano, all'uscir che si farà dalla foce del Tago, necessaria cosa è che cedano a Napoli, ove i venti meridionali d'austro, zefiri di ponente, e piacevolissima borea senza rigidezza de nevi dal settentrione discacciano ogni aura, che potesse portar simili mali, fronteggiata dal mare, che quasi in una leggiadrissima tazza si va terminando con tanta fertilità di pesci e di frutti marittimi, che se ne raccolgono in più copia ch'in tutti i seni di Europa; circonscritta da piacevolissime colline terminatrici della vista, e nelle quali in ogni tempo vi è la stagione di primavera; ornata di vaghissimi giardini; copiosa di frutti e d'acque le più pretiose che si possano imaginare, sempre ridente nell'amenità di tante riviere, che non la fanno invidiare alle delitiose Tempe di Tessaglia, che perciò gli antichi la chiamarono abitazione di Sirene, delle quali favolosamente una finsero Partenope.
  • È vero mo che gli edificij della Città di Napoli non han quella magnificenza, che richiederebbe l'architettura, perché toltone il palaggio del Principe di Salerno, hoggi con nova maniera fatta chiesa di Giesuiti, e il principio della casa del Duca di Gravina, el' Palaggio reale, procurato dalla signora contessa di Lemos, non vi si vedrà maniera illustre, ma in quel modo che la copia della gente richiede. Non è però che ciò che par difettoso nell'architettura, non sia ragguardevole negli ornamenti con che sono elle vestite, dilettandosi tutti di varij apparati, aggiungendovisi una grandezza, ch'è manchevole nell'altre città, poiché le case di Napoli han li giardini di agrumi, onde di estate e d'inverno, ancorche poste in luoghi occupati, sono per la verdura allegrissime accompagnate da bellissime fontane.
  • Havendo noi la pietra leggierissima, l'arena, detta pozzulana a somiglianza di quella di Pozzuolo, che fa le fabbriche forti come ferro, et la calce delle pietre vive di Castel a mare, di Vico, et del contorno, possiamo fabricare in modo verso l'aria, che si alzano gli edificij insino al quinto et sesto solaro, cosa ch'in nissuna parte del mondo si vede, che perciò anco Napoli, se non supera di circuito l'altre città, ch'hanno a pena gli primi tavolati, come Costantinopoli e Parigi, le supera però di popolo, per il ristretto e folto modo di habitare. Et è pur bella cosa il vedere, che con due puntelli sostenendosi un palaggio in aria vi si fabrica di sotto senza far nocumento alcuno agli habitanti. È pur bella cosa anco à vedere il dono della natura fatto a questo terreno, ove prima si ritrova l'arena, appresso il rapillo o lapillo per la struttuta degli astrachi, poi la pietra, e sotto l'acqua, in modo che, come disse quel buon huomo, di sotto ritroverai il maestro pronto a fabricare. Et essendo tutti gli edificij posti in suolo anco benigno e piacevole, si vede che potendovisi aggiatissimamente cavar le cloache, la Città non si mantiene sporca, come molte Città di Europa, che fundate su la pietra viva, non han questi favori.
  • I popolari come nati in città libera, et osservando a punto quella libertà greca mentionata da Stazio, poeta Napolitano, han tanto del nobile, che vogliono imitar la nobiltà; nel vestire niente cedendogli, nell'uso di cocchi aguagliandoli, et in ogn'altra civiltà non volendo loro essere inferiori, dalla quale animosità sogliono nelle famiglie nascere mille disordini. Anzi è tanta la libertà, che vi si gode, che han dato animo agli altri forastieri di volerla godere, poiché non tantosto da diversi lochi giungono qua, che liberamente favellano del Principe che governa, dei magistrati che ministrano giustitia, et vogliono il pan bianco grosso a vil mercato, procurano di prevalersi quanto si prevagliono i cittadini, e s'ingeriscono negli officij pubblici, e pretendono tutto ciò che potesse pretendere un antico cittadino.
    E dall'altra parte fan bene, perché ritrovano il popolo così cortese, che li accettano, et li chiamano ad haver parte in molte amministrationi.
  • Vivono questi nobili con molta splendidezza, et si fan chiamare Cavalieri, perché essendo per honore detti prima militi nei servigi presso alte persone regali, e militando a cavallo, quasi quelli antichi ch'erano detti Equo publico nei marmi nostri napolitani, dai quali argomento l'antichissimo nome di Cavaliero, han cambiato il nome dell'armi di soldati in maneggio del cavallo, e veramente ai nobili Napolitani così bel nome conviene, i quali fan tanta professione di cavalcare, che tutte le nationi d'Europa qua vengono, per aver cavalli di prezzo, et per imparar di esercitarli nelli studij cavallereschi di maneggiar l'armi, di far giostre e tornei, guerreggiando con tutte le più famose nationi, che perciò sono nella militia sempre riusciti illustrissimi guerrieri, dei quali infiniti si fa mentione nell'historie. sono universalmente belli di corpo, ma tanto dediti alle delitie, che hanno cortissima vita, affabili, cortesi, ancorché a primo incontro altieri, inimici capitali della viltà interessata della mercatura, onde mentisce Cassaneo[19], che sotto una generalità, se pur ve ne fusse stato alcuno, tratta da mercanti tutti i nobili Napolitani, pronti a duelli, et massime i giovanetti, amatori della musica, et in quella et in vestire affettatamente imitano gli Spagnoli. È vero che niente attendono alle lettere, ma, quando avverrà che l'abbracciano, per la perspicacia del grande ingegno rinvestito dalla morbidezza della carne, sotto così felice temperamento di cielo, divengono in ogni professione meravigliosi. Tra le matrone ritrovasi esquisita bellezza di corpo, et prudenza tanto grande, ch'in ogni affare dimostrano, saviezza dell'Hortensie e del Cornelie, ma sopratutto dedite al culto della religione. Vestono gli uni e l'altre pomposamente, in maniera che non giovano le leggi suntuarie del vestire, né possono restringere la soverchia spesa degli ori, delle sete, e d'altre morbidezze somiglianti. Vivono tanto agiatamente, che non osano camminar cento passi senza le comodità dei cavalli, dei cocchi, delle sagette, quasi quei pallanchini che nell'Indie usano i Portughesi. E dirò che le matrone in particulare han difficoltà di esercitarsi a piedi, facendo a gara ad haver più alte le pianella che la persona, tutto ciò che coverte poi con le vesti, ove d'avantaggio si spende, mostrano con la lunghezza dell'habito gentilissimo portamento. Dignissima cosa è di considerare la grandezza di questa nobiltà Napolitana, che coi favori che ricevono dalla liberalissima mano di Sua M., rilucono in tanto spledore di 27 principi, 48 duchi, 76 marchesi, 62 conti, in modo che con 213 titolati par'a me e parerà ai giuditiosi, sia una delle più nobili città del mondo.
  • C'è qualche cosa di comune tra il grido ed il suo creatore; c'è qualche cosa che non si può scindere, e noi non sapremmo immaginare il grido del pizzaiuolo dato da un venditore di cocomeri, o il grido del venditore di acqua solfurea dato da un venditore di fichi d'India. In questa unità inscindibile appare, quindi, nella sua figura caratteristica il venditore ambulante napoletano il cui tipo etnico ed il cui carattere psicologico lo rendono dissimile dai venditori degli altri paesi.
  • Da Napoli, fortunatamente, è scomparso quello che era dato dal malgoverno e dall'abbandono, mentre restano vivi i suoi costumi e le sue tradizioni, il che vuol dire la sua anima bella e vivace.
    Che importa se non si incontrerà più il lazzarone coi calzoni rimboccati sino alle ginocchia, lo scugnizzo mangiatore di maccheroni, il guappo coi calzoni a quadriglié?
    La bellezza, la varietà, la poesia, i colori del folklore napoletano non sono rappresentati da codesti avanzi borbonici o dai quadretti in cui sono raffigurati i mangiatori di maccheroni con le mani, divenuti mondiali per la leggerezza di taluni napoletani, né dai tarlati ricordi della vita dei vecchi quartieri sepolti sotto la Napoli nuova e trionfante.
    Chi osserva il popolo napoletano nell'ora del lavoro e della gioia, nelle feste cerimoniali; chi s'addentra nella sua vita, tanto più bella quanto più intima, nella casa e nella famiglia, dalla culla al talamo, dalla tomba all'altare, potrà cogliere i tratti significativi dell'anima popolare napoletana, dei suoi costumi e delle sue consuetudini che costituiscono il suo sacro retaggio morale, in una parola, il vero folklore.
  • Il dialetto napoletano è gaio e faceto. È ricco di frasi spiritose che si prestano talvolta ad arguti doppi sensi. La sua armonia imitativa è incomparabile; così in nessun dialetto del mondo si dirà schizzichèa, per esprimere la prima pioggia; spaparanza per esprimere l'aprirsi di una porta; sciuliare per indicare chi scivola; sfrocoliare per stuzzicare; arripicchiato per aggrinzito; ha chiuoppete, per ha piovuto; arteteca per argento vivo; ammarrare per chiudere, ecc.
    Permette quasi sempre una satira pungente e penetrante mentre agevola in maniera meravigliosa le immagini fresche e naturali che sgorgano dalla fantasia dei napoletani.
    I napoletani, dotati di una gaiezza e di un sentimentalismo introvabili altrove, sono i degni possessori di un linguaggio così faceto e così diffuso. Noi diremmo quasi che l'uno e gli altri si armonizzano e si completano. Il dialetto ed il carattere di questo immaginoso popolo meridionale contribuiscono a rendere più belli i suoi gridi che debbono essere considerati come la migliore espressione della sua natura.
  • Il grido del venditore napoletano rinasce ad ogni primavera a Napoli e nella sua espressione suggestiva parla della bellezza di questo cielo incantevole e di questo popolo originale.
  • Per quanto la moderna civiltà abbia travolto tante cose, non compatibili coi nuovi tempi, tuttavia ha lasciato intatte le più belle costumanze napoletane, così varie e così caratteristiche.
    Napoli s'eleva sempre più nella vita morale, ma non è mutata nelle sue caratteristiche, nei suoi tipi, nelle sue vecchie e secolari istituzioni, nell'incanto dei suoi colori al sole di primavera.
    Basta guardare con occhio esperto per ritrovare non soltanto la Napoli di eri ma anche quella di molti secoli fa, sempre viva, leggiadra e festevole nel suo spirito.
  • Sono pochi quelli che si sono portati, verso il tramonto, sulla balconata del belvedere della Certosa di S. Martino per udire la più suggestiva delle sinfonie, la vera voce di Napoli, quella che nasce nel cuore della città dalla folla che s'intreccia in mille sensi, da strilli di bimbi, da voci di venditori ambulanti, da trilli di organino, da bestemmie di facchini, da rotolii di trams, da suoni di chitarra, dalle voci affievolite di cantatori che si lamentano nelle malinconiche canzonette, e scende sulla spiaggia di S. Lucia, di Mergellina, ove il grido delle donne che vendono l'acqua zurfegna, lo spassatiempo, i polipi cotti nell'acqua marina si confonde e si unifica col canto degli uomini che lavorano le reti per la pesca.... e si perde nella profondità suggestiva del mare, nelle morbidi notti di estate.
    Nessuna città al mondo ha una così grande varietà di modulazioni: esse sono eterne, come eterno è il sorriso di questa Napoli incomparabile.
  • Disumanizzare Napoli non deve essere stato facile, ma sembrano esserci riusciti. Un popolo che ha molto patito superando con la sua vitalità e la sua impressionante saggezza prova dopo prova è facilmente preso alla sprovvista da un'aggressione disumanizzante, che ha lo scopo di ucciderne l'anima fingendo di liberarlo; così mi spiego questo popolo stravolto, paralizzato, che non può più fare nient'altro che gonfiarsi di rumore e produrne, ingoiare caos e trombettarlo fuori.
  • Napoli è color ferro rugginoso.
  • Napoli è uno dei peggiori luoghi d'Italia; ma tutta intera questa nazione non è più che uno sbubbonare di tante Napoli, che se anche non sanguinano come Napoli, ne riproducono sintomi, crolli, abbrutimento.
  • Convengo che i dintorni di Napoli sono forse più appariscenti che non quelli di Roma: quando il sole arde o la luna, larga e rossa, s'alza sopra dal Vesuvio come un globo lanciato dal vulcano, la baia di Napoli con le sue rive cinte d'aranci, le montagne della Puglia, l'isola di Capri, la costa di Posilipo, Baia, Miseno, Cuma, l'Averno, i Campi Elisi e tutta quella terra virgiliana presentano uno spettacolo magico; tuttavia, secondo me, vi manca il grandioso della campagna romana.
  • Fiori e frutti umidi di rugiada sono meno soavi e freschi che il paesaggio di Napoli uscito dalle ombre della notte. Arrivando al portico, ero sempre sorpreso di trovarmi in riva al mare, poichè le onde in quel luogo facevano appena udire il leggero mormorio d'una fonte. Estatico per tale spettacolo, appoggiato ad una colonna, rimanevo ore ed ore, senza pensiero senza desiderio senza scopo, a respirare l'aria dolcissima. La malia era sì profonda che l'aria divina pareva trasformare la mia sostanza e con piacere ineffabile io m'alzavo al firmamento come un puro spirito...
  • Forse vi sono climi pericolosi alla virtù, per la voluttà che ispirano. Non racconta un'ingegnosa favola che Partenope fu costruita sulla tomba di una sinena? Lo splendore vellutato della campagna, la tiepida temperatura dell' aria, i contorni arrotonditi delle montagne, le molli curve dei fiumi e delle valli sono a Napoli vere seduzioni dei sensi cui nulla stanca e tutto riposa. Il napoletano seminudo, contento di sentirsi vivere sotto l'influenza di un cielo propizio, rifiuta di lavorare, appena abbia guadagnato l'obolo che basta al pane quotidiano. Egli passa la metà della vita immobile ai raggi del sole e l'altra a farsi trascinare in un carro mandando grida di gioia; di notte si getta sugli scalini di un tempio e dorme incurante dell'avvenire, accovacciato innanzi alle statue degli dei.
  • Di notte, salendo via Orazio [...] la vedo che sorge dalla terra, distesa su un fianco. Ha bracciali di corallo – gli stop delle auto nel traffico – e cinture di teschi alla vita, lunghe chiome corvine irte di antenne televisive, candide zanne, un sesso scuro di polpo e occhi che, per fortuna, non apre, perché sarebbero rossi di brace. È Kalì dalle molte braccia e dai molti seni. È la bellissima dea che uccide danzando a ritmo di reggae e sul suono delle tammorre. È una sirena dal canto mortale.
  • Le case napoletane somigliano ai denti di una vecchia, storti, raggruppati, caduti, sostituiti. O un complesso ingranaggio d'orologio medievale, con tutti i cardini e i meccanismi che s'inseguono e si perdono, un grosso orologio sfasato con fusi orari di diverse epoche e nazioni che vive come un grande corpo barocco, ma di un barocco immaginario, come le Carceri di Piranesi. [...] qui non ci sono esattezze, non ci sono calcoli che tengano. O, per lo meno, i matematici cabalisti che hanno calcolato Napoli si sono lasciati prendere la mano da algoritmi anatomici che ci sfuggono.
  • Napoli è senza dubbio donna, nel suo aspetto ctonio e ancestrale, nella sua manifestazione vulcanica, nella bellezza che esprime e nel coraggio.
  • Aveva Napoli antichi trattati di commercio con la Inghilterra, la Francia, ed antiche pratiche colla Spagna; queste non avevano data; quelli colla Gran Bretagna erano due di Madrid del 1667 e 1715, e tre di Utrecht del 1712 e 13; e colla Francia, uno di Madrid del 1669, altro de' Pirenei del 1688. Napoli concedeva innumerabili benefizi alle tre bandiere, senza premi o mercede, come servitù a signoria. Per trattati novelli, del 25 settembre 1816 colla Inghilterra, del 26 febbraio 1817 colla Francia, e del 15 agosto dello stesso anno colla Spagna furono abolti gli antichi, e si diede al commercio delle tre nazioni il ribasso del decimo de' dazi che si pagano dagli altri legni, stranieri o napoletani; perciò, le mercanzie di qualunque luogo venendo a noi colle favorite bandiere, gran parte del commercio di trasporto e quanto di utilità e di forza ne deriva, ci fu rapito.
  • I difetti che ho toccato, e che in più opportuno luogo descriverò, cagionarono che i delitti, nel regno di Carlo, fossero molti ed atroci: nella sola città di Napoli numerava il censo giudiziario trentamila ladri; gli omicidii, le scorrerie, i furti violenti abbandonavano nelle province, gli avvelenamenti nella città, tanto che il re creò un magistrato, la «Giunta de' Veleni», per discoprirli e punirli. Prevalevano in quel delitto le donne, bastandovi la malvagità de' deboli, come piace alla nequizia de' forti l'atrocità scoperta.
  • In dieci anni, dal 1720 al 30, non avvennero in Napoli cose memorabili, fuorché tremuoti, eruzioni volcaniche, diluvi ed altre meteore distruggitrici. Ma nella vicina Sicilia, l'anno 1724, fatto atroce apportò tanto spavento al Regno, che io credo mio debito il narrarlo a fine che resti saldo nella memoria di chi leggerà; e i Napoletani si confermino nell'odio giusto alla inquisizione; oggidì che per l'alleanza dell'imperio assoluto al sacerdozio, la superstizione, l'ipocrisia, la falsa venerazione dell'antichità spingono verso tempi e costumi abborriti, e vedesi quel tremendo Uffizio, chiamato Santo, risorgere in non pochi luoghi d'Italia, tacito ancora e discreto, ma per tornare, se fortuna lo aiuta, sanguinario e crudele quanto né tristi secoli di universale ignoranza.
  • Perciò in sei lustri centomila napoletani perirono di varia morte, tutti per causa di pubblica libertà o di amore d'Italia; e le altre italiche genti, oziose ed intere, serve a straniero impero, tacite o plaudenti, oltraggiano la miseria dei vinti; nel quale dispregio, ingiusto e codardo, sta scolpita la durevole loro servitù, insino a tanto che braccio altrui, quasi a malgrado, le sollevi da quella bassezza. Infausto presagio, che vorremmo fallace, ma discende dalle narrate istorie, e si farà manifesto agli avvenire; i quali ho fede che, imparando da' vizi nostri le contrarie virtù, concederanno al popolo napoletano (misero ed operoso, irrequieto, ma di meglio) qualche sospiro di pietà e qualche lode: sterile mercede che i presenti gli negano.
  • [Il ruolo di Napoli nel futuro: metropoli regionale] capace di assolvere a funzioni di equilibrio a livello nazionale e a funzioni di organizzazione e di animazione a livello regionale. Città fornitrice di alti e qualificati servizi a un territorio provinciale e regionale da ristrutturarsi attraverso ulteriori insediamenti industriali che debbono essere favoriti con coordinate iniziative di infrastrutture e di incentivazione. L'obiettivo è una Napoli non più ripiegata su sé stessa, ma aperta verso la Campania e tutto il Mezzogiorno.
  • Il potenziamento della funzione metropolitana di Napoli è il problema stesso dello sviluppo economico e civile della Campania; e in questo senso l'efficacia della terapia dell'industrializzazione risulta in Campania condizionata da quel particolare aspetto della questione meridionale che Gaetano Salvemini chiamava la "questione napoletana" e che oggi si pone in termini di promozione e di esaltazione dei valori metropolitani della vecchia capitale parassitaria.
  • La vera malattia endemica a Napoli è la disoccupazione.
  • A Napoli perfino le formiche sono più veloci delle automobili. E questo è un altro miracolo. Quando uscì il divertente libretto «Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano», nessuno pensò che questo poteva accadere dovunque tranne che a Napoli. Sì, perché solo a Napoli le formiche possono scendere dalle colline e arrivare alla Ferrovia, oppure muoversi da Mergellina e andare a Santa Lucia molto più in fretta degli automobilisti prigionieri dei lunghi serpenti d'acciaio o dei viaggiatori dei mezzi pubblici le cui ruote restano inchiodate per ore sull'asfalto delle corsie preferenziali. Perciò le formiche possono incazzarsi dovunque, ma non a Napoli.
  • Mobilità del territorio e sviluppo dei trasporti di massa [...] appaiono oggi condizioni imprescindibili per dare concretezza all'idea del futuro possibile. È un futuro che assumerà una fisionomia sempre più precisa nella misura in cui potrà disporre di un valore e di una risorsa tipici della società moderna: la velocità e la certezza degli spostamenti. Guardare a questo futuro significa anche porre riparo a errori e distorsioni del passato. In termini economici e di qualità della vita, Napoli ha già pagato prezzi molto alti. Un sistema efficiente di trasporti pubblici avrebbe potuto evitare uno sviluppo caotico della città che ha preso forma secondo direzioni non programmate e non razionali. Napoli è andata dove bisogni o pressioni particolari, molte volte speculativi, la spingevano. La stessa rete dei servizi primari si è dovuta realizzare, quando si è potuto, a posteriori, cioè a cose fatte. La «Napoli sbagliata» ha così divorato se stessa.
  • Secondo una tesi prevalente, si fronteggiarono allora[20]due città: una della rozza speculazione, l'altra della migliore cultura. Due Napoli impermeabili l'una all'altra. «Ma le cose – afferma [Pasquale] Belfiore – non andarono esattamente in questi termini. Vi fu un groviglio di intrecci fra l'una e l'altra città, tra la migliore cultura e la più proterva speculazione; si generarono perverse implicazioni pur partendo da limpidi presupposti. Il ruolo delle facoltà universitarie, degli ordini professionali, delle associazioni di categoria fu ora di totale estraneità, ora della più flagrante connivenza, ora della più intransigente opposizione in alcune delle loro componenti». Il ventaglio delle complicità, che via via hanno preso corpo, appare molto vasto. E non è ancora finita. La speculazione edilizia si avvia verso la terza fase. Dalle singole licenze rilasciate dalle amministrazioni Lauro si passa alle lottizzazioni; dai cantieri di improvvisati appaltatori e costruttori a quelli delle Immobiliari. In molti quartieri, però, la pioggia di cemento costituisce un attentato alla incolumità fisica. Si apre la stagione dei crolli. Napoli appare come «la città di cartone che scivola a mare e uccide», secondo una frase di Rosellina Balbi. Una "carta geologica", redatta dal Comune alla fine del '67, censisce 21mila metri quadri di vuoti sotterranei molto profondi, 119mila metri di vuoti ex cava e 366 caverne. Napoli è una città costruita sul vuoto.
  • Accade, d'altra parte, che, pur nella poco alacre vita civile e politica, l'umana virtù si affermi nei particolari, contrastando al generale, e talora negli episodi, e perfino essa sorga dal mezzo stesso dei vizi, come loro correlativo. Onde un popolo che non ha bastevole affetto per la cosa pubblica potrà avere assai vivo quello per la famiglia, per la quale sarà disposto a ogni sacrificio; un popolo indifferente avere la chiaroveggenza dell'indifferenza; un popolo poco operoso nei commerci e negli affari valer molto nella contemplazione dell'arte e nelle indagini dell'intelletto; un popolo privo di spirito di gloria saper ben cogliere il gonfio e il falso delle umane ambizioni e operare nel riso un lavacro di verità. E via discorrendo.
    Sulla logica di queste considerazioni, il popolo napoletano è stato perfino più volte difeso, e il suo atteggiamento verso la vita ha suscitato simpatie [...] Napoli è apparsa come un'oasi nella quale sia possibile ritrarsi per obliare, riposare e respirare in mezzo a un popolo che di politica non cura o, tutt'al più, la prende a mera materia di chiacchiera, e, chiacchierandone senza riscaldarsi, spesso la giudica con spregiudicato acume.
  • I teatri di Napoli (mi suggerisce qui il nostro maestro Giuseppe De Blasiis) hanno a capo della loro storia perfino una grande memoria classica, le recite che vi venne a fare di persona l'imperatore Nerone. E, sebbene un'introduzione "archeologica" sembri ora di tanto cattivo gusto quanto una volta di ottimo, sia ricordato dunque che Nerone, avido di popolari applausi, e non osando presentarsi dapprima sulle scene di Roma, preferì pel suo esordio la nostra città, quasi graecam urbem. Napoli, che possedeva, allora un ampio teatro scoperto, ricco di marmi e di statue, del quale ancora restano i ruderi, e la cui scena sorgeva di sbieco alle spalle della presente chiesa di San Paolo e la cavea volgeva verso la presente strada dell'Anticaglia; e un teatro coperto, un Odeo, posto probabilmente tra l'Anticaglia e gl'Incurabili, nelle vicinanze del luogo dove è adesso l'ex monastero di Santa Patrizia.
  • Le vecchie leggende rapidamente tramontano nella odierna trasformazione edilizia e sociale di Napoli, e le nuove non nascono, o piuttosto noi non ce ne avvediamo, e se ne avvedranno i nostri posteri, quando raccoglieranno qualche frammento del nostro presente sentire e immaginare, reso vieppiù fantastico dalle esagerazioni tradizionali, circondato dal fascino dell'antico o del vecchio, e fissato sopra taluna delle nostre ora tanto vilipese architetture e sculture. E coloro, «che questo tempo chiameranno antico», lo chiameranno forse anche «il buon vecchio tempo», come noi ora diciamo della Napoli del Settecento, e già, quasi quasi, di quella anteriore al Sessanta.
  • Napoli è un paese in cui è impossibile promuovere un pubblico interesse senza rimetterci il cervello e la salute.
  • Se ancor oggi noi accettiamo senza proteste o per nostro conto rinnoviamo in diversa forma l'antico biasimo[21], e se, anzi, non lasciamo che ce lo diano gli stranieri o gli altri italiani ma ce lo diamo volentieri noi a noi stessi, è perché stimiamo che esso valga da sferza e da pungolo, e concorra a mantener viva in noi la coscienza di quello che è il dover nostro. E, sotto questo aspetto, c'importa poco ricercare fino a qual punto il detto proverbiale sia vero, giovandoci tenerlo verissimo per far che sia sempre men vero.
  • A Napoli l'orgoglio, appannaggio del dominatore, non è mai considerato legittimo, ma sempre soltanto ridicolo.
  • Chi ha lasciato Napoli nella prima giovinezza ricorda la sua partenza come un momento di grande esaltazione. A quella età si desidera vivere nel «mondo». o almeno lo si desiderava prima di accorgersi che la guerra ci aveva sprofondati in un «cosmo» tanto incolore. Per chi vi era nato e cresciuto, a meno che non avesse subito precocemente il richiamo dello scetticismo, che è rimasto l'unico stemma della citta, Napoli non era «mondo». Era uno dei più pittoreschi scenari che avessero attirato l'evasione dell'antico viaggiatore in Italia. O altrimenti era un monumento storico grandioso. Nel perdere il paradiso di bellezze naturali che la circondava, la città è stata sempre messa a nudo come un monumento tra i più stratificati e fantasiosi, abbandonati e malinconici.
  • La coscienza dell'origine napoletana è restia a manifestarsi all'esterno, ed ha una lenta e difficile decantazione interiore.
  • Da sempre nutro una grande passione per Napoli, per la sua cultura, dalla scrittura alla filosofia alle canzoni: è una città che mi ha sempre catturato.
  • La bellezza di Totò è la bellezza di Napoli. Napoli, si fa presto a dire, sembra una città, non lo è, è una nazione, è una repubblica. [...] L'ammirazione che io ho per il popolo napoletano nasce proprio da questo amore per Totò. [...] Napoli è il mistero della vita, bene e male si confondono, comunque pulsano.
  • Quando mi parlano di bellezza mi viene in mente, come prima immagine, Napoli.
  • La napoletanità autentica deve essere coltivata con discrezione, con cura, sforzandosi di eliminarne le parti superflue o ridondanti, frutto di un eccesso di gusto barocco, per arrivare, se possibile, alla essenzialità di sentimenti e pensieri che, una volta colti nel modo giusto, si mostrano fragili e delicati.
  • Poche centinaia di metri più avanti[22]c'è via Atri, dove frequentai il Diaz, istituto di ragioneria. Tutto a pochi passi da casa, andata e ritorno a piedi, sempre immerso nelle voci, negli odori, nell'aria di una Napoli popolare insediata in quello che fu il centro aristocratico della città. Una Napoli che giorno dopo giorno aderiva ai panni che portavo, entrava nei miei pori, circolava nelle vene e mi rendeva per sempre simile a lei, al suo carattere incazzoso e amabile, nervoso e paziente, dolce e amaro.
  • La napoletanità è bella, ma guai a cadere nel sottobosco delle vedute meschine. Ho un sogno, per Napoli: ogni piazza, un gruppo musicale che sappia unire tradizione e innovazione. Spazi per i giovani che vogliano fare musica in tranquillità. Teatri aperti, possibilità di mettersi alla prova, ritrovi culturali per confrontarsi, parlare, anche polemizzare. Il patrimonio delle esperienze artistiche è tanto grande, in questa città contraddittoria: è l'unico vero patrimonio morale di Napoli, va salvato. Mi piacerebbe una Napoli pienamente europea e tenacemente mediterranea.
  • Napoli è il big-bang. Non solo ciò da cui tutto ha avuto inizio, ma anche quell'energia inesauribile che a tutto ha dato e dà movimento. Vite, pensieri, passioni; fatica, sofferenza, dolore. Amore. Senza Napoli non sarei. Né quello che sono, né quello che suono. Sono partito da qui, da questo urlo che sale dal pozzo senza fondo della storia.
  • «E chi Io sa! Chi Io sa come è Napoli veramente. Comunque io certe volte penso che anche se Napoli, quella che dico io, non esiste come città, esiste sicuramente come concetto, come aggettivo. E allora penso che Napoli è la città più Napoli che conosco e che dovunque sono andato nel mondo ho visto che c'era bisogno di un poco di Napoli.»
  • I napoletani sono un popolo pieno di devozione cristiana, ma non hanno mai veramente abbandonato le tradizioni pagane. Sono sempre rimasti un po' politeisti. È proprio l'idea di Dio, del Dio che è uno, che noi napoletani facciamo fatica a digerire.
  • Napoli per me non è la città di Napoli ma solo una componente dell'animo umano che so di poter trovare in tutte le persone, siano esse napoletane o no. A volte penso addirittura che Napoli possa essere ancora l'ultima speranza che resta alla razza umana.
  • «Piano, piano con questa parola: industrializzazione» dice il professore. «Napoli è stata rovinata da Lauro, da Gava e dalla chimera dell'industrializzazione. Lauro l'ha gestita come l'ultimo dei Borboni, Gava ha addirittura fatto rimpiangere Lauro, ma nessuno dei due ha fatto tanto male a Napoli come chi ha creduto di risolvere il problema napoletano con l'industrializzazione. Voi invece immaginatevi una Napoli senza ciminiere, una Napoli che nella piana di Bagnoli al posto dell'Italsider avesse avuto tutta una serie di alberghi, di cottages, di villini e di casinò. Positano, Amalfi, Ischia, Capri, Procida, Baia, il lago d'Averno, Pompei. Ercolano, Vietri, Cuma, il Faito, il Vesuvio, isole, scogli, montagne, vulcani, laghi. il punto d'incontro del turismo mondiale! La Las Vegas d'Europa! Il paradiso in terra! Ma pensate, ad esempio, al Castello dell'Ovo, a questo bellissimo maniero medioevale, ricco di enormi sale, di piccole viuzze interne e di suggestive botteghe».
  • «Ritornando a Napoli lei ritiene che i napoletani siano nella stragrande maggioranza uomini d'amore?»
    «Senza dubbio: in particolar modo il popolino.»
  • Il mio rapporto con Napoli è viscerale. Sono un napoletano che vive a Napoli e non ho intenzione di andare ad abitare altrove [...] sono fortemente intrecciato alla città, non posso lasciarla, non posso andar via. Io vedo i difetti di Napoli, a volte terribili, però non sono me stesso da nessun'altra parte. Dico sempre che il mio rapporto con Napoli è come quello con una madre impicciona, un po' volgare, di cui ci si vergogna anche un po', però è sempre tua madre e non potresti cambiarla con nessun'altra.
  • [Napoli: più che una città, un luogo dell'anima?] Lo è senz'altro come di certo esistono anche altri luoghi dell'anima. Napoli però, rispetto ad altre città, lascia il segno. È molto difficile passare per Napoli e dimenticarsene. Non rendersi conto cioè di aver riportato una cicatrice essendoci stato.
  • Napoli è stretta, ci sono molte strade piccole, è una città compressa dal punto di vista geografico: due colline, una montagna e il mare. Ma è anche sedimentaria, urbanisticamente complessa, difficile da qualificare. Ci sono singoli palazzi che hanno tre o quattro classi sociali diverse. Questo non accade da nessun'altra parte. Per questi ed altri motivi Napoli è una città molto difficile da analizzare e da comprendere. Ha la bellezza della costante vicinanza. Ci sono condomini interi che rappresentano come una grande famiglia e si comportano come tale. Per questo, da un altro punto di vista, è anche difficile pretendere il rispetto della propria privacy. Napoli è una città difficile da tenere insieme, è una città che si consuma facilmente perché le stesse strutture vengono usate da tantissima gente. Napoli è un fenomeno complesso.
  • Napoli raggruppa storie continuamente, è un'enorme fucina di storie, d'incontri, di confronti, di separazioni, di allontanamenti e di accostamenti. A Napoli c'è tutto ed il contrario di tutto quindi io direi che tutti noi che raccontiamo storie ambientate a Napoli, prendiamo dalla città stessa queste storie e le rendiamo in forma di suoni, di musica, di canzoni, di danze ma anche in forma di semplici rapporti sociali o di passioni. Tutti questi aspetti concorrono a rendere le storie napoletane quasi una fattispecie sudamericana, tra l'altro l'unica al di fuori dal Sudamerica.
  • Napoli non è una città violenta, semmai la capitale del crimine ora è Roma. Certo, in momenti come questi chi gira con auto e orologi di lusso dimostra di non essere diventato abbastanza napoletano.
  • Sono tornato in Italia, a Napoli, perché per me l'Italia è Napoli, Napoli è la cosa che più mi convince dell'Italia.
  • Questa città è stata l'unica a liberarsi da sola dai nazisti, prima ancora dell'arrivo degli americani, che trovarono la città già liberata quando vi entrarono. Questo popolo lo si può tradire se non si ha vergogna, ma non prendere per il culo.
  • A Napoli mancò uno straccio di re che capisse che nell'Europa delle nazioni l'Italia era destino inevitabile. Mancò un re che stipulasse coi modesti Savoia, signori di una provincia subalpina, un contratto Italia almeno alla pari, non tra occupanti e occupati. Napoli da allora è una capitale europea abrogata, non decaduta ma soppressa, come se Londra fosse stata soppiantata da Edimburgo. Così è andata e questa è la materia della sua ragionevole strafottenza verso la condizione di capoluogo di regione. Se non si vede l'evidenza dell'enorme orgoglio assopito nei suoi cittadini, non si sta parlando di lei.
  • Com'è importante stare a due, maschio e femmina, per questa città. Chi sta solo è meno di uno.
  • Napoli è una città che brulica di vita e di storia, ha avuto un passato grandioso e ha energie non solo per partecipare a un futuro, ma anche per precederlo.
  • Napoli si era consumata di lacrime di guerra, si sfogava con gli americani, faceva carnevale tutti i giorni. L'ho capita allora la città: monarchica e anarchica. Voleva un re però nessun governo. Era una città spagnola. In Spagna c'è sempre stata la monarchia ma pure il più forte movimento anarchico. Napoli è spagnola, sta in Italia per sbaglio.
  • Nella mia città e nel mio tempo di nascita, Napoli in dopoguerra, i bambini venivano sfoltiti dalla più alta mortalità d'Europa. La loro vita era un permesso rilasciato giorno per giorno, la loro morte non una tragedia. Le campane suonavano a festa perché un altro angioletto si era aggiunto alla volatile schiera degli sprotetti in terra, promossi d'ufficio a protettori in cielo. Di colpi ne incassavano tanti quanti atterrerebbero un pugile, assestati senza misura di proporzione, così come i vestiti, i panni: non avevano taglia, l'ultima stesura dell'usato. [...]
    I bambini di Napoli a quel tempo saltavano la scuola, andavano al lavoro appena in grado, per giustificare la vita con un guadagno, per minimo che era. Rimborsavano il cibo delle madri. E perciò non era così atroce a quel tempo ascoltare la storia di Erode, la sua sbrigativa spada che si sostituiva a una delle periodiche epidemie e stragi di bambini. Erode era niente di più che uno dei tanti adulti da evitare, uno dei cento agguati apparecchiati.
  • Per consiglio, nelle prossime statistiche eliminate Napoli, è troppo fuori scala, esagerata, per poterla misurare.
  • Se fu città violata da un numero esorbitante di vincitori, se fu militarmente indifendibile quel golfo spalancato, per reazione rese inespugnabili i suoi cittadini: ognuno di essi è città intera, sapendo di esserlo e di rappresentarla.
  • Napoli è una città particolare, lo è stata anche storicamente. Quando l'intero continente viveva fasi di stallo Napoli ha segnato importanti accelerazioni nel mondo della cultura. L'Università, tra le più antiche d'Europa, è stata punto di riferimento quando tutta l'Europa era dilaniata da guerre interne. È una città che non ha mai consentito alla Santa Inquisizione di agire liberamente e incontrastata. È una città che sotto l'occupazione straniera e militare si è liberata da sola concedendosi autonomamente a chi nella seconda guerra mondiale determinava la ritirata dei nazisti.
  • Napoli può dimostrare che lo sport ed il calcio possono tranquillamente farsi con le mani pulite senza bisogno di truccare le partite come faceva Moggi con la Juventus e come, purtroppo, sembra stia accadendo nuovamente [riferendosi allo scandalo del calcio scommesse relativo al 2011]. Si potrebbe stringere tra Napoli e De Laurentiis, un patto di lealtà anche nello sport. Nel rilancio della città un punto fondamentale lo ha il calcio.
  • Duecentomila spettatori per le regate [dell'America's Cup 2012] nonostante le avverse condizioni meteo, senza dimenticare il mezzo milione di persone a Pasquetta: questi sono numeri che mi rendono orgoglioso. La città ha dato una bella immagine al mondo e ha rappresentato l'Italia in maniera entusiasmante.
  • Ciò che manca il più a questa nazione in generale, è il sentimento della dignità. Eglino fanno azioni generose e benefiche per buon cuore, piuttosto che per principii: poiché la loro teoria in ogni genere nulla vale, e l'opinione in questo paese non ha punto di forza.
    Ma allorché uomini e donne scansano cotal morale anarchia, la loro condotta è più notabile in sé stessa e più degna di ammirazione che in qualsivoglia altra parte, poiché niuna cosa nelle circostanze esteriori favorisce la virtù.
    Si adotta tutta intiera nella sua anima. Né leggi, né i costumi ricompensano o puniscono. Quegli ch'è virtuoso è tanto più eroico, in quantoché non è per questo né più tenuto in istima, né più ricercato.
  • Fatte alcune onorevoli eccezioni, le prime classi di persone hanno molta somiglianza colle ultime; lo spirito delle une non è quasi più coltivato delle altre, e l'uso del mondo costituisce la sola differenza nell'esteriore. Ma in mezzo a questa ignoranza vi è un fondo di spirito naturale e di attitudine a tutto, talché non si può prevedere ciò che diventerebbe una somigliante nazione, se tutta la forza del governo fosse diretta nel senso dei lumi e della morale. Siccome vi è poca istruzione in Napoli, così vi si trova fino al presente più originalità che carattere nello spirito. Ma gli uomini ragguardevoli di questo paese, come l'abate Galiani, Caracciolo, ecc. possedevano, si dice, nel più alto grado la lepidezza e la riflessione, rare facoltà del pensiero, e unione, senza di cui la pedanteria o la frivolezza v'impedisce di conoscere il vero valore delle cose.
  • Giunsero a Napoli di giorno, in mezzo a quella immensa popolazione ch'è cotanto animata e nello stesso tempo cotanto oziosa. Attraversarono di primo lancio la via Toledo e videro i Lazzaroni a dormire sul lastricato o in una cesta di vetrice[23] che serve loro di abitazione notte e giorno. Questo stato selvaggio, che si vede colà mescolato con la civilizzazione, ha qualche cosa di estremamente originale. Tra quegli uomini ve ne sono alcuni che non sanno neppure il loro nome, e vanno a confessarsi di peccati anonimi, non potendo dire come si chiami colui che gli ha commessi. Esiste in Napoli una grotta sotterranea nella quale migliaia di Lazzaroni passano la loro vita, uscendo solamente sul mezzodì per vedere il sole, e dormendo il restante del giorno, mentreché le loro mogli filano. Nei climi in cui il vitto e il vestito sono sì facili, vi abbisognerebbe il più indipendente ed attivo governo per dare alla nazione sufficiente emulazione. Imperroché egli è sì agevole pel popolo il sussistere materialmente in Napoli, che può fare a meno di quella specie d'industria ch'è necessaria altrove per guadagnarsi il pane. L'infingardaggine e l'ignoranza, combinate coll'aria vulcanica che si respira in quel soggiorno, debbono produrre la ferocia, quando le passioni sono eccitate; ma questo popolo non è più cattivo di un altro. Esso ha dell'immaginazione, il che potrebbe essere il principio di azioni disinteressate, e con questa immaginazione si condurrebbe al bene, se le sue istituzioni politiche e religiose fossero buone.
  • Il popolo di Napoli non ha altra idea della felicità che quella del piacere: ma l'amore del piacere vale più di arido egoismo.
    È vero che questo è il popolo del mondo che ami più il danaro. Se voi domandate a uomo del popolo il vostro cammino per la via, egli stende subito la mano dopo avervi fatto un cenno, poiché eglino sono più infingardi rapporto alle parole che ai gesti. Ma il loro gusto pel denaro non è né metodico, né ponderato; lo spendono subitoché l'hanno ricevuto. Se s'introducesse il danaro tra i selvaggi, i selvaggi lo domanderebbero come i Napoletani.
  • Il popolo napoletano, in alcuni rapporti, non è niente affatto dirozzato, ma non somiglia altronde al volgo degli altri popoli. La sua materialità stessa colpisce l'immaginazione. La spiaggia africana che circonda il mare dall'altra banda, vi si fa già quasi sentire e vi è un non so che di numidico nei gridi selvaggi che si odono da tutte le parti. Quei visi bruni, quei vestiti formati di alcuni brani di panno rosso o violetto, il cui colore pieno attrae gli altrui sguardi; quei pezzi d'abito, nel panneggiamento de' quali traspira ancora il gusto delle arti, danno qualche cosa di pittoresco al popolaccio, mentre che in altri paesi non vi si può scorgere che le miserie della civilizzazione.
  • Si trova sovente in Napoli certo gusto pegli acconciamenti e per le decorazioni accanto alla penuria assoluta delle cose necessarie o degli agi. Le botteghe sono ornate graziosamente con fiori e con frutta. Alcune hanno un'aria festiva che non dipende dall'abbondanza, né dalla felicità pubblica, ma solamente dalla vivacità dell'immaginazione: prima di ogni altra cosa si vuole rallegrare gli occhi. La dolcezza del clima permette agli artigiani di ogni specie di lavorare nella strada. I sarti vi fanno i vestiti, i vivandieri la loro cucina, e le occupazioni domestiche, succedendo in tal guisa esternamente, moltiplicano i movimenti del popolo in utili maniere; i canti, i balli, i giuochi rumorosi accompagnano assai bene tutto questo spettacolo; e non vi è altro paese, in cui si senta più chiaramente la differenza tra il divertimento e la felicità: finalmente si esce dall'interno della città per andare alla spiaggia d'onde si vede il mare e il Vesuvio, e si dimentica ciò che si sa degli uomini.
  • In fondo è di buona pasta il nostro popolo così spesso calunniato, e molti dei suoi difetti sono il funesto retaggio di lunghi secoli di servitù e prepotenze d'ogni specie: e pensate che se tanti secoli d'abbrutimento non gli hanno potuto spegnere molti grandi pregi, è segno che la marca di buona fabbrica, non è falsa.
  • Napoli è la città allegra per eccellenza. Il lustrascarpe, alla cantonata, tinto, cencioso, aggrinzito, sorride anche lui, e, battendo la spazzola sul dorso della cassetta, grida con tanto di voce: U polimmo![24] e quasi vi pare che sia quello l'ultimo giorno della sua misera vita. Il lazzarone, l'individuo più povero della plebe, con un sorriso arguto sulle labbra e la malizia negli occhi, passa altiero accanto al gran signore, più pronto a ferirlo con dieci epigrammi che a scaraventargli in faccia una bestemmia. L'opulenza e la miseria passano, l'una accanto all'altra, senza guardarsi in cagnesco. Questa tinta generale di allegria, di rassegnazione confidente, di balda giovinezza, costituisce il fascino del movimento e della vita napoletana, la quale ha in se un non so che d'elettricismo, che vi scuote, e, correndovi tutte le fibre, vi rinvigorisce, ne scaccia la tristezza, vi tuffa in un' ora d'oblio. La vita nostra non è monotona e pesante, come quella di un grande stabilimento meccanico, che vi rimbomba nell'orecchio, vi sorprende col suo ordine, e, dopo un pezzo, con l'eguale e misurato attrito di leve, di corregge, di ruote, vi ammalinconisce e vi fa desiderare l'aperto; essa, al contrario, è quella ansiosa e febbrile di un veglione, che vi mette addosso la febbre dell'emozione, vi pizzica le gambe, e vi circonda il cervello di un'atmosfera satura di forza alcoolica. E questa vita di Napoli è immensa, indescrivibile, anche con tutto il colore della scuola veneta; è una confusione rumorosa, quasi eguale di giorno e di notte; e un miscuglio di centomila voci diverse di un esercito di venditori ambulanti; è lo scalpiccio affrettato di un popolo che si affolla ciarliero, vivace, chiassoso, per le sue vie lunghe, strette e serpeggianti; è un rimbombo fragoroso di carrozze innumerevoli, che s'incrociano, si rasentano, s'inseguono, e la sera sembrano tanti fuochi fatui; è l'onda di un gran fiume perennemente ingrossato dalle pioggie e dalle nevi de' monti vicini. Una vita immensa in un ozio immenso.
  • Qualunque giorno, a Napoli, vi parrà un giorno straordinario. In prima vi sentirete stordito, in mezzo a gente che non parla ma urla, che gestisce, tanto vivacemente, da parere sul punto di venire alle mani; ma poi, a poco a poco, vi piacerà tanta confusione faccendiera, e sentirete scorrervi più velocemente il sangue nelle vene, e, senza volerlo, vi butterete dietro le spalle ogni cura, e vi parrà che tutta quella gente sia uscita di casa per farvi festa, e in mezzo a quell'aria calda, all'espansione che indovinate intorno a voi, sentirete anche voi il prurito dell'espansione.
  • Se sogno Roma, vedo una piazza infuocata, un obelisco, una fontana, una rovina e una donna formosa; se penso a Firenze, un bel palazzo, una bella via, una bella statua; se penso a Venezia, un canale, una gondola, un palazzo antico, e una schiera di colombi che svolazza intorno a un campanile; se penso a Milano, un masso gigantesco di marmo scolpito, un velo nero sopra una treccia bionda, una piazza animata, una via lontana e quieta, e poi, in là, una sterminata pianura. Ma quando sogno Napoli, vedo una gran luce, un grande azzurro di mare e di cielo m'abbaglia gli occhi e mi sento trascinato da quella vita, che mai non resta, in quel fragore perenne
  • Chi bada in Napoli al suo decoro? Certo, chi dovrebbe no. Lascia fare e lascia correre – ecco la frase filosofica, sacramentale d'ogni indifferente partenopeo, sia egli in alto nella cosa pubblica o le passi accanto tranquillo.
  • In verità, quanta somiglianza di costume tra que' napoletani del tempo di Nerone e i napoletani del tempo nostro! Ecco Petronio che ci descrive un mercato di panni vecchi, così come oggi lo vediamo al Carmine e a Porta Nolana; ecco il cantastorie, tolto di mira dagli scugnizze del tempo; ecco una erbivendola che si sgola a un canto di strada; ecco Gitone e il barbiere d'Encolpio che, a braccetto, nella notte serena, se ne vanno a Crotone e cantano a distesa, o, come si direbbe adesso, a ffigliole. Un cuoco, al famoso convito di Trimalcione, mette in tavola le lumache cum tremula taeterrimaque voce accompagnando la leccornia: e così ricordiamo il nostro maruzzaro[25]e la maniera e il tono di quel suo canto che s'indugia a vantare 'e maruzze[26]d' 'a festa ca so' meglie d' 'e cunfiette. E quante forme, quasi uguali, di locuzioni e d'apostrofi! Quelli antichi partenopei dicono urceatim plovebat e noi diciamo chiuveva a langelle: dicono bonatus, e noi diciamo abbunato[27]. Per dir tu non sei del bottoneNon appartieni alla nostra combriccola.quelli dicevano non es nostrae fasciae; e la frase nescio cui terrae filius[28] tenea luogo di nun saccio a chi figlio 'e p...; e nun aiza 'a capa 'a copp' 'o libro si diceva caput de tabula non tollit. Le lievi ferite, all'uso nostro, erano medicate con la ragnatela... at Giton... primum aranei oleo madentibus vulnus... coartivit... Qualcuno diceva Dies nihil est, dum versas te nox fit[29]: – e voleva dire: – 'a jurnata è corta: mentre ca te vuote e te ggire s'è fatto notte. Ma che! Se non mi sbaglio anche il vernacchio è greco. Parla non so qual tronfio oratore alla mensa trimalcionica ed ecco qualcuno che, all'ultime enfatiche parole del conferenziere, oppositaque ad os manu nescio quid tetrum exibilavit, quod postea graecum esse adfirmabat![30]
  • La mia fissazione è questa, che Napoli è una città disgraziata, in mano di gente senza ingegno e senza cuore e senza iniziativa.
  • Napoli è una città bella e singolare – singolare principalmente. Le sue cose rare sono mescolate alle comuni – le nobili alle volgari – a pochi passi dal silenzio è il rumore – prossimi a' luoghi più luminosi ed aperti sono le ombre e il mistero – accanto a un monumento medievale è un lurido fondaco o un vicolo e, forse, alle spalle d'un tempio un lupanare. Ciò che è qui da per tutto, è la vita: la sanguigna vita popolana, pulsante e ininterrotta, che passa e si rincorre e scivola lungo i muri del monumento e del tempio, che s'addensa e si sparpaglia, e s'agita ed urla o impreca, sotto un fulgido sole che par quasi la fecondi, e investa a un tempo col suo lume diffuso questa folla dell'ultima ora e i ruderi d'un teatro greco, e quel che fu il tempio insigne dei Dioscuri, e una chiesa angioina, e il pallido chiostro d'un antico convento di monache armene...
  • Napoli, [...] questo strano cuore d'Italia che patisce, se lo si considera bene, di tutti i mali cardiaci, dell'aritmia, dell'iperestasia, dei ribollimenti subitanei e delle lunghe paci silenziose, da' battiti lenti, quasi malati.
  • [L'uccisione di Masaniello e lo scempio del suo corpo] Triste storia, che, peculiarmente, dimostra come il popolo napoletano, la plebe per meglio dire, non abbia mai avuto una coscienza propria: abituata a servire, s'è macchiata, in servitù, fin del sangue suo stesso. Essa ha avuto sempre lo sciagurato destino degl'ignoranti e le sue lacrime postume non hanno cancellato mai più certe crudeltà e certi delitti i quali, tuttavia, la fanno più degna di pietà che d'odio.
  • Il posto è bello, ma molto meno di quanto la gente non dica. Il famoso golfo, secondo me, come veduta, è incomparabilmente inferiore a quello di Genova, che è quanto di più bello abbia mai visto. Nemmeno la città, dal canto suo, è paragonabile a Genova, con cui in Italia nessuna regge il confronto, salvo Venezia.
  • Napoli in sé, invece, almeno un po' mi ha deluso. Il golfo non mi pare bello come quello di Genova, non è facile scorgerne o coglierne la linea, e l'effetto delle montagne è sciupato dalle sue dimensioni. La vita per le strade non è pittoresca e insolita neanche la metà di quanto i nostri sapientoni giramondo amino farci credere.
  • Napoli mi ha ampiamente deluso. È pur vero che il tempo è stato brutto per gran parte della mia permanenza là, ma se non vi fosse stato il fango, vi sarebbe stata la polvere. E se anche avessi avuto il Sole, avrei comunque avuto anche i Lazzaroni, che sono così cenciosi, così luridi, abietti, degradati, immersi e imbevuti nella più totale impossibilità di riscatto, che renderebbero scomodo anche il Paradiso, semmai dovessero arrivarci. Non mi aspettavo di vedere una bella Città, ma qualcosa di più piacevole della lunga monotona filza di squallide case che si stendono da Chiaia al Quartiere di Porta Capuana, sì; e mentre ero piuttosto preparato all'idea di una popolazione miserabile, mi aspettavo comunque di vedere qualche straccio pulito ogni tanto, qualche gamba che ballasse, qualche viso sorridente, abbronzato dal sole. La realtà, invece, è che, se penso a Napoli in sé per sé, non mi resta un solo ricordo piacevole.
  • Noi che pur siamo amanti e ricercatori del pittoresco, non dobbiamo fingere di ignorare la depravazione, la degradazione e la miseria a cui è irrimediabilmente legata l'allegra vita di Napoli!
  • Camminiamo, camminiamo insieme su queste nostre belle strade inondate di sole, e combiniamo insieme mille grandiosi affari. E quando ne avremo concluso uno grandissimo – la vendita della Villa Nazionale per suoli edificatorî io ti offrirò un caffè e tu mi offrirai una sigaretta. E ci prenderemo a braccetto e passeggeremo. E poi così domani, e poi sempre, fino alla morte. Non avremo concluso nulla, ma avremo avuto sempre – e quanti ce li avranno invidiati! – un canto nell'anima e un sogno nel cuore.
  • Dalla terra impastata, vivificata dal fuoco esso trascorre, e non solo per vecchia metafora, nelle vene e nel sentimento degli esseri umani che felicemente popolano Napoli. E come il fuoco non è sempre visibile ed esplosivo, ma talvolta inerte e sonnolento – non mai morto – sotto strati di cenere o in remoti cuniculi, così anche nella storia degli uomini di queste terre e nelle loro singole esistenze, la virtù ignea trapassa dalla morte apparente a uno slancio vitale così impetuoso da portare a distruzione implacabile, mentre il più delle volte, e più pacificamente, genera pensieri profondi, opere d'arte, inimitabili modi di vita.
  • Il popolo napoletano, dunque, ignora la via della saggezza, la quale, al pari della virtù, sta nel mezzo.
    Egli è sanfedista, ma se non è sanfedista è giacobino. Al '60 non fu mai cavouriano: o era legittimista sfegatato, o era garibaldino, perché Garibaldi aveva la capelliera bionda, la camicia rossa e la voce dolce.
    Non fu sempre così, il napoletano. La maledetta rivoluzione francese con le sue maledette idee di libertà e d'uguaglianza venne a guastare irrimediabilmente il sangue di un popolo mirabilmente apolitico, iniettandogli il bacillo giacobino.
  • [C'è un colore locale, superficiale ed appariscente che può attrarre ed appagare gli stranieri] Ma c'è l'altro colore locale, quello che riguarda noi, i nativi, ed è meno appariscente ed è assai più caro al nostro sentimento. E che cos'è? E perché ci si tiene tanto, al punto che ogni colpo di piccone, ogni colpo di scopa, ogni colpo di pennello è come una stretta al cuore? È assai difficile spiegarlo: è un indefinibile, è un inafferrabile, è un complesso di mille cose impalpabili. Sono migliaia di ricordi ammucchiati in un punto, sono abitudini millenarie localizzate in un altro, sono tutte le gioie e i dolori di un popolo che hanno lasciato la loro traccia in quella piazza, in quel vicolo, su quella casa. È l'amore disperato per tutto ciò che fu dei nostri padri e dei nostri nostri nonni e degli avoli ancora più lontani, è il fatto fisico del nostro occhio stesso, conformato, attraverso più generazioni, a vedere le cose disposte in quel modo, in quell'ordine, con quelle tinte.
    Di colore locale, in questo senso inteso, è fatta tutta la poesia napoletana, quella vera, tutta la pittura napoletana, quella vera. E quando si distrugge questo colore locale è un pezzo di poesia in potenza che se ne va, è una pittura in potenza che se ne va.
  • Noi napoletani abbiamo tutti, nel nostro foro interiore, un Pulcinella che ci ammonisce.
  • Persino il verbo camminare, che in lingua vale a designare la normalità dell'animale in moto, nel dialetto napoletano assume un significato fantastico. Che cosa è un cavallo che corra molto? È appena un cavallo cammenatore. Ma avete sentito mai parlare di un uomo cammenatore?
    Eppure il napoletano qualche volta corre. Allorquando Mariantonia fu avvertita del terremoto, stirandosi dal letto e sbadigliando, rispose pacifica: Mo... mo... Ma se a Mariantonia avessero detto: «Dal terrazzo si vedono le granate del Carmine», Mariantonia si sarebbe precipitata dal letto e, magari nuda, sarebbe corsa sul terrazzo.
    Il napoletano corre quando può vedere qualcosa.
  • Ricordate il lamento di Barcinio, nella duodecima egloga dell'Arcadia? Dunque, miser[31], perché non rompi, o scapoli | tutte l'onde in un punto, ed inabissiti: | poi che Napoli tua non è più Napoli? Già Napoli non era più Napoli all'aprirsi del secolo XVI! E che cosa direbbe oggi, se tornasse al mondo, quel bravissimo uomo del Sannazzaro?
    Direbbe che è scomparsa persino quella tradizionale cortesia, che a una giovinetta, cui si fosse detto che era bella, faceva rispondere, coperte le guance di pudico rossore: «sono belli gli occhi vostri». Direbbe che è scomparso persino l'amore, e Napoli era l'ultima rocca dell'amore romantico e sentimentale, cioè dell'amore.
  • Veramente c'è da discutere sul verbo camminare applicato al napoletano. Anzi, io voglio appunto dire che il napoletano ignora che cosa sia camminare, mentre sa assai bene cosa significa passeggiare. Il napoletano non cammina mai, ma passeggia sempre: anche se sia il napoletano più attivo, più energico, più preso dagli affari, più difettoso di tempo.
  • Forse ora è tardi per risuscitare la Tradizione di Napoli. Ma, per coloro che ancora cercano di denigrarla o vogliono ignorarla, lì stanno le sue vestigia; nei libri che non si leggono, nel popolo che viene disprezzato, nel cuore di molti che inconsciamente le sentono come io le sento. Perciò passeggiando tanti pomeriggi nella rumorosa via Toledo ho sofferto la tristezza profonda della solitudine, consolata solo dalla voce serena dell'ultimo tradizionalista napoletano, Silvio Vitale, quando il richiamo che sentivo nel più profondo del mio essere mi diceva che era impossibile finisse così il popolo dei miei antenati, ricco di lealtà generosa, creatore di grandi libertà concrete, paladino di imprese universali. Morirò, ma voglio morire con la speranza che, anche se sepolta e derisa, la tradizione della mia Napoli non può restare inerte archeologia. La giustizia di Dio non può permettere che muoia tra lubridi un popolo che è stato strumento di Lui nelle battaglie decisive della storia. Neanche se, come sembra accadere, i Napoletani si sono lasciati andare nella pazzia di un suicidio collettivo.
  • I re delle Spagne sapevano che le Spagne non erano uniformi, ma varie; che Napoli era uno dei popoli spagnoli, ma con personalità culturale e politica peculiarissima; che coltivare questa personalità era uno dei doveri dei suoi re; che Napoli non era popolo da assimilare, ma da proteggere nel culto delle sue proprie caratteristiche. I re delle Spagne furono re della Tradizione, non imposero a Napoli né leggi né lingua castigliana, non furono castigliani dominatori di Napoli, ma re strettamente napoletani.
  • Quando, nel 1860, si realizzerà l'unità risorgimentale sotto il simbolo barbuto, piemontese, europeo e anticlericale di Garibaldi, il corpo morto del Regno di Napoli si dissolverà come cadavere da cui centocinquanta anni addietro era volata via l'anima.
    Ma l'Europa vincitrice non perdonò a Napoli l'aver combattuto per la causa della Cristianità. I vinti pagano e Napoli paga ricevendo il disprezzo dei vincitori, né più né meno degli altri popoli spagnoli. Il prezzo fu qui ancor più doloroso perché veniva dai "fratelli" del nord della Penisola, anche dai fiorentini e dai veneziani che in altri tempi avrebbero voluto dare il Regno di Napoli in mano ai turchi. La famosa questione meridionale non era né è altro che l'inadattabilità di Napoli, a causa dei suoi residui di ispanismo, alle concezioni europee che, sulla punta delle baionette, avevano innalzato gli invasori garibaldini.
  • Ah, che città, diceva a mia figlia zia Lina, che città splendida e significativa: qua si sono parlate tutte le lingue, Imma, qua s’è costruito di tutto e s’è scassato di tutto, qua la gente non si fida di nessuna chiacchiera ed è assai chiacchierona, qua c’è il Vesuvio che ti ricorda ogni giorno che la più grande impresa degli uomini potenti, l’opera più splendida, il fuoco, e il terremoto, e la cenere e il mare in pochi secondi te la riducono a niente.
  • È una metropoli che ha anticipato e anticipa i mali italiani, forse europei. Perciò non andrebbe mai persa di vista. [...] Ciò che potremmo essere, su questo pianeta, e ciò che invece disgraziatamente siamo, a Napoli si vede meglio che altrove.
  • Ora cercava testimonianze di viaggiatori stranieri dentro cui le pareva di rintracciare incanto e repulsione mescolati insieme. Tutti, diceva, tutti, di secolo in secolo, hanno lodato il grande porto, il mare, le navi, i castelli, il Vesuvio alto e nero con le sue fiamme sdegnate, la città ad anfiteatro, i giardini, gli orti e i palazzi. Ma poi, sempre di secolo in secolo, sono passati a lagnarsi dell’inefficienza, della corruzione, della miseria fisica e morale. Nessuna istituzione che dietro la facciata, dietro il nome pomposo e i numerosi stipendiati, funzionasse davvero. Nessun ordine decifrabile, solo una folla sregolata e incontenibile per le strade ingombre di venditori d’ogni possibile mercanzia, gente che parla a voce altissima, scugnizzi, pitocchi. Ah, non c’è città che diffonda tanto rumore e tanto strepito come Napoli.
  • È una delle più grandi città del mondo, come New York, New Orleans, San Francisco, tutte vicino all'acqua e aperte ai flussi migratori.
  • Napoli è un punto di riferimento culturale per l'intero Mediterraneo, è stata una tra le culle della civiltà occidentale, ha saputo esportare tutto il suo bene e anche tutto il suo male in giro per il mondo, come solo le grandi città sanno fare. E penso a New York, San Francisco, New Orleans, Londra, Liverpool: tutte città caratterizzate da grandi povertà e altrettanto grandi splendori. Rispetto a tutti questi luoghi, però, Napoli può vantare un elemento in più, al pari della sola New York. E si tratta della caratteristica che ho provato a catturare col mio documentario «Napoli Napoli Napoli».
  • Napoli mi ricorda la New York anni '90: c'è la stessa violenza, la stessa energia.
  • Penso che Napoli riuscirà a sopravvivere a tutto, è una città molto dinamica che non è mai cambiata. La mia famiglia proviene da quel luogo ed è come se avessi dei legami di sangue con questa città. La città è stata un centro culturale del mondo dal suo primo giorno.
  • A ben vedere, la friabilità del tufo, la sua eterna disponibilità a ritornare alla natura, proprio come accade nei templi Maya affondati nelle foreste dello Yucatan, costituisce l'insegnamento più profondo che si può trarre da quella città fatta di tufo che è Napoli. Una simile riflessione getterebbe un ponte ideale verso la lenta ginestra di Leopardi, verso la natura indifferente alla storia.
  • I libertini, spiega [il Marchese de Sade], hanno nel sangue le forze telluriche del Vesuvio, mentre le persone ordinarie sono piatte come le pianure del vercellese.
    È con questo mantra per la testa che giro per le vie di Napoli infastidito come un leghista di una volta e insieme sottomesso a una realtà più profonda infinitamente più antica di quelle che posso trovarmi tra le vie squadrate che portano i nomi di arciduchesse sabaude: proprio la vita dell'antichità, commentava Nietzsche e ripeteva Wilamowitz. Nelle insensate processioni della Madonna dell'Arco riemergono le usanze delle fratrie greche che nessun cristianesimo è riuscito ad addomesticare. Nelle donne grassissime e panterate che girano in moto come se le ruote facessero parte del loro corpo riappare il Pantheon pittoresco che, non dimentichiamocelo, era bianco e composto solo per i gentiluomini della Virginia del diciottesimo secolo. Il tratto dominante nascosto sotto la dolcezza dei paesaggi e la mitezza delle persone è in effetti l'orrore.
  • [Napoli] è rimasta città di corte. Come Torino. Solo che Torino è una città piccola, poco più di un villaggio, ma i pochi plebei che l'hanno da sempre abitata sono sta­ti messi in riga, facendogli fare pri­ma i soldati e poi gli operai. A Na­poli, invece, non c'è mai stato un vero esercito; ma un milione di per­sone che non osserva nessun tipo di regole e dei borghesi subordina­ti ad essi, subalterni, che ne hanno paura.
  • Napoli non ha mai creduto alla modernità ed è per questo che è naturalmente postmoderna e decostruzionista.
  • Buenos Aires è la città in cui sono nato. Conosco la sua bellezza e i suoi problemi. È vero che Napoli può ricordare qualcosa di lei. Ma sono città diverse. È vero anche che l'estro di Maradona può rappresentare in qualche modo l'estro collettivo di queste due città del Sud. La creatività. Il saper guardare oltre. L'importante è sempre che l'estro non sia mai fine a se stesso, ma sia sempre rivolto a un buon fine
  • L'allegria. Il pensare positivo. La resilienza. La generosità. Sono queste le doti di Napoli che ammiro di più. Insieme alla capacità di vedere davvero i poveri, di guardarli negli occhi e di non restare indifferenti. Penso che dai napoletani ci sono tante cose da imparare
  • La malavita non è solo un problema di Napoli. Per me il vero volto di Napoli è un altro. È quello della gente buona, accogliente, generosa, ospitale, creativa nel bene. È quello delle bellezze naturali del suo golfo, che incantano chiunque abbia avuto il privilegio di vederle rimanendone incantato e conservando il desiderio di potere un giorno tornare. È vero però che possiamo partire anche da Napoli per parlare dell'oltraggio fatto ai bambini quando li si priva della loro innocenza, li si deruba della loro infanzia, per portarli sulla strada del crimine. Non dobbiamo scaricare sui più piccoli le nostre colpe.
  • Napoli è sempre pronta a risorgere, facendo leva su una speranza forgiata da mille prove, e perciò risorsa autentica e concreta sulla quale contare in ogni momento. La sua radice risiede nell'animo stesso dei Napoletani, soprattutto nella loro gioia, nella loro religiosità, nella loro pietà! Vi auguro che abbiate il coraggio di andare avanti con questa gioia, con questa radice, il coraggio di portare avanti la speranza, di non rubare mai la speranza a nessuno, di andare avanti per la strada del bene, non per la strada del male, di andare avanti nell'accoglienza di tutti quelli che vengono a Napoli da qualunque Paese: siano tutti napoletani, imparino il napoletano che è tanto dolce e tanto bello! Vi auguro di andare avanti nel cercare fonti di lavoro, perché tutti abbiano la dignità di portare il pane a casa, e di andare avanti nella pulizia della propria anima, nella pulizia della città, nella pulizia della società perché non ci sia quella puzza della corruzione!
  • Se penso a Napoli, alla sua storia, alle difficoltà che la hanno attraversata, penso anche alla straordinaria capacità creativa dei napoletani. E penso a come la si possa usare per tirare fuori il bene dal male, la gioia di vivere dalle difficoltà, la speranza anche laddove sembra ci sia solo scarto ed esclusione. A questo ruolo di esempio, penso Napoli possa sentirsi chiamata.
  • Voi appartenete a un popolo dalla lunga storia, attraversata da vicende complesse e drammatiche. La vita a Napoli non è mai stata facile, però non è mai stata triste! È questa la vostra grande risorsa: la gioia, l'allegria. Il cammino quotidiano in questa città, con le sue difficoltà e i suoi disagi e talvolta le sue dure prove, produce una cultura di vita che aiuta sempre a rialzarsi dopo ogni caduta, e a fare in modo che il male non abbia mai l'ultima parola. Questa è una sfida bella: non lasciare mai che il male abbia l'ultima parola. È la speranza, lo sapete bene, questo grande patrimonio, questa "leva dell'anima", tanto preziosa, ma anche esposta ad assalti e ruberie.
  • Addio, Napoli mia, e, se l'ira del tuo vulcano non ti tocchi in eterno, vogli compatire il piccolo figlio d'una delle tue cento fortunate sorelle, che limpida e sconfinata, come la serenità del tuo cielo, vorrebbe la purezza della tua grande anima di fuoco.
  • Di patria, d'Italia, di nazionalità non occorre parlarne. Essi sono napoletani e basta, ed il resto degl'Italiani, dal lato Nord son Piemontesi, dal lato Sud cafoni e niente altro.
  • Dio si deve esser pentito d'essersi lasciato cadere questo pezzo di paradiso su la terra. Per correggere lo sbaglio, ha aperto quaggiù gole d'inferno che vomitan fiamme e minacciano distruzione da ogni parte, ma, per il suo scopo, ha fatto peggio che a lasciar correre.
  • Il fascino di questo abbrustolito Prometeo [Vesuvio], che avviva con la sua anima di fuoco tutte le membra della bellissima sfinge posata voluttuosamente ai sui piedi, è qualche cosa di strano, qualche cosa di irresistibile.
    Scendete alla riva di Santa Lucia, o a Mergellina; salite alla rocca di Sant'Elmo, al Vomero, a Posillipo, a Capodimonte, od in qualunque altro luogo donde si scorga la sua mole fantastica, e contemplate.
  • Nessun paese al mondo, io credo, conserva al pari di Napoli così scarsa e non pregevole quantità dì tracce monumentali delle dinastie che vi si sono succedute nel dominio. La ragione di questo fatto credo non possa ripetersi altro che dalla breve durata delle singole occupazioni, e, più che da questo, dalle lotte continue che gl'invasori hanno dovuto sostenere fra loro per contrastarsi accanitamente questa agognata regione, tantoché le arti della guerra mai non hanno dato una tregua abbastanza lunga, da permettere l'incremento di quelle della pace, che ogni invasore avrebbe potuto, o buone o cattive, trapiantarvi dal proprio paese.
  • Quante volte dal folto di questo pandemonio, allorché udivo appena il cannone di Sant'Elmo scaricato a mezzogiorno negli orecchi di Napoli, ho mandato un pensiero e un sospiro alla languida signora dell'Adriatico, ai suoi vuoti palazzi ed al silenzio de' suoi canali che lascia intendere il fiotto dei remi d'una gondola lontana e il tubare de' colombi su le cuspidi delle sue torri affilate! − Bellissime ambedue queste regine del mare, ma quanto diversamente belle! − Su la laguna posa languidamente la bellissima e pallida matrona, stanca sotto il peso degli anni, povera in mezzo alle sue gemme, ma ricca d'orgoglio per antica nobiltà. Ai piedi del Vesuvio, la voluttuosa e procace Almea, balla in ciabatte la tarantella, e canta e suda povera di tutto, ma ricca di speranze, di giovinezza e di sangue. Quella si nutrisce di mestizia e di gloria; questa, di maccheroni e di luce. Quella coperta di laceri broccati, ma lindi; questa seminuda e lercia, dalle ciabatte sfondate alla folta chioma nerissima ed arruffata.
  • S'io ti dovessi dipingere i colori del camaleonte o disegnarti le forme di Proteo, in verità mi sentirei meno imbrogliato che a darti una netta definizione di quello che mi è sembrato essere il carattere di questo popolo.
    È così instabile, così pieno di contradizioni; si presenta sotto tanti e così disparati aspetti dagli infiniti punti di vista da cui può essere osservato, che su le prime è impossibile raccapezzarsi. Ad un tratto ti sembreranno ingenue creature e ti sentirai portato ad amarle; non avrai anche finito di concepire questo sentimento che ti appariranno furfanti matricolati. Ora laboriosissimi per parerti dopo accidiosi; talvolta sobrii come Arabi del deserto, tal'altra intemperanti come parasiti; audaci e generosi in un'azione, egoisti e vigliacchi in un'altra. Passano dal riso al pianto, dalla gioja più schietta all'ira più forsennata, con la massima rapidità, per modo che in un momento li crederesti deboli donne o fanciulli, in un altro, uomini in tutto il vigore della parola; insomma, la loro indole non saprei in massima definirla altro che con la parola: anguilliforme, poiché ti guizza, ti scivola così rapidamente da ogni parte che quando credi d'averla afferrata, allora proprio è quando ti scapola e ti lascia con tanto di naso e con le mani in mano.
  • Strano paese è questo! Quale impasto bizzarro di bellissimo e di orrendo, di eccellente e di pessimo, di gradevole e di nauseante. L'effetto che l'animo riceve da un tale insieme è come se si chiudessero e si riaprissero continuamente gli occhi: tenebre e luce, luce e tenebre.
  • Son troppi quelli che abbisognano di lavoro, di fronte al movimento industriale e commerciale del paese, onde molti, lo ripeto, rimangono involontariamente inoperosi; ma quando offriamo loro da lavorare, è un'atroce calunnia, almeno ora, il dire che lo ricusino, perché hanno mangiato. Sono stato troppe volte e sul molo e nei quartieri poveri, dove abbondano gli sdraiati e gli addormentati e troppe volte ho fatto la prova, destandoli e incaricandoli di qualche piccola commissione e qualche volta anche grossa e faticosa, e mai mi son sentito rispondere il famoso aggio magnato. Sorgono in piedi come se scattassero per una molla, si stropicciano gli occhi e per pochi centesimi si mettono alle fatiche più improbe, fanno due chilometri di strada correndo, e ritornano ringraziandovi, domandandovi se comandate altro, e scaricandovi addosso un diluvio di eccellenze e di don, come se avessero da voi ricevuto il più grosso favore del mondo.
    Gli ho osservati nelle loro botteghe, passando per le vie, ed ho visto che lavorano; sono stato a visitare opificj e ne sono uscito con le mie convinzioni più radicate che mai. Non contento de' miei occhi, ne ho domandato ad alcuni direttori di stabilimenti manifatturieri, non napoletani e perciò non pregiudicati, e tutti mi hanno confermato nella mia scismatica opinione. Chi ha gambe venga e chi ha occhi veda, e dopo, se è onesto, dovrà convenire con me che lo sbadiglio lungo, sonoro, spasmodico, che quell'aspetto di prostrazione fisica, che quelle fisonomie assonnate e quasi sofferenti per la noia che s'incontrano specialmente nelle città di secondo ordine delle altre provincie, fra le quali non ultima la nostra leggiadra Toscanina, a Napoli non le troverà certamente; e giri, e cerchi, e osservi pure a suo piacere, assolutamente non le troverà.
  • Ti dirò soltanto che da quel tempo in poi la camorra non ha mai cessato di esistere e che non cesserà mai, nonostante le sfuriate di persecuzione che si è preteso farle, finché non sarà affatto scomparsa l'ultima delle cause che le danno vita.
  • Togliete a Napoli il Vesuvio, e la voce incantata della sirena avrà perduto per voi le più dolci armonie.
  • Le chiese, i grandi musei, il Museo Archeologico Nazionale e quello di Capodimonte testimoniano ancor oggi che Napoli non fu mai provincia, bensì sempre non solo una città di residenza ma anche una fucìna di autentica cultura umanistica. Cosa ci resta di ciò oggi? Ebbene, da una parte, indubbiamente, sempre l'allegria sicula, che spinge le sue onde fin su a Napoli; dall'altra parte la musicalità napoletana. Non solo la musica nel senso letterale, bensì l'aspetto musicale in generale, questa singolare mesolanza di operosità, eloquenza, abilità e un sentimento di misura, che negli uomini del nord espèrio guardiamo sempre con ammirazione e meraviglia.
  • [Il primo incontro con Napoli nel 1971] Sceso dalla nave bighellonai, come capitava, senza una piantina della città, per i poveri quartieri che si affacciano sul porto. Era la domenica di Pasqua e vidi la seguente scena: era un luogo povero; ad un tratto, da una stanza all'ultimo piano di un palazzo, si aprì una finestra e una vecchia signora calò una lunga fune con un cesto dal quale alcuni bambini che giocavano presero dei pupazzi ritagliati dalla carta colorata, con una gioia che mi commosse fino alle lacrime: persone poverissime.
    Ciò che insegnava questo episodio è che la povertà, cosa dura, unita ad un vero amore, non esclude la gioia, ed una gioia, forse, più grande di quella che possono dare i più costosi trenini elettrici o gli aeroplani dell'industria per giocattoli americana.
  • Su iniziativa dell'Istituto italiano per gli Studi Filosofici giunsero insegnanti delle scuole con le loro classi di studenti, per poter discutere con me, nel corso di una mattinata, le questioni che essi si ponevano; e alcune grandi conferenze e discussioni, che tenni in alcuni grandi licei di Napoli, ebbero evidentemente una così enorme risonanza che gli stessi organizzatori ne rimasero sbalorditi: una bella testimonianza di come in una città povera, in cui il lavoro è duro e incerto, si mostri vitale anche l'amore per la cultura. Queste sono state per me tutte esperienze nuove; avendone fatto tesoro, mi hanno aiutato anche dopo il mio ritorno in Germania.
  • I napoletani sono vivi, ciarlieri e gesticolosi all'eccesso, e non è meraviglia che non abbiano potuto soffrire l'Inquisizione. Sono avidi di feste e di spettacoli, e si sviluppa questo carattere in tutti i modi.
  • Ma più della situazione è bello il clima. Il cielo vi è quasi sempre puro e sereno: l'aria vi è salubre e libera, e non vi si sentono mai gli estremi del caldo e del freddo. Il suolo è di una fertilità meravigliosa. Tutto dunque invita a vivere e godere in questo angolo del mondo.
  • Napoli è situata rivolta a mezzogiorno e ad oriente sul pendio di una catena di colline oltremodo deliziose. Questa capitale col suo cratere, colle sue isole e montagne forma un colpo d'occhio ed una bellezza di situazione la più singolare. Tutti i luoghi presentano vedute così vaghe, così varie, così dilettevoli, che l'anima vi è rapita ed incantata. La principale è di osservare Napoli in alto mare.
Piazza San Domenico Maggiore, 2007
  • Era solo nelle grandi ricchezze naturali del luogo – la luce, il sole, l'azzurro incomparabile del cielo e del mare, la linea insieme aspra e dolce del paesaggio tirrenico, la non comune mitezza del clima – che le insufficienze enormi dell'abitato cittadino si scioglievano e davano luogo a un paesaggio urbano della vitalità e del colore di Napoli, per cui si poteva anche dimenticare, come spesso avveniva, che quella vitalità e quel colore erano il corrispettivo di una struttura sociale tragicamente caratterizzata dalla presenza dell'enorme massa sottoproletaria. [...] Per cogliere appieno quella che doveva essere allora[32]la bellezza della città, quale ce l'ha trasmessa anche la pittura del tempo, bisogna riferirsi in generale all'equilibrio complessivo dell'insieme dell'abitato col territorio e col paesaggio. Allora lo spettacolo è di una seduzione sottile e inebriante. Le cose sembrano respirare nello stesso tempo un'atmosfera vitalissima, carica di profondi e pesanti effluvi, e una vaga aura di morte. Io capisco molto bene Sciascia, quando dice qualcosa del genere per la sua Sicilia, e La Capria, quando parla del «ferito a morte», ferito da questa dolorosa dialettica tra una natura stupenda e una società senza sufficienti equilibri e cariche interne.
  • Il napoletanismo deteriore e il mito della napoletanità hanno un po' stravolto, anzi hanno stravolto parecchio, il significato di questo momento aureo[33], l'ultimo grande momento – finora! – della Napoli artistica e letteraria. Ne è venuta fuori la smania del bozzetto napoletano, del colore locale; la coltivazione dell'«umanità» napoletana, che sarebbe un'umanità più umana di ogni altra; lo spleen di una tavolozza di sentimenti lacrimevolmente patetici; il mito di una vitalità primigenia irreprimibile: insomma, un misto di scugnizzo, di anima bella, di piccolo mondo antico e di provincialismo estetico che a me pare un falso storico, una dannosa evasione dalla realtà e un autentico contributo alla diffamazione napoletana de se stessi.
  • Il sottoproletariato napoletano non è, del resto, un cane che si faccia portare a passeggio meccanicamente. All'irrazionalità della sua formazione storica corrisponde puntualmente l'imprevedibilità del suo comportamento socio-politico.
  • L'importante è che di Napoli non si faccia un feticcio, né come caso disperato, né come fatto di napoletanità. La napoletanità è tutta nella storia. Il caso disperato è un comodo luogo comune di evasione della responsabilità. Direi che mai come nel caso di Napoli va bene riconoscere alla questione molte radici, molte tendenze di sviluppo, molte possibilità di orientamento, molta disponibilità di forze attuali, molte potenzialità. E che, quindi, le risposte e le scelte semplicistiche, a una dimensione, sono proprio le meno responsabili, le meno coraggiose.
  • Napoli fu la base operativa della flotta cristiana che nel 1571 riportò sui turchi la decisiva vittoria di Lepanto, con la quale si pose un alt definitivo alla minaccia ottomana sui paesi cristiani del Mediterraneo. Per quanto non lo si ricordi, ancora più importante fu, tuttavia, la funzione strategica di Napoli nei confronti del teatro politico e militare italiano ed Europeo. Napoli, col Regno, fu infatti la retrovia, la seconda linea dell'azione spagnola nella Valle Padana, dove Milano apparteneva egualmente, dal 1535, alla Corona madrilena. Retrovia di Milano, fortezza e cittadella, per così dire, di Milano, fu perciò per due secoli Napoli.
  • Nel corso dei secoli, e specialmente con il consolidarsi dell'appartenenza al dominio romano, la città aveva acquistato pure una fisionomia di centro culturale magari un po' provinciale, ma tranquillo, dignitoso, informato: qualcosa come una piccola città universitaria dell'Inghilterra vittoriana. Nello stesso tempo, però, qualcosa anche come le città turistiche della Riviera ligure in cui dall'Inghilterra vittoriana si veniva a villeggiare o a svernare, in quanto fra Capri, Baia, Napoli a altri centri campani si andò sviluppando, fra il I secolo avanti Cristo e il I secolo dopo Cristo, la zona di soggiorno invernale, riposo, villeggiatura, svago più elegante dell'alta società romana. Fu in questa Napoli che Virgilio trascorse molti anni e scrisse le Georgiche, trasmettendone pure l'immagine serena, benché dolcemente malinconica nella sua malia. Negli ultimi anni dell'Impero romano in Occidente la città sembra presentare una fisionomia più composita, e anche – se così posso dire – meno composta. Sembra come se la dolcezza malinconica, virgiliana, si fosse stemperata nell'edonismo lascivo e vitalisticamente agitato, tumultuoso della città ideata da Petronio come scena del Satyricon.
  • Nel periodo fascista, in un'Italia e in un mondo mutati, col primo avvio della società consumistica, con l'incipiente trionfo della meccanizzazione di massa e dei mezzi di comunicazione di massa, la continuità voleva dire ristagno, degradazione, salto di qualità all'ingiù. E, infatti, è in questo periodo che, dopo le grandi fiammate del '700 e della belle époque, Napoli tende ancora più a provincializzarsi, si trova sempre più spinta ai margini delle correnti principali della vita sociale e intellettuale.
  • [La Mostra d'Oltremare] non esprimeva solo il coronamento dell'intervento a Fuorigrotta, ma una più generale visione della città, la visione che in ultimo se ne fece il fascismo: una Napoli volta verso il Mediterraneo e l'Africa, grande porto coloniale e militare, sostegno industriale e retrovia commerciale della potenza italiana oltremare e, perfino, base culturale dell'Italia africana, come si diceva allora, tramite l'Istituto Orientale e altre istituzioni universitarie ed extrauniversitarie. [...] Era, però, anche una visione pateticamente provinciale e ritardataria nel 1938-39.
  • Tutta «speciale» la politica per Napoli da un secolo a questa parte: regi commissari, commissari speciali, leggi speciali. L'eccezionale come norma, e come alibi della classe politica, soprattutto di quella impegnata a livello nazionale, nei riguardi dei problemi cittadini. Ed espressione anche dell'incapacità o difficoltà manifestate nel portare avanti uno sforzo o un disegno più ordinario, ma anche più costante e costruttivo.
  • Della passione generale de' nostri e della disposizione alla musica che giova ragionare? Ne abbiamo il primato; lo abbiamo da più secoli; lo abbiamo non contrastato, nè lo perderemo, se non se qualche tetro soffio di oltramontana calcolatrice filosofia, e la smania di migliorarci mutandoci, non verrà a turbare la nostra ingenita ilarità, l'espansione libera de' nostri polmoni, il nostro neghittoso scialare. Siane lontano l'augurio.
  • Il più gajo, il più placido, il più sofferente di tutti i popoli [...] il popolo più buono, ed il più innocente.
  • Merita anche rifessione, che non fono certamente i Napoletani nè i più loquaci , nè i più facondi tra le nazioni. Quel rapido culto cicaleccio de' Toscani, quel jolì cacquet de' Francesi è ignoto ai nostri. Il parlar con felicità, e con copiosa vena di parole è sempre un indizio di molta dose di delicatezza di spirito, e di scarsa sensibilità nel cuore. Le passioni non tormentando la mente resta questa chiara, serena, tranquilla, e trova felicemente, e tramanda agli organi le parole, e le frasi. Ma il Napoletano, l'ente della natura, che forse ha i nervi più delicati, e la più pronta irritabilità nelle fibre, se non è tocco da sensazioni tace: se lo è, e sian queste o di sdegno, o di tenerezza, o di giubilo, o di mestizia, di gusto, o di rammarico (che ciò non fa gran differenza) subito s'infiamma, si commuove e quasi si convelle. Allora entra in subitaneo desio di manifestar le sue idee. Le parole se gli affollano, e fanno groppo sulla lingua. S'ajuta co' gesti, co' cenni, co' moti. Ogni membro, ogni parte è in commozione, e vorrebbe esprimere. Così senza esser facondo è eloquentissimo. Senza ben esprimersi si fa comprender appieno, e sovente intenerisce, compunge, persuade. In quello stato d'accensione, e di convulsione, in cui allora è il Napoletano, le più impensate metafore, i più arditi traslati se gli paran davanti, e ne fa suo profitto. Forma quindi un discorso, e una sintassi, che sembra quello de' sacri Profeti, e degli orientali Poeti. [...] Le energiche imprecazioni , talvolta le abominevoli esecrazioni accompagnano, e figurano in questo tumulto di pensieri, e di subitanee espressioni. Qual sintassi vuol aspettarsi allora? Furor verba ministrat. Ma se l'animo acceso da violente passioni del Napoletano, che prorompe in gesti, in parole, in imagini, non osserva rettoriche regole, non sintassi, non grammatica, non vocabolario talvolta, è tale l'effetto di scuotimento che fa negli astanti che gli elettrizza tutti a segno, che facondia Toscana non v'è, che a tanto arrivi.
  • Tra tutti gli amori terreni niuno certamente è più lodevole, più onesto, quanto quel della Patria. E quantunque a ciascuno sembri la propria esserne la più degna, e sola senza divisione d'affetti, senza comparazioni, senza rivalità l'onori, e l'abbia in pregio e l'ami; pure se fosse permesso tra questi doverosi amori far parallelo, niuna Patria a noi ne pare tanto meritevole quanto Napoli per chiunque ebbe in sorte il nascervi cittadino.
  • A Napoli, come in tutti i paesi percorsi dallo Stretto Di Messina, le popolazioni furono sublimi d'entusiasmo e d'amor patrio, ed il loro imponente contegno contribuì certo moltissimo a sì brillanti risultati.
    Altra circostanza ben favorevole alla causa nazionale fu il tacito consenso della marina militare borbonica, che avrebbe potuto, se intieramente ostile, ritardare molto il nostro progresso verso la capitale. E veramente i nostri piroscafi trasportavano liberamente i corpi dell'esercito meridionale lungo tutto il littorale napoletano, senza ostacoli; ciò che non avrebbero potuto eseguire con una marina assolutamente contraria.
  • I pochi giorni passati in Napoli, dopo l'accoglienza gentile fattami da quel popolo generoso, furono piuttosto di nausea, appunto per le mene e sollecitudini di quei tali cagnotti delle monarchie, che altro non sono in sostanza che sacerdoti del ventre. Aspiranti immorali e ridicoli, che usarono i più ignobili espedienti per rovesciare quel povero diavolo di Franceschiello, colpevole solo d'esser nato sui gradini d'un trono, e per sostituirlo del modo che tutti sanno.
    Tutti sanno le trame d'una tentata insurrezione, che doveva aver luogo prima dell'arrivo dei Mille per toglier loro il merito di cacciar il Borbone, e farsene poi belli costoro presso l'Italia, con poca fatica e merito. Ciò poteva benissimo eseguirsi se coi grossi stipendi la monarchia sapesse infondere ne' suoi agenti un po' più di coraggio, e meno amor della pelle.
    Non ebbero il coraggio d'una rivoluzione i fautori sabaudi, ed era allora tanto facile di edificare sulle fondamenta altrui, maestri come sono in tali appropriazioni; ma ne ebbero molto per intrigare, tramare, sovvertire l'ordine pubblico, e mentre nulla avean contribuito alla gloriosa spedizione, quando poco rimaneva da fare ed era divenuto il compimento facile, la smargiassavano da protettori ed alleati nostri, sbarcando truppe dell'esercito sardo in Napoli (per assicurare la gran preda, s'intende).
  • In Napoli più che a Palermo aveva il cavourismo lavorato indefessamente, e vi trovai non pochi ostacoli. Corroborato poi dalla notizia che l'esercito sardo invadeva lo Stato pontificio, esso diventava insolente. Quel partito, basato sulla corruzione, nulla avea lasciato d'intentato. Esso s'era prima lusingato di fermarci al di là dello stretto, e circoscrivere l'azione nostra alla sola Sicilia. Perciò avea chiamato in sussidio il magnanimo padrone, e già un vascello della marina militare francese era comparso nel Faro; ma ci valse immensamente il veto di lord John Russel che in nome d'Albione imponeva al sire di Francia di non immischiarsi nelle cose nostre.
    Quello che più mi urtava nei maneggi di cotesto partito era di trovare le traccie in certi individui che mi erano cari, e di cui mai avrei dubitato. Gli uomini incorruttibili erano dominati con l'ipocrita ma terribile pretesto della necessità! La necessità d'esser codardi! La necessità di ravvolgersi nel fango davanti ad un simulacro d'effimera potenza, e non sentire, e non capire la robusta, imponente, maschia volontà d'un popolo che, volendo essere ad ogni costo, si dispone a frangere cotesti simulacri e disperderli nel letamaio donde scaturirono.
  • L'ingresso nella grande capitale ha più del portentoso che della realtà. Accompagnato da pochi aiutanti, io passai framezzo alle truppe borboniche ancora padrone, le quali mi presentavano l'armi con più ossequio certamente, che non lo facevano in quei tempi ai loro generali.
    Il 7 settembre 1860! E chi dei figli di Partenope non ricorderà il gloriosissimo giorno? Il 7 settembre cadeva l'abborrita dinastia che un grande statista inglese avea chiamato «Maledizione di Dio!» e sorgeva sulle sue ruine la sovranità del popolo, che una sventurata fatalità fa sempre poco duratura.
    Il 7 settembre un figlio del popolo, accompagnato da pochi suoi amici che si chiamavano aiutanti, entrava nella superba capitale dal focoso destriero[34]acclamato e sorretto dai cinquecentomila abitatori, la cui fervida ed irresistibile volontà, paralizzando un esercito intiero, li spingeva alla demolizione d'una tirannide, all'emancipazione dei loro sacri diritti; quella scossa avrebbe potuto movere l'intiera Italia, e portarla sulla via del dovere, quel ruggito basterebbe a far mansueti i reggitori insolenti ed insaziabili, ed a rovesciarli nella polve!
    Eppure il plauso ed il contegno imponente del grande popolo valsero nel 7 settembre 1860 a mantenere innocuo l'esercito borbonico, padrone ancora dei forti e dei punti principali della città, da dove avrebbe potuto distruggerla.
  • Trattavasi di rovesciare una monarchia per sostituirla, senza volontà o capacità di far meglio per quei poveri popoli, ed era bello veder quei magnati di tutti i dispotismi usar ogni specie di malefica influenza, corrompendo l'esercito, la marina, la corte, i ministri, servendosi di tutti i mezzi più subdoli per ottenere l'intento indecoroso.
    Sì, era bello il barcamenare di tutti cotesti satelliti, che si atteggiavano ad alleati del re di Napoli, consigliandolo, cercando di condurlo a trattative fraterne ed attorniandolo d'insidie e di tradimenti. E se non avessero tanto temuto per la loro brutta pelle, essi potevano presentarsi all'Italia come liberatori.
    Che bel risultato se potevano far restare con tanto di naso i Mille e tutta la democrazia italiana. Ma sì! Sono i bocconi fatti che piacciono a cotesti liberatori dell'Italia a grandi livree.
  • [Il napoletano] Paziente, trasmoda dalla sua pazienza, non la perde. Rinuncia all'attacco per attecchire nel luogo e nel tempo che gli è dato vivere. Non ha radici, ma il fusto interrato come una croce. Potremmo scalzarlo, ma l'arma della sua punta – l'unica ch'egli possiede – sempre lo porterebbe a cercare in ogni sistema, in ogni rapporto, l'eterna provvisorietà del suo appiglio. Chiameremo «reazionario» l'inane opportunista che difende la sua superficialità, la sua parte di spillo a furia di penetrazione, a furia di cadere e d'essere vibrato dall'alto?
    Io non so rispondere, ma vedo la morte ch'egli ha sulle spalle, quel suo bisogno di penetrare nelle sue ristrettezze come la zeppa di legno in uno spacco, il soliloquio delle parole tenere che nessuno mai gli dirà.
  • Se parliamo di Napoli, una città interrotta, sappiamo che «qualcosa» deve finire. Che sia l'inganno della distanza – quanto è più vicina – il fascino della sua verità?
    Il luogo comune nasconde il suo genio o tardi lo rivela, a nostre spese. Napoli è un idolo sconsacrato e ignoto, un avanzo di storia, al quale diamo un nome, una leggenda. La prendiamo in giro e per secondare il gioco, per divertirci, lei ci tiene a distanza. Non ha nulla da riconoscersi, prestigio o fama, ma fa sue le lodi di chi la cerca. Napoli è la nostra provocazione che le fa gioco. Questo deve finire.
  • Tra l'essere e il non essere, Napoli appare. Siamo davanti alle rovine di un paese felice da cui giungono i primi segni di vita.
    Gli scampati chini a raccogliere la propria ombra stendono il sole, luminoso prima che caldo. Si lasciano accogliere nelle strette di quel paesaggio ormai illeso e silenzioso al quale è stata tolta la parola. Di colpo, come da una pietra smossa, brulicano i bambini e al loro salto – di casa in casa, sembra –, al loro risalire, la platea di sasso scoscende nell'Ade o s'alza nella sua scena. La luce pesca tutti a uno a uno. Assenti le voci, e pure udite per quell'assiduo fervore, i vivi provano le braccia, le gambe, gli occhi di cui ancora non sanno che fare.
    Crediamo di vedere, remoto nel suo avvenimento, un passato giunto a noi da secoli di luce.
  • [Napoli] città sospesa che nel suo presente vive ancora il passato e costruisce il futuro, in un intreccio esaltante, doloroso e drammatico al tempo stesso.
  • Come la storia di un fiume non può essere letta senza scrutare i segni lasciati dalle acque in piena nel loro secolare corso verso il mare aperto, così la storia di questa città non potrà in avvenire essere compresa senza studiare le radici e le ragioni della eccezionale stagione vissuta in questi ultimi anni dal popolo napoletano, come inalienabile tappa del suo travagliato e doloroso cammino verso la propria emancipazione.
  • [Connota Napoli] l'ambiguità o, meglio, l'ambivalenza [...] della sua storia e delle sue vicende che possono essere lette in chiave di inarrestabile decadenza o in chiave di irrefrenabile vitalità. La mia – e non solo la mia – chiave di lettura è la seconda [...].
    E non perché sia estranea alla mia – alla nostra – coscienza l'immagine tragicamente presente a Pasolini, di quella parte della città che per non trasformarsi preferisce estinguersi. Al contrario: proprio perché ci è presente, siamo impegnati nella battaglia – politica, civile e culturale − per l'affermazione piena di quell'altra parte di Napoli, sino ad oggi largamente maggioritaria, che per non estinguersi vuole trasformarsi.
  • La crisi di Napoli non può essere letta con occhi antichi. Non si può decifrare chiudendosi nel ventre della città e girando nel dedalo dei vicoli, tra i fondaci fitti di voci e di bassi senza luce, nel tentativo di far rivivere le stupende «cronache» di Matilde Serao. Chi ci prova si perde, ricavandone un senso di mistero e di sgomento. Perché oggi nei vicoli descritti dalla Serao, assieme ai secolari malanni, spunta una nuova malattia sociale: il saturnismo, che esce dalle tipografie per aggredire i bambini attraverso il gas di combustione delle auto dilaganti ovunque; e sui bassi incombe l'ombra lunare di mostruosi grattacieli; e nei fondaci le donne cuciono guanti e scarpe che non rimangono nel circuito chiuso di una astorica «economia del vicolo» ma vengono venduti in Asia e nelle Americhe.
  • Puntando tutte le carte sul ruolo produttivo di Napoli e della regione, e indicando (orgogliosamente, certo, ma legittimamente) la funzione di Napoli come cerniera democratica nel processo di unificazione politica del Paese, il movimento operaio e democratico ha contribuito grandemente alla liberazione di una massa nuova e potente di energie, promuovendo il suo impegno su una prospettiva di rinnovamento economico e di sviluppo democratico del Paese e dello Stato. Per la prima volta nella sua storia: Napoli non contro ma per uno stato democratico e realmente nazionale. Per la prima volta: da Napoli un apporto decisivo alla unificazione politica del Paese. Per la prima volta: Napoli non palla di piombo ai piedi del Paese ma leva decisiva per un assetto nuovo e diverso dell'economia, della società e dello Stato italiano nel suo insieme.
  • Anche nell'abbandonarsi alle passioni più stravaganti, un napoletano si concede in genere un margine di ironia, di scetticismo, di scherzo giocoso: questa è una caratteristica che rimane inalterata nel tempo e che, anzi, viene accentuandosi. Il «sale attico» è versato a piene mani nella conversazione di ogni giorno, nei caffè come nei salotti, durante la passeggiata sulla Riviera o nel ridotto del San Carlo, alla stregua di una sorta di arte minore, che viene coltivata anche dai ceti meno accessibili alle curiosità erudite, fino ad entrare nella leggenda cittadina. È un costume che impronta di sé, anche all'estero, un secolo nel quale perfino la scienza, come osserva Francesco De Sanctis, assume un tono conversativo, e spiriti eminenti come Montesquieu e Buffon non disdegnano di mescolarsi ai brillanti convegni mondani e di divulgare in ogni forma, dall'epistolario agli articoli di giornale, un pensiero che non può restare più appannaggio di pochi eletti, nella misura in cui si propone di trasformare radicalmente la società.
  • Il periodo a cavallo del nuovo secolo coincide con l'ultima testimonianza che Napoli dà in forma globale della propria autonomia culturale ed etnica prima che la bufera della guerra mondiale la investa, trascinandola come un fiume di detriti nella marea dell'unità finalmente raggiunta, anche se a carissimo prezzo. Cantati da poeti e musicisti, narrati da giornalisti e romanzieri, rievocati da pittori e sospirati da intere generazioni di emigranti, i «tiempe belle 'e na vota» si trasfigurano nella memoria collettiva della città fino a confondersi con una mitica età dell'oro [...]. Paradossalmente, questa «età dell'oro» di Napoli, del suo dialetto e della sua arte cade nei decenni successivi alla perdita dell'indipendenza. Il brusco impatto con la «piemontesizzazione», poi quello meno violento con la comunità nazionale e la sua cultura (che del resto è sempre stata quella degli intellettuali napoletani) hanno l'effetto imprevedibile di rianimare il genio locale. È come se, nella luce del tramonto, gli abitanti della vecchia capitale rivedessero di colpo tutto il loro passato; come se un'ultima illusione trasformasse la misera plebe dei quartieri più fatiscenti nei popolani felici di Basile e Cortese, e i borghesi in landau alla Riviera di Chiaia nei grandi signori del Vicereame, nelle dame galanti e nei gentiluomini illuminati del secolo XVIII. L'esplosione è retrospettiva: non apre un discorso nuovo, chiude i conti con la vecchia capitale delle Due Sicile. A partire non sono soltanto gli emigranti: è tutta Napoli che indugia ancora per un istante sul molo della sua storia, prima di intraprendere la navigazione verso una terra che, nonostante tutto, è straniera per i quattro quinti della sua popolazione quasi quanto Buenos Aires o New York.
  • Ma da qual di questi padroni [succedutisi dall'XI al XVI secolo], in verità, sarebbero stati essi temprati a più alti sensi civici? Non certo dai monarchi stranieri degli ultimi cinque secoli, né tanto meno dai nobili furfanti con lo stemma baronale, non dai nugoli di frati e di preti che si dividono le loro spoglie mortali e terrorizzano la loro anima immortale, non infine da una borghesia comunale e mercantile che non ha fatto in tempo a conquistare nemmeno un simulacro di potere. Mantenuti deliberatamente in uno stato di superstizione, di ignoranza e di totale miseria, condannati a vegetare in condizioni igieniche degne di tribù trogloditiche e sterminati periodicamente da micidiali epidemie, quando a sgomentarli non siano le eruzioni del Vesuvio, i napoletani finiscono per ridursi alla funzione marginale del coro – un coro vociante, pittoresco, ma normalmente inoffensivo – nel dramma che si recita a loro spese tra «sedili», castelli e palazzi viceregnali.
    La mitezza del clima e l'incanto dell'ambiente naturale stanno, probabilmente, alla radice di questa rassegnazione. [...] Senza esagerare l'influenza di questi fattori, è ragionevole concludere che essi, riducendo al minimo le esigenze vitali, abbiano contribuito a sviluppare negli abitanti un'indole serena ed abitudini frugali che al momento opportuno, e non senza ripugnante cinismo, la classe dominante addurrà a pretesto per respingere ogni sollecitazione al progresso.
  • Toccato il fondo della disperazione, constatata per diretta esperienza la disintegrazione dei poteri costituiti, bruciata ogni fiducia nei valori tradizionali della società borghese, la popolazione più scettica e paziente d'Europa diventa paradossalmente la protagonista della prima rivolta europea contro la dominazione hitleriana. Tutti i ceti sociali, le donne, i giovanissimi partecipano alla rivolta. Vistosa è la sproporzione tra i miseri mezzi di cui dispongono i ribelli e lo strapotente armamento di un nemico che si ispira ad una concezione di guerra totale senza precedenti nella storia. La crescente vicinanza del corpo di spedizione angloamericano agevola, anche sotto il profilo psicologico, il compito dei patrioti; ma l'andamento delle quattro giornate di Napoli, dopo le prime trentasei ore di resistenza seguite all'annuncio dell'armistizio, documenta eloquentemente le qualità morali e il coraggio del popolo napoletano.
  • Ho già accennato alla tradizione: che cosa significa ed implica questa parola qui a Napoli? Essa è certamente evocativa di una storia antichissima, che risale alla prima "Palèpoli": dico la vicenda plurisecolare di una Città che ha visto fiorire al suo interno, come nella circostante Regione Campana, diverse culture e filosofie, le arti e le lettere, la musica e il canto, all'insegna di una civiltà, a cui il mondo riguarda tuttora ammirato. Ma voi capite benissimo come, dicendo tradizione, io qui intenda soprattutto quella tradizione religiosa cristiana, che ci è stata mirabilmente attestata fin dall'approdo dell'Apostolo Paolo nell'adiacente golfo di Pozzuoli, mentre era in viaggio verso Roma. Stando anzi all'esplicita testimonianza degli Atti degli Apostoli (At 28,14), egli trovò alcuni "fratelli" e, dietro loro richiesta, vi sostò sette giorni. Proprio l'accertata presenza di cristiani agli inizi degli anni Sessanta della nostra era, e la legittima deduzione che non poté certo essere sterile di frutti spirituali la permanenza del "Dottore delle Genti" in mezzo a loro, sono fatti che mi spingono a definire come letteralmente e autenticamente "apostolica" la vostra fede, a cui poi l'ininterrotto contatto con la Chiesa di Roma, nel corso dei secoli, ha conferito ulteriore sviluppo e compatta saldezza. Napoli non ha conosciuto mai distacchi e lacerazioni nella sua professione cristiana.
  • Napoli è una città ricca di storia, che spazia per circa tre millenni, fin dagli albori della civiltà greca all'inserimento fecondo e ormai più che secolare nella unificata compagine della Nazione italiana; è città ricca di vita, che pulsa ardente e vigorosa nell'intelligenza, nel dinamismo e nella ben nota, solare inventiva dei suoi figli; è città agitata da profonde speranze verso un avvenire pacifico, rispondente ai postulati fondamentali della giustizia e della dignità dell'uomo.
    Ma [...] la Metropoli partenopea è anche una comunità che ha le sue sofferenze nascoste o palesi, inerenti a problemi gravi e urgenti, la cui mancata soluzione comporta diffusi disagi e profondi drammi umani.
  • Napoli [...] merita questo interesse speciale; Napoli esige una diretta sollecitudine; Napoli ha bisogno di sperare: parlo della speranza nel suo vivere, nel suo futuro; parlo della speranza anche in senso umano e civile, la quale – come già il binomio giustizia e carità – è indissociabile dalla speranza più alta che arride, nella luce di Dio, alla vita cristiana.
    Coraggio, dunque, fratelli ed amici di Napoli! Voglio essere io il primo a sperare, augurandomi, augurandovi che, con l'aiuto del Signore provvidente, con lo sforzo coordinato e volenteroso dei buoni, nella fedeltà a tutta prova ai valori cristiani, possa profilarsi sull'orizzonte di questa Città fascinosa un periodo di più rigoglioso sviluppo per un futuro lieto e sereno, in tutto degno del suo grande passato.
  • "O sole mio". È un sole profondamente inciso nella storia. Napoli, "Neapolis", canta il sole, Napoli canta il Cristo.
  • È scoraggiante sotto qualunque cielo osservare i cambiamenti di Napoli. Lo sventramento prosegue e intere zone sono trasformate. Penso che sia un bene che l'ampio Corso Umberto I tagli il vecchio Pendino; ma quale contrasto tra il pittoresco di prima e la volgarità cosmopolita che ne ha preso il posto! «Napoli se ne va!»
  • Non ci sarebbe da stupirsi se il rimodernamento della città, insieme alla situazione generale italiana, avesse un effetto calmante sui modi napoletani. Sotto un aspetto le strade sono indubbiamente meno gaie. Quando venni a Napoli per la prima volta non si stava mai, letteralmente mai, senza sentire un organetto; e questi organetti che in generale avevano un timbro particolarmente armonioso suonavano le arie più brillanti; banali, anche volgari, se volete, ma sempre melodiose e care a Napoli. Ora la musica per le strade è rara, e sento che un regolamento di polizia ostacola già da tempo quei teneri strumenti. Ne sento la mancanza [...] (pp. 23-24)
  • Passo da Santa Lucia con gli occhi bassi, mentre i ricordi di dieci anni fa si fanno strada contro l'opaco presente. Il porto dal quale si partiva per Capri è colmato; il mare è stato scacciato a una disperata distanza, dietro squallidi mucchi di rifiuti. Vogliono fare un argine lungo e diritto da Castel dell'Uovo al Porto Grande, e tra non molto Santa Lucia sarà una strada qualunque, chiusa fra alti caseggiati, senza nessuna veduta. Ah, le notti che si passavano qui, osservando i rossi bagliori del Vesuvio, seguendo la linea scura del promontorio di Sorrento o aspettando che il chiaro di luna spandesse la sua magìa su Capri, a fiore delle acque! [...] Santa Lucia era unica. È diventata squallida.
  • A Roma, ad esempio, della antica città, della magnificenza della caput mundi oggi possiamo ammirare quanto è stato riportato alla luce per il suo valore archeologico, quasi in un cimitero debitamente recintato. Si possono ammirare o visitare i monumenti, i fori, gli scheletri vuoti dei templi, l'ossatura degli edifici, ruderi che pur testimoniandoci indubbiamente la grandezza di un'epoca che fu, restano avulsi dalla città vera e propria e circoscritti da barriere e confini.
    A Napoli, ben poco o quasi nulla è rimasto di monumentale o di artistico, in quanto il centro urbano ha subito attraverso i secoli una lenta graduale insensibile trasformazione ma, in compenso, negli stessi luoghi in cui gli abitanti della πολίς greca si recavano per concludere affari, divertirsi o pregare, ferve la vita, che a distanza di oltre venti secoli offre una continuità di costumi e di abitudini che dà la sensazione di essere fuori dal tempo. Questo vivere in un ambiente così fondamentalmente immutato ed immutabile spiega forse perché fra la nostra gente sia così vivo il senso della ineluttabilità del fato, del fluire incessante delle cose, dell'impotenza del genere umano di fronte all'eternità. Proprio il fatalismo imposto da questa consapevolezza è in parte responsabile della mancanza di riguardo dei napoletani verso il rudere o il monumento antico, ridotto diremmo, alla stregua di un oggetto di uso abituale.
  • Anche dopo le feste voi pensate che a Napoli le «regalie» siano finite? Vi sbagliate di grosso! Vi sentirete ancora dire: Signurì, buone fatte feste! Le mance hanno validità fino all'Epifania, e se non si aderisce si diventa oggetto di... mormorii poco benevoli e... si perde il saluto. «Eh! La miseria!» mi diceva un giorno Augusto Cesareo, «ma ti pare che dopo tutti quei soldi che abbiamo speso, ci dobbiamo ancora sentire... buone fatte feste?» E così il portalettere, il portiere, lo spazzino che a Napoli sta diventando... la primula rossa, perché non viene mai, non si vede mai, e se c'è... nessuno se ne accorge, nei giorni precedenti le feste si danno da fare, diventano persino premurosi.
  • Certo che se nell'entusiasmo del momento si intravede la scorza ruvida del lazzarone che in fondo in fondo ancora sopravvive, e se il divertimento degenera talvolta in rissa o in baccanale, bisogna cercare di comprendere questo popolo di lavoratori tenaci e silenziosi, ben lontano dal «cliché» del napoletano pigro e svogliato, anche se in qualche occasione è portato dal suo forte temperamento meridionale ad eccedere sotto alcuni aspetti.
    Le feste religiose, in realtà, sono per i napoletani un pretesto per fare una scampagnata e mangiare in trattoria o all'aria aperta con ceste portate da casa. È del carattere napoletano cercare di dimenticare gli affanni giornalieri, il solito monotono «tran tran» di tutti i giorni, tuffandosi nella diversità di un giorno solo con tutta l'intensità dei propri sensi fino a sentirsi pervasi da un'allegria totale che ha qualcosa di insano.
  • Dall'anima cattolicissima di Napoli non è mai scomparso un fondo di paganesimo che tinge di una qualità particolare i costumi religiosi del nostro popolo. Nelle superstizioni e nel fanatismo che due millenni di cristianesimo non sono riusciti a cancellare, vive forse ancora il ricordo degli antichi riti dei culti degli dei pagani.
  • È stato detto che San Gennaro è l'anima di Napoli. Si potrebbe dire qualcosa di più. San Gennaro è il sentimento di un popolo che, nonostante le sconfitte, le delusioni, le amarezze patite nella sua lunga e dolorosa storia, trova ancora la forza di sperare, di lottare, di vivere.
  • L'alta civiltà del popolo napoletano è racchiusa proprio in questa sua immensa generosità, in questa possibilità di dare e di prendere tanto dal nulla, dalle piccole cose, da una infinitesimale soddisfazione morale, o da un minimo sollievo materiale; e si concretizza nel suo saldo amore per la famiglia, che per le feste si riunisce ed attraverso di esse si cimenta e resta ancora unita, oggi, come credo, in ben pochi paesi al mondo.
  • La jettatura – con la j (lunga) – è una influenza malefica alla quale, anche se non ci si crede del tutto, non ci si può sottrarre. In Campania è un fenomeno storico, poiché il timore dei suoi nefasti risultati noi napoletani l'abbiamo nel sangue, forse ereditato dai nostri progenitori greci e romani. [...] L'abate Galiani sosteneva che persino San Paolo credesse alla jettatura in quanto scrivendo una epistola ai Galati, dai quali non riusciva ad ottenere quanto voleva, tra l'altro aveva scritto: «quis vos fascinavit non oboedire veritati!». Accertato quindi che questa malefica credenza esiste a Napoli sin dall'antichità, bisogna convenire con Alessandro Dumas che essa è una malattia incurabile: si nasce jettatori, si muore jettatori e si può diventarlo, ma quando lo si è diventati, non si cessa più di esserlo. I forestieri che vengono a Napoli, all'inizio ridono di queste sciocchezze, ma poi cominciano a parlarne, diventano titubanti e dopo qualche mese di permanenza finiscono col coprirsi di corni e aggeggi del genere o, come un simpatico funzionario straniero mio buon amico, quando incontrano determinati personaggi, prendono la fuga!
  • La natura del napoletano, sempre in bilico tra il sacro ed il profano, è tale che egli addenta una pizza con la stessa voluttà con la quale stringe una bella ragazza e mette nel cantare una canzone tutta l'anima come la mette nelle sue preghiere: è sempre lo stesso entusiasmo che l'accompagna.
  • La Neapolis dei primi tempi dell'impero, decaduta ormai a luogo di villeggiatura dei romani più ricchi e potenti che vi venivano per essere abbastanza − anche se non troppo − lontani dalla vita pubblica, doveva necessariamente offrire ai suoi ospiti, come una novella Circe, una corruzione sottile e molli blandizie per trattenerli nel suo grembo. La più sottile cultura ellenistica faceva si che gli usi della città – sia nei lati buoni sia in quelli cattivi – fossero più scanzonati, meno inibiti, con quel senso di superiorità che spesso dipende dal non avere più niente di solido, dentro.
  • La sensibilità acuta del popolo napoletano lo rende vulnerabile al dolore così come pronto al sorriso, ma questa gente semplice ha ancora la capacità di cercare gioia e felicità nello sguardo di un bimbo, nella bellezza di un tramonto, nel volo di uno stormo di uccelli, dando forse una impressione di superficialità che invece non è che vero, profondo, radicato sentimento poetico.
  • Le feste, i balli, le canzoni, le taverne, il grido dei tipici venditori ambulanti, rendono unico questo popolo, questa gente che sembra sempre allegra, gaia, sorridente e spensierata e molto spesso è invece solo molto coraggiosa nella miseria e nella sventura. Sembrerebbe quasi, come diceva Zampini Salazaro: «Che un riflesso del sorriso di questo cielo privilegiato si diffonda su di essi, che anche sul dolore sanno innalzare a Dio canti festosi».
  • Nella vecchia Napoli non è raro scoprire, fra vecchi palazzetti cadenti dall'intonaco scrostato e stinto, le vestigia di un passato, quasi mimetizzate dall'incuria e dall'abbandono in cui versano. I vasetti di gerani e le «buatte[35]» con le piante di garofani nascondono talvolta una bordura di pietra viva finemente intagliata; le brutte, policrome insegne di una scuola-guida o di un sarto si addossano a un elegante portale, che, pur se sporco e fuligginoso, resta come isolato dal contesto generale in una sorta di distaccata nobiltà. Napoli antica riserva di queste sorprese a chi sappia guardarla con occhi che vedono, sorprese che, se talvolta mortificano e addolorano, tuttavia inteneriscono.
  • Oggi i costumi popolari sono spariti o modificati, ma il loro ricordo vive ancora tra noi, lasciando rimpianto ed ammirazione per quegli usi ancora coloriti dalla fantasia, pieni di brio e di giovanile freschezza. [...] il popolo napoletano è come un adulto che ricorda con rimpianto la sua infanzia, primitiva, semplice e bonaria.
  • Se una città dovesse ricevere un premio per aver coscienziosamente distrutto tutti i ricordi del passato, questo sicuramente spetterebbe a Napoli.
    Un po' per le bizze dello «sterminator Vesevo», eruzioni e terremoti, un po' per le guerre che attraverso i secoli hanno ciclicamente devastato questa nostra terra, eternamente appetita da eserciti e dominazioni straniere, un po' per l'entusiasmo degli abitanti nel voler seguire ogni nuova moda, che li ha spinti a modificare i monumenti per mantenerli à la page con i gusti dei tempi, un po' per il menefreghismo e il lasciar correre altrettanto congeniti nel carattere di noi napoletani, gran parte del nostro patrimonio storico-artistico si è come disintegrato attraverso i secoli.
  • Un popolo semplice, parco, generoso e civile nell'animo, anche se spesso non del tutto nell'esteriorità.
  • Anche a me qui sembra di essere un altro. Dunque le cose sono due: o ero pazzo prima di giungere qui, oppure lo sono adesso.
  • Avvicinandoci a Napoli, l'atmosfera si era fatta completamente sgombra di nubi e noi ci trovammo veramente in un altro mondo. Le abitazioni coi tetti a terrazza facevan comprendere che eravamo in un clima diverso; ma non credo che nell'interno esse siano molto ospitali. Tutti sono sulla strada, tutti seggono al sole finché finisce di brillare. Il napoletano crede veramente d'essere in possesso del paradiso, e dei paesi settentrionali ha un concetto molto triste: «Sempre neve, case di legno, grande ignoranza, ma danari assai». Questa è l'idea che essi hanno delle cose nostre. A edificazione di tutte le popolazioni tedesche, questa caratteristica, tradotta, significa: «Immer Schnee, hölzerne Häuser, grosse Unwissenheit, aber Geld genug».
    Napoli per sé si annunzia giocondamente, piena di movimento e di vita; una folla innumerevole s'incrocia per le vie; il re è a caccia, la regina incinta, e non si potrebbe desiderare nulla di meglio.
  • Come si suol dire che colui, al quale è apparso uno spettro, non può più esser lieto, così si potrebbe dire al contrario che non sarà mai del tutto infelice chi può ritornare, col pensiero, a Napoli.
  • Da quanto si dica, si narri, o si dipinga, Napoli supera tutto: la riva, la baia, il golfo, il Vesuvio, la città, le vicine campagne, i castelli, le passeggiate... Io scuso tutti coloro ai quali la vista di Napoli fa perdere i sensi!
  • È interessante e fa così bene, aggirarsi tra una folla innumerevole e irrequieta come questa. Tutti si rimescolano come le onde d'un torrente, eppure ognuno trova la sua via e arriva alla sua meta. Solo in mezzo a tanta folla e fra tanta irrequietezza io mi sento veramente tranquillo e solo; e più le vie rumoreggiano più mi sento calmo.
  • Il più splendido tramonto, una serata di paradiso, mi hanno estasiato al ritorno[36]Ho potuto tuttavia sentire come un contrasto così enorme basti a turbare i nostri sensi. L'orribile accostato al bello, il bello all'orribile, si annullano a vicenda e finiscono per produrre una sensazione d'indifferenza. Non v'ha dubbio che il napoletano sarebbe un altr'uomo, se non si sentisse prigioniero fra Dio e Satana.
  • Napoli è un paradiso; tutti vivono in una specie di ebbrezza e di oblio di se stessi. A me accade lo stesso; non mi riconosco quasi più, mi sembra d'essere un altr'uomo. Ieri mi dicevo: o sei stato folle fin qui, o lo sei adesso.
  • [Kniep] mi condusse sulla terrazza di una casa, dalla quale si poteva abbracciar con lo sguardo specialmente la parte bassa di Napoli, verso il molo, col golfo e la spiaggia di Sorrento; tutta la parte a destra si presentava in uno sfondo singolarissimo, come forse sarebbe difficile vedere da tutt'altro punto. Napoli e bella e stupenda da per tutto.
  • Oggi ci siamo dati alla pazza gioia e abbiamo dedicato il nostro tempo a contemplare meravigliose bellezze. Si dica o racconti o dipinga quel che si vuole, ma qui ogni attesa è superata. Queste rive, golfi, insenature, il Vesuvio, la città, coi suoi dintorni, i castelli, le ville! Al tramonto andammo a visitare la Grotta di Posillipo, nel momento in cui dall'altro lato entravano i raggi del sole declinante. Siano perdonati tutti coloro che a Napoli escono di senno! Ricordai pure con commozione mio padre, cui proprio le cose da me vedute oggi per la prima volta avevano lasciato un'impressione incancellabile.
  • Per ritornare al popolino di Napoli, è interessante osservare che, come fanno i ragazzi più vispi quando si comanda loro qualche cosa, anche i napoletani finiscono con l'assolvere il loro compito, ma ne traggono sempre argomento per scherzarvi sopra. Tutta la classe popolana è di spirito vivacissimo ed è dotata di un intuito rapido ed esatto: il suo linguaggio deve essere figurato, le sue trovate acute e mordaci. Non per nulla l'antica Atella sorgeva nei dintorni di Napoli; e come il suo prediletto Pulcinella continua ancora i giuochi atellani, così il basso popolo s'appassiona anche adesso ai suoi lazzi.
  • Poco dopo arrivammo ad un'altura, dove un quadro grandioso si presentò ai nostro occhi. Napoli in tutta la sua magnificenza, con le sue case schierate lungo la spiaggia del golfo per parecchie miglia, i promontori, le lingue di terra, le pareti delle rocce, e poi le isole, e, nello sfondo, il mare: spettacolo davvero incantevole.
    Un canto selvaggio, o piuttosto un grido, un urlo di gioia mi spaventò e mi turbò: era il ragazzo, che stava nel biroccio dietro a noi. Io lo rimproverai vivacemente, mentre fino allora egli non aveva inteso una sola parola aspra da noi, essendo in fondo un buon figliuolo. Per un poco, non si mosse; poi mi batté lievemente sulla spalla, tese fra noi due il braccio destro con l'indice alzato e: – Signor, perdonate – disse – questa è la mia patria! Ciò che mi sorprese non men di prima e mi fece luccicare negli occhi, povero figlio del nord, qualche cosa come una lacrima.
  • Qui la gente non si dà alcun pensiero dei fatti altrui; è molto se si accorgono di correre qua e là, l'uno accanto all'altro; vanno e vengono tutto il giorno in un paradiso, senza guardarsi troppo intorno, e quando la bocca dell'inferno loro vicino minaccia di montar sulle furie, ricorrono a S.Gennaro e al suo sangue, come del resto tutto il mondo ricorre al sangue, contro la morte e contro il demonio.
  • Riscontro in questo popolo un'industriosità sommamente viva e accorta, al fine non già ad arricchirsi ma di vivere senza affanni.
  • Se i napoletani non vogliono saperne di lasciar la loro città, se i loro poeti decantano con iperboli esagerate la felicità della sua posizione, bisognerebbe scusarli, anche se nei dintorni sorgessero due o tre Vesuvi di più. In questo paese non è assolutamente possibile ripensare a Roma; di fronte alla posizione tutta aperta di Napoli, la capitale del mondo, nella valle del Tevere, fa l'impressione di un monastero mal situato.
  • «Vedi Napoli e poi muori». Dicono qui.
  • I mercati settimanali hanno pure luogo su quella piazza, per un Tedesco di triste memoria, perché colà fu decapitato l'ultimo degli Hohenstaufen; è del pari caratteristica per essere stato il teatro di uno storico episodio, quello di Masaniello, su quella piazza dai lazzari eletto loro re, e ivi trucidato.
    Questo luogo è storico per il popolo napoletano; è come la sua piazza della Bastiglia, sanguinosa per le scene terribili di giustizia popolare; il popolo vi troncò il capo a nobili cittadini e li espose all'oltraggio. È rimasta terribile anche per i ricordi della peste.
  • I Napoletani sono irritati, ma ridono. Non vi è in tutto il mondo un paese in cui il dispotismo sia usato con tanta facilità, poiché è impossibile distruggere i tesori di questa splendida natura, ridurre sterile questo fertile suolo. Sotto questo cielo ognuno può sempre liberamente muoversi, tutti quanti i sensi provano la loro soddisfazione. La natura eguaglia tutto: non vi è luogo più democratico di Napoli. Chi potrebbe mai annullare questa magna charta della libertà?
  • Io dimorai a S. Lucia quaranta giorni, e dalla mia finestra vedevasi tutto il golfo raggiante di luce: le due cime del Vesuvio dominanti la bianca città, le pittoresche spiaggie di Castellammare, di Sorrento, fino a Capo Minerva, e l'isola di Capri. Ogni mattino, quando la rosea luce del golfo veniva a svegliarmi nella mia camera, mi abbandonavo alla contemplazione di quel fantastico spettacolo che è colà il levare del sole, e guardavo le tinte di fuoco dei monti e del mare, che parevano avvolgere in un incendio colossale la grandiosa città. Ma più magico ancora era lo spettacolo che mi si parava dinanzi allorché la luna nel suo pieno, sorgeva sul Vesuvio, e spandeva la sua luce argentea sui monti, sul mare, sulla città, illuminando l'intero golfo. La cupa foresta degli alberi delle navi nel porto si distaccava allora sopra un fondo di brillante bianchezza; la luce dei fanali impallidiva; infinite barche scivolavano sulle onde, e sparivano, e tosto ricomparivano all'orizzonte; lo scoglio gigantesco di Capri appariva, e Somma, il Vesuvio, i monti di Castellammare e di Sorrento, quasi forme fantastiche, s'illuminavano. Chi avrebbe potuto dormire in quelle notti? Io prendevo una barca a S. Lucia e navigavo su quelle onde fosforescenti, oppure rimanevo seduto sulla spiaggia, insieme con popolani a mangiare frutti di mare.
  • Io ho trovato sempre straordinariamente caratteristico questo spettacolo. Nelle ore calde del pomeriggio, sotto il porticato di una delle principali chiese, quella di S. Francesco di Paola, si vedono centinaia di lazzaroni sdraiati che dormono, sudici e cenciosi, decorazione poco armoniosa e decorosa con quell'opera architettonica. Ho ripensato a quegli altri lazzaroni dell'antica Roma, i quali facevano essi pure la siesta sotto il portico di Augusto e di Pompeo, se non che quelli tenevano in tasca le tessere per la distribuzione del grano, e questi non l'hanno. In qualunque altra capitale d'Europa la polizia caccerebbe via tutti quei dormienti dal portico di una chiesa dinanzi al palazzo reale. Qui, invece, dormono a loro bell'agio, e le sentinelle che passeggiano distratte in su e in giù presso le statue equestri di Carlo III e di Ferdinando I, li guardano come la cosa più naturale del mondo.
  • L'armonia regna in questo paese: non un volto grave, melanconico: tutto qui sorride; a migliaia scivolano nel porto le barche, a migliaia passano per Chiaia e S. Lucia le carrozze; ad ogni passo s'incontrano persone intente a mangiare maccheroni, o frutti di mare; in terra si canta e si suona; tutti i teatri sono aperti; oggi, come prima, il sangue di S. Gennaro bolle e si discioglie; nessuna bomba ha ucciso pulcinella; la Villa Reale è piena di forestieri che lasciano cospicue mancie. Questo popolo vive alla giornata: non ha passioni politiche, non ama le cose gravi, le passioni virili, senza le quali un paese non ha una storia propria. Dalle sue origini Napoli ha sempre avuto per padroni gli stranieri: i Bizantini prima, poi i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Spagnuoli, i Borboni e Gioacchino Murat. Un popolo, che è privo di carattere, che non ha sentimento nazionale, si piega a qualunque signoria. Fa senso vedere ancora oggi in corso le monete coll'effigie di Murat, accanto a quelle di re Ferdinando. Gli uomini assennati, che scusano il carattere di questo popolo e non se ne adontano, mancano di perspicacia e di prudenza.
  • La folla e il movimento che regnano sul porto, sono un nulla in confronto a quanto si vede nei due maggiori mercati, vicini a Marinella: il Porto Nuovo e il Mercato. Il Porto Nuovo è sempre ingombro da una folla immensa; si direbbe che l'intera Campania abbia mandato le sue frutta e il golfo tutti i suoi pesci su questa piazza. Il popolo vi si reca per comprare, per mangiare; lo si potrebbe dunque definire come il ventricolo di Napoli. È veramente interessante osservare tutta quella folla, tutto quel frastuono, ed uno lo può fare a suo bell'agio, rifugiandosi in una di quelle cucine all'aperto, costituite da quattro tavole, dove si preparano e vengono mangiate le pizze, specie di torte schiacciate, rotonde, condite con formaggio, o con prosciutto. Si ordinano e in cinque minuti sono pronte; per digerirle, però, è necessario avere i succhi gastrici di un lazzarone.
  • Le bellezze della natura e i sentimenti cristiani, alla presenza delle più grandi meraviglie della creazione, risvegliano sempre idee tristi. Ero giunto su di una altura dove alcuni soldati svizzeri stavano bevendo fuori di una piccola bettola, una capanna di paglia. Di lassù si dominavano il mare, le isole di Nisida, di Procida e d'Ischia, tutte avvolte nel manto meraviglioso del sole al tramonto. Uno di quei soldati mi si avvicinò e, gettando uno sguardo su quello spettacolo meraviglioso, con tono di mestizia mi disse: «Come è bello! troppo bello!... rende melanconici...»
  • Mentre io stavo seduto sulle rovine della villa di Giove, contemplando lo splendido golfo irradiato dal sole, il Vesuvio che fumava mi parve quasi il Tiberio della natura, e pensai che spesso da questo punto Tiberio lo contemplasse cupo e pensoso, ravvisando la sua stessa immagine personificata nel demonio della distruzione. Nel contemplare il vulcano e ai suoi piedi la fertile Campania e il mare avvolto di luce, il monte solitario che terribile signoreggia quella felice regione mi sembrò quasi un simbolo della storia dell'umanità ed il vasto anfiteatro di Napoli la più profonda poesia della natura. (Ferdinand Gregorovius)
  • Nel quartiere di S. Lucia è concentrato specialmente il commercio dei frutti marini, disposti in buon ordine, con le ostriche, nelle piccole botteghe, ciascuna delle quali porta un numero e il nome del proprietario. Sono incessanti le grida per invitare la gente ad entrare; le botteghe sono illuminate, e tutti quei prodotti del mare rilucono dei colori più svariati: sono ricci, stelle di mare, coralli, araguste, dalle forme più bizzarre, dalle tinte più dissimili. Il mistero delle profondità marine è ivi svelato e quel piccolo mercato presenta ogni sera il lieto aspetto quasi di una notte di Natale marittima.
  • Non potrei descrivere quali brutte immagini di santi io abbia visto portare in processione a Napoli; prodotti di un'arte senza principî, senza gusto e di una fantasia bizzarra che, in quanto a stranezza, ha poco da invidiare all'arte indiana. Per formarsi un'idea di quanto sia disposto questo popolo ad essere tollerante in materia d'arte, basta osservare bene quelle barocche statue di santi per le strade e quei Cristi in legno di orribile fattura, sorgenti qua e là nelle piazze. [...] Pur troppo, l'uomo qui non corrisponde, alla natura che lo circonda; diversamente, in vista di questo mare, di questi monti, di questo cielo, non potrebbe pregare davanti a quegli orribili fantocci.
  • Povere cose, invero, l'erudizione e l'archeologia! In questo angolo di paradiso le cose si sentono e si comprendono oggi come le sentivano e le comprendevano gli antichi. Qui regna ancora l'idea del culto di Bacco e l'immaginazione si solleva in alto come una baccante col tirso; qui ci sembra di staccarci dal suolo e, sciolti da ogni vincolo terreno, di spaziare nell'atmosfera.
  • Questa Piazza Reale, vicinissima al mare, di cui però non si gode la vista, mirabilmente selciata, tanto che potrebbe servire benissimo da sala da ballo, circondata di eleganti edifici, è uno dei punti più eleganti della città. Vi risiedono il Re, la Corte e le principali amministrazioni; si potrebbe chiamare questa piazza, non il cuore di Napoli, ché questo titolo spetta al porto, ma il cervello.
  • Rimasi a lungo sulla terrazza di S. Martino appoggiato al parapetto ad ascoltare le voci che salivano da Napoli. Se questo popolo, pensavo, fa tanto chiasso nella sua vita comune, quanto ne farà quando è agitato da passioni, durante le lotte, quando vuole il saccheggio, come fecero il 15 maggio 1848 i lazzaroni a migliaia dietro la carrozza di re Ferdinando!
    Il frastuono napoletano ha però di solito un carattere pacifico: è allegro ed in fondo è ordinato nel suo apparente disordine. Tutta quella gente, che brulica come formiche, si muove in certe direzioni fisse, con uno scopo determinato. In questo popolo la vita circola come il sangue nel corpo umano, e quelle sue pulsazioni febbrili in apparenza, sono in realtà regolari e normali.
  • Roma, da dopo la rivoluzione del 1848, appare ancor più silenziosa che nel passato; tutta la vivacità del popolo è scomparsa e le classi agiate si tengono paurosamente nascoste, guardandosi bene di far parlare di sè; e le classi infime sono ancora più misere e più oppresse di prima. Le feste popolari sono scomparse, o quasi; il carnevale è in piena decadenza; e persino le feste di ottobre, un tempo sì allegre fuori delle porte, fra i bicchieri di vino dei Castelli e il saltarello, sono presso che dimenticate. [...] Ben diverso è l'aspetto di Napoli, dove il vivace, febbrile e continuo chiassoso movimento di tutto quel popolo, ha del fantastico. Si direbbe una città in rivoluzione, perché tutti si muovono, tutti si agitano, tutti gridano e schiamazzano. Nel porto, sulle rive del mare, nei mercati, in via Toledo, persino a Capodimonte, al Vomero, a Posillipo, lo stesso movimento, lo stesso chiasso. A Napoli non si riesce a far nulla, e il nostro occhio nulla può fissare: ovunque bisogna guardarsi senza posa contro gli urti e gli spintoni. La stessa viva luce del mare e delle rive mantiene in continua agitazione, eccita la vista e la fantasia; e il frastuono delle voci umane e delle carrozze non cessa nemmeno nel cuore della notte.
  • S. Lucia, il luogo di carattere più svariato e dove sono le locande di secondo ordine, è la linea di confine fra la parte aristocratica di Napoli e quella popolare. Il porto è il punto del maggior movimento popolare e del commercio; ivi si lavora, si traffica senza posa, e ivi è tutto quello che è necessario alla vita del popolo. V'è un movimento continuo; le calate sono sempre ingombre di carbone e di altri materiali; vi si affollano continuamente pescatori, barcaiuoli, lazzaroni, piccoli mercanti. Gli abitanti delle campagne, i popolani vengono qui ad acquistare gli abiti e le scarpe, che empiono case da cima a fondo. Qui si vendono tutte le masserizie casalinghe, qui sono caffè, liquorerie, spacci di tabacco, unicamente frequentati dal popolo, fruttaioli i quali tengono gli aranci e le angurie già tagliate a fette che essi vendono per un tornese e che vengono mangiate dai compratori in piedi. Qui si vedono vere montagne di fichi d'India, di cui la gente più misera si nutre; questo è il luogo di riunione, si potrebbe dire la sala di conversazione del popolo.
  • Tanto nella festa della Madonna del Mercato, quanto in altre occasioni, il popolo non pensa che a divertirsi e a stare allegro. I Napoletani non vanno ad una festa per assistere alle funzioni religiose, per ammirare le fonti del culto, ma per stare all'aria aperta, per godere le bellezze naturali, cui la folla variopinta dà un nuovo risalto. Ho visto migliaia e migliaia di Napoletani alla festa per il centenario della Madonna di Posillipo. Non avevo mai assistito ad uno spettacolo così teatrale: la folla variopinta ingombrava la splendida riviera di Chiaia, la Villa Reale, tutta la strada sino a Posillipo: ovunque bandiere, festoni, fiori; il golfo splendeva di luce; sei navi da guerra, ancorate fra Chiaia e il porto, facevano senza posa fuoco dalle loro artiglierie; il rumore ed il chiasso erano indescrivibili; la processione non aveva niente di dignitoso, di solenne, d'imponente, per chi arrivava da Roma. A Roma, anche le processioni più meschine presentano un carattere artistico, il che mostra avere le arti esercitato la loro benefica influenza persino sulle minime cose del culto, quali sono gli emblemi, le allegorie, le immagini dei santi. Il senso del bello ivi regna dovunque, in ogni cosa; si direbbe che gli Dei della Grecia, i quali stanno al Vaticano e al Campidoglio, non tollerino il brutto e il barocco neanche nei santi. Il Museo Borbonico non ha esercitata affatto quest'influenza sul popolo di Napoli.
  • È senza dubbio sorprendente che un tale popolo, tenuto quasi sempre in nessuna considerazione nelle rivoluzioni che gli hanno fatto cambiare dominatore così spesso, abbia preso parte attivamente solo a quella di Masaniello. La sua indifferenza verso i movimenti politici poté esser messa più fortemente a prova di quando, nel cuore della capitale degli Stati dei suoi padri, lo sfortunato Corradino, all'età di diciassette anni, versò quel che restava di un sangue riprovato e proscritto dai capi della Chiesa? Non potei vedere, senza fremere, il luogo in cui si mostrano ancora le vestigia di questa spaventosa scena.
    Questa indifferenza, apparentemente stupida, è l'opera di un istinto illuminato dall'esperienza: Cosa m'importa – dicono con l'asino della favola – purché non mi si faccia portare più del mio carico ordinario. Per completare il ritratto di questo popolo, è sufficiente aggiungere che Napoli non ha l'ombra di polizia, e tuttavia di rado avvengono quei disordini e quegli eccessi che a Parigi tutta la vigilanza del magistrato riesce a prevenire solo con un'attenzione costante.
  • Non ho soggiornato abbastanza a Napoli, per essere istruito a fondo sulla vita, sia privata sia di società che vi si conduce. So solo che vi si dorme più che in qualsiasi altro paese dell'Italia; che vi si consuma una quantità prodigiosa di cioccolato che ogni privato fa preparare a casa sua nella dose che più preferisce; che le conversazioni o riunioni generali sono nel tono di quelle delle altre città d'Italia; che nelle cerchie private il parlare è alla greca, cioè, molto allegro ed estremamente libero; che la galanteria è tanto comune e poco discreta nei primi ranghi, quanto rara e misteriosa nella borghesia; che, a seguirla nel popolo, gli estremi si toccano; che la continenza, in generale, a Napoli è la virtù meno comune; che l'amore, che altrove spesso non è che apparenza, fatuità, fantasia, è uno dei più urgenti bisogni; infine che il Vesuvio, che comanda questa città, è l'emblema più esatto sotto cui da questo punto di vista la si possa rappresentare.
    Altri bisogni, che la polizia ed un certo pudore altrove, soprattutto nelle grandi città, reprimono, a Napoli sono al di sopra di tutte le leggi. Lo zolfo, mescolato a tutti i vegetali e a tutti gli alimenti, l'uso continuo del cioccolato, dei liquori più forti, delle spezie che più riscaldano provocano esplosioni ed eruzioni che non sopportano né rinvio né cerimonie. I cortili dei palazzi e degli alberghi, i porticati delle case private, le loro scale e i loro pianerottoli sono altrettanti ricettacoli per le necessità di tutti i passanti. Anche chi va in carrozza scende per mescolarsi alla folla che cammina; chiunque si prende in casa d'altri la libertà che permette a casa sua.
  • Sotto un'apparenza di allegria, di distrazione e di leggerezza, il popolo e la borghesia di Napoli, divisi fra il lavoro ed il piacere, nascondono vedute profonde e ben seguite, se non in ciascuna testa, perlomeno nell'insieme. Considerati in questo insieme, formano una democrazia indipendente dal re e dalla nobiltà alla quale si uniscono quando il loro interesse lo esige. Nel loro partito hanno sempre in basso clero e la maggior parte dei monaci di cui Napoli brulica.
  • A nemmeno cento metri di distanza dal mio attuale domicilio ha insegnato Tommaso d'Aquino, è cresciuto Giordano Bruno, sono sepolti il Pescara e Vittoria Colonna
    Dall'altra parte della strada ha passeggiato Francesco Petrarca, e Federico II di Hohenstaufen ha amministrato la giustizia − incredibile, incommensurabile. Ma la vita del presente in questa città si muove e gira così rumorosa e disinvolta intorno a questi monumenti che non si ha nemmeno il tempo di rendersi ragione del loro significato. Per tanta ricchezza di tempo – assenza di tempo – Napoli eterna è semplicemente uno degli ingredienti eterni del tempo. Dio creò il cielo, l'acqua e la terra e creò anche l'elemento "napoletano", una piccola nuvola di olio grasso e odore di putrido, con alcune melodie e frammenti di chiasso, un Tutto e un Nulla, un elemento di tutto il mondo e insieme anche qualcosa semplicemente di inferiore. Ci saranno ancora molti bravi napoletani e gente che a Napoli imparerà e farà qualcosa di buono, si pensa, e si compra una pizza in una strada su cui, forse, ha camminato verso Roma l'apostolo Paolo.
  • A volte trovo tutto inverosimilmente grandioso, un'altra volta confuso e perturbante, in ogni caso è sempre molto interessante e prende tutta la persona come un sortilegio. Non esiste un'altra città che così, ad ogni passo, trasmette a chi cammina il suo respiro, con cui bisogna entrare in rapporto interiore. Qui non si possono cogliere, con tranquillo stato d'animo epicureo, i tesori d'arte, perfezionare la propria cultura, no, ogni giorno bisogna ricominciare di nuovo in qualche modo da capo, cercare sempre di nuovo il proprio cammino spirituale attraverso le pesanti grossolane realtà che oppone, ad ogni passo, la vita della strada.
  • Il grande sole africano dona al cervello una grandiosa asciuttezza, vengono prosciugate tutte le pozzanghere dell'osservazione che psicologizza e individualizza. L'uomo accetta se stesso come è venuto al mondo e si mette subito in marcia verso un fine che gli è naturale. Il carattere matura presto al grande calore e non richiede tanto spazio per sé come da noi, consiste quasi sempre per metà in gentilezza, premura e disponibilità e tante altre piacevoli virtù con cui gli uomini reciprocamente rendono i loro rapporti più facili.
    E se da un canto con questa mancanza dell'idea dell'Io e della personalità ci si ritrova già quasi in Oriente, d'altro canto l'Occidente, con il mondo antico, il cristianesimo e con la scienza moderna è presente ovunque nella sua forma più evidente.
    Naturalmente bisogna accettare anche altre cose, la mancanza, per esempio, di una qualsiasi generosità eroica. In fondo questa spiritualità del tutto particolare la si può spegare con il fatto che Napoli in realtà è un paese, una nazione a sé, con un passato del tutto diverso da quello del resto dell'Italia.
  • I birbanti hanno talvolta un cuore, e massime i birbanti che nascono sotto il cielo di Napoli.
    A Napoli, un uomo senza cuore è una deplorabile eccezione...
    Questa specialità non si trova che nel ceto de' ricchi. È l'inferno che Dio dà loro.
  • Non passa anno senza che le collezioni scientifiche di qualunque altra città d'Italia si arricchiscano per la munificenza di qualche privato. E così mano mano si colmano le lacune, si completano le serie e si ottiene più assai di quello che non sia il potere dello stato e de' municipii di fare. Ma il napoletano largo di bocca e stretto di mano; mentre non sa vivere fuori della sua città, non vuol poi far niente per renderla più bella e simpatica; non è superbo delle sue istituzioni, non è zelante di migliorarle; il suo municipalismo non sa mai incarnarsi in un'opera bella e generosa.
  • Quando al grido della progrediente civiltà si dischiusero le porte de'claustri femminei, si scoprirono in varî conventi misteriose comunicazioni con attigui monasteri maschili. Un senso di suprema indignazione si destò ne' cuori. Il sacrilegio annidava sotto le tenebrose volte. Notturni viaggi accoppiavano le impudiche vestali co'furbi solitarî sacerdoti di un Dio, che abborre financo un pensiero d'impurità. Forse non a caso edificavansi in prossimità i claustri femminei e quelli maschili. Vie sotterranee menavano dagli uni agli altri.
    L'occasione di aprire novelle strade nella città nostra dette agio di scoprire questi scandalosi corridoi scavati ne' visceri della terra. Nessun paese ha forse tante vie sotterranee quante ne ha la nostra Napoli, edificata su l'antica Partenope.
    Palepoli giace sotto la moderna Napoli.
    Noi camminiamo su le ruine dello antico, su lo scheletro della città greco-romana.
    Interrogate i secoli; ed essi vi risponderanno di sotto alle pietre vulcaniche, di che abbiamo ricoperte le nostre vie.
    Nulla di più facile che stabilire occulte e sotterranee comunicazioni tra un luogo ed un altro.
    Il voto di castità, temerariamente proferito da labbra pervicaci, si perdeva nelli strani connubî che Palepoli formava.
    Lo Spirito delle tenebre aleggiava laggiù come immondo ed osceno pipistrello.
  • Un popolo che ha più immaginazione che fantasia, più acume ed arguzia che sentimento e passione, il quale rimane con la testa fredda in mezzo agli impeti più selvaggi ed arzigogola e sofistica anche quando sragiona.
  • A Napoli, – e in questo mondo di kamikaze dove pietà l'è morta – siamo andati «molto oltre tutto quello che si poteva immaginare». Se eliminassimo tutti gli assassini che vanno in giro nelle nostre città si dovrebbe aprire una succursale dell'Inferno.
  • La Napoli dimenticata, l'altra faccia di una città che ha dato all'Italia Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo, anche se tutto questo viene trascurato perché nella rappresentazione della città prevale sempre l'osservazione sulla plebe. Io credo che la borghesia napoletana non si è saputa raccontare; non ci sono romanzi e personaggi che la rappresentano, così come invece hanno saputo fare in Sicilia con De Roberto, Verga, Tomasi di Lampedusa; Napoli ha eccelso soltanto nel pensiero, è stata più avanti, non solo della Sicilia ma anche di altre regioni italiane, nella speculazione filosofica.
  • La nostra non è la città di quel "chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato" che spesso le attribuiscono. Chi ha dato e chi ha avuto restano sulle rispettive posizioni. Intransigenti nel valutarle. Appassionandosi ancora nel discuterne, dopo quarant'anni. Finché una città trova parole per parlare di sé, fa emergere contrasti all'interno di questo discorso e riesce a interessare anche gli altri, vuol dire che non è morta.
  • Ma è l'Italia il vero problema di Napoli.
  • Napoli è stata uccisa dalla speculazione edilizia. Si combatteva contro questa speculazione... Cambiare la struttura urbanistica di una città significa cambiarne la morale. E Napoli è cambiata moltissimo dopo la speculazione edilizia: è stato allora che sono arrivate le periferie inabitabili, è stato allora che è nata la «corona di spine», così viene chiamata a Napoli la periferia, «corona di spine». Ed è allora che, come scrivevo in L'occhio di Napoli, se ti capita di sbagliare strada, vai a finire in periferia e puoi arrivare all'inferno.
  • Il carattere tranquillo di questo popolo è ben apparso durante la terribile carestia che provò questa città [di Napoli] nel 1764: non si vide la minima sommossa; tuttavia le strade erano piene di infelici che morivano o di fame o per le malattie che la malnutrizione porta con sé, e i Magistrati avevano tanto più torto, in quanto avevano lasciato esportare i grani in abbondanza qualche mese prima.
  • Niente si può immaginare di più bello, di più grande, di più singolare sotto tutti i punti di vista del colpo d'occhio di Napoli da quel lato in cui la si vede: questa città è posta al fondo di un bacino, chiamato in italiano cratere, che ha due leghe e mezzo di larghezza e altrettante di profondità; esso sembra quasi chiuso dall'isola di Capri, che si presenta dal lato di mezzogiorno, e sebbene a sette leghe di distanza la vista termini piacevolmente, si crede di vedere ai lati di quest'isola due aperture chiamate in effetti Bocche di Capri, ma l'una ha più di otto leghe di larghezza, e l'altra ha solamente una lega, sebbene esse appaiono pressoché uguali.
  • Non si incontrano affatto la sera, nelle strade di Napoli, quelle donne che sono la vergogna del loro sesso con le molestie; è vero che vi sono delle guide che si piazzano nei luoghi conosciuti, come vicino al teatro, ma è ancora con una specie di riservatezza, o di timidezza, che fa onore ai costumi e alla città di Napoli.
  • L'aria di Napoli mi è di qualche utilità; ma nelle altre cose questo soggiorno non mi conviene molto... Spero che partiremo di qua in breve, il mio amico e io.
  • Lazzaroni pulcinelli nobili e plebei, tutti ladri e b. f. degnissimi di Spagnuoli e di forche.
  • Paese semibarbaro e semiaffricano, nel quale io vivo in un perfettissimo isolamento da tutti.
  • Da dieci secoli questa terra è battuta da eserciti invasori. Sul trono di Napoli si sono avvicendati re stranieri che hanno ridotto in schiavitù il popolo. Le rivolte sono state soffocate nel sangue. Ma niente di tutto questo ha lasciato la minima traccia nella fantasia o nella memoria dell'uomo comune, né ha sollecitato una qualsiasi aggiunta al repertorio del cantastorie. E ancora oggi, quando questi intona il suo racconto a Villa Comunale, il piccolo pubblico che gli si raccoglie intorno non vuole sentire altro. Gli Svevi, gli Aragonesi, i Borboni, e ora anche i Tedeschi vengono dimenticati in un attimo. Carlo Magno e i Paladini sono ancora vivi, per miracolo e nonostante il cinema, che tuttavia alla fine li sconfiggerà.
  • Il vicolo è gremito fino a scoppiare di famiglie proletarie abituate a vivere quanto più possono all'aperto, ragion per cui la strada è chiassosa come un'uccelleria tropicale.
    Stamattina sul presto, una famiglia che abita nella casa di fronte ha portato fuori un tavolo e lo ha sistemato in strada vicino alla sua porta. In un attimo è stato ricoperto con una tovaglia verde con la frangia. Tutt'intorno sono state disposte delle sedie, alla stessa distanza l'una dall'altra, e sul piano hanno trovato posto diverse foto incorniciate, un vaso di fiori finti, una gabbietta con un cardellino e alcuni bicchierini decorati che di tanto in tanto, nel corso della giornata, venivano strofinati per rimuovere la polvere. Intorno al tavolo, la famiglia – una madre, i nonni, una ragazza sui diciotto anni e due bambini irrequieti che andavano e venivano in continuazione – viveva in quella che era, di fatto, una stanza senza pareti. [...] Lungo il vicolo c'erano molti altri tavoli come questo, e i vicini si scambiavano visite, dando luogo a un'incessante migrazione sociale. La scena era di grande serenità. Le stuoie verdi delle finestre e dei balconi ai piani superiori respiravano dolcemente nella mite brezza marina. La gente si chiamava da grande distanza, quasi cantando.
  • Tutta Napoli era distesa sotto di noi come un'antica mappa, sulla quale l'artista avesse disegnato con minuzia quasi eccessiva i molti giardini, i castelli, le torri e le cupole. Per la prima volta, aspettando il cataclisma, ho ammirato lo splendore di questa città, vista da una distanza che la ripuliva dalla sudicia crosta del tempo di guerra, e per la prima volta ho capito quanto poco europea, e quanto invece orientale essa sia. Tutto era immobile, a parte i fluttuanti coriandoli delle colombe in lontananza.
  • Durante la lavorazione de Le quattro giornate di Napoli, se prendevo il megafono e dicevo alle 500 comparse di correre da una direzione all'altra ad un mio fischio, non si muoveva nessuno. Inizialmente non riuscivo a capire il perché. La realtà è che non mi riconoscevano il diritto di imporre loro qualcosa con un fischio. Bisognava loro spiegare il motivo. Così mi riunii a loro e spiegai il perché di quella scena. [...] Il rendimento si capovolse e tutte le comparse dettero un loro contributo creativo. Non erano stati parcellizzati con un dovere. Si sentirono talmente investiti del problema del film e delle riprese, da comportarsi come dei registi. Durante le prove gridavano stop nel megafono per fermare gli errori, assimilando ciò che facevo io, interrompendo le riprese anche quando andavano bene. Ma perché volevano diventare tutti registi? Perché nei napoletani è insopprimibile il desiderio di essere considerate persone, con una dignità personale, una intelligenza ed una personalità riconoscibili. [...] A Napoli, no. Con i soldi e gli ordini non si compra nulla.
  • Provo una sorta di amore e odio, una grande ammirazione, affetto e tenerezza per il singolo napoletano. Provo al tempo stesso molto risentimento per quella che ricordo essere l'organizzazione sociale della città. L'odio nasce per questo patrimonio, energie, ed intelligenza che venivano, non so oggi, continuamente deviate, sprecate. È un'amarezza che mi prende qualche volta, nel vedere queste persone che singolarmente valgono tanto, sprecarsi in complicazioni inutili, confusioni evitabili, violenze ingiustificate.
  • Vi è una cultura di fondo individualista, ed in questo senso è da considerare negativa, per quanto sia al tempo stesso molto ricca di un grande potenziale, che si manifesta in esaltazione della persona e dell'uomo contro tutte le culture di appiattimento del nostro tempo. L'individualismo dei napoletani produce certamente delle difficoltà di gestione degli affari sociali, il che la fa apparire agli occhi di un non napoletano come me una città incivile, una civis incivile; è pur vero, però, che in questo modo si preserva la ricchezza dell'individuo, la sua fantasia, quel potenziale che le permette di essere fuori dalle regole della produzione e del consumo.
  • Napoli è la più misteriosa città d'Europa, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia. È la sola città del mondo che non è affondata nell'immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno. Napoli è l'altra Europa. Che, ripeto, la ragione cartesiana non può penetrare.
  • Nessun popolo sulla terra ha mai tanto sofferto quanto il popolo napoletano. Soffre la fame e la schiavitù da venti secoli, e non si lamenta. Non maledice nessuno, non odia nessuno: neppure la miseria. Cristo era napoletano.
  • Non potete capire Napoli, non capirete mai Napoli.
  • Quando Napoli era una delle più illustri capitali d'Europa, una delle più grandi città del mondo, v'era di tutto, a Napoli: v'era Londra, Parigi, Madrid, Vienna, v'era tutta l'Europa. Ora che è decaduta, a Napoli non c'è rimasta che Napoli. Che cosa sperate di trovare a Londra, a Parigi, a Vienna? Vi troverete Napoli. E' il destino dell'Europa di diventar Napoli. Se rimarrete un po' di tempo in Europa, diverrete anche voi napoletani.
  • Tutti piangevano, poiché un lutto, a Napoli, è un lutto comune, non di uno solo, né di pochi o di molti, ma di tutti, e il dolore di ciascuno è il dolore di tutta la città, la fame di uno solo è la fame di tutti. Non v'è dolore privato, a Napoli, né miseria privata: tutti soffrono e piangono l'uno per l'altro, e non c'è angoscia, non c'è fame, né colera, né strage, che questo popolo buono, infelice, e generoso, non consideri un tesoro comune, un comune patrimonio di lacrime.
  • La storia di Napoli nasce lentamente. Soprattutto, è una storia esotica, una invenzione che sa di Omero, di poemi ciclici, di innumeri indecifrabili frammenti di leggende, favole, conti di mercanti, liti di taverne, imbrogli, risse, coltelli lucidi e rapidi, adulteri e nostalgie.
  • Napoli voleva essere accerchiata, catturata, la grande metropoli inesistente, invisibile, intoccabile, stava nel centro delle grandi manovre delle flotte tra piratesche e adolescenti che cercavano casa oltre le coste patrie. Napoli non c'era; non c'era il rumore, il clangore, non il precipitoso coagulo di colori, non gli dèi, le donne, l'aroma del cibo, il sonno. Eppure l'ipotesi colossale di Napoli agiva, e i minuscoli uomini sfioravano lo spazio che doveva per sempre essere Napoli. Poi sbarcarono a Cuma.
  • Partenope è una sirena, è una città, è greca, è morta per amore, è una dea, è un luogo, è una strada, è una taverna, è miracolosa, venerarla bisogna, qui è Partenope[37], Partenope è in ogni luogo, di soppiatto scaturisce dal mare, qui dove è nome di ninfa sarà sacra la ninfa nei secoli; non morirà mai; la città non morrà, la ninfa città non morrà. Gioco, allucinazione, miracolo, liturgia, la città-ninfa sta nascendo. È inevitabile chiedersi; ma come, ma quando, ma dove nasce Napoli?
    Giacché il nascere di Napoli non può essere il nascere di altre, anche nobili, eroiche città.
    Dopo Partenope nascerà una «città nuova», insomma una Neapolis. Siamo arrivati? Forse siamo arrivati da sempre; forse è impossibile arrivare. Ma questo sospettiamo: che vi fu un momento in cui tra i marittimi dalle brache salse e crude, tra i duri campani che non capivano greco, cominciarono ad arrivare gli dèi.
  • Si ha l'impressione che arrivassero dappertutto, e certamente era così, ma che a Napoli-Partenope fosse impossibile distinguerli dalla folla di graeculi e campani; erano dèi forastici, meteci, un po' contado un po' mare, ma fitti e inframettenti come i folletti. (Certo che c'erano i culti misterici. A Napoli? Ma dove volete che fossero? E Mitra si sa. E la bella Cerere, materna e chiassona, e un'Iside così pervasiva che nemmeno si sa dove si fosse il suo santuario, si è diffusa per tutta la città, non v'è città isiaca come Napoli-Partenope. Ecco, Partenope; no, non è né storia, né folklore, è ancora una presenza sacra, e ancora qualcuno, che non veda Cerere, sussurra nella gran folla una preghiera greca a una ninfa ondosa, una ninfa greca morta dopo aver conosciuto Odisseo.
  • Già verso Napoli sul treno mi è venuto in mente, e mi animava anche durante i giorni trascorsi a Roma: scrivere un altro romanzo, un'ultimo con il titolo: Il sangue di San Gennaro. Un uomo arriva a Napoli, e decide di salvare il mondo – questo sarebbe il romanzo.
  • L'addio a Napoli, a Posillipo fu più doloroso di qualsiasi addio ad una persona, o a qualcosa nella mia vita. [...] Questi tre anni e mezzo in Italia, a Posillipo, erano il dono più grande nella mia vita. Ho amato tutto qui, e sapevo che a modo loro anche loro, gli italiani meridionali, mi hanno accettato. Molti hanno pianto, nella cittadina e nel palazzo i venditori di vino, di carbone come anche il pescivendolo mi stringevano la mano.
  • Napoli è un posto curioso: una città dove il miracolo regolarmente, due volte all'anno fa parte della vita della città, come un avvenimento turistico. I napoletani sono gli specialisti del miracolo.
  • Per i vicoli di Napoli, ogni pomeriggio. Nei dintorni di San Biagio dei Librai. Abitano tutti qui: Benedetto Croce, il vescovo, i principi, in mezzo al lerciume, in palazzi pericolanti. Ed è qui che abita il popolo napoletano. Uomini di ogni classe, di ogni condizione mangiano e bevono le stesse cose, la pensano alla stessa maniera, sognano allo stesso modo. Sono tutti uomini mediterranei. Non tanto italiani, quanto piuttosto mediterranei. È questo il loro stato sociale.
  • Posillipo è come se fosse la Collina delle Rose a Budapest, ma anche come il villaggio di Leányfalu sul Danubio. Tutto qui è «come se fosse»... Anche Napoli è come Budapest: non c'è l'Isola Margherita ma c'è Capri, non ci sono i Bagni Lukács ma c'è il Mar Tirreno, non c'è il Danubio, ma qui davanti alle mie finestre si spalanca il Golfo di Napoli, non ci sono le Colline di Buda, ma c'è il Vesuvio, non c'è la Váci utca, ma c'è via Chiaia con i suoi negozi eleganti, dove sciama e s'affretta la folla variopinta e orientaleggiante di Napoli, che assomiglia misteriosamente a quella di Budapest.
  • Napoli, la mia cara Napoli, è la pupilla degli occhi miei. E più pare che sia per lei il mio amore e premura ora che ne vivo lontana, che allora che godevo il suo delizioso soggiorno.
  • Oh quanto sono ingannevoli le mondane apparenze. Ognun crederebbe che molto contenta esser dovrei del cambio fatto; e pure, senza pensarci nemmeno un momento, lascerei di essere Regina di Spagna per tornare ad esserlo di Napoli [ ] Non posso lagnarmi di niente. In casa godiamo una perfetta tranquillità [ ] La nazione, grazie a Dio mi dimostra essere contenta di me, e pure non posso darmi pace d'aver dovuto lasciar Napoli.
  • Stanno così umiliati [alla corte spagnola] che non hanno più animo di nominare niente delle cose loro ed in vero citerò solo questo: tutte le funzioni di corte sono una sporcizia a paragone della magnificenza e proprietà con la quale in Napoli si facevano. La corte stessa non è da paragonarsi [...] si vedono figure che danno schifo a vedere. Così a proporzione è tutto il resto. Per assuefarmi jo a questo paese credo che non basterà la mia vita. È troppo, è troppo crudele il cambio fatto, ed ogni giorno si conosce più.
  • Ah, Napoli bella, tozzo di pane mio, estrema unzione mia!
  • Allora come allora, nel marzo del 1947, Napoli, eccettuandone via dei Mille, via Tasso, il viale Elena e poche altre arterie di Chiaia di San Ferdinando del Vomero, era tutta un rione popolare. Napoli era allora un vicolo solo, un "basso" solo, una botteguccia sola.
  • Che cosa c'è tutto sommato, a Napoli? C'è un vulcano [il Vesuvio] che ha tante possibilità di sterminio quanti sono gli acini d'uva e le ginestre cui si agghinda per dissimulare le sue intenzioni.
  • Ehi ehi. Dovessero piovere mazzate? I due contraggono le mascelle e s'irrigidiscono. Mannaggia. Stanno agli antipodi: il Cardillo vende luna, e cioè trasforma in lavoro qualunque cosa, l'Inzerra muta in ozio tutto, tutto. Napoli ha questi due volti, come Giano era sé ed il contrario di sé nell'identica figura; perciò chi dice: "Napoli è fervida, operosa, alacre" non è meno fesso di chi dice: "Napoli è svogliata, indolente, pigra." Ma allora? Gesù Gesù. Napoli è femmina, ossia volubile, contraddittoria, spesso incoerente. Sgobba quanto Milano e poltrisce quanto Honolulu: per ogni napoletano che, immoto in una barca a Mergellina, o riverso in un prato ai Camaldoli, si lascia beatamente crocifiggere dal sole, abbiamo nelle vicinanze un altro napoletano che vacilla e affanna trasportando un quintale.
  • I "Quartieri", a Napoli, sono tutti i vicoli che da Toledo si dirigono sgroppando verso la città alta. Vi formicolano i gatti e la gente; incalcolabile è il loro contenuto di festini nuziali, di malattie ereditarie, di ladri, di strozzini, di avvocati, di monache, di onesti artigiani, di case equivoche, di coltellate, di botteghini del lotto: Dio creò insomma i "Quartieri" per sentirvisi lodato e offeso il maggior numero di volte nel minore spazio possibile.
  • Il vero mare di Napoli è quello esiguo e domestico di Santa Lucia, di Coroglio e di Posillipo. Consuma Castel dell'Ovo e il Palazzo Donn'Anna, bruca il muschio delle vecchie pietre, sente d'alga e di sale come nessun altro mare.
  • La mia città fu, ed è, e sarà in ogni epoca, un libro di tutte le favole. Che cosa non vi producono amore e odio, saggezza e follia, candore e astuzia, verità e menzogna, "guapparia" e soldi?
  • La notte è venuta e Napoli piglia fuoco. Da Via Partenope a Posillipo il mare divampa di luci riflesse, dolgono gli occhi ai pesci, un turista che percorre la litoranea in carrozza non vede i cenci che respirano sul marciapiedi ma scorge distintamente gli scheletri delle sirene che si rivoltano nelle loro tombe di sabbia. Voi dite a Napoli: «Quanto sei bella!», e Napoli è perduta.
  • La possibilità di rialzarsi dopo ogni caduta; una remota, ereditaria, intelligente, superiore pazienza. Arrotoliamo i secoli, i millenni, e forse ne troveremo l'origine nelle convulsioni del suolo, negli sbuffi di mortifero vapore che erompevano improvvisi, nelle onde che scavalcavano le colline, in tutti i pericoli che qui insidiavano la vita umana; è l'oro di Napoli questa pazienza.
  • La quiete della controra ingentiliva il vicolo, dorato qua e là come se una processione vi avesse deposto baldacchini stendardi flabelli candelieri e se ne fosse andata frettolosamente a dormire. In certe stagioni e in certe ore Napoli si trasfigura; perde consistenza e profondità, o meglio assume la profondità remota e immaginaria dei quadri... se vi occorrono balconcini che sembrano disegnati su un fazzoletto di seta, o embrici sfioccanti nel roseo vapore che li avvolge, eccoli.
  • Lasciatemi dire che a Napoli i Santi, dal supremo e volubile San Gennaro al distratto San Giuseppe, da Sant'Antonio che protegge Posillipo a San Pasquale che sorveglia attentamente Chiaia, non sono che autorevoli congiunti del popolo. Il napoletano ha San Luigi, Sant'Espedito e ogni altro Santo come a certi poveracci dei vicoli capita di essere imparentati con un insigne professore residente a via dei Mille.
  • Napoli è una bara di madreperla con quattro corde e una tastiera; affermo sul mio onore, toccandomi il petto come la statua di Gioacchino Murat nella nicchia di piazza San Ferdinando, che Napoli è un mandolino dal quale si affaccia continuamente uno scheletro. Ebbene, salute a noi; strizziamo l'occhio a questo buffo sosia di ognuno, a queste anonime ossa trasformatesi in radici di canzonette.
  • Non date retta agli odierni lamentatori della città, i quali tetramente affermano che è morta e seppellita; ma neanche badate ai tam-tam di quanti la proclamano fortunata e contenta; Napoli è terra di favole puerili e angosciose, tutta miele e cicuta, grembo di mamma e schiaffo di padrigno, favola sono pure chi la denigra e chi la decanta, vorreste che le mancassero proprio gli orchi e le fate?
  • Qualcuno fondò Napoli, situando magnificamente il Vesuvio, le isole, Capodimonte e il Vomero; disse ai napoletani: "Ecco... Tenete, ricreatevi," e mentre quelli si distraevano a guardare l'ombelico del golfo, agguantò la cassa e fuggì.
  • Attraverso il teatro Napoli esprime spudoratamente il suo stato di capitale del Sud del mondo.
  • Napoli è una città difficile che insegna ad essere aperti, liberi, disponibili alle novità. Napoli ha una forza dolorosa ed è per questo che io l'amo.
  • Questo popolo, fratello di tanti popoli sofferenti, vivo più che mai intorno a noi, ci insegna a aprire gli occhi, guardare in faccia il dolore e trasformare il dolore in energia.
  • Gli è indubitato che ci è ancora della feccia nel nostro popolo, e ce ne sarà ancora per qualche tempo. Ma è forse possibile una compiuta improvvisa riforma de' suoi costumi?
    Noi accogliamo la speranza, per non dire la certezza, che tra dieci anni il nostro popolo non sarà secondo ad altri in Europa. Voglia Dio benedire all'opera della nostra rigenerazione, iniziata dal più Grande Italiano vivente GIUSEPPE GARIBALDI! Voglia Dio benedire gli sforzi degli uomini che han rette intenzioni e buon volere! Possano le aure incantate del nostro cielo non essere più contaminate da straniere favelle! Possano i nostri ubertosi campi non essere più calpestati da orde inimiche del sangue italiano! Possa presto Napoli festeggiare il dì in cui per tutta Italia risuoni il grido della compiuta nostra unificazione, proclamata in ROMA CAPITALE. Allora, dopo il Pater noster, noi insegneremo a' nostri figliuoli questa altra prece che eglino dovranno recitare ad ogni alba e ad ogni sera:

    Da' Tedeschi ed Imperiali,
    Da' Francesi e Cardinali
    Libera nos, Domine!
  • L'invenzione dei bassi, cioè delle case a terreno, delle case-botteghe, è proprio un'invenzione tutta napolitana a pro del guaglione, il quale si procura quel divertimento di scegliere quel domicilio che vuole su la soglia di qualcuni di questi bassolini.
  • Ma è proprio per il guaglione che Napoli è stata creata. Il guaglione è il Re di Napoli è il padrone assoluto del suolo sebezio ed esercita talvolta il suo impero con una tirannia che è tanto più inesorabilmente quanto è più graziosa.
  • Napoli, per la sua posizione geografica, per la sua gran popolazione, per la natura feracissima del suo suolo, per le sue gloriose tradizioni in ogni ramo dello scibile, per la prodigiosa attitudine de suoi abitanti alle arti belle e dalle arti meccaniche, per grandiosi e storici monumenti di che è ricca e pei suoi vasti commerci, sarà sempre la Filadelfia d'Italia. Incorporata oggi alla grande Famiglia Italiana, essa comincia ad appropriarsi dalle città sorelle l'affrancamento da quegli aviti pregiudizi che formarono per sì lungo volger di tempo sì possente ostacolo al progresso della sua civiltà siccome le città sorelle e specialmente le settentrionali cominciano a smettere, per la fusione coi nostri vispi meridionali, le forme pedantesche, le arie pesanti e le rigidezze cancelleresche.
  • Né climi meridionali sotto un cielo come questo di Napoli che invita così potentemente alla pigrizia ed a quel dolce far niente di che ci han fatto una colpa gli stranieri, il vagabondaggio è così esteso che noi disperiamo che possa il governo giungere ad estirparlo del tutto in un paese come il nostro dove si vive così a buon mercato. Dove con dieci centesimi di maccheroni, dove con cinque centesimi di pane ed altrettanti di frutte un uomo ha messo a poco a poco il suo pranzo, non sappiamo come si possa sentire la suprema necessità e l'obbligo del lavoro.
  • L'antichità di Napoli si è del tutto smarrita nella oscurità de' secoli trascorsi.
  • La principal veduta è di mirar Napoli in alto mare, donde l'intiera città si presenta come un immenso anfiteatro. La seconda e di guardarla da S. Martino, dove si vede sotto gli occhi minutamente quasi tutta la città ed il delizioso contorno del golfo. La terza è di veder Napoli dalla Specola Reale o dal palazzo della Riccia: questo luogo per la estensione della sua veduta è detta con nome Spagnuolo Miradolos. La quarta è di contemplarla da' reali giardini di Portici, e più dalla villa del Duca di Gravina e lì è ad essa superiore. La quinta è di osservarla dalla Madonna del Pianto.
  • La veduta della Capitale è sorprendente dalla cima del Vesuvio in un bel mattino di primavera: e bellissima dal terrazzo di Belvedere e dal palazzo Patrizj al Vomero, è vaga dai punti più elevali dell'Arenella, è incantevole quella parte che se ne scorge dalla strada nuova di Posillipo, al tramonto del sole.
  • Napoli col suo cratere, colle sue isole, col suo Vesuvio, colle sue montagne offre vedute cosi vaghe, così amene, così varie che l'anima ne resta rapita ed incantata.
  • [A Roma] [...] in Via del Corso [...], sentii dietro di me uno che fece "ammazza le rughe! Hai visto come si è invecchiato?" Detto forte, perché io potessi sentire. Non so se lo dicesse a una ragazza o a chi: "ammazza le rughe!" La stessa cosa mi è accaduta a Napoli. "Marcelli', c simm fatt vecchiariell eh? 'O vulit nu cafè?" La vedete la differenza?
  • La città meno americanizzata d'Italia, anzi d'Europa. Eppure le truppe americane l'hanno avuta per tanto tempo. Ma una volta ripartiti questi soldati (a parte qualche moretto lasciato lì), tutto quanto era americano è stato cancellato.
    La forza dei napoletani sta in questo: nel loro carattere, nella loro tradizione, nelle loro radici.
  • Io amerei vivere su un pianeta tutto napoletano perché so che ci starei bene.
  • Napoli va presa come una città unica, molto intelligente. Napoli è troppo speciale quindi non la possono capire tutti.
  • Napoli è la città longeva, è sempre la "nuova città", rinata "nuova" nel V secolo a. C., greca di sangue e di spirito, ma ibridata da innumerevoli culture, offesa da lunghe sopraffazioni e mai arresa. Ogni volta "capta cepit[38]". Il suo genio sta non solo concentrato nei suoi straordinari filosofi, dal nolano e dunque conterraneo Bruno al sommo Vico, ma anche nel tessuto della cultura popolare. Il napoletano non ha ironia, ma tagliente arguzia: così egli si difende non dalla vita, come l'ironico, ma nella vita.
  • Napoli, nel mio sogno, sia pure saltellando e sbeffeggiando come Pulcinella, riuscirà a costruire il rispetto di se stessa. [...] Ho spesso rimproverato Napoli per le sue mancanze, per questa borghesia che ho deprecato per la sua mancanza di unità. A Napoli ci sono molti bravi borghesi, ma non una classe che sappia elevare la vita collettiva di tutti attraverso lo sforzo del dialogo comune, di un progetto.
  • Questo è un tema che ci portiamo avanti da millenni, domandarci quale sia la specificità di Napoli, se vi sia la specificità di Napoli. Da un punto di vista approssimativo, empirico, certamente Napoli ha la singolarità di un carattere dei suoi abitanti che è molto disponibile al rapporto con gli altri. Questo ha una sua origine storica. Chi abita nel basso, a pochi passi da un altro, è inevitabilmente abituato a una consuetudine comune, ed è questa consuetudine comune che lo soccorre nei momenti talvolta di pericolo o nei momenti di difficoltà. Questo è un primo aspetto. Ed è su questo aspetto direi fondamentale, di base, che si sviluppa poi tutta una cultura. La cultura napoletana è una cultura della collettività, dello stare insieme, come si potrebbe dire. Si tratta poi di analizzare se questo stare insieme è soltanto una superficiale ricerca di rimediare a ciò che ci manca, cioè a qualcosa di più profondo del nostro vivere, o se questo stare insieme è esso stesso il profondo vivere che noi cerchiamo. È tutto da decidere e sono millenni che non lo abbiamo ancora deciso.
  • Tra i personaggi, che frequentemente s'incontrano nel grande teatro di Pulcinella che è Napoli, non c'è solo il "guappo". C'e anche l'"anima del Purgatorio". Nei muri agli angoli di strada dei quartieri napoletani autenticamente popolari molto spesso si trovano inserite edicolette votive con tanto di Madonne e Santi, quanto di "anime del Purgatorio". Il loro valore artistico è nullo, ma molto interessante ne è il significato antropologico-culturale. [...] non i diavoli dell'Inferno, o gli angeli del Cielo, ma le anime del Purgatorio abitano Napoli. Sono una popolazione intermedia, che non ha altro destino se non tentare di salvarsi dai peggiori sprofondi e di elevarsi verso una definitiva salvezza da cui resta fatalmente lontana. E per le anime del Purgatorio i popolani pregano; esse hanno una posizione preminente nella loro devozione. [...] L'anima del Purgatorio rappresenta chi non si è perduto del tutto, non è precipitato nell'Inferno, non è scomparso inghiottito nelle cavità senza fondo del suolo di Napoli. Il napoletano in un modo o in un altro in queste cavità si annida e non si perde: piuttosto, come l'anima del Purgatorio, resta sospeso, a mezzo tra l'alto e il basso, tra Paradiso e Inferno. Verticalmente egli si muove senza cambiare luogo, senza spostarsi mai, proprio come orizzontalmente sa fare il ciclista che, esercitando con abilità la sua forza sui pedali, non avanza né retrocede: fermo sulle due ruote, sta in equilibrio o, come si dice, surplace. [...] Allo stesso modo il napoletano, senza mai fare un passo, né avanti né indietro, si mantiene in equilibrio nella sua immobilità.
  • Questo Vesuvio, mia buona amica, è uno spettacolo imponente ed augusto. Sfortunatamente non posso vederlo dalla mia finestra; lo si vede però da qualsiasi posto, anche solo a cento passi dalla mia casa, come un immenso fanale nella notte. Una forte eruzione come quella del 1814, per esempio, deve essere uno spettacolo incredibile. La montagna è così vicina alla città, ed il pendio vi porta in modo così diretto che la formazione di un nuovo cratere, e ogni eruzione ne forma uno nuovo, la metterà in gran pericolo. I napoletani, del resto, non ci pensano; sono come i marinai, che dimenticano che solo una tavola li separa dall'abisso, e si è tentati di dimenticare, al cospetto di una natura tanto bella e ridente, come il pericolo possa essere anche ravvicinato dal godimento.
  • Qui sareste la creatura più felice del mondo. Tutto ciò che la natura ha fatto di più bello, di più maestoso e di più incantevole è versato qui a torrenti, su tutto ciò che si vede, si sente e si tocca.
  • Un popolo per metà barbaro, di un'ignoranza assoluta, di una superstizione senza limiti, ardente e passionale come sono gli africani, un popolo che non sa leggere né scrivere e di cui l'ultima parola è il pugnale, offre bel soggetto per l'applicazione dei principi costituzionali.
  • Ciò che permette a Napoli di salvarsi è che nonostante i tempi cambino (e con essi la città ed i napoletani), alcune radici rimangono, come l'uso della lingua. Ci sono elementi che non si cambiano ed è anche giusto che non cambino. Poi Napoli ha la capacità di non farsi travolgere dagli eventi che cambiano, ma li assorbe nel proprio tessuto sociale e culturale, li metabolizza e rimanda indietro sotto altra forma, anche migliorata. Il classico esempio è nella lingua partenopea, ricca di francesismi, termini che derivano dallo spagnolo e dall'arabo, frutto delle varie influenze che la città ha avuto. Ma penso anche alla cultura, alla cucina... Tutte cose che sono state poi reinventate: è questa la vera forza di Napoli, che ha un'identità molto forte e stratificata. Anche per questo numerosi film e serie si girano qui: Napoli può essere sempre raccontata in diverse salse, ci puoi ambientare qualsiasi storia. Anche un racconto distopico a Napoli risulterebbe credibile.
  • Napoli, purtroppo, è conosciuta per alcuni suoi aspetti poco edificanti. Io non voglio negare che esistano, sarebbe inutile. Ma dietro Napoli si estende un tessuto culturale spesso, fatto di persone per bene costrette a soccombere sotto il peso della cronaca nera.
  • Napoli rappresenta allo stesso tempo le mie radici e una fonte di ispirazione. Basta camminare per la città per poter attingere a personaggi, tic, modi di dire.
  • Napoli, storicamente, è anarchica rispetto al rapporto con la regola.
  • Ha detto Cicerone che Napoli è la città dove i sospettosi diventano confidenti, e gli infelici trovano consolazione. Perciò, quando sono seccato della politica vengo a Napoli a dimenticare tutto.
  • I napoletani discendono dagli dèi, questa è la verità, non sono né greci né oschi né romani, sono dèi. Che per vivere sulla terra si sono fatti come siamo; un misto di spirito attico grazie agli ateniesi, di tenacia al lavoro osca, di intelligenza indulgente ed acuta quale si conviene ad esseri divini.
  • Il napoletano non è ozioso; è filosofo. Sa che la vita è labile, l'avvenire è fallace, il lavoro è pena; accetta ogni fatica perché deve dar da mangiare ai piccirilli e alla donna; ma non lo esalta, non ne fa una missione nella vita come avrebbe voluto quello scocciatore di Catone. È povero e non è avido di denaro, è sobrio e non s'ingozza se la fortuna gli mette davanti una tavola imbandita.
  • Ora Napoli ha un nome greco, e se vuoi fare un complimento a qualche mio compatriota che m'intendo io puoi chiamarla l'Atene dell'occidente; ma prima di essere Neapolis era Paleopolis, città antichissima come dice il nome, e prima era Partenope, la città delle sirene, chiamata così dalla sirena Parthenope che ci ebbe la tomba.
  • Cominciamo dal popolo, e anzi tutto rendiamogli giustizia. Ha pregi veri e talune virtù, che non incontrai altrove, spinte fino alla passione; e la parola non è esagerata. Così il sentimento della famiglia, il rispetto ai vecchi, la venerazione filiale, per cui i figli conservano al padre e alla madre il titolo di gnore (signore), e consegnano ad essi, anche quando da fanciulli sono addivenuti uomini, tutto il danaro che guadagnano col lavoro: la veemenza negli affetti, la cieca devozione per gli amici, la tenacità negli amori, che uno sguardo solo basta talora ad accendere e che durano castamente per lunghi anni, fino a che l'amante, accumulando soldo a soldo, non abbia comprato il letto e ammobiliata la casa, ove ricevere la fidanzata sì fedelmente attesa: la carità infine sotto tutte le forme, le elemosine sì largamente distribuite, i socccorsi prestati senza interesse, l'adozione che fanno i poveri dei figli de' più poveri. Non cito che i fatti che vengono sotto la mia penna e che accadono tutti i giorni sotto i miei occhi.
  • È noto che a Napoli la immagine della Vergine non solamente è affissa su tutti i canti delle vie, ma anche nelle botteghe le più profane, nei caffè, nelle taverne e perfino ne' postriboli. Le prostitute, alla pari delle donne oneste, si addormentano la sera, sotto l'immagine della Madre di Dio, che esse, per devoto pudore, tengono velata durante le loro turpitudini. La Madonna può dunque a maggior ragione essere anche nelle prigioni venerata dai malfattori e dai camorristi incaricati di fornire l'olio della lampada, che deve stare accesa dinanzi a lei. A tale effetto, essi richiedono una contribuzione a tutti i detenuti, e guadagnano per tal modo di che illuminare la città intiera. È questo un costume immemorabile, del quale si ritrovano le tracce ad ogni passo, risalendo nella storia di Napoli, fino alla conquista spagnuola, e nella storia della Spagna fino al medio-evo.
  • Il napoletano è per ordinario sobrio, ma intemperante fino alla ghiottornia nelle grandi gioie eccezionali. Dissi fino alla ghiottornia, mai però fino all'ebrezza: dopo questi formidabili pasti e queste omeriche libagioni i convitati se ne tornavano in città insieme, camminando dritti e sicuri, come una pattuglia di granatieri digiuni.
  • Non consiglierei allo straniero, nei tempi che corrono, di bastonare con tanta facilità, come altravolta potea fare, il suo commissionario o il cocchiere del suo fiacre. La dignità individuale si è ritemprata in queste aure libere che dalle cime delle Alpi scendono fino alle falde degli Appennini. Ho veduto ieri co' miei occhi un popolano, il quale schiaffava un borghese azzimato, che lo avea colpito colla sua canna. Quando vi prendevate scherno di un semplice pescatore prima di Garibaldi, egli rideva stupidamente, quasi fosse schiacciato dal peso de' vostri sarcasmi. Ma oggi abbiate prudenza: sa parlare libero e rispondere franco: non ne abusate, vi replicherebbe e vi vincerebbe. Mi spingo più oltre: ho notato nel popolo una certa energia collettizia che si è mostrata più d'una volta, nelle occasioni importanti, e che a più riprese ha coraggiosamente espresso il voto nazionale.
  • La plebe napoletana è come quella dell'antica Roma, formata di liberti che non avevano nulla. Perciò è credulona, superstiziosa, avida di notizie. La plebe di Napoli, dove tanta gente non ha nulla, è ancora più plebe delle altre.
  • Napoli ha una bellissima posizione. Le strade sono larghe e ben pavimentate con grossi e larghi massi di pietra squadrata. Le case, tutte grandi e pressappoco della stessa altezza. Molte piazze grandi e belle; e cinque castelli o fortezze, che non si finisce di ammirare. [...]
    Da quando hanno pensato di costruire le fortezze dentro le città, non si ha più bisogno di avere popoli fedelissimi: li hanno resi obbedienti. Perciò prima scoppiava una rivoluzione al giorno, come in Italia. È quasi impossibile che i Napoletani si ribellino, con le cinque cittadelle che hanno.
  • Non c'è palazzo di giustizia in cui il chiasso dei litiganti e loro accoliti superi quello dei tribunali di Napoli. Lì si vede la lite calzata e vestita.
  • È facile ridere dell'ignoranza, e della crassa superstizione di questo popolo; a me non è mai parsa cosa da ridere; ho visto troppo di questa miseria, che soffre in silenzio perché non sa esprimere il suo tormento nel linguaggio della civilizzazione!
    Mi pare sempre di ritornare indietro per secoli, quando vivo la vita di questa gente, sulla quale lo sviluppo moderno pare non abbia lasciato traccia, né in bene né in male, sul cui spirito si avviluppa ancora il velo del misticismo medioevale. E nondimeno anche questa notte medioevale non è tenebra completa; anche in questa brillano stelle sempiterne.
    Ecco la lampada della Madonna che brilla sui poveri genuflessi; ecco la bellezza della vita monastica che vive tuttora nella silenziosa carità che scorge i passi dei troppo spregiati fraticelli, vaganti di porta in porta.
  • Mi avete seguito nei ricettacoli dei poveri di Napoli; avete potuto ficcar lo sguardo nella vita che menano, e la vista terribile della loro miseria vi ha fatto rabbrividire. E mi domandate se è proprio vero, e come mai esseri umani, al giorno d'oggi, vivono e muoiono come avete veduto che vivono e muoiono queste povere creature! E domandate com'è che siano rimasti tanto indietro, mentre il resto dell'Italia ha progredito nel suo cammino verso la luce e la libertà! Chi è il responsabile di questo straordinario abbandono del popolo di Napoli? Eh, ve lo dirò io su chi ricade, e grave, la responsabilità! Niente si è fatto mai per questa gente, niente!
    Un tempo, la sua degradazione corrispondeva all'interesse dei potenti, ed era considerato tratto di buona politica l'alimentare l'atmosfera di ignoranza e di oppressione, nella quale respirava. Quel tempo è passato, ma l'Italia di oggi non ha fatto per essa più che l'Italia del passato, e nella sua grande opera rinnovatrice ha dimenticato Napoli. E poi tutti si lamentano dell'ignoranza e delle male abitudini di questo popolo, ma tutti dimenticano che non s'è fatto nulla, mai, per estirpare questi malanni, che nessuna mano si è protesa per elevarli in aere più spirabile.
    Oh potessi levar così alto la mia voce che il suono ne giungesse fino a Roma: è una vergogna per l'Italia unita questo oblio completo dei Napoletani. Non v'è scusa che valga!
  • Vi è qualche cosa in questo popolo [...] che non è guastato dalla degradazione completa, qualche cosa che sopravvive a secoli di miseria e di oppressione. È il retaggio che gli fu legato dalla Grecia e da Roma. Anche oggi, fra i cenci e il lezzo, vedete tipi che recano l'impronta di una bellezza imperitura sulla fronte; anche oggi fra le giovinette che vi passano davanti portando, come bestie da soma, gravi pesi sulla testa, vi imbattete in modelli viventi delle Cariatidi dell'Eretteo; anche oggi tra i pescatori di Mergellina potete riconoscere le nobili fattezze della dinastia dei Giuli; anche oggi fra i ragazzi che giocano a Santa Lucia rievocherete il puro profilo di Antinoo, dal ciglio pensoso e dagli occhi sognanti; anche oggi vedrete un lazzarone avvolgersi nel suo lacero mantello, come Cesare nel suo manto, mentre cade accanto alla statua di Pompeo. E malgrado tutti i difetti che qualificano questo popolo, si resta alcuna volta colpiti da una certa nobiltà, da una certa magnanimità, che fa tornare in mente giorni di uno splendore che non è più. È come se ci trovassimo in mezzo al Foro Romano, dove, fra brutte e volgari case moderne, l'occhio si posa sopra colonne di templi in rovina, e sopra archi trionfali di Imperatori!
  • Nessun altro essere umano ama il mondo di un amore così forte, tenace, animalesco.
  • Le forme astratte delle statue, i colori sbiaditi dei vecchi dipinti, le impalpabili immagini del passato impallidiscono e scompaiono molto presto nello spettacolo rutilante di tutti i suoni e di tutte le luci della vita che ci offre la Napoli di oggi. Essa non ha più nessun legame con l'arte di quegli antichi maestri forestieri o con la storia di quei re stranieri da molti secoli ormai trasformati in cenere. Attorno alle mura di musei che custodiscono i resti di una raffinata, antica civiltà, ribolle la vita del popolo, capace, a quanto pare, di seppellirli ancora più profondamente che non la lava e la cenere del Vesuvio.
  • Non ci si potrà mai immaginare Napoli senza il suo classico panorama di mare e montagne. La sua favolosa bellezza è entrata come un'impronta profonda anche nell'anima della gente. [...] Il forestiero può arrivare qui con qualsivoglia pregiudizio contro la "banalità" della bellezza del paesaggio napoletano, ma non potrà non provare un impeto di gioia nel vedere Napoli dalla Certosa di San Martino, o da villa Belvedere al Vomero. La linea della costa, che corre dolcemente fino ai boschi scuri di Sorrento, e i contorni nitidi di Capri e di Ischia risveglieranno nella sua anima un dolce ricordo del paradiso terrestre, antico come il mondo.
  • Io terrei molto a che Napoli non diventasse una città come le altre. Rinuncerebbe a se stessa. È come dire che Rio de Janeiro non dovrebbe essere più Rio de Janeiro. Può migliorare ma partendo da se stessa. Io non vorrei mai che Napoli diventasse un clone di Milano o di un'altra città. In questo sono abbastanza pasoliniano dando ai termini "tribù" e "ultimo villaggio", definizioni che lo scrittore attribuì a Napoli, un significato contemporaneo: non quello di sopravvivenza del passato ma una invenzione di un futuro che nasce da sé, non da un modello esterno.
  • Per svelare i segreti di Napoli occorre penetrare nelle sue terre di mezzo, nella sua geologia fisica e sociale, nei vuoti del sottosuolo ma anche negli ipogei dell'immaginario, dove Partenope continua ad annodare le sue trame.
    Napoli è la più misteriosa città d'Europa, a metà fra Oriente e Occidente, diceva Curzio Malaparte. In realtà, Partenope è la capitale dell'altra Europa, quella che il logos cartesiano non può penetrare se non imperfettamente. E che fa cortocircuitare incessantemente illuminismo e barocco, realismo e magia, liturgia e oleografia. Sta anche in questa differenza il suo mistero. Impossibile da illuminare con la sola luce della ragione. Ma attraversabile con quella della visione, della partecipazione, dell'emozione. E tuttavia Partenope non è accecata dalla sua stessa luce, che spesso e volentieri acceca quelli che la guardano da fuori. E le sue verità segrete esposte in evidenza, i suoi fantasmi, le sue anime in pena, le sue voci di dentro, il suo sole amaro, i suoi mille colori e le sue mille paure, le usa come altrettanti emblemi di una cabbala per figure.
  • Vi sono a Napoli dei luoghi sotterranei che funzionano come una sorta di camera di decompressione simbolica, dove le presenze che abitano il fondo del tempo e dell'immaginario abbiano, nel corso della loro risalita, l'opportunità di sostare per farsi riconoscere e nominare, per riaffiorare infine nel presente senza sconvolgerlo [...] Queste "anime antiche" appaiono allo stesso tempo come simboli, custodi e testimoni del tempo: un archivio. A quest'archivio, i luoghi da una parte, il rituale e il mito dall'altra, forniscono la scena, la scrittura drammatica e l'ordine del discorso. Un discorso capace di arditezze metafisiche incredibili, soprattutto quando riflette obliquamente sul continuo e sul discontinuo, sull'oblio e sulla memoria, affidando ai morti il ruolo che nella logica spetta alle astrazioni. (Marino Niola)
  • Come vivea Napoli prima del 1860? Essa era, come abbiam detto, la capitale del più grande regno della penisola. Messa in clima temperato, tra la collina e il mare (come nell'ideale platonico) dato lo scarso sviluppo della igiene pubblica in tutta Europa, non ostante condizioni cattive della sua edilizia, rimaneva città di dolce soggiorno, in cui i forestieri si recavano spesso a svernare, più spesso ancora erano attratti, oltre che dalla bellezza del clima, dalla facilità della vita.
  • Napoli ha cessato di essere, per necessità delle cose, città di consumo e non è diventata città industriale, né di commercio: quindi le risorse dei cittadini sono diminuite.
  • Napoli, la grande città che era ancora qualche secolo fa la seconda in Europa per popolazione, che nel 1860 soverchiava per importanza tutte le città italiane; Napoli, la città che Sella chiamava cospicua e che avea almeno fino a qualche tempo fa alcune apparenze di ricchezza, Napoli muore lentamente sulle sponde del Tirreno.
  • Come tutte le mostruosità, Napoli non aveva alcun effetto su persone scarsamente umane, e i suoi smisurati incanti non potevano lasciare traccia su un cuore freddo.
  • Di solito, giunti a Napoli, la terra perde per voi buona parte della sua forza di gravità, non avete più peso né direzione. Si cammina senza scopo, si parla senza ragione, si tace senza motivo, ecc. Si viene, si va. Si è qui o lì, non importa dove. È come se tutti avessero perduto la possibilità di una logica, e navigassero nell'astratto profondo, completo, della pura immaginazione.
  • Era strano, ma questo che vedevo, per tanti aspetti non mi sembrava un popolo. Vedevo della gente camminare adagio, parlare lentamente, salutarsi dieci volte prima di lasciasi, e poi ricominciare a parlare ancora. Qualcosa vi appariva spezzato, o mai stato, un motore segreto, che sostituisce al parlare l'agire, al fantasticare il pensare, al sorridere l'interrogarsi; e, in una parola, dà freno al colore, perché appaia la linea. Non vedevo linea, qui, ma un colore così turbinoso, da farsi a un punto bianco assoluto, o nero.
  • Erano molto veri il dolore e il male di Napoli, usciti in pezzi dalla guerra. Ma Napoli era città sterminata, godeva anche di infinite risorse nella sua grazia naturale, nel suo vivere pieno di radici.
  • Ho abitato a lungo in una città veramente eccezionale. Qui [...] tutte le cose, il bene e il male, la salute e lo spasimo, la felicità più cantante e il dolore più lacerato, [...] tutte queste voci erano così saldamente strette, confuse, amalgamate tra loro, che il forestiero che giungeva in questa città ne aveva, a tutta prima, una impressione stranissima, come di un'orchestra i cui strumenti, composti di anime umane, non obbedissero più alla bacchetta intelligente del Maestro, ma si esprimessero ciascuno per proprio conto suscitando effetti di una meravigliosa confusione.
  • L'eterna folla di Napoli, semovente come un serpe folgorato dal sole, ma non ancora ucciso.
  • La città si copriva di rumori, a un tratto, per non riflettere più, come un infelice si ubriaca. Ma non era lieto, non era limpido, non era buono quel rumore fatto di chiacchierii, di richiami, di risate, o solo di suoni meccanici; latente e orribile vi si avvertiva il silenzio, l'irrigidirsi della memoria, l'andirivieni impazzito della speranza.
  • Napoli è un pezzo di deserto azzurro.
  • Tornai al mio albergo, e pensando tanti casi e persone passò la notte, e riapparve l'alba del giorno in cui dovevo ripartire. Mi accostai alla finestra di quella casa ch'era alta come una torre, e guardai tutta Napoli: nella immensa luce, delicata come quella di una conchiglia, dalle verdi colline del Vomero e di Capodimonte fino alla punta scura di Posillipo, era un solo sonno, una meraviglia senza coscienza.
  • Il più delizioso paese dell'Europa è Napoli, e di quanto fa duopo per una vita deliziosa è provveduto, benche da perverso popolo sia abitato. Albergo è quasi sempre della più trista nazione 'l paese migliore. Si trovano quivi galantuomini quanti altrove fuor d'ogni dubbio, ma così mi spiego al riguardo del popolo minuto, che dello stato la terza parte compone.
  • Nazione di più inquietissima è questa, e contro cui devesi ad ogni momento ben avvertire; chiara testimonianza ne fanno quaranta due generali rivoluzioni seguite doppo la separazione sua dal Romano impero, di cui per lo passato era parte, e nello spazio di due anni ha cinque Re tutti di nazioni differenti avuto, questa Corona i Re di Spagna possedendo, dicevasi; che 'l Re cattolico in Sicilia per la dolcezza regnava, per l'autorità in Milano, ed in Napoli con la sottigliezza.
  • Napoli è nel rimanente 'l paese de' Monaci e delle Civette, due spezie d'animali ugualmente pericolosi, e per una quotidiana, ed ordinaria Conversazione: Forastieri molti perciò non si vedono doppo un breve soggiorno in altra maniera ritornarsene, che colla borsa vuota, caricata la coscienza, e contaminato 'l corpo. Questa è di Napoli la mia sentenza, che per verità d'esser veduto merita, ma non già d'esser con troppa curiosità esaminato.
  • Finché i veri napoletani ci saranno, ci saranno, quando non ci saranno più, saranno altri. Non saranno dei napoletani trasformati. I napoletani hanno deciso di estinguersi, restando fino all'ultimo napoletani, cioè irripetibili, irriducibili, incorruttibili.
  • Ho scelto Napoli[39]perché è una sacca storica: i napoletani hanno deciso di restare quello che erano e così di lasciarsi morire: come certe tribù dell'Africa.
  • Io con un napoletano posso semplicemente dire quel che so, perché ho, per il suo sapere, un'idea piena di rispetto quasi mitico, e comunque pieno di allegria e di naturale affetto. Considero anche l'imbroglio uno scambio di sapere. Un giorno mi sono accorto che un napoletano, durante un'effusione di affetto, mi stava sfilando il portafoglio: gliel'ho fatto notare, e il nostro affetto è cresciuto.
  • Io so questo: che i napoletani oggi sono una grande tribù che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg e i Beja, vive nel ventre di una grande città di mare. Questa tribù ha deciso – in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte – di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia o altrimenti la modernità. La stessa cosa fanno nel deserto i Tuareg o nella savana i Beja (o lo fanno anche da secoli, gli zingari): è un rifiuto sorto dal cuore della collettività [...]; una negazione fatale contro cui non c'è niente da fare. Essa dà una profonda malinconia come tutte le tragedie che si compiono lentamente; ma anche una profonda consolazione, perché questo rifiuto, questa negazione alla storia, è giusto, è sacrosanto.
  • Io sto scrivendo nei primi mesi del 1975: e, in questo periodo, benché sia ormai un po' di tempo che non vengo a Napoli, i napoletani rappresentano per me una categoria di persone che mi sono appunto, in concreto, e, per di più, ideologicamente, simpatici. Essi infatti in questi anni – e, per la precisione, in questo decennio – non sono molto cambiati. Sono rimasti gli stessi napoletani di tutta la storia. E questo per me è molto importante, anche se so che posso essere sospettato, per questo, delle cose più terribili, fino ad apparire un traditore, un reietto, un poco di buono. Ma cosa vuoi farci, preferisco la povertà dei napoletani al benessere della repubblica italiana, preferisco l'ignoranza dei napoletani alle scuole della repubblica italiana, preferisco le scenette, sia pure un po' naturalistiche, cui si può ancora assistere nei bassi napoletani alle scenette della televisione della repubblica italiana. Coi napoletani mi sento in estrema confidenza, perché siamo costretti a capirci a vicenda. Coi napoletani non ho ritegno fisico, perché essi, innocentemente, non ce l'hanno con me. Coi napoletani posso presumere di poter insegnare qualcosa perché essi sanno che la loro attenzione è un favore che essi mi fanno. Lo scambio di sapere è dunque assolutamente naturale.
  • Napoli è ancora l'ultima metropoli plebea, l'ultimo grande villaggio (e per di più con tradizioni culturali non strettamente italiane): questo fatto generale e storico livella fisicamente e intellettualmente le classi sociali. La vitalità è sempre fonte di affetto e ingenuità. A Napoli sono pieni di vitalità sia il ragazzo povero che il ragazzo borghese.
Palazzo dello Spagnolo
  • Ancor prima che avessimo compiuto il periplo del promontorio di Posillipo, il cratere del Vesuvio eruttò lentamente nel cielo un figlio ardente, il sole, e mare e terra si infiammarono. L'anfiteatro di Napoli coi palazzi color dell'aurora, la sua piazza del mercato fatta di vele pallide, il brulichio delle sue fattorie sulle pendici dei monti e sulla riva e il suo trono verdeggiante di Sant'Elmo, si drizzò fieramente tra due montagne, davanti al mare.
  • Io passeggiavo solitario; per me non c'era notte, né casa. Il mare dormiva, la terra pareva desta. Nel fuggevole chiarore (la luna calava già verso Posillipo) contemplavo quella divina città di frontiera del mondo delle acque, quella montagna di palazzi che s'inerpicava, fin dove l'alto castello di Sant'Elmo occhieggiava bianco tra il verde del fogliame. La terra cingeva il bel mare; sul braccio destro, il Posillipo, portava fiorenti vigneti fin dentro le onde, mentre col sinistro reggeva città e racchiudeva le onde e le navi del mare e se le stringeva al petto. Sull'orizzonte la puntuta Capri giaceva nell'acqua come una sfinge e sorvegliava la porta del golfo. Dietro la città il vulcano fumava nell'etere, sprizzando a tratti scintille tra le stelle.
  • La luna era alta nel cielo, luminosa come un sole, e l'orizzonte era indorato dalle stelle – e in tutto il cielo senza nubi si ergeva sola, a oriente la cupa colonna del Vesuvio. Nel cuore della notte, dopo le due, attraversammo da un capo all'altro la città meravigliosa, in cui continuava a fiorire la vita del giorno. Gente allegra popolava le strade – i balconi si scambiavano canzoni – sui tetti spuntavano fiori, alberi tra i lampioni, e le campanelle delle ore prolungavano il giorno, e la luna sembrava riscaldare. Solo di tanto in tanto ci imbattevamo lungo i colonnati, in qualcuno intento alla sua siesta.
  • Costumi tranquilli del popolo napoletano, che ci si immagina inquietante: la sorveglianza notturna di questa città è affidata a dodici carabinieri.
  • La vera Napoli, meravigliosa, pittoresca, commovente: quella della strada.
  • «Posillipo»: «che calma il dolore». Questo luogo d'incanto deve il nome a una villa di Pollione, il Romano che gettava gli schiavi alle murene. Un nome così di buon augurio non era che un'antifrasi.
  • Risa e sorrisi – la sola Corte d'Europa dove Casanova abbia sentito ridere fragorosamente fu quella di Napoli.
  • Un incidente qualunque fornisce immediatamente dei numeri per giocare al lotto. Un vaso da fiori è caduto in testa ad una passante: i testimoni, dopo averla soccorsa, vanno a giocare 17 (disgrazia), 21 (ad una donna), 34 (sulla testa).
  • A Napoli, come a Parigi, è difficile udire, almeno in conversazione, quei giudizi assoluti, radicalmente negativi che si odono altrove; come a Parigi, la tendenza è piuttosto verso l'assoluzione, naturalmente con un sottinteso un po' scettico, e senza approfondire troppo; vi è sempre, nei giudizi, un umorismo e un garbo di capitale anche mondana.
  • È un accento che spesso ho udito risuonare a Napoli in diversa forma. Un incanto nel vivere, unito però al sottinteso che il vivere ha per se stesso qualche cosa di doloroso. Si ha una specie di pendolo tra quell'incanto e quel sottinteso riposto: non si sa mai quale prevalga.
  • I bambini, le «creature» brulicano. Anche nei ristoranti medi, pochi sono gli avventori senza i bambini intorno. Napoli è una città allattante e poppante, perpetuamente gravida. Un semidio napoletano è l'amore; nella coscienza popolare, l'amore si redime con la creazione.
  • L'orario a Napoli può essere una necessità pratica, mai una necessità intima. Lo si abbandona quando non occorre più.
  • La bellezza di Napoli cresce di giorno in giorno, di settimana in settimana, via via che scopre i suoi segreti, finché si giunge a intendere che veramente è questo il più bel golfo della terra.
  • Napoli non è una città per puristi. Vedo una chiesetta barocca, che porta a metà altezza la statua di un angelo, e si prolunga sul medesimo piano con la finestra e il balconcino di una casa senza pretese. Al balconcino sta una donna, gomito a gomito con la statua dell'angelo; questa è veramente Napoli; si abbatta la casa e il balcone, e anche la chiesa sarà divenuta scipita. In tutte le città, ma a Napoli specialmente, risulta evidente che l'arte non è fatta soltanto di quelle che chiamiamo opere d'arte.
  • Come ha trovato modo di convivere con i santi, con i miracoli, con la scienza e la tecnica, questo popolo vive in confidenza con le forze occulte e le potenze cosmiche. Dovunque si destreggia con la sua malizia, come la piccola barca sulle onde del mare. Anche per questo credo che il vulcano di Napoli, come gli scavi archeologici del Napoletano, non abbiano equivalenti in nessuna parte del mondo: tutto a Napoli, è umanizzato due volte.
  • Il popolo di Napoli, malgrado ciò che si pretende ultimamente, deve essere considerato come il primo popolo della terra per inclinazione alla sommossa: esiste un libro italiano, intitolato: Relazione della ventisettesima rivolta della FEDELISSIMA città di Napoli. Ma questi uomini indisciplinati, facili all'ira, non sono né crudeli, né furiosi, e malgrado la loro vivacità e l'ardore del clima che li brucia, la loro storia non offre nessuno di quei grandi massacri popolari di cui la storia di nazioni più civilizzate offre anche troppi esempi; gli orrori della rivoluzione del 1799 scaturirono da Nelson e dalla corte; degli autentici napoletani non avrebbero mai destituito San Gennaro, come giacobino e protettore dei Giacobini, per sostituirlo, come si fece, con S. Antonio.
  • Le diverse dominazioni straniere che hanno occupato questo paese, successivamente greco, arabo, normanno, spagnolo, austriaco, francese, produssero senza dubbio negli abitanti la loro perpetua assuefazione, la loro facilità d'imitazione: fin nei costumi odierni si ritrovano molte tracce dei costumi spagnoli, quali l'esagerazione, la iattanza, il gusto delle cerimonie, e da vent'anni l'esercito ha scimmiottato di volta in volta i Francesi, gli Inglesi, e gli Austriaci, prendendo sempre, come capita a quelle specie di copisti, ciò che c'è di peggio nei loro modelli.
  • Se la natura del Napoletano è poco elevata, il suo istinto è buono, compassionevole, e benché ignorante, svogliato, ha immaginazione ed un'intelligenza viva, molto suscettibile di essere coltivata; il suo linguaggio è pittoresco, figurato, talvolta eloquente. Quando Sua Maestà l'arciduchessa Maria Luisa venne a Napoli, nel 1824, la si mostrò da lontano ad un uomo del popolo, dicendogli che era la vedova di NapoleoneChe la vedova? ribatté il Lazzarone, è il suo sepolcro.
  • Le città come Napoli, io le trovo complete. Quando ci arrivate, vi prende una specie di smania di perdervi per le loro strade, di fondervi con la vita popolare, di immergervi in un bagno di folta umanità. Il sudiciume diventa una piacevolezza, anzi vi dispiace non saper mangiare i maccheroni con le mani; le superstizioni, il gioco della morra, la miseria vi inteneriscono. Tutta la vita si svolge in strada e quello che vi affascina è la vita in strada. La strada vi attira. Andare a Pompei è come fare una visita in cimitero. Salire le falde del Vesuvio in funicolare è una cosa ridicola e un vero e proprio sberleffo all'importanza che certe università tedesche danno ai vulcani. Andare al Museo, avendo al fianco una vita piccante e festosa, è come barattare il certo per l'incerto. Non c'è possibilità di dubbio. A Napoli, il compito di un turista cosciente e ben organizzato è questo: perdersi per i vicoli.
  • Napoli è un fiore di gusto gesuitico. Le effigi della Madonna, dei santi, delle sante sembrano opera di un barbiere mistico, che si è dato alla scultura. Gli ori, i ricami, le decorazioni si trovano qui incredibilmente in abbondanza. Si è voluto che l'arte diventasse realismo fotografico. Certe volte l'antropomorfismo realista giunge a degli estremi di indicibile violenza. Nella cripta di Santa Maria della Pietà c'è un Cristo morto avvolto in un lenzuolo. Quando la guida ne illumina il corpo alla debole luce di un fiammifero, si prova la stessa impressione che se ci si trovasse davanti a un cadavere di quindici giorni. E i santi, poi! Che barbe, che baffi, che abiti! Se ne potrebbe fare un ripasso delle mode e degli stili di tutte le epoche.
  • Napoli [...] ha tutti i sensi, tutte le forme e anche tutte le brutture rivolte verso il mare. Napoli non ha un fondo né una profondità. Ha la sua estensione davanti al blu. E questo mare, questo blu di Napoli, non ha fine né limiti. Ma questo – lo sanno tutti – è una delle cose più fini e più sensuali del mondo.
  • La consonanza assoluta della gente napoletana con la città che la tiene stretta è il fatto capitale, che non somiglia a nessun altro fenomeno sociologico di altrove, perché New York o Londra potrebbero mutare a loro piacimento la loro disposizione urbanistica e la gente neviorchese o londinese non muterebbe di un soffio il suo modo di vivere. [...] Ed è proprio dunque da questo costante abbraccio fra la città e la sua gente, da questo rapporto che all'apparenza è anche irrazionale ma che poi si rivela come un preciso equilibrio di forze concomitanti, che nascono tanti aspetti della socialità napoletana. [(Mario Stefanile)]
    Parole che vorremmo fossero meditate dai vari inviati speciali quando vengono quaggiù a diagnosticare le piaghe di Napoli: che sono le stesse piaghe della nazione, ingrandite, se si vuole, o esasperate, solo da questa situazione di fondo registrata da Stefanile. Del resto, aggiungiamo a nostra consolazione, se questi inviati non l'hanno capita, la nostra Napoli, non l'hanno capita neppure tanti ospiti illustri, e ben più validi sul piano letterario: non l'hanno capita, vogliamo dire, né Dumas né Anatole France né Lamartine né Mommsen, i quali l'interpretarono, com'è naturale, ciascuno secondo le reazioni del proprio temperamento. E poi non dimentichiamo le eredità impostate nel nostro sangue: fenicia, greca, moresca, e forse anche slava se la filosofia del «lassamme fa a' Ddio» si apparenta al «nitchevò» russo: per non parlare dell'eredità del Vesuvio, questa specie di Moby Dick nostrano.
    Anche per tutto questo in nessun altro luogo del mondo si ritrova con la stessa evidenza che acquista a Napoli la testimonianza di un rapporto immediato viscerale e continuo fra i cittadini e la città, senza la mediazione e anzi a dispregio della legge, della norma e dell'autorità. Pensate per un momento a Spaccanapoli, dove una folla pittoresca, geniale, fertile d'inventiva, sembra quotidianamente accreditare – con parole, gesti e atteggiamenti – la sua duplice singolarità alla Giordano Bruno: scoprire la gioia di vivere nella sua deprimente miseria, e trovare nelle sue scarse felicità un invito alla malinconia e alla rassegnazione. Ecco perché prima che una città, Napoli è a suo modo una categoria umana, e il suo connotato più rilevante resta l'imprevedibilità e il suo destino quello di favorire e continuare a favorire, con la sua permanente contrapposizione e contraddizione – di paesaggio, di storia, di costume, di vita – un'abbondante fioritura di luoghi comuni che ne perpetuano un'immagine di falso folclore e ininterrotto colore locale.
  • Si stendeva sul golfo una caligine colorata, un cumulo di vapori che andavano dal rosa all'azzurro al viola, conferendo al paesaggio, come il riverbero d'uno specchio rotto, quella vaghezza di riflessi, di ombre, di tinte e di lumi ch'è la tristezza di Napoli. [...] In nessuna casa di Napoli la luce era stata ancora accesa. Ma quante case, Gesù! Da far venire il capogiro a fissarle un poco a lungo: era così grande, Napoli? Non s'era mai affacciata[40]da San Martino su Napoli: è uno spettacolo meraviglioso. Era grande, la città, a starci dentro non sembrava: ora osservava le facciate stinte delle case, predominavano l'intonaco rosa e il colore grigio, il rosa pareva un riverbero di fuoco e il grigio un tappeto di cenere vulcanica: riconosceva le cupole argentate delle chiese, i terrazzi asfaltati pieni di rattoppi come la biancheria dei poveretti, le buche dei palazzi distrutti: e le strade dove si trovano? Un groviglio, a guardarle da quassù, un crudo e umido intrico di pietre.
  • [Napoli, vista da San Martino] [...] a poco a poco emersero in quella velata malinconia, nella foschia dei vapori rosei azzurrastri e violacei, fra un brusio di voci perpetue e lontane, i profili delle case, le squadrature dei terrazzi, le rampe tortuose, le scale a precipizio. Cercava un taglio diritto da riconoscere una strada, e non lo trovava: restava questo aspetto informe e caotico di concrezione uscita dal mare, rimasta a secco, scavata con lenti e individuali accorgimenti per trovarvi riparo.
  • Il mio amico ed io ci avventurammo da soli in Via Toledo e, spinti dalla folla, giungemmo alla piazza del Palazzo dove vedemmo per la prima volta in tutta la loro maestà il golfo ed il Vesuvio fumante. Quale che fosse l'impressione destata in noi da questa immagine, il rumore ed il movimento che ci circondava erano così grandi, che l'intera prospettiva ci sembrava girare con la folla. Ero continuamente sul punto di gridare al popolo: insomma, tenetevi un po' tranquilli, perché possa godere di questa bella veduta che ha altrettanto bisogno di silenzio che di un canto melodioso; ma questo popolo che le baionette austriache sole potevano far tacere, di sicuro non si sarebbe lasciato calmare da belle parole; dovetti così rinunciare per il momento a godere di questa tranquillità a cui aspiravo.
  • Molto spesso Posillipo mi era stato vantato come il più bel luogo che si trovi negli immediati dintorni di Napoli, e ci dirigemmo quindi da quella parte. Più di una volta lungo il nostro cammino fummo fermati prima di giungere alla meta cui tendevamo; perché, nonostante già conoscessimo discretamente l'Italia e ci fossimo abbastanza familiarizzati con gli usi degli Italiani, fummo nondimeno talmente sorpresi da tutto quel che vedevamo e sentivamo a Napoli, che ci sembrava di essere in mezzo ad un popolo del tutto estraneo a ciò che avevamo visto a Milano, a Genova o a Roma: erano altri giochi, altri canti, altri costumi; gli stessi cavalli erano diversamente bardati. Tutto, in una parola, era nuovo per noi. Ma ciò che più di ogni altra cosa ci colpì, furono senza dubbio le grida eccessive del popolo.
  • Napoli non ha né porte né mura di cinta, così che ci trovammo, senza aspettarcelo, in mezzo a questa città popolosa in cui all'improvviso fummo storditi dal rumore della folla che ci circondava come se, durante un viaggio per mare, fossimo stati sorpresi da una tempesta in mezzo alla calma più profonda. Quando entrammo in Via Toledo immaginai che da poco fosse avvenuta una sommossa e che il popolo si accingesse a prendere d'assalto il palazzo del re o il castel Sant'Elmo; ma, osservando più da vicino, vedemmo che tutte queste persone così chiassose, erano, in fondo, individui assolutamente pacifici che gridavano solo per vendere le loro merci, che consistevano in qualche cipolla, in fette di anguria o in piccoli pesci. Accanto a questi venditori ambulanti si trovavano i mercanti fissi di maccheroni, di frittelle, di limonate e di arance. Oltre a questo, poiché era domenica, e la serata era bella, le strade erano ancora gremite d'un gran numero di allegri oziosi a cui è permesso di gridare e cantare a squarciagola, senza minimamente darsene pensiero. In mezzo a questa folla, i calessari correvano al gran galoppo come se si trattasse di guadagnare il premio della corsa, ciò che non migliorava la tranquillità ed il buon ordine. Man mano che avanzavamo la folla si faceva sempre più serrata, di modo che alla fine ci trovammo completamente bloccati, sia per la quantità di persone che per le riparazioni che si facevano al lastricato.
  • Qui imparo anche a conoscere questa trasparenza dell'atmosfera di cui avevo tanto sentito parlare; perché dal mio balcone distinguo perfettamente nella città di Sorrento da cui sono lontano quindici miglia, ogni casa con la sua forma ed anche il suo colore. Quel che c'è di più straordinario è che, quando il cielo è coperto, gli oggetti si avvicinano e sembrano divenire ancora più distinti; mentre quando fa molto caldo, e soprattutto quando soffia lo scirocco, sono come avvolti in un vapore incerto e gialligno. Dall'altro lato del mio balcone, ho innanzitutto la parte della città che si estende verso la Villa Reale e Posillipo, poi fiancheggio i giardini e le residenze di villeggiatura, mi elevo verso il Capo Miseno e volo da un'isola all'altra. L'Epomeo, nell'isola d'Ischia, serve da limite da questa parte, ma le isole sono disposte nel mare come una collana di corallo, e le onde, fatte lucenti dal sole, che brillano in un orizzonte lontano, somigliano ad una catena d'argento che lega insieme i due promontori collocati l'uno di fronte all'altro. Quando si hanno davanti agli occhi tante mirabili bellezze, che non si ha bisogno di andare a cercare, non si sente il minimo desiderio di uscire di casa, a meno che non si veda passare sotto le proprie finestre una gondola o una barca a vapore; allora, a dire il vero, si sentono nascere desideri cui si fa fatica a resistere.
  • Chi non è vissuto in una città balia, ma solo in una città madre, difficilmente potrà comprendere come le ordinate costellazioni celesti, a immagine dell’ordine terrestre – spirituale, sociale, politico, – siano indifferenti al napoletano, mentre nella Via Lattea egli ritrova quell'indistinto luminoso brulichio, privo di forme e di nomi, quel caos chiaro e nutriente, specchio celeste della sua città.
  • E fuggendo Napoli, per inseguire un Nord mitico, che quasi sempre non oltrepassava Roma, [i giovani intellettuali napoletani] venivano a loro volta inseguiti da Napoli, come da una segreta ossessione. Ché Napoli usa seguire i suoi concittadini dovunque, come un'ombra, se si trasferiscono altrove.... Così Napoli, dove è così difficile vivere e che invoglia tanto a partire, che è così difficile abbandonare e che costringe sempre a tornare, diventa, più di molti altri, il luogo emblematico di una generale condizione umana nel nostro tempo: trovarsi su un inabitabile pianeta, ma sapere che è l'unico dove per ora possiamo star di casa.
  • La porta dell'Oriente verso l'Occidente e dell'Occidente verso l'Oriente, come definì Napoli Braudel, è sempre spalancata, pronta ad accogliere tutti. Ma chi la oltrepassa avverte di entrare in un luogo dove sono radunati i membri di una grande setta segreta alla quale è arduo essere iniziati.
  • A Napoli Boccaccio si preparò non solo a diventare uomo, ma intanto divenne sommo scrittore in quanto subì una profonda napoletanizzazione. A Napoli acquistò il vastissimo sentimento tragico della vita, di una vita in movimento, senza scrupoli, consumata dalla e nell'azione, senza mezze misure, intensa nel bene e nel male, nell'amore celeste e nel profano.
  • Boccaccio lontano da Napoli vive come un emigrante. Non sa porre radici profonde in nessun altro luogo. Si rassegnerà a rimanere in Certaldo. E il paese che sempre l'attirerà, anche dopo l'amara delusione del 1362, sarà Napoli, ed è a Napoli, come gli emigranti, che penserà sempre di ritornare. A Napoli, non a Firenze, che non gli ricorda le donne ingrate ma appassionate di Napoli, le scampagnate a Baia, i bagni e e le cacce, quel mare, quel cielo, quella città piena di gente, amante di una vita gridata, che tira a campare senza preoccuparsi se domani sarà domenica o lunedì, giacché sarà un bel giorno se la fortuna avrà dato un segno della sua benevolenza.
  • Come un popolo tanto disposto al farsesco sia poi giunto a certi suoi grandi giorni, a Masaniello, al netto rifiuto dell'Inquisizione (anche se a Napoli in fatto d'impiccagioni, arrotamenti, squartamenti, supplizi in pubblico se ne contarono a migliaia fino al Settecento), alla Repubblica del '99 e ai moti del 1820, non ce lo sapremo spiegare se dovessimo prendere sul serio la sua letteratura che si è lasciata attrarre quasi sempre dagli effetti e non dalle cause, che ha sottomesso la miseria al colore, non il colore ad essa. Chi ha parlato delle 4 giornate? E donde sono uscite? Dalla pulcinelleria?
  • [Il panorama dal balcone di una casa di Napoli] Da Punta della Campanella a Capo Miseno[41]era un cerchio perfetto nella metafisica luce della luna. Ogni punto era un riferimento archeo-storico-sociologico, un «a capo del mito»: il Vesuvio, Pompei, la costa di Stabia, il promontorio di Sorrento, Capri e il Salto di Tiberio, lo sperone di Ischia, la prua della virgiliana Posillipo e il vasto mare a cerchi concentrici come l'eco, frastagliato dalle luci delle lampare... Ora mi spiego perché Giacomo Leopardi dettò gli ultimi sei versi del divino (e mai aggettivo fu più effettuale) Tramonto della luna da un giardino del golfo, dopo avere amato e odiato Napoli.
  • Dovunque si parli di Napoli, c'è una disposizione a comprendere Napoli, che è in sostanza un'accusa alla sua pulcinelleria, alla sua corruzione in politica e in morale. Popolo sporco, dedito all'ozio, alla prostituzione, impoeticissimo! E la nostra meraviglia si leva in dubbio; per come sia stato possibile che un popolo corrotto, da quando se ne ha una memoria, sia ancora tanto vivo, anzi nella piena capacità d'insegnare qualche cosa agli uomini, di dare a loro, se non altro, uno spettacolo che gli stranieri chiamano vita piena.
  • Il mare a Napoli è un maestro. Il mare è una lenta fatica.
  • Il napoletano è fuori dalla storia; o meglio vi è stato così addentro e così maltrattato, deriso e beffato che ha finito per uscire dal tempo, creandosi un suo ambiente eterno dominato, è ovvio, da San Gennaro e dalla cabala.
    Che cosa poteva fare di diverso con i suoi problemi in sospeso e procrastinati all'infinito?
  • Il rilievo del mendicante, che sarebbe violento in un'altra città, a Napoli, rientra nel quadro generale della grande miseria. Si distinguono solo quei mendicanti coperti di piaghe o di altre brutture fisiche, esposte con arte provetta. Ma se piaghe, infermità e mutilazioni, stracci e insetti muovono a ribrezzo la maggioranza degli uomini, ai napoletani suggeriscono una profonda emozione. Il napoletano vecchio tipo nutriva una cieca sfiducia nel Progresso, ma confidava nella Provvidenza. In cuor suo non approvava che un mendicante, ossia un uomo colpevole di non essersi maturato nel grembo di una regina, doveva essere gettato nel fetore e nella promiscuità di un ospizio, togliendogli, in pratica, la libertà. Era considerato un colmo d'ingiustizia.
  • La porta misteriosa di tutta l'Italia meridionale.
  • «Ma Napoli, Napoli bella della mia gioventù, com'è diventata?»
    «È orribile. Altro che odore di mare, che mi dicevi. Odore di merda come qua. Ma qua è la nostra merda».
  • Napoli, una commedia perpetua recitata in pubblico, gridata e urlata.
  • Ora l'anno è pieno. Siamo agli sgoccioli. I giorni non passano mai, ma gli anni passano come i lampi. Ma a Napoli se ne fregano. Tutto in questo mese concorre verso il presepe, ossia verso un mondo immaginario pieno di pace e di bendidio. Il presepe è questo: la metafora di come dovrebbe essere la terra governata più che dagli uomini dall'ingenuo Bambino Gesù. Il presepe è il regno dell'armonia e della fine dell'ingiustizia.
  • Per noi resta il fatto che ovunque troviamo quattro righe su Napoli, prostituzione, furto, arrangiamento e compromesso sono i punti di forza. Ma il sentimento tragico della vita, spogliato e nudo, che qui regna su tutto, come la violenza di vivere almeno una volta, perché una volta si vive, rimangono forze oscure.
  • Re, governanti, turisti e poeti passano e se ne vanno. Anche il napoletano se ne andrebbe a vivere in riva al mare, dove l'aria sveltisce il cuore, o sulla collina del Vomero o ai Camaldoli, dove c'è odore di campagna e di cielo fresco. Egli invece è costretto a restare nel pozzo. Questa certezza ha trasformato il vicolo in una casa in comune, ha sviluppato l'istinto del mutuo soccorso – si prestano tutto: pentole, cibi, panni, scarpe, abiti – ma ha anche sollecitato un'indifferenza politica fatalistica, che ne ha fatto un popolo politicamente rachitico.
  • Scartati i re, i loro delfini, parenti, congiunti e amici, ai napoletani rimase il patrono, proprio nel significato di padre da cui solo sperare non miracoli, ma il pane allo stato brado. Da questo legittimo desiderio a «un culto di sangue di stampo barbarico[42]» ce ne passa. San Gennaro largamente manovrato dai chierici per tener buoni gli sprovveduti si trasformò in un'arma di ricatto nelle mani di questi ultimi nell'immarcescibile speranza di addomesticare chi aveva e poteva.
  • Si resta a Napoli perché i napoletani nella collettivizzazione universale, conservano un loro preciso comportamento; perché non provano il rigetto del loro prossimo. Lo accettano, ne sopportano e comprendono i difetti. È per questo motivo che la notte napoletana è ancora tra le più fulgide notti del mondo. Alle tre del mattino si può invitare un amico a gustare un piatto di spaghetti con pomodori, triglie in cartoccio e babà flambé. In molti luoghi d'Europa si vocifera di libertà sessuale: ma soltanto a Napoli, da illo tempore, una creatura di qualsiasi sesso può coltivare i propri sfizi. Il vizio della libertà sessuale a una certa ora della notte si respira nell'aria. Certo, rimane una città difficile. È per palati dal gusto forte. Possono capitare tante cose, tante avventure, tanti guai, tante invenzioni del vivere e tanti delitti. La ragione è semplice. Non c'è mai stata una borghesia a dettare le leggi dell'ipocrisia. La città è rimasta sostanzialmente plebea, incline al «dialettale», al versante greco, quello liberatorio degli istinti, più che mai socratica e legata al superiore ordine divino (umile, semplice) che a quello storico e politico: potere e violenza. Una città con ancora le carni e le piaghe esposte, dolenti e alla ricerca di una giustizia più vicina al diavolo che a Dio.
  • Troppa folla, troppo disordine, troppo rumore. Non pioveva, ma le strade erano bagnate e umide peggio che in campagna, e dappertutto bucce e cartacce, semi di zucca, scheletrini di pesci, valve di cozze, banchi di pizzaiuoli di paste cresciute esposte alla polvere in un acre fetor d'olio fritto.
  • Truppe d'occupazione furono quelle americane, ma apportatrici di un vastissimo concetto di democrazia nel significato più comune e umano del termine. Il fatto che un capitano alleato potesse amare fino a sposarla una popolana fu una rivelazione (e una rivoluzione) sociale d'inaudita importanza. Una conquista memorabile, che restò nel fondo del cuore dei napoletani. Per questa ragione la società fittizia e illegale che si instaurò a Napoli per due o tre anni lasciò dei beni morali e spirituali che sono ancora motori di progresso più di mille teorie.
  • [Napoli] Un infernale miscuglio di casi umani piccoli e piccolissimi, ma ugualmente fatali e terribili, potenti nella gioia e nella tristezza, che riceve, raccoglie e nasconde gente di ogni risma e razza.
  • Una città in cui l'ingiustizia è diventata edilizia, plastica, rilevo.
  • Affidare a un pool di intelligenze il progetto di un nuovo sviluppo, la mappatura dei problemi aperti, la speranza di mobilitazione delle coscienze, il compito di elaborare una prospettiva di futuro. Napoli è una città che non conosce se stessa.
  • Antonio Bassolino è il nuovo sindaco di Napoli. La città ha detto no alla nipote del duce, Alessandra Mussolini, che comunque esce dalla piazza non proprio polverizzata, con il 44,4 per cento dei voti che poca cosa non è.
    Ma che importa? Il dettaglio appartiene alla cronaca; l'evento alla storia. Un ciclo si chiude anche per questa città (si è chiuso per la verità già da tempo con il crollo di tutto un ceto dirigente e di un'impalcatura di potere) e noi, figli della guerra fredda, diventiamo archeologia.
  • Chi semina vento raccoglie tempesta, sostiene il proverbio. A Napoli il vento fu seminato ancora prima dell'ultimo conflitto mondiale, quando la città fu chiamata a garantire col sacrificio del proprio mare e del proprio porto, insomma con la rinuncia a ogni forma di sviluppo possibile, i perversi equilibri della guerra fredda nell'area sud-europea.
  • Fra il popolo, non si vedono che marchi spaventosi del veleno di questa peste[43]che sfigura ogni cosa in quasi tutte le parti del corpo. Se il veleno è tenuto più nascosto dai ricchi e dai nobili, non è per questo meno pericoloso, e io credo che ciò che uno straniero può fare di meglio è di evitare ogni contatto con questo popolo corrotto.
    Come fare tuttavia, in un paese in cui il clima, gli alimenti e la corruzione generale invitano così eternamente alla depravazione? È fisicamente impossibile immaginarsi sino a qual punto essa è spinta a Napoli.
    Le strade, di sera, sono piene di sventurate vittime offerte alla brutalità del primo venuto, e che vi provocano, per il prezzo più vile, a tutti i tipi di libertinaggio che l'immaginazione può concepire, e persino a quelli per i quali sembra che il loro sesso dovrebbe avere orrore. [...]
    Con il danaro si può avere a Napoli la prima duchessa della città. E io mi domando cosa diventeranno la virtù, la popolazione, la salute in uno Stato in cui la degradazione dei costumi è arrivata[44]sino a questo punto, e in cui la più lieve lusinga per il guadagno conduce al delitto, capovolgendo ogni sentimento di probità, di onore e di virtù!
    L'onesta e piacevole galanteria, il sano commercio dei due sessi, che riscalda tutte le passioni nobili e che serve spesso da focolare a tutte le virtù, è poco conosciuto in una città in cui la brutalità dei costumi non vuole che il godimento.
  • Il popolo indubbiamente è rozzo, grossolano, superstizioso e brutale, ma ha una certa franchezza, e non è privo, talvolta, persino di amenità. La miglior prova è che questa plebe sterminata si mantiene nell'ordine senza polizia. La borghesia è civile, sollecita. La preferirei alla nobiltà, che l'alterigia e l'orgoglio sminuiscono proporzionalmente al suo desiderio di elevarsi. In generale è una nazione da formarsi; ma non è un'opera di un giorno, né di un regno.
  • In generale non è a Napoli che bisogna venire a cercare le arti. Si lasciano a Roma. Qui non bisogna ricercare che la natura e oso credere che essa sia superiore a ciò che le arti stesse sono a Roma. Virgilio è il viaggiatore da tener presente percorrendo questa felice campagna dove egli fa peregrinare il suo eroe, e si trova che, malgrado le rivoluzioni che hanno desolato questo bel paese, esso non è tuttavia ancora abbastanza mutato per non riconoscerlo dalle descrizioni che egli ci fa.
  • Risalendo all'origine della mescolanza dei diversi popoli che hanno sostituito i Greci in questa bella contrada, e che non vi hanno apportato che quella crudeltà che li ha condotti a distruggere i più bei monumenti, si troverebbe forse una causa[45]più giusta: lo scarso progresso che le arti e le scienze vi hanno fatto in seguito, da cui è venuta questa imperdonabile negligenza nell'educazione, ha continuato a nutrire l'ignoranza e conseguentemente l'abbrutimento. La mollezza, vizio ordinario dei popoli che abitano in un bel clima, si è venuta ad aggiungere. La depravazione, che ne è una conseguenza, ha finito di corrompere, e io credo che ci vorrebbe oggi una rivoluzione completa per riportare questo popolo a quella amabilità che regna nella massima parte del resto dell'Europa.
  • A Napoli ho scoperto l'immonda parentela tra l'amore e il Cibo. Non è avvenuto all'improvviso, Napoli non si rivela immediatamente: è una città che si vergogna di se stessa; tenta di far credere agli stranieri che è popolata di casinò, ville e palazzi. Sono arrivato via mare, un mattino di settembre, ed essa mi ha accolto da lontano con dei bagliori scialbi; ho passeggiato tutto il giorno lungo le sue strade diritte e larghe, la Via Umberto, la Via Garibaldi e non ho saputo scorgere, dietro i belletti, le piaghe sospette che esse si portano ai fianchi.
    Verso sera ero capitato alla terrazza del caffè Gambrinus, davanti a una granita che guardavo malinconicamente mentre si scioglieva nella sua coppa di smalto. Ero piuttosto scoraggiato, non avevo afferrato a volo che piccoli fatti multicolori, dei coriandoli. Mi domandavo: «Ma sono a Napoli? Napoli esiste?»
  • La nostra corriera fa spostare un carro funebre, che caracolla davanti a noi, più adorno di un carretto siciliano, il cavallo ha l'aria di una bella di notte; la carrozza sobbalza dietro di lui, quattro colonne tortili sostengono una sorta di baldacchino dove volano gli angeli. Dai quattro vetri si vede la bara ricoperta di fiori. Ai quattro lati traballano lanterne d'argento. Sulla predella posteriore, un beccamorto fa acrobazie. È bello essere ricevuti a Napoli dalla morte. Da una morte caracollante, agghindata come una puttana, fantastica, assurda e veloce. Tutto si copre d'ombra, ci si immerge nella città.
  • Napoli si avvicina. Come ogni volta, prima di arrivarci, ho una stretta al cuore. Attraversiamo un frutteto deserto. So molto bene, troppo bene, ciò che troverò a Napoli. È una città in putrefazione. L'amo e ne ho orrore.
  • Seguì per un po' Via Roma, poi si infilò in un vicolo. «Un vicolo di Napoli, non è come un tempio. Ti si appiccica, è come la pece.» [...] Dei bassi impudichi e segreti: ti buttano in faccia il loro calore organico ma non si svelano mai. «Forse perché non si vede mai qualcuno dentro.» Di notte, si chiudevano ermeticamente; di giorno, quando si aprivano, si svuotavano dei loro occupanti, li spingevano fuori, nella strada, e questi restavano là tutto il giorno, madidi, stagnanti, legati ai bassi da un invisibile cordone ombelicale, legati tra di loro da un qualcosa più profondo del linguaggio, da una comunanza carnale. [...] Il cielo sembrava altissimo, lontanissimo sopra la sua testa; Audry stava proprio in fondo – in fondo a una vita densa e nera come sangue che si coagula, era stordito; a poco a poco era invaso da un desiderio di sonno, di cibo e d'amore.
  • A chi ci vive, a chi la studia, Napoli offre [...] un enorme privilegio: poter assistere a un grande laboratorio dove tutto ciò che accade altrove, dove tutto ciò che accadrà altrove, è già accaduto. [...] Qui tutto è laboratorio. Curzio Malaparte aveva ragione: "Quando Napoli era una delle più illustri capitali d'Europa, una delle più grandi città del mondo, v'era di tutto a Napoli: v'era Londra, Parigi, Madrid, Vienna, v'era tutta l'Europa. Ora che è decaduta, a Napoli non c'è rimasta che Napoli. Che cosa sperate di trovare a Londra, a Parigi, a Vienna? Vi troverete Napoli. È il destino dell'Europa di diventare Napoli".
  • Mi manca Napoli. È incredibile come questa città nel tempo possa generare odi profondi, un senso di sfiducia, di forte disprezzo, eppure mancarti. È incredibile come tutto questo fastidio che diventa quasi fisico, come questa ingratitudine, non siano riusciti a mutare la sua bellezza e la voglia di tornare da lei. Di riabbracciarla. È come una compagna che ti ha infinitamente tradito, ma della quale non puoi non riconoscere la bellezza, le qualità umane, la tragica verità. Nonostante lei ti odi, tu ancora vedi tutto quanto ti ha dato quando siete stati felici, ancora riconosci quello che ti ha fatto innamorare di lei.
  • Napoli patisce da sempre, ha gli anticorpi e la capacità di insegnare come affrontare emotivamente questo momento difficile, come non perdere la speranza, come prendere le misure. Come rinascere.
    Napoli è una bussola.
  • Per nessuno tranne che per i meridionali è così. Se scrivi se canti se giochi, e vieni da Napoli sarai sempre il giornalista napoletano, scrittore napoletano pittore napoletano. Quel napoletano non te lo toglierai mai.
  • Vorrei che questa città smettesse di ferire a morte, eppure so che è un'illusione. Ferire fa parte di questa terra travagliata e colma di una tale bellezza che chiunque abbia la fortuna di viverci aspira a essere felice sempre; è convinto di poterlo essere, felice. Quando si vive qui tutto sembra possibile. Anche continuare a vivere sebbene feriti a morte.
  • La Napoli di oggi è una città stanca, ma di quella stanchezza che non precede rabbia e voglia di cambiare le cose. Che è stanca piuttosto di attendere che passi la nottata.
  • Napoli che strana città, per viverla serenamente bisognerebbe eliminare tutte quelle sorprese che ti riserva giorno dopo giorno, ma poi non sarebbe più la stessa. Un po' come quegli uomini che le donne amano per il gusto di poterli poi educare una volta sposati.
  • Napoli, la città che mi ha cresciuto è un mondo di ombre proiettate su pareti degradate dove anche la pioggia si vergogna di cadere.
  • Con l'unificazione, i reali Savoia vollero trasformare Napoli in una città provinciale, senza successo, saccheggiandone gli immensi tesori. Non riuscirono a governare perché refrattaria, persino usando la collaborazione della Camorra e dei capi di quartieri. Napoli si vide privata, negli anni, di spazio e creatività. Il genio partenopeo si rifugiò nell'illegalità.
  • E dico che tutti i mali di Napoli nascono a Roma. In un secolo e mezzo hanno fatto di tutto per trasformare la grande capitale che nei secoli è stata Napoli in una città-bonsai, privandola di banche, ferrovie, cantieri navali e opere d'arte. L'hanno trasformata in una città assistita da tenere al guinzaglio. E ora gli lasciano la monnezza, dopo che gli hanno portato per decenni i rifiuti tossici delle fabbriche del Nord.
  • Fra 50 anni Salerno e Caserta saranno uniti da un solo territorio urbano, sarà cosa favolosa. Volevano ridurla a una città bonsai, invece ne hanno fatto una pantagruelica, che ha difficoltà a muoversi ancora con le catene del colonizzatore al piede.
  • In tutti i sensi, credo che la civiltà napoletana sia indispensabile all'uomo moderno. Non si può essere moderni senza avere in gran parte una sensibilità napoletana.
  • Napoli ha la particolarità di essere tollerante ed accogliente. Napoli fa delle altre culture del mondo la propria cultura. Fagocita, digerisce e ricrea a partire dalle altre culture. Più si dà a Napoli, più Napoli dà al mondo.
  • Per sensibilità e cultura sono di tutto cuore napoletano. Ho imparato a vivere a Napoli, ho imparato a scrivere a Napoli.
  • Più Napoli sarà Napoli, più sarà universale.
  • Un altro simbolo che riconosco in Napoli è l'uovo. L'uovo primordiale si vive a Napoli. Una forma indistinta in cui l'uomo non si distingue dal ventre materno. Lo stesso sangue di S. Gennaro che si scioglie ogni sei mesi, fa pensare al sangue femminile: sono ciò che ho chiamato i semestrui di San Gennaro. La civiltà napoletana è un uovo da cui tutti si possono nutrire.
  • Vogliono neronizzare Napoli e tutta la Campania con la monnezza. Odiano Napoli per la sua trimillenaria intelligenza, per la sua civiltà. Così la sfruttano, come l'hanno sfruttata in questi 150 anni di Unità.
  • Ci sono naturalmente città più rumorose, più profumate, più puzzolenti, più anguste, più veloci, più grandi, più imprevedibili – Calcutta, San'a, Il Cairo, Tokyo. Posso amarle oppure odiarle, ma sono città straniere. Napoli invece è come il tipo strambo in famiglia che turba molto più di un pazzo incontrato alla stazione, Napoli è la bella zia o la bella nipote che confonde i pensieri più di qualunque ragazza pinup.
  • Napoli è per me un insieme di densità e ampiezza dello sguardo. Il contatto è subito fisico, lo spazio è limitato e denso: rumori, profumi, cattivi odori, tutto è immanente, la storia qui non è lingua morta. E poi la vista del mare e del golfo, che si apre improvvisa e sembra racchiudere l'intera cultura di cui siamo fatti, da Ulisse e Virgilio fino ai giorni nostri. Mi sembra che Napoli possieda una sua intensità in tutte le sue espressioni, nel bene come nel male.
  • Napoli è una città che sperpera la propria bellezza, non solo a causa della criminalità e del degrado. Qui le chiese più sontuose ti si parano davanti all'improvviso, tanto che quasi non riesci a vederne la facciata, per non dire a ricavarne una visuale d'insieme. Il vero sfarzo si rivela spesso solo nei cortili interni. In nessun altro luogo l'aria è tanto satura di odori, che passo dopo passo si trasformano. Si viene squadrati, toccati, spintonati, non vi è mai tregua. Lo scoppiettio dei motorini costringe a guardarsi continuamente le spalle. Ma questa densità nulla sarebbe senza la corrispettiva vastità. A volte basta salire qualche gradino o cambiare lato della strada o anche solo voltarsi, e già ti coglie la vertigine alla vista del mare.
  • Decise nell'affrontare le strutture dell'ingiustizia per far valere i diritti dei loro figli, le madri napoletane non solo sanno proteggere i propri ragazzi, come tutte le madri, ma sanno difendere la libertà di questa terra, trasmettendo di generazione in generazione quei valori etici universali e immutabili che fanno di ogni uomo un vero uomo. Sempre presenti, sanno asciugare le lacrime dei figli, ma sanno essere obiettive e severe quando un figlio tradisce il senso della famiglia. Quando diciamo mamma, diciamo porto sicuro, ma anche legge. Quando un tempo cambiavano i signori che governavano la nostra città, quando lo stato era assente, chi davvero regnava e custodiva gelosamente le tradizioni, i costumi, gli usi che sono arrivati sino a noi, erano, allora come oggi, le madri.
  • È proprio dei napoletani saper godere con quelli che godono e piangere con quelli che piangono (Cfr. Rm 12,15), instaurando quelle profonde e sincere relazioni d'amicizia e di rispetto, capaci di trasformare il mondo. Se è vero, come diceva Agostino d'Ippona, che "nulla è caro all'uomo senza un amico", allora il fatto che a Napoli l'amicizia è sacra, è già un segno di speranza, una traccia che lascia intravedere la concreta possibilità di fare nuove tutte le cose.
  • Il martire non è solo colui che compie gesta straordinarie, ma in un certo senso, è anche colui che per amore della sua fede, sa rendere straordinario l'ordinario.
    Napoli non è solo urbs sanguinum, la città dei sangui, per l'incredibile numero di ampolle e fiale, contenenti il sangue di santi e beati, ma è anche la città dei testimoni-martiri, della gente comune che, nella quotidianità della vita, vive per la verità e per l'amore. Si tratta di "testimoni" che rendono "sanguigna" la Città di Dio e la città degli uomini.
  • Il seme della speranza è forse il più piccolo, ma può dar vita ad un albero rigoglioso e portare molti frutti se avremo il coraggio di affrontare le paure che minacciano la nostra città, se avremo la forza di uscire da ogni sorta di omertà e, solidali l'uno con l'altro, saremo in grado di organizzare nuove strutture e nuove forme di carità per risollevare chi è solo, chi è nel bisogno materiale e spirituale. Senza indulgere al lamento o al vittimismo, senza aspettare che altri prendano a cuore le sorti del meridione, senza aggrapparci al puro assistenzialismo, è giunto il tempo in cui i napoletani si riapproprino della loro terra, rilanciando la politica come servizio alla città, come scuola di legalità, come centro di osservazione delle questioni sociali più spinose. Noi abbiamo le energie per farlo!
  • Terra di sangue e di speranza [...] popolo dal grande cuore che, più volte deprivato della libertà nella sua storia martoriata, ha sempre saputo associare al dolore la speranza.
    Lassamme fa a Dio[46]: è l'invocazione più sincera del popolo napoletano che, nel suo proverbiale "tirare a campare", non esprime rassegnazione, ma il coraggio della fede di chi sa che ad ogni giorno basta la sua pena, di chi non ha vergogna di parlare a tu per tu con la Madonna e con San Gennaro.
  • Una città unica, direi esagerata nella sua bellezza e nelle sue manifestazioni, nel bene e nel male.
    Terra di passione, che porti addosso anche se lontano per anni, Napoli ha continuato a vivere dentro di me con le sue canzoni, le sue poesie, la sua gente, i suoi colori che, stampati nella memoria, restano lì a evocare ricordi.
    Il rosso pompeiano dei palazzi, della luna nelle notti d'incanto, il rosso del sole, dei peperoncini forti, della pizza e dei pomodori, di una saporita mela annurca, il rosso delle calze e della maniche di Pulcinella, del cippo di Sant'Antuono, tutto rimanda al rosso della passione, dell'amore per la propria terra, al rosso del martirio, del manto e del sangue di San Gennaro, che protegge questa nostra città. L'azzurro del suo cielo e del suo mare che, proprio quando si avvicina la tempesta, si tinge di verde, il colore della speranza che non ha mai abbandonato il cuore dei napoletani, di chi davvero ama questa città.
  • È gente umile, bonaria, che sarebbe felice per poco e invece non ha nulla per essere felice; che, sopporta con dolcezza, con pazienza, la miseria, la fame quotidiana, l'indifferenza di coloro che dovrebbero amarla, l'abbandono di coloro che dovrebbero sollevarla.
    Felice per l'esistenza all'aria aperta, eredità orientale, non ha aria; innamorata del sole, non ha sole; appassionata di colori gai, vive nella tetraggine; per la memoria della bella civiltà anteriore, greca, essa ama i bianchi portici che si disegnano sull'azzurro, e invece le tane dove abita questa gente, non sembrano fatte per gli umani, e dei frutti della terra, essa ha i peggiori, quelli che in campagna si dànno ai maiali; e vi sono vivande che non assaggia mai.
  • Il popolo napoletano, che è sobrio, non si corrompe per l'acquavite, non muore di delirium tremens; esso si corrompe e muore pel lotto. Il lotto è l'acquavite di Napoli.
  • Ma i napoletani non temono: il Vesuvio è loro vecchio amico, vuole scherzare, è un brontolone, ma presto tacerà. Poi vi è S. Gennaro che con le dita sollevate in atto d'imperio, comanda alla lava di non avanzarsi; le donne pregano il parroco della cattedrale a portare in piazza San Gennaro di argento o il prezioso suo sangue che è conservato nelle ampolline. In qualche chiesetta si prega. Una mattina il sole non viene fuori, una fitta nube grigia nasconde il cielo, piove cenere; i napoletani sorridono ancora e vanno ai loro affari sotto quella strana pioggia. Ma il giorno seguente il rombo diviene tumultuoso, le scosse di terremoto si succedono l'una all'altra, orribili convulsioni squassano il monte, sui cui fianchi s'aprono dappertutto bocche di fuoco, le lave si uniscono, si fondono, sono una lava sola, è una montagna di lava che cammina verso la città coi suoi ruscelli di fuoco; soffocanti fetori di zolfo ammorbano l’aria, piove cenere calda e pesante, acqua bollente, piovono lapilli infuocati sulla città: riuniti al grande vulcano corrispondono con pauroso miracolo ridestati, le eruzioni dei monte Echia, dell’Epomeo e di Pozzuoli. Piove la morte. Nel clamore disperato dei morenti, nel fragore delle case che crollano, nel tuono del terremoto, nella spaventosa tempesta del mare che si rizza incollerito o ribelle, nel bagliore sanguigno che appena rischiara le cupe tenebre, in uno sconquasso che capovolge la natura e le cose, la lava vittoriosa entra in Napoli e Napoli finisce di morire in un incendio colossale.

    E che? Tu sorridi ancora, orgogliosa creatura? Ti comprendo: leggo nel tuo pensiero come in un libro dalle pagine aperte. Tu pensi quello che io penso; tu sorridi a quella morte; questa Napoli che fu creata dall’amore, che visse nella passione della luce, dei colori smaglianti, dei profumi violenti, delle notti innamorate, visse nel lusso grandioso della natura e nella espansione superba del sentimento, questa città appassionata morirà bene, morirà degnamente nell’altissima e fiammeggiante apoteosi di un oceano di fuoco.
  • Napoli, la città della giovinezza, attendeva Parthenope e Cimone; ricca, ma solitaria, ricca, ma mortale, ricca, ma senza fremiti. Parthenope e Cimone hanno creata Napoli immortale.
  • Ognuno sa che Iddio, generoso, misericordioso e magnifico Signore, ha guardato sempre con occhio di predilezione la città di Napoli. Per lei ha avuto tutte le carezze di un padre, di un innamorato, le ha prodigato i doni più ricchi, più splendidi che si possano immaginare.
  • [Napoli, dopo il Risanamento] Per un minimo di civiltà, voi avete perduto, tutto o in parte un massimo di bellezza, di carattere, di poesia. [...] Certo! [era] Sporca, puzzolente, incivile, barbara, forse: ma fulgente, ma splendida di un superbo carattere, ma affascinante di vivacità e di languore insieme; ma bella di una beltà sua inimitabile.
  • Questo ricco sangue napoletano si arroventa nell'odio, brucia nell'amore e si consuma nel sogno.
  • Se interrogate uno storico, o buoni ed amabili lettori, vi risponderà che la tomba della bella Parthenope è sull'altura di San Giovanni Maggiore, dove allora il mare lambiva il piede della montagnola. Un altro vi dirà che la tomba di Parthenope è sull'altura di Sant'Aniello, verso la campagna, sotto Capodimonte. Ebbene, io vi dico che non è vero. Parthenope non ha tomba, Parthenope non è morta. Ella vive, splendida, giovane e bella, da cinquemila anni. Ella corre ancora sui poggi, ella erra sulla spiaggia, ella si affaccia al vulcano, ella si smarrisce nelle vallate. È lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori: è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene; è lei che rende irresistibile il profumo dell'arancio; è lei che fa fosforeggiare il mare. Quando nelle giornate d'aprile un'aura calda c'inonda di benessere è il suo alito soave: quando nelle lontananze verdine del bosco di Capodimonte vediamo comparire un'ombra bianca allacciata ad un'altra ombra, è lei col suo amante; quando sentiamo nell'aria un suono di parole innamorate; è la sua voce che le pronunzia; quando un rumore di baci, indistinto, sommesso, ci fa trasalire, sono i suoi baci; quando un fruscìo di abiti ci fa fremere al memore ricordo, è il suo peplo che striscia sull'arena, è il suo piede leggiero che sorvola; quando di lontano, noi stessi ci sentiamo abbruciare alla fiamma di una eruzione spaventosa, è il suo fuoco che ci abbrucia. È lei che fa impazzire la città: è lei che la fa languire ed impallidire di amore: è lei la fa contorcere di passione nelle giornate violente dell'agosto. Parthenope, la vergine, la donna, non muore, non ha tomba, è immortale, è l'amore. Napoli è la città dell'amore.
  • Sotto il vivo raggio del sole, il glauco mare freme di gioia; è fresco, è profumato. Le sue voci seduttrici sono irresistibili, e bisogna evitare di guardare per non gettarvisi dentro, anelanti del suo abbraccio. Le serate sono splendide, la Villa è gaia, le fanciulle sotto gli alberi somigliano molto alla Galatea di Virgilio, sono più... o forse meno vestite, ecco tutte, ecco tutto. Ci è da divertirsi, ci è da respirare a pieni polmoni l'aria leggiera, ci è da sorridere, financo, financo... ci è da innamorarsi.
  • Troppo ho sofferto nell'onore e nella prosperità: troppo ho lagrimato di vergogna e di indignazione. Io debbo cominciare per salvarmi, se voglio esser salvata da tutto, da tutti. Nelle mie mani è la mia prima risurrezione: cioè quella della mia esistenza, morale, cioè quella del mio decoro sociale. Farò, io, veder al mondo, all'Europa, all'Italia che di tutti i doni della sorte, io sono degna, che di tutti gli aiuti fraterni, io sono degna, io, Napoli, paese di gente onesta, mandando al Comune solo gli onesti, chiedendo ad essi, che da essi si prosegua e si esalti la mia riabilitazione!
  • Assai prima della costituzione del Regno d'Italia, Napoli era stata, per lunghi secoli, la capitale del maggiore tra gli Stati in cui l'Italia era divisa, ed una delle più grandi città d'Europa. Già sullo scorcio del Medio Evo, Napoli oltrepassava i 200 mila abitanti, quando Milano non sorpassava che di poco i 50 mila e Torino ne contava 16 mila soltanto; quando Amburgo ne aveva meno di Torino e Londra meno di Milano. Centro economico, politico e culturale di un grande regno, che la struttura montuosa ed il deficiente sviluppo dei mezzi di comunicazione rendevano impervio, Napoli era divenuta il punto di richiamo per una numerosa popolazione essenzialmente consumatrice, rapidamente cresciuta in conseguenza dei privilegi ad essa accordati. [...] La popolazione di cui Napoli era cresciuta non costituiva, così, un moderno proletariato di produttori, la classe di cui tutta la società vive; viveva anzi essa stessa delle briciole dello sfruttamento che nobili, usurai e burocrati concentrati a Napoli esercitavano sulle province; costituiva, attorno alla reggia ed alle case dei signori, una plebe, un proletariato di consumatori, che viveva ai margini della società, a spese della società. [...] Con la costituzione del Regno d'Italia, Napoli perdeva d'un tratto, coi suoi privilegi di capitale, il monopolio dello sfruttamento del Mezzogiorno, che passava ormai nelle mani del nuovo capitalismo del Settentrione. Soffocati dalla concorrenza del Nord i timidi inizi di un'industria manifatturiera, che si erano avuti a Napoli sotto gli ultimi Borboni, tagliata oramai fuori dalle linee dei grandi traffici internazionali, Napoli resta come un grande capo idropico privo di corpo.
  • Fin dal suo primo apparire sulla scena politica, il nascente proletariato napoletano si era affermato come l'unico elemento capace di rinnovare profondamente la vita cittadina; cosa di non piccola importanza, in una città come Napoli. Anche oggi si ricordano, qui, insieme con le grandi lotte sindacali dell'anteguerra e del dopoguerra, le battaglie condotte dal proletariato, nei primi anni del '900, contro la corruzione dominante nelle amministrazioni comunali, liberali o clericali che fossero. Ma vi era ancora un che di angusto , di provinciale in queste lotte, che i dirigenti piccolo-borghesi del socialismo napoletano, gli Arturo Labriola, i Lucci e simili, tendevano del resto sempre a deviare, dal terreno della denuncia politica, su quello del pettegolezzo municipale.
    Nel dopoguerra, moltiplicati e rafforzati i legami con il proletariato più avanzato del Settentrione, ii proletariato napoletano si eleva alla sua scuola, nel nuovo clima politico, ad una visione più generale dei suoi compiti: e la sua nuova coscienza politica troverà la sua espressione culminante nella occupazione delle fabbriche, che si estende, anche a Napoli, in tutti i maggiori stabilimenti. Anche a Napoli, oramai, il proletariato si è affermato come forza politica decisiva: e contro di esso si concentreranno i colpi più duri della reazione fascista.
  • Il 24 luglio 1897, un telegramma giunge a Napoli da Londra: «Oggi il Consiglio d'amministrazione della ditta Armstrong ha deciso di aderire al Consorzio delle industrie navali meridionali, sia per la fabbrica di cannoni di Pozzuoli, sia per la fondazione di un nuovo cantiere navale a Pozzuoli stesso». E' la risposta degli industriali agli scioperanti inglesi; è la nascita della grande industria, del proletariato moderno a Napoli.
    Attorno alla fonderia di cannoni ed al nuovo cantiere per la costruzione degli scafi in ferro della ditta inglese Armstrong, si coalizzano altre forze industriali, italiane e straniere: Al Consorzio aderisce la ditta De Luca, per la produzione dei proiettili, il gruppo Pattison-Hawthorn per la costruzione delle caldaie, la ditta tedesca Schwarzkopf per la fabbricazione dei siluri. Nasce, anche a Napoli, un proletariato metallurgico.
    Cosi, in una maniera brusca e, se si vuole, un po' artificiale, Napoli si affaccia alla vita industriale moderna: e di questa origine della sua grande industria la città conserva, fino ad oggi, l'impronta caratteristica, nella sua fisionomia demografica come nella sua attrezzatura produttiva.
    A Napoli, alla grande fabbrica moderna non fa corona come a Milano una folla di medie imprese, che contribuiscono potentemente a creare attorno ad essa un tipico ambiente industriale; né d'altra parte la grande fabbrica ha rivelato – come a Torino – una vitalità tale da assorbire praticamente tutta la vita cittadina. Gli è che a Milano o a Torino – come nella maggior parte delle grandi città moderne – è appunto il moderno sviluppo industriale e commerciale che ha determinato progressivamente, con l'incremento demografico, l'ossatura fondamentale della vita cittadina; mentre il grande agglomerato umano di Napoli e la sua struttura sociale hanno origini assai più lontane, sono il prodotto di altre condizioni economiche, di altre forme di vita.
  • Nel 1898, mentre già a Milano ed altrove il proletariato organizzato dà prova della sua disciplina e del suo eroismo di fronte ai cannoni del generale Bava-Beccaris, a Napoli il moto popolare si presenta ancora come moto incomposto di plebe, come una elementare rivolta della fame. Ma già nel settembre 1904 – quando, in segno di protesta contro gli eccidi proletari di Buggerru e di Castelluzzo, partirà da Milano per tutta Italia la parola d'ordine dello sciopero generale – si troveranno a Napoli 72 leghe operaie organizzate nella Borsa del Lavoro per realizzare una imponente e disciplinata manifestazione di forza, che neanche le provocazioni poliziesche riusciranno a far degenerare. Per la prima volta nella millenaria storia della città, si viene costituendo a Napoli, con la formazione di un proletariato di grande industria, un nucleo di classe relativamente compatto, capace di aggruppare attorno a sè e di introdurre degli elementi di organizzazione nella grande disgregazione sociale della plebe napoletana.
  • L'unico luogo che forse potrei scambiare con Napoli è Milano, l'altra grande metropoli italiana.
  • La vita quotidiana a Roma è ormai inquinata. Chiesa, televisione e politica l'hanno occupata nelle sfere più intime e hanno finito per trasformarla in un paesone dove questi mondi la fanno da padrone. Invece Milano e Napoli hanno ancora uno spleen, una solitudine malinconica, sono città con forti valori simbolici. Viverci è nutriente sul piano degli atteggiamenti e dei comportamenti, per questo voglio assolvere Napoli nonostante tutto. Nonostante una realtà dove l'inferno e il paradiso si toccano; dove l'ironia altro non è che la passione quando sa prendere le distanze; dove si lotta continuamente contro la cultura della morte, mentre le altre città hanno la morte in casa e, nella loro quiete apparente, fanno finta di non accorgersene. Tutto questo è sempre foriero di una condizione felice artisticamente parlando. E vale per musica, cinema, arte, letteratura. Napoli è una città che crea continuamente anche nella difficoltà del suo quotidiano.
  • Le mie radici sono ben ancorate al patrimonio di questa città che è stata ed è tuttora una capitale delle arti dello spettacolo in Europa e nel mondo.
    Napoli è tra le poche metropoli che pur presentando un esperimento sociale tra il centro e la periferia degno delle grandi città del mondo, resta un luogo dove la modernità nei suoi aspetti deteriori non è arrivata del tutto, dove, quando si passeggia, si incontra l'uomo. E questo per chi fa teatro è fondamentale.
  • Non solo amandola profondamente ma ritenendomi in debito costante nei confronti dell'eredità che Napoli ci consegna soprattutto nelle arti e nello spettacolo, mi auguro sempre il meglio. Io non saprei vivere in nessuna altra parte e amo profondamente questo terzo mondo.
  • [Devo a Napoli] Tantissimo, non ho ancora estinto il debito con la mia città. Non ho restituito tutto il nutrimento culturale che ho ricevuto.
  • Un genio come Maradona in una città come Napoli finisce in quella teoria di miti e personaggi che vengono mitizzati e nei quali si riconosce, nel bene o nel male, per la loro irregolarità. Se Milano è la città degli affari, Roma della politica e della Chiesa, Napoli appare di difficile definizione, se non attraverso i suoi miti naturali, come il mare e il Vesuvio, come Eduardo, Totò e Pulcinella. Maradona rientra in questi personaggi che catalizzano un'energia e la restituiscono alla città in un gioco d'amore tra lo spettatore e l'eroe. Napoli è una città che ha tra le sue caratteristiche questo sottilissimo grado di separazione tra l'alto e il basso, i ricchi e i poveri, i nobili e i lazzaroni.
  • A Napoli è una piazza chiamata Largo del Castello. Somiglia molto al nostro Fower Hill, ed è il ritrovo del popolo ozioso. Qui, in ogni pomeriggio, i frati e i pagliacci, i borsaiuoli e i ciarlatani compiono la lor bisogna. Un frate (del genere dei nostri predicatori ambulanti) predica a un uditorio di popolani che riesce man mano ad attirare; un pagliaccio tenta di stornar dal frate quella gente, mettendo in mostra Pulcinella; e gli altri parecchi commedianti s'ingegnano a fare altrettanto. Or accadde un giorno che Pulcinella ottenne molto successo. Il povero frate predicava addirittura alle panche: nessuno se gli accostava. Seccato, mortificato, imbestialito all'idea che un teatrino di marionette, a venti metri di distanza da lui, potesse in quel modo sviare l'attenzione del pubblico dall'Evangelo e fargli preferire un sì triviale divertimento, egli levò alto a un tratto il Crocifisso e con voce tra inspirata e rabbiosa si mise a urlare: «Ecco il vero Pulcinella! Ecco il vero Pulcinella! Venite, signori! Venite da me!»
    Ed è così noto in Napoli questo fatto ch'io non mi sarei permesso di narrarvelo, se non lo narrassero, a tutti, anche le persone più pie.
  • [La cuccagna, offerta al popolo nel periodo di Carnevale per quattro domeniche consecutive] Ai lati della costruzione sono inchiodati un numero prodigioso di pani in ordine architettonico ed anche una grande quantità di arrosti. Tra i cespugli sono trenta o quaranta montoni vivi, qualche maiale, dei piccoli bovi ed una quantità di polli. Ora la bisogna da compiere è di sacrificare questi poveri animali alla fame del popolo e, per ciò lasciar fare con ordine, ben tremila soldati circondano la costruzione per allontanare la gente finché il Re appaia a un balcone e dia il segnale per principiare la cerimonia sventolando il suo fazzoletto. Allora i soldati aprono i ranghi ed il popolaccio vi si precipita, ognun pigliando la sua preda e portando via le vivande e gli animali. Tutto è finito in un batter d'occhio. In questa confusione ci sono state gravi disgrazie, ma quest'anno non constato che vi siano morti o feriti. Le quattro società dei macellai, dei fornai, dei pescivendoli e dei pollaiuoli fanno le spese dei quattro giorni. Non posso trovare un napoletano qualunque che conosca l'origine di questa abitudine né che mi possa dire se derivi dai mori quando possedevano una parte della Sicilia o se sia d'origine pagana, o, in ultimo, se sia, come pare probabile, un ricordo delle esposizioni di belve che avevano gli antichi romani, giacché corrisponde molto al Venatio Direptionis[47].
    Un inglese vede con meraviglia tante migliaia di persone così pacificamente radunate. A Londra in un'occasione di tanta allegria la metà della gente sarebbe ubbriaca, la si vedrebbe bisticciarsi, azzuffarsi, magari buttar nella folla qualche gatto morto, per accrescere la confusione. Però mi pare che il popolaccio napoletano, per diabolico che sia quando è inquieto, si dimostri più contenuto, quando è di buon umore, del nostro popolaccio.
  • Certi luoghi delle Alpi offrono un bellissimo e pur tremendo aspetto: essi mi dettero il primo grande spettacolo, davvero meraviglioso. Credo che la città di Venezia, emergente dalle acque con le incantevoli sue isole adiacenti, potrebbe essere considerata come la seconda delle meraviglie ch'ho visto: e mi permetterei di nominare la Chiesa di San Pietro, in Roma, come la terza di quelle, malgrado che le sue bellezze non derivino dalla natura ma soltanto dall'opera dell'arte. Sopratutto ammiro il cielo, la terra e il mare di Napoli! Le isole, le colline, il golfo, le costruzioni che scendono, come in anfiteatro, fino al mare rendono l'aspetto di questa città cosa di una infinita bellezza.
  • Io suppongo che Napoli sia l'unica città d'Europa che basti a' suoi abitanti; tutte le altre sono rinforzate dalla gente di provincia: quel che costa la vita, quel che occorre al lusso costituiscono in altre grandi città tali ostacoli ai matrimonii ch'esse, in pochi anni, certo resterebbero spopolate se non se ne rimettessero a' provinciali. Invece a Napoli il caso è diverso: si ha la curiosa abitudine di prender gente di servizio coniugata: a Parigi o a Londra poche persone di servizio sposate trovano posto, anzi la gran parte di questa classe rimane tutta la vita senza sposarsi; se lo facessero, difficilmente potrebbero in quelle città i domestici e le cameriere trovar posto anche in diverso modo. A Napoli è l'uso quasi generale di dare un tanto al giorno agli uomini di servizio per nutrirsi, essi non dormono in casa del loro padrone, e quindi son costretti a pigliar moglie: ne accade che un gran numero di ragazze è sempre pronto ad accettare la prima domanda di matrimonio, giacché in Italia le donne vanno difficilmente a servizio come in Inghilterra. [...] La difficoltà d'impiegarsi come serve, quella ancora di guadagnarsi il pane in altro modo, son, giusto, le ragioni che inducono certe povere donne ad affrontare la miseria sicura, la quale le aspetta subito dopo il matrimonio. Sciami di bambini si vedono in tutte le strade abitate da' poveri, e son natural conseguenza di quelle unioni: un marito e una moglie che abitualmente hanno sei o sette figliuoli e una sola stanza per casa contribuiscono specialmente ad affollare le vie della città.
  • Se non ricordo male è il Signor Addison il quale afferma che appena un napoletano non sa che farsene si caccia in saccoccia tutte le sue carte e pianta allegramente un processo; è perfettamente vero, e dico anzi che se il Regno di Napoli fosse grande come la Repubblica di Roma nel momento del suo splendore, e se ogni causa dovesse essere giudicata nella capitale, le migliaia di avvocati che qui si vedono sarebbero appena sufficienti.
    La prima volta che mi recai alla Vicaria credetti di essere uscito tardi di casa; le strade erano zeppe di avvocati che andavano a pranzo. Una folla enorme usciva dalla Vicaria e io credetti che il Tribunale si svuotasse. Invece, riuscito a penetrarvi, vi trovai lo stesso numero di gente che s'incontrerebbe ne' teatri di Londra la sera prima di una nuova rappresentazione!
    Benedetto paese, ove chi non è principe o pezzente è paglietta o prete.
  • Si dice che fosse costume dei pagani di non soltanto biasimare ma pur di castigare le loro deità quando non ascoltassero le preghiere di quelli antichi: ebbene lo stesso segue nel popolo napoletano. Se la Madonna stessa, oppur un qualunque lor santo in cui ripongono fiducia, non soddisfano le loro preghiere Madonna e santi son davvero trattati male. Per conto mio non posso dire di aver assistito a un caso di una somigliante mancanza di rispetto, ma certo, se mai merita un esemplare castigo una santa, io credo che questa deve essere proprio Santa Lucia. V'era oggi a chiederle aiuto un tal numero di ciechi che al solito arrivano qui ogni anno da queste vicinanze, ch'io non dubito che voi stesso vi sareste indignato al punto di proprio picchiar la santa, per indurla a manifestar senza indugio la sua rara potenza. Ciò naturalmente, se foste stato un cattolico del genere di que' disgraziati.
  • Anche per i non-napoletani, diciamo pure per gli italiani, ad alimentare la produzione dello stereotipo non è solo un bisogno di ordine cognitivo (semplificare la complessità, pre-costituirsi una mappa); credo (ed è ovviamente una mia ipotesi), che gli stereotipi su Napoli servano anche a esorcizzare, a tenere sotto controllo paura e senso di colpa. Paura di ciò che non si sa o non si può gestire, governare, mettere in ordine, far fruttare; senso di colpa per le occasioni sprecate, le ricchezze, anche immateriali dilapidate, le vigliaccherie e le rinunce. Incapace di assegnare un ruolo nuovo e innovativo alla ex-capitale più capitale che ci fosse nella Penisola, è come se l'Italia avesse scelto di farne contemporaneamente il proprio giullare e la propria anima nera: insomma, un vero e proprio capro espiatorio.
  • Estremamente moderna e urbana è la modalità di interazione con il potere. Rapporto estremamente laico e strumentale, che non riconosce ai potenti nessuna sacralità e ben raramente il carisma, ma è costruito sulla propiziazione strumentale, sul calcolo razionale delle convenienze reciproche (sempre utilizzabili anche se asimmetriche) e sull'ironia come strumento di autotutela della propria dignità. L'ironia è resa possibile dal disincanto, ma anche da un'altra risorsa molto urbana, che è la ricca competenza linguistica. I napoletani delle classi popolari hanno almeno tre competenze linguistiche: il dialetto della loro vita quotidiana; il dialetto «aulico» in parte appreso dalla frequentazione dei ceti borghesi, dalla canzone, dal teatro e così via, in parte inventato da loro stessi come parodia del vero dialetto "alto"; infine l'italiano. Il gioco delle decontestualizzazioni e ricontestualizzazioni surreali, delle cortocircuitazioni, delle iperboli e degli understatement con il quale si prendono le distanze da e si ridimensionano quei potenti con i quali pure è ritenuto inevitabile venire a patti, trova nella ricca competenza linguistica un eccellente strumento.
  • Napoli è senza dubbio la città d'Italia sulla quale più numerosi si sono prodotti e si producono stereotipi. Spesso in contraddizione fra loro e con quelli già consolidati, che non scompaiono sostituiti dai nuovi, ma persistono. Tutti insieme, e ad onta delle contraddizioni, confluiscono nell'idea di quella "qualità" (immaginata) che ontologicamente dovrebbe permeare di sé tutti i partenopei: la napoletanità. Tanto è forte e diffusa questa idea della napoletanità, che nell'immaginario collettivo nazionale e anche internazionale essa riassume e annulla in sé tutta la Regione, sicché salernitani, casertani, avellinesi finiscono riassorbiti e scoloriti nella categoria dei "napoletani", magari di serie B.
  • Tuttavia non sono solo gli "altri", gli estranei a produrre e utilizzare gli stereotipi su Napoli. Come si è accennato, sono stati e sono i napoletani stessi a utilizzarli e a farli circolare. Lo stereotipo può rivelarsi non solo irritante ma anche utile per coloro a cui si riferisce. Anche per i napoletani esso funziona, o può funzionare, con un riduttore di complessità, della propria complessità, difficile da gestire nel rapporto con sé stessi e con gli altri. Lo stereotipo si offre come una sorta di staffa cui agganciare il primo nodo dell'ordito e della trama dell'identità: lo stereotipo semplifica, fissa, rende comprensibile per tutti ciò che si è («io so' napoletano e si nun canto moro»), definisce ciò che gli altri si aspettano e dunque anche ciò che ci si può aspettare dagli altri. E ancora, affidato agli imprenditori giusti, lo stereotipo può rivelarsi una merce eccellente, che si vende bene e dà ottimi profitti. Quanta napoletanità i napoletani hanno esportato ed esportano? E quanta riescono ad esportarne in loco, ai visitatori e ai turisti ansiosi di acquistarla?
    Bisogna sottolineare con forza, però, che le funzioni strumentali non esauriscono l'utilità dello stereotipo. Per i napoletani, esso può assumere un'importante funzione espressiva: deresponsabilizza mentre identifica, perché aggrega il singolo a un "noi", e dunque dà o può dare un senso di legittimazione, persino di forza e di orgoglio. Funzione questa tanto più rilevante per la popolazione di una città che dall'Unità in poi ha vissuto una storia difficile, pesante di regressioni e di delusioni.
  • A Napoli i congegni tecnici sono quasi sempre rotti: soltanto in via eccezionale, e per puro caso, si trova qualcosa di intatto. Se ne ricava a poco a poco l'impressione che tutto venga prodotto già rotto in partenza [...] per il napoletano le cose cominciano a funzionare soltanto quando sono rotte.
  • La città viveva sotto il Vesuvio ed era quindi costantemente minacciata nella propria esistenza. Di conseguenza, aveva preso parte al diffuso sviluppo tecnico ed economico dell'Europa soltanto a sbalzi, poiché non si poteva mai sapere se l'anno sarebbe trascorso senza catastrofi.
  • Se qualcuno gli dicesse che non è così in realtà che ci si serve di un motore o di un'apparecchiatura tecnica in generale, [un napoletano] lo guarderebbe sbalordito e si opporrebbe addirittura in modo energico: perché l'essenza della tecnica consiste per lui proprio nel far funzionare quel che è rotto. E nel maneggiare macchinari difettosi è senza dubbio un maestro, ben al di là di ogni tecnica. Nell'abilità e nella prontezza di spirito con cui, di fronte a un pericolo, ricava con irrisoria facilità la soluzione vincente proprio da ciò che non funziona, ha per certi versi qualcosa in comune con l'americano. Ma dalla sua ha la suprema ricchezza inventiva dei bambini, e come i bambini è sempre fortunato, e come accade ai bambini, la fortuna gli arride volentieri. Di ciò che è intatto, invece, di quel che per così dire funziona da sé, egli in fondo sospetta e diffida: infatti proprio perché va da solo, alla fine non si può mai sapere come e dove andrà.
  • In Europa ci sono due capitali: Parigi e Napoli. (attribuita)
  • Ingresso solenne: si discende per un'ora verso il mare seguendo una strada larga scavata nella roccia tenera, sulla quale è costruita la città. – Solidità delle mura – 'Albergo dei poveri', primo edificio. Fa un'impressione molto più forte di quella bomboniera tanto celebrata, che a Roma si chiama la Porta del Popolo. Eccoci al palazzo degli Studj, si volta a destra, è la via Toledo. Ecco una delle grandi mete del mio viaggio, la strada più popolosa e allegra del mondo.
  • Parto. Non dimenticherò né la via Toledo né tutti gli altri quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella dell'universo.
  • È gente brillante, volubile, pronta all'entusiasmo, senza equilibrio, che si lascia trasportare dalla propria natura. In condizioni normali, sono amabili e persino dolci; ma nei pericoli e nei momenti di collera, in tempi di rivoluzioni o di fanatismo, essi arrivano fino all'estremo limite del furore e della follia.
  • È un altro clima, un altro cielo, quasi un altro mondo. Questa mattina, avvicinandomi al porto, quando lo spazio s'è slargato e l'orizzonte s'è scoperto, io non ho più visto, tutto a un tratto, che un vivo sfolgorio di luce bianca. In lontananza, sotto la foschia che copriva il mare, si profilavano e si stendevano le montagne, luminose e morbide come nubi. Il mare s'avanzava a grandi ondate biancheggianti, e il sole versava un fiume di fuoco, simile a metallo fuso, che arrivava sino alla spiaggia.
  • In tutte le cose, la prima impressione è in essi troppo forte; appena toccati, essi scattano di colpo con una esagerazione qualche volta terribile, il più sovente grottesca. I mercanti che gridano la loro mercanzia paiono degli ossessi. Due cocchieri che litigano tra loro, sembrano vogliano uscire dalla pelle; un minuto dopo, essi non ci pensano più.
  • La gente del popolo è molto sobria, pranza con pane e cipolle. Conosco un vecchio operaio che ha fatto di suo figlio un mezzo signore, e che non mangia che pochi soldi di pane al giorno. Essi lavorano da mattina a sera, qualche volta sino a mezzanotte, ad eccezione della siesta da mezzogiorno alle tre. Si vedono ciabattini all'aria aperta tirare la lesina dal mattino alla sera. Calderai che, in prossimità del porto, occupano intere strade, non cessano di battere.
  • Quali strade si attraversano! Alte, strette, sudice; a tutti i piani balconi che strapiombano, un formicaio di piccoli fondachi, di botteghe all'aria aperta, di uomini e di donne che comprano, vendono, ciarlano, gesticolano, si urtano; la maggior parte macilenti e brutti, le donne in particolar modo, piccole e camuse, dalla faccia gialla e dagli occhi penetranti, poco pulite e cenciose, con degli scialli disegnati a fogliami e fazzoletti da collo color viola, rossi, arancioni, sempre a colori vivaci, ornate di ninnoli di rame. Nei dintorni della piazza del Mercato si intreccia un labirinto di straducole lastricate e tortuose, piene di polvere, sparse di bucce d'aranci e d'angurie, di resti di legumi. La folla si pigia, nera e brulicante, nell'ombra spessa, sotto il cielo sereno.
  • Verso le otto, non soffiava più un alito di vento. Il cielo sembrava di lapislazzuli, la luna, come una regina immacolata, risplendeva sola in mezzo all'azzurro e i suoi fasci di luce tremolavano sulla distesa dell'acqua, simili a torrenti di latte. Non ci sono parole adeguate per esprimere la grazia e la dolcezza delle montagne avvolte nella loro ultima tinta, nel viola vaporoso del loro manto notturno. Il molo, la foresta di barche, colle loro masse nere e cupe, le rendevano ancora più suggestive; e Chiaia a destra, girando intorno al golfo con la sua cintura di case illuminate, gli faceva una corona di fiamme.
    Da tutte le parti, brillano i fanali; la gente all'aria aperta chiacchiera ad alta voce, ride e mangia. Questo cielo è una festa per se stesso.
  • Napoli è un luogo misterioso sia per chi non ci abita sia per i suoi stessi abitanti: c'è qualcosa di veramente vibrante e vivo che si percepisce ovunque ed è come qualcosa d'infinito che percepisci anche quando la lasci. Mi ha colpito molto e credo di aver riportato nel film queste sensazioni.
  • Napoli è un luogo sopravvissuto ad invasioni straniere, eruzioni vulcaniche, terremoti, rivolte popolari e che allo stesso tempo ha prodotto nella sua storia una valanga di musica.
  • Una città splendida conquistata da popoli diversi, massacrata e ricostruita, con ferite aperte, ma che sa ancora cantare e raccontarsi attraverso la sua musica ed i suoi artisti.
  • Napoli ha otto Biblioteche con circa due milioni di volumi; i quali volumi, pare impossibile, son letti, poiché coteste Biblioteche danno un movimento quotidiano di 3000 lettori: un milione di lettori all'anno.
  • Nello stesso anno 1899, sopra 3504 matrimoni celebrati, solo 623 atti non furono sottoscritti: il che vuol dire che l'analfabetismo coniugale è in una proporzione decrescente; né si starà molto a vederlo affatto sparire.
    Il fenomeno è notevolissimo, chi consideri che fra tutte le città italiane Napoli è la più folta di plebe. Via via, dal '60 in qua, cotesta plebe s'è andata sollevando a dignità di popolo, vincendo pregiudizi, abitudini, miseria, ostacoli d'ogni sorta: il che non è poco merito. Il classico paese del dolce far niente ha dunque fatto qualche cosa più che starsene al sole. I piccoli popolani della generazione che vien su san leggere quasi tutti, e non solo le insegne delle botteghe ma i giornali; sanno scrivere, e non solo il proprio nome; spesso sanno disegnare e non senza gusto. A ciò han contribuito in varia misura l'istruzione obbligatoria, i Ricreatori festivi, i teatri popolari, le officine, l'esercito, la partecipazione alla vita politica e amministrativa, la stampa, e soprattutto un sentimento sempre più dirozzato di individualità e di esistenza intellettuale e morale.
  • Se la fotografia avesse potuto far commercio dell'ignoranza napoletana, da un pezzo l'ignoranza nostra farebbe artistica mostra di sé nelle vetrine dei cartolai e girerebbe mezzo mondo in compagnia del lazzarone, del ladruncolo di fazzoletti e dei mangiatori di maccheroni.
    Più tempo passa, meno codesta fotografia è possibile. L'ignoranza perde, giorno per giorno, contorni e colore e si va sciogliendo anch'essa in nebbia di leggenda.
  • Pronti a riconoscere ed ammirare i meriti dei nostri fratelli di oltre Tronto, e anche a rallegrarcene, noi siamo parchi di lode pel valore indigeno e modesto. Epperò, siamo i primi a stupire, e in perfetta buona fede, quando ci accade di udir decantare all'estero un ingegno di casa nostra. Ed è così, lo si può affermare senza esagerazione, che ci si è accorti, dopo le consacrazioni francesi, tedesche, russe, perfino americane, che Napoli ha dato al romanzo Matilde Serao, alla lirica Gabriele d'Annunzio, agli studi sociali e giuridici Raffaele Garofalo, al nostro teatro Achille Torelli, Roberto Bracco, Salvatore di Giacomo, alla poesia popolare lo stesso di Giacomo e Ferdinando Russo, al giornalismo Peppino Turco, e alla storia, all'archeologia, alla linguistica, alle scienze esatte, agli studi politici tutta una falange di cultori insigni, la cui azione civilizzatrice è più efficace che non si creda e il cui valore tanto meno si può disconoscere quanto più volentieri lasciamo agli stranieri la cura di esaltarlo.
  • Uno dei pregiudizi più stolti è che il nostro così detto gran mondo viva soltanto di futilità e non sia informato di niente. È vero che [Napoli non ha l'Hôtel Rambouillet, ma non l'ha oggi nemmeno Parigi, la ville lumière. a Napoli, invece, un'accademia di dotti come la Pontaniana, si onora di contar fra' suoi membri effettivi due duchesse, la Ravaschieri e la Carafa D'Andria, che tengono il loro stallo accanto a Matilde Serao. Il duca Gualtieri ha scritto della costituzione inglese; il principe Pignatelli-Strongoli ha volgarizzato l'Eneide; il duca Caianiello è professore di Università; il principe Filangieri ha fondato il Museo artistico industriale; e non serve dire di altri. Sono ritrovo di artisti e di scienziati i saloni della duchessa D'Andria, della principessa di Tricase. Con ciò non si nega che vi siano dei nobili ignoranti, allo stesso modo che ve ne sono di borghesi e popolani; ma, su per giù, la cosa si riscontra dapertutto e in proporzioni non diverse.
  • Credo che uno dei problemi sia la sovrapposizione tra rappresentazione e stereotipo. Non è un problema esclusivamente napoletano. Però se guardo ai napoletani come a un campione molto rappresentativo della popolazione italiana mi rendo conto che tale sovrapposizione è giunta a un livello talmente elevato di coscienza collettiva da rendere ininfluente qualsiasi tentativo di separazione. La grande capacità di manipolare il proprio stereotipo è una caratteristica inquietante di certi napoletani. Naturalmente, i media nazionali amano questa doppiezza, la ritengono "cinema", e quindi la riprendono, la ripropongono, se ne fanno dibattiti. La restante parte d'Italia che non è Napoli guarda a tutto ciò come "all'esotico", alienando da sé ogni responsabilità, mentre alcuni napoletani guardano alla riproposizione dello stereotipo come a una rappresentazione veritiera della propria identità. L'inganno è lì. Se la mia identità si fonda su una serie di stereotipi veicolati dal gusto per l'esotico che è proprio della televisione, allora non ho più alcun bisogno di provvedere alla mia auto-rappresentazione sociale. La vita in diretta, o chi per essa, ci penserà al mio posto.
  • Desidero e odio la massa, la odio e la amo. Sono incapace di dirle di no, di sfuggire al suo richiamo, di non illudermi ogni volta che non mi fagociterà.
    Spesso accade che a una malattia se ne aggiunga un'altra cui spetta il compito di aumentare la portata della prima. La mia seconda malattia si chiama Napoli. È il mio frullatore di ossessioni, l'humus nel quale gemmano cellule malate, il laboratorio dove si sperimentano prototipi da mettere in circolazione. Consumi, spettacoli, miti della canzone e vita notturna. Napoli è la pastella che avvolge ogni fenomeno di massa che fa palpitare il mio scriteriato cuore.
  • La "Napoletanità" non è niente. È il tentativo di attribuire una categoria ontologica a un gruppo di persone che vivono più o meno entro gli stessi confini geografici. È un concetto fumoso e molto dannoso. È il tentativo di definire la nostra diversità come unicità. Ma la verità è che la napoletanità non esiste, se non come giustificazione all'incapacità di costituirsi come una comunità che si preoccupa del benessere di tutti. È un vessillo all'invivibilità, uno scudo che nasconde le difficoltà. In città c'è tutto un marketing della napoletanità, sulla nostra presunta aderenza a una comunità "anomala" nel male e, soprattutto, nel bene. Nella migliore delle ipotesi, la napoletanità è solo uno slogan in dialetto su una maglietta da vendere a qualche turista o a qualche emigrante nostalgico.
  • Penso che Napoli non sia una città, ma un paese. Si atteggia a metropoli, a capitale decaduta, ma in realtà è una sorta di monolite dove forme diverse e sempre più degenerate di incultura e criminalità soffocano le energie positive che esistono sul territorio. A questo c'è da aggiungere un vittimismo molto diffuso in tutti gli strati della popolazione. I piccoli mondi contigui che non si compenetrano, i diversi ambienti che non dialogano tra loro, sono il segno più eloquente di questo provincialismo. Scalfire il monolite, ecco uno dei compiti più difficili da intraprendere.
  • Come si fa a dire che la camorra è un dato costitutivo di Napoli? Significa non conoscere la storia di questa città, vittima di continue dominazioni nei secoli. Il popolo minuto doveva difendersi da dominatori ogni volta diversi e nei suoi strati diciamo più distanti dalla Storia ha assunto atteggiamenti di un certo tipo, poi precipitati con la modernità. Ci sono, pertanto, anche tanti mascalzoni. Ma assumerlo a fatto costitutivo non si può.
  • Napoli è la dea della bellezza. La voglia di cantare dei napoletani deriva dalla loro natura di artisti. Perché disprezzare i mandolini che venivano suonati anche da Cimarosa e Vivaldi. Il Conservatorio S. Pietro a Maiella contiene un enorme patrimonio musicale, è un forziere inesauribile dove l'incuria e l'ignoranza hanno fatto marcire cose inestimabili. Qualsiasi paese al mondo avrebbe attinto a questo patrimonio per creare una stagione speciale d'arte. Napoli dovrebbe diventare, almeno per quattro/cinque mesi all'anno, Turistlandia, un posto cioè dove tutti potrebbero arrivare guidati dalla grande vela della musica, dell'arte e della bellezza.
  • Per me non è un luogo fisico ma un posto dell’anima.
  • Sì la amo davvero. È molto più che una città. È speciale. Una perla antica.

Citazioni in versi

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Piazza del Plebiscito
  • (A Napoli dove l'amore è Sovrano | Quando i ragazzi incontrano le ragazze | Ecco cosa dicono) | Quando la luna ti fa spalancare gli occhi | Come un grande fetta di pizza | Questo è l'amore. (Dean Martin)
  • Basta ca ce sta 'o Sole, | ca c'è rimasto 'o mare, | na nénna[48] a core a core, | na canzone pe' cantà. || Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, | chi ha dato, ha dato, ha dato, | scurdàmmoce 'o ppassato, | simmo[49] 'e Napule paisà. (Giuseppe Fiorelli)[50]
  • Bella Napoli, oh quanto, i primi dì! | Chiaja, e il Vesuvio, e Portici, e Toledo, | coi calessetti, che saettan lì; | e il gran chiasso e il gran moto, ch'io ci vedo, | d'altra vasta città finor digiuno, | fan sì che fuggon l'ore e non m'avvedo. | Ignoranti miei pari, assai più d'uno | la neghittosa Napoli men presta, | con cui l'ozio mio stupido accomuno. | Ma, sia pur bella, ha da finir la festa. | Al picchiar di Quaresima, mi trovo | tra un fascio di ganasce senza testa. (Vittorio Alfieri)
  • Che fòra il veder Napoli coi fonti, | così nel sommo suo come nel basso! | Altro saria, ch'aver | marchesi e conti! (Luigi Tansillo)
  • Chi puoi proteggere, madonna adorata, | dalla cieca miseria? | Il tacchino che si spidocchia sotto le sacre immagini | o la donna gravida nell'armadio a specchiera? | Ci vorrebbe il mare! | O che discendesse da Posillipo un'onda azzurra di cielo! | Essa dovrebbe salire le scalinate rischiarandosi, | carica di torce azzurre e di dolcezza; | e illuminare i poveri, penetrare nelle nostre contrade, | al fine di renderci diversi e di affermarci! || Ahimè! chi potrebbe esaudirci! | Potenti divinità si sono nascoste laggiù | sotto le colonne spezzate vicino al mare. || Il santo barocco s'è contorto impotente. | Le parole del poeta sono inutili. | Napoli-Parigi, settembre-ottobre 1959. (André Frénaud)
  • Chiave di volta di un arco di azzurro, Napoli s'adagia sul mare, | Incoronata da compiacenti nazioni regina d'allegria senza pari: | Ride dell'ira dell'oceano, schernisce la furia del Vesuvio, | Disprezza malattia, e miseria, e fame, quelle che affollano le sue strade assolate. (Martin Farquhar Tupper)
  • – Chisto è Napule d' 'o sole, | 'o paese d' 'o calore? | Gela l'acqua inte' 'e cannole[51], | s'è schiattato[52] 'o cuntatore! (Raffaele Viviani)
  • Comme a stu suonno de marenare | tu duorme, Napule, viat' a tte! | Duorme, ma nzuonno[53] lacreme amare | tu chiagne, Napule!... Scétete[54], scé'!... (Salvatore Di Giacomo)
  • Da secoli vive la miseria | nel sud dell'Italia. Guardate il suo trono: | pendono come tappezzerie | le tremule ragnatele nere | e i topi grigi rodono | i legni antichi. | Bucherellato trono che attraverso | le finestre rotte | della notte di Napoli respira | con rantolo terribile, | e tra i buchi | i neri riccioli cadono sulle tempie | dei bimbi belli | come piccoli dèi straccioni. | Oh, Italia, nella tua dimora | di marmo e splendore, chi abita? | Così tratti, antica lupa rossa, | la tua progenie d'oro? (Pablo Neruda)
  • È mezzogiorno, | balena il mare; | sui colli e al piano | un uniforme | tedio. Alla vampa | canicolare | Napoli dorme || È mezzanotte, | sovra il sereno | golfo, alle rive | tra pianta e pianta | l'argento piove. | La luna è in pieno; | Napoli canta. (Vittoria Aganoor)
  • Era fermo Imeneo tra l'erto monte | e 'l mare, in cui sovente austro risuona, | la 've cinge e 'ncorona Napoli bella l'onorata fronte : Napoli che di gloria e d'or corona | impose a tanti duci, | quante serene luci | ha notte ombrosa, allorché 'l vel dispiega; | e con amor, che avvolge i cori, e lega | l'anime pellegrine, | facean ghirlanda al crine, | ed allori tesseano e sacre palme, | e tessean preziosi i nodi all'alme. (Torquato Tasso)
  • Fuggo i paterni tetti, e i patrii lidi, | Ma con tremante pié, mi lascio a tergo | Passo, e con questi, che di pianto aspergo, | Per voi rimiro amati colli, e fidi. || I tuoi, si vuole il Ciel, vezzi omicidi | Sirena disleal, dal cor dispergo; | E caro men, ma più securo albergo | Pellegrino ricerco, ov'io m'annidi. (Giovan Battista Marino)
  • Hanno infinite | insidie e vite queste | napoletane strade piazze alture | in cui lunatico mi perdo | estatico, dai rumori disfatto | da una vischiosavida | nube. (Michele Sovente)
  • La gente del Vomero ha sempre campato | vendendo pane in Via Tribunali. | Accarezzati dalla brezza del Vomero, | quei signori guardano dall'alto in basso | il sudore di Via Tribunali, | le lacrime di Mergellina, | il sangue di Piazza Mercato – | ma se vogliono pregare i santi, | devono scendere nel buio della povertà. | Perché su al Vomero non ci sono chiese con santi | e nemmeno gli dei abitarono mai. (Alfred Andersch)
  • [Venere] Lascia Gaeta, e su per l'onda corre | tanto ch'arriva a Procida e la rade, | indi giugne a Puzzòlo, e via trascorre, | Puzzòlo che di solfo ha le contrade | quindi s'andava in Nisida a raccorre, | e a Napoli scopría l'alta beltade: | onde dal porto suo parea inchinare | la Regina del mar, la Dea del mare. (Alessandro Tassoni)
  • Le grandezze, i stupor, le meraviglie, | le delizie, i piacer, mare, aria e sito, | le cose illustri e celebri famiglie | della mia bella Patria, altiero vanto | de l'altre antiche e de le più moderne | degne di glorie eterne, | da cui per gusto altrui son già partito, | e fiori e frutti, e l'acque fresche e chiare, sotto il ciel più che rare, | oggi a Voi, Donne, io canto | se per cantare o dir ne saprò tanto. (Giovanni Battista del Tufo)
  • Ma non posso più accettare l'etichetta provinciale | e una Napoli che ruba in ogni telegiornale, | una Napoli che puzza di ragù di malavita, | di spaghetti, cocaina e di pizza margherita, | di una Napoli abusiva paradiso artificiale | con il sogno ricorrente di fuggire e di emigrare. (Federico Salvatore)
  • Ma 'sta città mme pare sempe 'a stessa | che canta pe' cantà, ma sta chiagnenno[55]. | Napule, chesta si', si 'na canzone | cantata cu dulore, alleramente. (Raffaele De Novellis)[56]
  • Mamma Napoli | Io stonghe ccà || E nun abbastano cient'anne | A ll'acqua e mare pe putè cagnà sta razza | 'o viento e terra le tocca pe crianza | e nun le passa maie sta vrenzola e speranza || e nun abbastano cient'anne | pe ce putè assettà a sta tavulata e gente | gente che già ha magnato, gente che già ha bevuto | che 'o mmeglio e chisto munno già se ll'ha futtuto | Mamma Napoli. (Teresa De Sio)
  • Napolì | 'e benpensante votano Dc | Napolì | 'e camurriste votano Psi | Napolì | 'e sicchie 'e lota[57] votano Msi | Napolì | ma 'mmiez' 'a via continuano a murì | Napolì | ma tenimmo 'o sole 'a pizza e 'o mandulino | tarantelle canzone sole e mandulino | a Napoli se more a tarallucce e vino. (99 Posse)
  • Napoli fu non è. La pompa altera | de le glorie già sue si volse in duolo. | Busto e tomba di sé, sul nudo suolo | pianger si può, ma non veder qual era. || Con aereo velen la Morte arciera | omicide sbalzò le Parche a volo; | e di Grandi e Plebei recisi a stuolo, | l'insepolto carname i Cieli annera. || Son macelli i Palagi, urne le sponde | del bel Sebeto; e sospirando stassi, | d'orride straggi insanguinato l'onde. || Passeggier, bagna i lumi, affretta i passi, | fuggi, ché di spavento ombre feconde | spira la Morte ancor viva ne' sassi. (Giacomo Lubrano)
  • Napoli ride int'a 'na luce 'e sole | chiena 'e feneste aperte e d'uocchie nire. (Ferdinando Russo)
  • Napoli! Tu cuore di uomini che sempre ansima | nudo, sotto l'occhio senza palpebre del Cielo! | Città elisia, che calmi con incantesimo | l'aria ammutinata e il mare! Essi attorno a te sono attratti, | come sonno attorno all'amore! | Metropoli di un Paradiso in rovine | da tempo perduto, di recente vinto, ma pure ancora solo a metà riconquistato. (Percy Bysshe Shelley)
  • Napule bella, desiata tanto | dal core e da la mia penosa vita, | Napuli bella, ch'io lassai da canto, | Napuli bella, e come t'ho fuggita? | Napuli bella, gli occhi miei di pianto | son pieni per la misera partita! (Francesco Galeota)
  • Napule è comm' 'a femmena, | te fa venì 'o gulìo[58]. | Apprimma[59], core mio | e doppo, frusta llà. | E nfrìnghete, nfrìnghete, nfrà, | nfrùnghete, nfrùnghete, nfrù. || Napule, bello mio, | si' sempe tu, | si' sempe tu. (Pasquale Cinquegrana)[60]
  • Napule è 'nu paese curioso | è 'nu teatro antico, sempre apierto. | Ce nasce gente ca senza cuncierto[61] | scenne p''e strate e sape recità. | Nunn'è c''o ffanno apposta; ma pe' lloro | 'o panurama è 'na scenografia, | o popolo è 'na bella cumpagnia, | l'elettricista è Dio ch''e fa campà. | Ognuno fa 'na parte 'na macchietta | se sceglie 'o tip 'o nomm a truccatura | L'intercalare, a camminatura | pe' fa successo e pe' se fa guardà. (Eduardo De Filippo)
  • Napule è tutta rampe, scalinate, | scale, gradune, grade, gradiatelle, | sagliute, scese, cupe, calate, | vicule ’e coppa, ’e sotto, viculille, | vicule stuorte, | vicule cecate. (Carlo Bernari)
  • Napule Napule Napule Na' | 'na notte e luna chiena | 'o sole ca me vase[62] | 'n'addore e panne spase | me fa' senti' nu rre. (Enzo Bonagura)[63]
  • Non c'è sabato | che non ci sia il sole a mezzogiorno; | donna o ragazza soleggiante, | che non ha fatto mezzogiorno senza amante!... || Luna, Caprone, Curato scarafaggio | che un[64] abbia tricorno cornuto! | – Corna in fronte e corna all'uscio | preservano dal malocchio. - || L'Ombelico del giorno filante | i suoi maccheroni brucianti | con la tarantella: || Lucia, Masaniello, | Santa-Pia, Diavolo, | – CON PULCINELLA – | Mergellina-Venerdì 15 aprile. (Tristan Corbière)
  • Non ti ricordi la fresca sera, | molle di nubi, plenilunar, mentre di Napoli per la Riviera | a i parapetti scrosciava il mar? || Era un settembre più che autunnale, | e Piedigrotta passata già; | dentro la Villa, pel gran viale, | avean le raffiche spersa l'està. || Moriva lungi su i mandolini | una canzone, sotto un hôtel. | Ma che profumo di gelsomini! | Parea dal mondo caduto un vel. || Non ti ricordi? Scendea la notte | sempre più opaca, su te, su me; | ci sorpassavano le ultime frotte | de le discepole, da gli ateliers. || Ci soffermammo. Nubi più grosse | spegnean de i cieli, nere, il chiaror; | tossisti, e della piccola tosse | su la tua bocca bevvi il sapor: || e stemmo avvinti, contro a le spume | che ci spruzzavano, salse, ognor più, | mentre Posillipo con cento e un lume | insanguinava l'onde laggiù... (Francesco Gaeta)
  • O bella come una favola d'oro, | città solare, contrada incantata, | ove una dolce invisibile fata | fa sue magie tra una palma e un alloro. || La dolce fata nasconde al mortale, | chiuso in mistero, il divino suo viso; | ma bene effonde nell'aria un sorriso | di mite e ardente fulgor celestiale. || Tutta ne esulta la verde pendice | lungo il grand'arco del golfo beato; | tutto ne splende, commosso, incendiato, | l'azzurro specchio del mare felice. || Solo, laggiù, c'è un cattivo gigante[65] | che freme e sbuffa in rabbioso tormento; | ma il suo fumacchio, portato dal vento, | si perde in ciel come un cirro vagante. (Diego Valeri)
  • O gente senza alcuna cortesia, | la cu' 'nvidia punge | l'altrui valor, ed ogni ben s'oblia; | o vil malizia, a te, perché t'allunge | di bella leggiadria, | la penna e l'orinal teco s'aggiunge. (Cino da Pistoia)
  • Oje né', | si te vuó' sciogliere[66], | 'a strada è libera, | puó' cammenà. | Napule è chino 'e femmene | tutte pe' me, | ca vònno[67] a me, | pazze pe'mmé. (Salvatore Baratta)[68]
  • Pare che a tre generazioni di russi | fosse proibito andare a spasso | senza meta per le vie | di questa città meridionale, | lasciando libero lo sguardo di vagare, | curiosare disinvolti | qua e là, scattanti come bovi, | non com'aquile o leoni in cerca di preda, | che aguzzano la vista crudele. (Maksim Amelin)
  • Pe' Tuleto, p' 'a strada cchiù bella | d' 'a cchiù bella città ca se trova, | n'ata vita llà 'n miezo vulesse campà!...
'N Paraviso 'stu sciore 'e bellezza | llà sultanto 'o putite truvà! (Salvatore Baratta)
  • Per questo, straniero, la gente | a Napoli ha il culto dei santi: | da sempre ha conosciuto non un solo Dio, | ma molti dei, | perciò scambia San Paolo e San Pietro con i Dioscuri, | San Giovanni con Hermes | e Santa Restituta con Cibele. | Vecchie usanze dei tempi di Virgilio. (Alfred Andersch)
  • Più volte haver porai tu fors'udito | la nobiltade et la celebre fama | de 'st'inclyta città posta nel lito | de le syrene. Et Napoli hor si chiama. | A questo lieto et fortunato sito | la giovenetta, ch'anchor via più s'ama, | sepolta giace et come antica autrice | la sirena Parthenope si dice. (Ioan Bernardino Fuscano)
  • Pure la nostra sirena vedrai, Partenope, alla quale, condotta di qua dal mare, lo stesso Apollo indicò con la colomba Dionea il fertile suolo. A questa mia sede natale io ti invito. Qui è mite l'inverno e fresca l'estate: qui con le onde sue lente batte il mare tranquillo, ed è la pace sicura e il dolce far niente e una quiete senza fine; e si dorme qui, tanto! (Publio Papinio Stazio)
  • Qui sicura è la pace, e qui si gode | d'una comoda vita il bel piacere, | né v'è chi l'ozio altrui conturbi, o i sonni. | Non ha litigi il foro, e niun contrasto | conobbero giammai le leggi armate; | del diritto s'appaga ogni uom d'onore | senza aspettar che un tribunal l'astringa. | Or dirò delle superbe cose, | ch'alle colte città crescono il vanto? | Vedrai li sacri templi, e gli atrii suoi | da cento trammezzati alte colonne: | le due moli vedrai, teatro e circo, | e i quinquennali giuochi, il cui splendore | non cede a quei, che Roma sacra a Giove. | Né di Menandro a te lodar pretendo | le commedie di riso, e il dir faceto | di greco misto, e di parlar latino. | Né manca qui ciò, ch'è diletto al senso. (Publio Papinio Stazio)
  • Quivi Napoli bella i regi alberga, | città vittoriosa e trionfale: | veggio altri tempi ancor, e in altri monti | quel ch'ora innalza tre sublimi fronti. (Torquato Tasso)
  • Servono il padrone del momento | rimpiangono il padrone del passato | aspettano il padrone che verrà. (Anonimo)
  • Settimana di sette feste, | questa è Napoli, punto e basta! | Passa il guappo con le maestre, | s'alza il grido dell'acquaiuol. (Enzo Bonagura)[69]
  • Stace Napole mia, bella, e gentile, | sciore de 'Talia[70]e schiecco[71]de lo Munno, | mamma che face nascere l'Abrile | Tutto a no ventre | sempre co l'Autunno, | sott'a n'airo né gruosso né sottile, | 'nzino a mare commo uovo chino e tunno, | accanto a sciumme[72], e munte, e fontanelle, | Che 'nnanze foro giuvene e zitelle. (Giulio Cesare Cortese)
  • T'accumpagno vico vico | sulo a tte ca si' 'n amico | e te porto pe' 'e quartiere | addò 'o sole nun se vede | ma se vede tutto 'o riesto | e s'arapeno 'e ffenèste | e capisce comm'è bella | 'a città 'e Pulecenella. | Comm'è bella comm'è bella | 'a città 'e Pulecenella. (Claudio Mattone)
  • T'adoro, sì, domenica | napoletana verso giugno: oh tu | di fragole odorosa! | oh coltri gialle e rosa | a i terrazzi! oh, profumo del ragù! || Ecco, a la chiesa prossima | chiama a distesa il campanello ancor; | nel sole, hanno per «essa», | tornata da la messa, | mobili e letto una scintilla d'or: || spunta con lumi e musica | per la salita la procession; | incede il Santo, e trema; | sul baldacchino crema | foglie di rose piove ogni balcon. || Adoro il tuo crepuscolo: | la gelsa bianca ne i panieri appar: | e l'uom de le campagne | suoi serti di castagne | su la pertica lunga ama cantar: || siede al balcone e dondola | «essa», con il ventaglio in grembo, il pié: | assorta un po', sospira | al dì che si ritira, | e ride a pena, tra le amiche, a me. (Francesco Gaeta)
  • Una croce nera sul petto dell'italiano, | senza intaglio, rabesco, splendore, | conservata da una famiglia povera | e portata dall'unico figlio...| Giovane nativo di Napoli! | Cos'hai lasciato sui campi di Russia? | Perché non hai potuto esser felice, | circondato dal celebre golfo? | Io che ti ho ucciso vicino a Mozdòk | sognavo tanto il vulcano lontano! | O, come sognavo nelle distese del Volga | almeno una volta di andare in gondola! | Ma io non son venuto con la pistola | a portarti via l'estate italiana | e le mie pallottole non hanno fischiato | sulla santa terra di Raffaello! | Qui ho sparato! Qui dove sono nato, | dov'ero orgoglioso di me e degli amici, | dove gli epici canti dei nostri popoli | non risuonano mai in traduzioni. | Forse che l'ansa del medio Don | è studiata da uno scienziato straniero? | La nostra terra, la Russia, la Rus, | l'ha seminata una camicia nera? | T'hanno portato qui in una tradotta | per conquistare lontane colonie, | perché la croce del cofanetto familiare | crescesse alle dimensioni d'una croce di tomba... | Non permetterò che la mia patria sia portata | oltre le distese di mari stranieri! | Io sparo. E non c'è giustizia | più giusta della mia pallottola! | Non sei mai stato né vissuto qui!... | Ma è sparso sui campi nevosi | l'azzurro cielo italiano, | sotto il vetro degli occhi morti. (Mikhail Svetlov)
  • Vi quant'è bella Napule | pare nu franfellicco: | ognuno vene e allicca | arronza e se ne va. (canto popolare napoletano)
  • Vieni o straniero nella grande Napoli, vedila, e muori! | Ama e inebriati, godi mentre l'attimo fugge | Il più splendido sogno, scorda i desideri delusi, | e i tormenti che un demone ha tessuto nella tua vita: | impara qui a godere, ad essere felice, e poi muori! (August von Platen-Hallermünde)
  • Voglia 'e turnà | dint'e vicoli e sta città, | guarda e ride e te vò tuccà | nun se ferma mai, | voglia 'e verè | notte e juorno te fa cantà | chest'è Napule do cafè | nun te può sbaglià. (Teresa De Sio)
  • Chille ca nun vonno fa' 'a fila, | chille che stanno arreto 'e spurtielle, | chille ca passano c' 'o rrusso, | chille ca se fermano c' 'o giallo, | chille ca stanno chiene 'e miliarde, | chille ca vanno pezziente, 'e viecche, 'e criature, 'e buone, 'e malamente, | nisciuno! | Nun se salva nisciuno, | nisciuno nisciuno, | int' 'a 'sta città nun se salva nisciuno!
  • E la nottata non passa mai | Bella, appariscente, invidiata, invadente | Volgare, indecente, violenta, incandescente | Ma è la mia città.
  • Non è piana non è verticale | è una linea che sale in collina | è una strada che parte dal mare | il percorso della città obliqua. || Scale mobili sotto la luna | diagonali e passaggi segreti | un cammino che esiste da sempre | il tesoro della città antica.
  • E cheste è Napule: | Canzone ca nun more, | Profumo 'e ll'aria, | Ciardino sempe 'n fiore. | Speranze, ammore, lacreme: | Napule chesto vo'.
  • Chist'è 'o paese d' 'o sole, | chist'è 'o paese d' 'o mare, | chist'è 'o paese addó tutt' 'e pparole,| so' doce o so' amare, so' sempe parole d'ammore!
  • È tutta d'oro, | d'oro e celeste è Napule. | Se canta e more? | Ma i' voglio murì ccà. | Pe' Napule e Maria | trèmmano 'e ccorde d' 'a chitarra mia, | Marì.[73]
  • La gentil sacra, cittade, | Napol, di Muse et divi antiquo hospitio; | di trabea degna et non d'aspro cilitio.
  • Seconda patria mia, dolce Sirena, | Parthenope gentil, casta cittade, | nido di leggiadria e nobiltade, | d'ogni vertute e di delicie piena; || con tal dolor ti lascio e con tal pena, | qual, lasso!, io mai soffersi in nulla etade. | A dio, amici!, a dio, dolci contrade: | Hor qui ragion le lagrime non frena.
  • – Parthenope son io, piena di duolo: | Non men beäta pria, c'hor infelice, | squarciata in mille parti, equata al suolo. || Misera me!, fruïr più non mi lice | Primavera, che sempre in me fioriva; | ché Venere è conversa in diva ultrice! || Libera fui gran tempo, hor son captiva, | in man di fieri monstri, horrendi et diri[74], | quai Protheo doma in la Carpathia riva. || Qual re più fida in regno, in me si miri | come in lucido specchio! O re possenti, | imparate frenar vostri desiri! || Non vi inganne il piacer di ben presenti, | ché sempre a voi minaccia il Re magiore | ciò che temon di voi le minor genti.
  • Ma quanto bene te voglio, mia cara città, | quann'era vierno[75] cu 'o sole m'ê[76] fatto scarfa' [77], | mmiezzo a 'sti strade cchiù vecchie 'e l'età | tu m'ê 'mparato a parla', | e quanta vote m'ê fatto capi' | ca se po' sempe muri'.
  • 'Nu napulitano nunn'è sempe allero, | nun le basta 'o sole, tene troppi pensiere, | dint' 'a chesta gara parte sempe arrete[78], | corre tutt' 'a vita e 'o traguardo è 'na barriera.
  • Sott' a 'stu cielo blu, | 'o ssaje ca nun se vola | e nun se po' campa' sempe aspetta' | speranza e sole. | T'ha tradito 'sta città, | ca vo' sulo ave' e nun dà. | Stella napulitana | che triemme 'ncopp' 'a 'stu mare | ca nun t'ha dato maje niente.
  • Città che non mantiene mai le sue promesse, | città fatta di inciuci e di fotografia, | di Maradona e di Sofia | ma è la mia città | tra l'inferno e il cielo.
  • Napule è mille culure | Napule è mille paure | Napule è a voce d' 'e criature[79] | che saglie chiano chianu | e tu saje ca nun si sulo.
  • Napule è 'na carta sporca | e nisciuno se ne 'mporta | e ognuno aspetta 'a ciorta.
  • Napule è tutta 'no suonno | e 'a sape tutto 'o munno | ma nun sanno a verità.
  • Simmo lazzari felici | gente ca nun trova cchiù pace | quanno canta se dispiace | è sempe pronta a se vutta' | pe' nun perdere l'addore.
  • Terra mia, terra mia | comm'è bello a la penza'. | Terra mia, terra mia | comm'è bello a la guarda'. | Nunn è 'o vero nun è sempre 'o stesso | tutt' 'e journe po' cagna' | ogge è dritto, dimane è stuorto | e chesta vita se ne va.
  • E 'a Luna guarda e dice: | "Si fosse ancora overo. | Chisto è 'o popolo 'e na vota[80], | gente semplice e felice. | Chist'è Napule sincero, | ca pur'isso se ne va".[81]
  • Napule, | a qua' parte d' 'o munno se fa 'ammore | comm'a Napule, 'e sera, 'int'a ll'està[82]? | Vócche vasate[83], cantano, | core tradute, chiagnono. | Ma è tantu bella Napule | ca pure ll'odio te fa scurdà[84].[85]
  • Napule bella mia, | terra d'ammore, lacreme e canzone... | che suonno d'oro ca nce faje sunná[86]! | 'Ncòre nce miette na malincunía, | na freva tu nce miette dint''e vvéne | pecché nce vuó' fa' chiagnere e cantá.[87]
  • A Napule nun se po' sta cuieto[88]. | Aiere un brutto cane mascalzone | se ferma, addora, aiza 'a coscia 'e reto, | e po' mme fa pipi 'nfaccia 'o sciassì.
  • Io voglio bene a Napule | pecché 'o paese mio | è cchiù bello 'e 'na femmena, | carnale e simpatia. || E voglio bene a te | ca si napulitana | pecché si comm'a me | cu tanto 'e core 'mmano.
  • 'Sta Napule, riggina d' 'e ssirene, | ca cchiù 'a guardammo e cchiù 'a vulimmo bbene. | 'A tengo sana sana dinto[89] 'e vvene, | 'a porto dinto 'o core, ch'aggia[90] fa'? | Napule, si' comme 'o zzucchero, | terra d'ammore – che rarità!

Proverbi

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  • Naplǝ tand'avandátǝ s'è rǝddóttǝ a carǝscià prètǝ. (lucano)
  • Napulitane: larghe 'e vocca e stritte 'e mane. (napoletano)
  • 'O napulitano è cavaliere. (napoletano)
  • Roma santa, Aquila bella, Napoli galante. (italiano)
  • Tre sono le meraviglie, Napoli, Roma e la faccia tua. (italiano)

Note

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  1. Nella lettera vengono citati i versi di Napule è di Pino Daniele.
  2. I napoletani.
  3. Come sei bella [Napoli]... Mi manchi assai assai.
  4. Medaglia d'oro al valor militare, città di Napoli., quirinale.it.
  5. a b In italiano nel testo originale.
  6. Nel testo citato.
  7. Rispetto ai romani.
  8. «The Committee decided to inscribe the property on the basis of criteria (ii) and (iv), considering that the site is of exceptional value. It is one of the most ancient cities in Europe, whose contemporary urban fabric preserves the elements of its long and eventful history. Its setting on the Bay of Naples gives it an outstanding universal value which has had a profound influence in many parts of Europe and beyond.» Vedi Decision - 19COM VIII.C.1 - Inscription: The Historic Centre of Naples (Italy), unesco.org.
  9. Bartolomeo Capasso.
  10. Non c'è sabato | che non ci sia il sole a mezzogiorno; | donna o ragazza soleggiante, | che non ha fatto mezzogiorno senza amante!... || Luna, Caprone, Curato scarafaggio | che un [(non)] abbia tricorno cornuto! | – Corna in fronte e corna all'uscio | preservano dal malocchio. - || L'Ombelico del giorno filante | i suoi maccheroni brucianti | con la tarantella: || Lucia, Masaniello, | Santa-Pia, Diavolo, | – CON PULCINELLA – | Mergellina-Venerdì 15 aprile. (SONETTO A NAPOLI | AL SOLE ALL'UNA | AL SABATO AL CANONICO | E TUTTI QUANTI | CON PULCINELLA), in Tristan Corbière, Gli Amori Gialli, poesie, vol. 2, cura e traduzione di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, Acquaviva, 2006, pp. 232-233
  11. Quando, nel testo.
  12. a b Sembravami, in Gleijeses, Napoli nostra e nuove storie, 1977.
  13. Sull'incontro e lo scambio di apporti culturali fra le civiltà del Mediterraneo.
  14. Fuggitevene da Napoli.
  15. In cielo.
  16. Sdòbbele, refuso, nel testo.
  17. Nel testo il refuso: breugheliana.
  18. Signore, l'hanno tolta stamattina. Corre voce che la collocano nel Municipio. Adesso ci sono io...
  19. Il riferimento è al libro di Bartolomeo Cassaneo Catalogus gloriae mundi.
  20. Dagli anni 50 ai primi anni 60.
  21. Il riferimento è al proverbio: Napoli è un paradiso abitato da diavoli.
  22. Di Piazza del Gesù.
  23. Ramo flessibile del salice, vimine.
  24. Il lustrascarpe!
  25. Venditore di lumache di terra o di mare o di frutti di mare.
  26. Lumache di terra o di mare.
  27. Bonaccione, semplicione. La definizione è in Sergio Zazzera, Dizionario napoletano, Newton Compton Editori, Roma, 2016, p. 18. ISBN 978-88-541-8882-2
  28. Non so a chi tu sia figlio. Cfr. Napoli: figure e paesi e Luci e ombre napoletane, nota 2, p. 192
  29. La giornata è breve, il tempo di girarti e rigirarti ed è notte. Cfr. Napoli: figure e paesi e Luci e ombre napoletane, nota 3, p. 192.
  30. E portata la mano alla bocca, non so che cosa abbia sibilato di tetro che dopo abbia detto lingua greca. Cfr. Napoli: figure e paesi e Luci e ombre napoletane, nota 4, p. 192.
  31. Il riferimento è al Sebeto, antico fiume di Napoli.
  32. Nel 1700.
  33. Il riferimento è all'alto livello e alla grande influenza che Napoli conseguì nella cultura e nell'arte durante il cinquantennio liberale.
  34. Simbolo di Napoli.
  35. Lattine o scatole di metallo per alimenti.
  36. Dal Vesuvio.
  37. Nel testo: Partenone.
  38. Conquistata, conquistò [il vincitore].
  39. Per le riprese del Decamerone.
  40. Aurora, protagonista del romanzo.
  41. Le due estremità che delimitano il Golfo di Napoli. Cfr. Letteratura delle regioni d'Italia, Campania, p. 341, nota 12.
  42. La citazione è tratta dalla voce San Gennaro nell'Enciclopedia delle religioni, edita da Vallecchi. Cfr. San Gennaro, Opere, Mondadori, 2005, p. 1520.
  43. La sifilide.
  44. Arivata, refuso, nel testo.
  45. Della rozzezza del popolo, che l'abate Jérôme Richard attribuiva alle vicende tumultuose che hanno caratterizzato la storia di Napoli. Cfr. De Sade, Viaggio in Italia, p. 262.
  46. Lasciamo fare a Dio.
  47. "La caccia, a cui per consenso dell'editore, e del principe dava termine la irruzione nell'arena del popolo, autorizzato, in tale occasione, ad impadronirsi di checché gli cadea sottomano, fu detta caccia di saccheggio, venatio direptionis. La magnificenza dello addobbo, e la quantità delle vittime uccise, consentiva largo campo allo spoglio tumultuoso, che, pei seduti nelle gradinate formava pur esso parte animatissima dello spettacolo.
    I Cesari costumavano far gettare dall'alto nell'affollato anfiteatro pallottole di legno contenenti numeri; ad ogni numero corrispondeva un dono, perfino navigli, isole, poderi." Da Storia del Pensiero nei Tempi Moderni del Conte Tullio Dandolo, vol. II, Stabilimento Tipografico Sensi, Assisi, p. 349
  48. Ragazza.
  49. Siamo.
  50. Versi musicati da Nicola Valente.
  51. Tubazioni.
  52. Scoppiato.
  53. In sonno.
  54. Svegliati.
  55. Piangendo.
  56. Versi musicati da Cafazo.
  57. Secchi di melma.
  58. Voglia.
  59. Prima.
  60. Versi musicati da Giuseppe De Gregorio.
  61. Senza preparazione, spontaneamente.
  62. Bacia.
  63. Versi musicati da Sergio Bruni.
  64. Refuso. In realtà: non.
  65. Il Vesuvio.
  66. Scioglierti, nel senso di lasciarmi.
  67. Vogliono.
  68. Versi musicati da Gaetano Lama.
  69. Versi musicati da Lino Benedetto.
  70. Fiore di Italia.
  71. Specchio.
  72. Fiumi.
  73. Versi musicati da Gaetano Lama.
  74. I francesi di Luigi XII che occuparono Napoli dal 4 agosto 1501 al 16 maggio 1503.
  75. Inverno.
  76. Mi hai.
  77. Riscaldare.
  78. Indietro
  79. Creature, bambini.
  80. Di una volta.
  81. Versi musicati da Ernesto Tagliaferri.
  82. Estate.
  83. Bocche baciate.
  84. Dimenticare.
  85. Versi musicati da Ernesto Tagliaferri.
  86. Sognare.
  87. Versi musicati da Ernesto Tagliaferri.
  88. Quieto.
  89. Dentro.
  90. Che devo.

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